di Tommaso Manzon
Salmo: 122:6-9,
«6 Pregate per la pace di Gerusalemme! Quelli che ti amano vivano tranquilli.
7 Ci sia pace all'interno delle tue mura e tranquillità nei tuoi palazzi!
8 Per amore dei miei fratelli e dei miei amici, io dirò: «La pace sia dentro di te!»
9 Per amore della casa del SIGNORE, del nostro Dio, io cercherò il tuo bene».
La terra di Israele è il centro del mondo. Questo ovviamente non è vero da un punto di vista fisico-geografico, ma lo è senza ombra di dubbio da un punto di vista spirituale, laddove quest’aggettivo va inteso nel senso più ampio possibile. Non, quindi, spirituale come qualcosa che ha a che fare esclusivamente con la sfera del religioso, bensì spirituale come quando si parla dello “spirito” di un popolo e quindi spirituale come di ciò che determina l’intero carattere di una vita e di una cultura.
Che Israele sia da un punto di vista spirituale il centro del mondo lo possiamo intuire dall’importanza di questo lembo di terra, a prima vista dimenticabile, che però è diventato per molti versi il perno della storia mondiale. Non tanto perché tutto ciò che è importante accada e sia accaduto in Israele (è evidente che non sia così), né perché non siano stati dati importanti contributi alla storia dell’umanità all’infuori del popolo di Israele (ancora una volta, è evidente che non sia così).
Il punto è che per Israele passa tanto di ciò che accade ed è accaduto: se non tutto, comunque è passato abbastanza – abbastanza energie, abbastanza idee, abbasta traiettorie – da influenzare in modo decisivo il corso della storia globale. Quale nazione di questa terra non è stata in qualche misura plasmata da quanto ha avuto origine nella Terra della Rivelazione? E anche quelle che sono state toccate solo marginalmente dal fiume impetuoso che è uscito da Sion, possono forse dire di non essere state bagnate da queste correnti?
A tal proposito, bisogna notare come tipica di Israele sia la sproporzione dei destini che vi vengono concepiti rispetto alle loro circostanze di partenza: Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Maria, Gesù, Maometto, sono tutti nomi le cui origini sembrano essere del tutto insufficienti per spiegare l’immenso potere che essi hanno esercitato e tutt’ora esercitano sulle sorti dell’umanità. Mi si obbietterà, correttamente, che in realtà alcune di queste figure non sono nate in Israele: ma dove Abramo e Mosè trovano il proprio destino, se non nella Terra Promessa (che il secondo mai calpestò vita natural durante)? Da dove il cosiddetto Profeta dell’Islam compì il suo viaggio in cielo fino a trovarsi al cospetto di Dio? Perché il patriarca Giuseppe, prima di morire e di essere seppellito in Egitto, volle sincerarsi con i suoi figli che avrebbero avuto cura di traslare le sue ossa in Israele il giorno in cui i discendenti di Giacobbe avrebbero intrapreso il loro ritorno in patria? Né Abramo, né Mosé, né Maometto possono essere tali, essere loro stessi, senza il riferimento vivo che li unisce ad Israele. Come loro quindi si può essere stati concepiti, biologicamente, fuori da Israele, ed eppure esservi legati in senso spirituale: Israele come un destino, come la Promessa che agisce come simbolo e strada per il Promissore.
In quest’ottica, quanti di noi sono stati concepiti in Israele senza che nemmeno ce ne rendessimo conto? Per quanti di noi le nostre aspirazioni, i nostri istinti, le nostre speranze puntano in direzione della terra che è la madre dei patriarchi, dei profeti e dei saggi?
Se Israele però è destino e madre, essa è anche ricettacolo dei nostri problemi. Come da Israele sono usciti, escono e usciranno dei destini che in essa ritornano o che perlomeno a essa tendono, così da questi destini tornano in Israele cose che da Israele non sono uscite ma che si intrecciano con lei e la sua influenza e che inevitabilmente, rientrando in lei, la contaminano. Questo va ad aggiungersi alla lotta tumultuosa che comunque ha sempre, a più riprese, avvolto il centro spirituale del mondo. Il centro è legato alla circonferenza dai raggi: ciò che accade nel centro passa nella circonferenza e viceversa.
E quindi, noi che assistiamo a quanto accade oggi in Israele, secondo una nuova-vecchia storia, sia che lo facciamo da spettatori apatici che da tifosi, è bene che prendiamo coscienza insieme (se non lo abbiamo già fatto) di come, in qualche modo, questa storia si intreccia con la nostra. Ciò che nasce in Israele non rimane mai in Israele, se è vero, come è vero, che una visione del divino coltivata da pochi pastori medio-orientali ha finito per cambiare per sempre il volto del mondo.
Ma ciò che nasce in Israele e da lì se ne esce poi alla fine torna in Israele (primi fra tutti gli stessi ebrei) con un carico composto dal bagaglio che nel frattempo è stato raccolto. E questo bagaglio è anche un bagaglio di relazioni, di storie, di incontri. Quindi in Israele c’è tutta la storia della diaspora e del ritorno del popolo ebraico, ma anche la storia della nascita e della diffusione dell’Islam, nonché ovviamente quella di Gesù e dei suoi discepoli, e noi siamo parte di queste storie, che segnano e sconvolgono la Terra che è madre e fine di innumerevoli destini, la Terra che è inscindibile (ci piaccia o no) dalla nostra identità più profonda.
Possiamo quindi solo sperare (e operare di conseguenza) per la pace della Terra a cui siamo in questo modo legati, confidando che il 2024 sia un anno prospero di buone notizie per i popoli che ci vivono, un anno di pace e di riconciliazione nel luogo della Promessa in cui Dio si è degnato di nascere, vivere, morire e risuscitare.
(Immagine: Frederic Edwin Church, Jerusalem from the Mount of Olives, olio e grafite su cartoncino, 1868, Smithsonian Design Museum Collection, Washington, D.C.)