Ricordo di Ezio Bosso
di Luigi Di Paola
Sommario: 1. Sostanza e forma nella musica - 2. Musica e vita - 3. La musica anarchica - 4. Rain, in your black eyes - 5. Following a bird, Oceans, Clouds, The mind on the (Re)Wind - 6. La musica come servizio e…fuori “sistema” (con divagazione “leggerissima” su musica e diritto) - 7. Caro Ezio.
1. Sostanza e forma nella musica
La musica, lungi dal configurarsi quale elemento evanescente ed intangibile, è vera e propria “sostanza”.
Essa è capace non solo di ravvivare lo spirito dei predestinati che istintivamente la cercano e la accolgono, ma anche di muoversi liberamente in attesa di scuotere anche l’animo più distratto e disinteressato, vincendone le resistenze con una miscela di stili e generi che risvegliano il senso del gusto, in un avvicendamento di note che, sfuggendo ad ogni umano controllo, diventano un tutt’uno con l’aria che si respira.
Quelle note, peraltro, portatrici di immagini, di suggestioni e di colori, testimoniano il trionfo del più marcato soggettivismo, perché si lasciano apprezzare in modo sempre diverso da ciascun interlocutore, esprimendo una varietà di significati ed una ricchezza di motivi senza limiti.
Ma la musica non è solo sostanza “pura”, poiché si materializza anche nei movimenti corporei di colui che le consente di affacciarsi all’esterno, il quale, spinto nella gestualità da scosse nervose di varia intensità, ne è in primo luogo pervaso nel profondo.
Ecco che allora essa acquista le sembianze del musicista, parlando attraverso le vibrazioni generate dalla pressione esercitata da dita irrequiete sui tasti di un pianoforte, dai tocchi delicati sulla corda di una chitarra, dall’impatto di una bacchetta sul rullante, dal rombare dell’aria all’interno di uno strumento a fiato.
Ma ancor più vistosamente si impadronisce della “forma” - ossia dell’esteriorità - del direttore d’orchestra, che della musica stessa deve contenere, assicurando quel sottilissimo equilibrio che rende armoniosa la coesistenza di più strumenti, la naturale irruenza, per coglierne, quando è possibile, la dolcezza.
Ezio Bosso è stato, in tempi recenti, il modello figurativo della musica, che ha saputo, in maniera davvero unica, proiettarne all’esterno la “sostanza”.
2. Musica e vita
La musica si dona a tutti ma solo ad alcuni riserva la sua assoluta fedeltà, in un rapporto di inevitabile reciprocità.
La sintonia perfetta conduce ad una impostazione di vita che difficilmente può risentire del trascorrere del tempo e dei mutamenti che esso produce nei costumi, nelle mentalità, nei nuovi assetti degli affetti, e, in definitiva, nell’essenza della persona.
Il connubio della musica con la vita diventa, per i cosiddetti eletti, un automatismo quasi insuscettibile di percezione, un passaggio obbligato mascherato da una casualità che non può esserne mai, plausibilmente, la vera ragione, rivelandosi quale umana contingenza di un incontro necessario, già scritto.
Il Maestro ha fatto più volte riferimento a quella casualità, ma evidentemente in chiave meramente descrittiva di eventi racchiusi nelle sue narrazioni, da cui egli stesso traeva la consapevolezza del privilegio (spesso chiamato con il termine “fortuna”) di una vita vissuta nell’abbraccio intenso della musica.
È stato un abbraccio liberatorio, che lo ha messo al riparo dalle “piccolezze” dell’umanità, dalle inspiegabili ambizioni, dallo spegnimento indotto dal rammarico, dallo sterile individualismo, e, alla fine, dalla paura del dolore.
La malattia, infatti, non ha potuto annientare la vitalità del Maestro, non ha mai affievolito la luce del suo sguardo penetrante e deciso, espressione di una forza che solo il pensiero costante del fine sublime da raggiungere - nel caso, quello di farsi “portatore” di musica - mantiene integra.
Neppure la rinuncia, negli ultimi momenti, al dialogo intimo col pianoforte è stata espressione di un segno di debolezza, o di resa, ma solo una ulteriore attestazione dell’assoluto rispetto che il Maestro ha sempre portato alla perfezione della musica, che giammai avrebbe potuto essere disonorata o indebolita dal movimento incerto di quelle dita cui egli aveva pur imposto, sin quando è stato umanamente possibile, sforzi eccessivi.
Il senso di venerazione traspare dalla posizione eretta nella quale il Maestro soleva, anche per necessità, mettersi al pianoforte a coda, quasi che lo stare seduto potesse esser interpretato come un segno di irriverenza nei riguardi dell’immagine sonora che lo strumento avrebbe creato.
Il tutto si compendia in un intenso sentimento di riconoscenza per quella che è stata una fonte di vita autentica, cui egli ha dedicato tutta la sua esistenza.
E poiché la vita (che abbia un valore ed un significato) altro non è che una esperienza di comunione con gli altri, il Maestro si è preoccupato di non far prevalere, nel suo rapporto privilegiato con la musica, l’interiorità, pur necessaria a carpire l’ispirazione per tradurla in melodie, riservando adeguato spazio anche al confronto, che egli riteneva utile ad educare, soprattutto i giovani, alla musica, consapevole della non sempre agevole intelligibilità del suo linguaggio.
Ciò non significa che egli volesse farsi interprete della musica anche con le parole, essendo suo intendimento spiegare, semplicemente, quanto possa essere coinvolgente ed esaltante vivere, in un perenne entusiasmo di gioventù, di essa.
È nota la descrizione che il Maestro fornisce dell’orchestra, quale “società ideale” in cui si combinano molteplici elementi necessari ma non autosufficienti, la cui funzione è quella di “migliorare”, integrandosi con il tutto per portare ogni singola nota ad un livello più alto, in una dimensione in cui il piacere dell’ascolto va condiviso collettivamente, in una circolarità di emozioni che rimane viva nei ricordi.
I ricordi…
Ci si illude che facciano parte del passato, ma invece arricchiscono di continuo il presente (essendovi anche chi di soli ricordi sopravvive), riportando all’attualità non solo scene di vita, ma anche sensazioni già provate, odori già sentiti, musica già ascoltata.
Essi costituiscono il legame più forte con la vita di chi abbiamo incontrato e con la nostra stessa vita.
Quando mi soffermo su un evento del passato avverto la mia mente farsi largo tra le tante immagini per mettere a fuoco quella giusta, cercando di riscoprire i contorni di un volto, di ridisegnare un paesaggio, di amplificare voci in lontananza; ma il ricordo non sarà mai vivo, non riuscirà mai a riprodurre nitidamente la realtà di quel momento se non vi si associa una colonna sonora; del resto, a pensarci bene, la vita passata che fa incursione nel presente è fatta, soprattutto, di musica.
3. La musica anarchica
L’immediatezza con la quale il suono viene assorbito è tipica dell’intuizione, la quale, nel nostro caso, non ha il tempo di essere elaborata dalla mente, poiché non appena la coscienza tenta di classificare l’armonia per ordinarla in una categoria, sopraggiunge un’altra ventata di musica che, facendo volare, scombinandoli, i tasselli del mosaico, riporta nuovo disordine interiore (che è preludio dell’emozione).
È la musica “anarchica”, che soffre se imprigionata, freme se assoggettata all’irrigidimento delle regole, appassisce se piegata al senso del razionale.
Così, il musicista rigoroso non può che nutrirsi di autentica libertà, opponendosi alle consuetudini che lo vorrebbero esecutore di un disegno già tracciato, quasi scolorito personaggio vittima di un destino sempre uguale.
Il musicista “è soggetto soltanto alla musica”, che, però, egli è incapace di tradire, poiché essa non è “altro” da lui.
A tale accezione di anarchia faceva certamente riferimento, nelle sue sempre brillanti dichiarazioni, il Maestro che, nell’insegnare a vivere in libertà, soleva anche puntualizzare che nulla ci è dato per scontato, neppure la musica, che esige, dal “chiamato”, la massima dedizione, figlia di una autodisciplina e di un senso etico di gran lunga superiore a quello di cui molti si professano autorevoli detentori.
4. Rain, in your black eyes
La dinamicità delle composizioni del Maestro (spesso realizzate per dare vigore a famose pellicole di autore) è lo specchio del suo vivere in continua fibrillazione, ove ogni respiro è scandito dal movimento, da un susseguirsi di pulsazioni via via sempre più accentuate, prologo di una attesa e fragorosa esplosione che, però, rimane solo temuta, perché il cortocircuito prodotto dall’ansia, all’ultimo, si arresta dinnanzi ad uno steccato di silenzio oltre il quale c’è un finale...troppo riduttivo, troppo irriguardoso per una musica che non può e non deve incontrare limiti…
L’urto della pioggia sul terreno si fa quindi soave arpeggio, ed ogni nota, una volta persa nel suono, cede il posto ad un’altra, in un crescendo armonico ove ogni tentazione di abbandono al riposo è rifiutata sul nascere, ove l’ombra della staticità renderebbe sbiadita quella visione di gocce che dall’alto scendono a ritmo sempre più ossessivo, sprigionando, al momento del contatto, un inconfondibile profumo di bagnato.
Quando però l’agitazione prende il sopravvento e l’impeto sembra non lasciare scampo alla “continuità”, presagendo la inevitabile “conclusione”, la magia del Maestro prende per mano la musica e ne rallenta il ritmo, coccolandola e riconducendola alla propria origine, in un ritorno al passato che è attimo dopo attimo rivissuto nel presente, ma con uno spirito nuovo, con una giovinezza ancor più scintillante che traspare dalla leggerezza di note che si inseguono, ora, lentamente, ansimando dopo la frenetica corsa, per naufragare nei… tuoi occhi neri…
5. Following a bird, Oceans, Clouds, The mind on the (Re)Wind
Chiudo gli occhi, libero la mente da ogni angoscia, tronco momentaneamente ogni contatto con l’esterno e resto immobile… il brano (Following a bird) inizia, e stavolta le note non si fanno semplicemente ascoltare, ma prendono gradualmente forma in una successione di figure che si sovrappongono, prima confuse e poi sempre più limpide, e non rappresentano oggetti, bensì pensieri, concetti, che scorrono veloci davanti agli occhi della mente sopraffatta dal nuovo, impreparata a decifrare inconsueti segnali.
Nella melodia vedo celebrata la necessità della solitaria ricerca, faticosa, nutrita nel suo continuo procedere dalla speranza, dalla linfa del coraggio che domina la paura, che giunge all’auspicato incontro e si trasforma in esigenza di reciproca conoscenza, di alleanza e di nuova comune ricerca di inesplorati orizzonti.
Il tema del movimento e della condivisione delle emozioni è troppo caro al Maestro, che lo ripropone in Oceans, ove l’arpeggio di violini, frenetico e serrato, si risolve in note brevi, secche, quasi aggressive, con melodie che si intrecciano incalzanti in un giro di accordi persistente, e, inspessendosi in un cadenzato aumento di toni, precipitano, con un’ondata sferzante, verso un’esplosione di luce.
Si apprezza inequivocabile il tributo a Beethoven, che ha saputo cogliere la potenza devastante della musica, la sua capacità di assediare l’ascoltatore dapprima isolandolo ed inebriandolo di sensazioni, spezzandone ogni legame con la realtà, per poi proiettarlo in un vortice di stupore che lascia il corpo come sospeso, a mezz’aria, in un affannoso tentativo di toccare il suolo, tuttavia troppo distante.
Ma anche qui l’impetuosità mostra alla fine la sua indulgenza, così come un padre rassicura il proprio bimbo spaurito con un sorriso, e, ripiegando su se stessa, fa spazio alla quiete, che delinea il percorso del ritorno, a ritroso, in una catarsi che non può essere regressione, ma semplice procedere in altra sconosciuta direzione.
In “Clouds” la corsa in avanti, intrapresa dagli archi agitati sul fraseggio del pianoforte, ripetitivo nelle sue intonazioni in “minore”, diventa a tratti quasi scomposta, stretta in un tunnel scavato nel vento che sembra non fornire alcuna via di uscita, salvo quella che si vede in lontananza, come da una fessura che man mano si dilata fino a svelare un bagliore accecante, di disarmante potenza, tale da rendere quasi tangibile uno spicchio di … trascendenza.
6. La musica come servizio e…fuori “sistema” (con divagazione “leggerissima” su musica e diritto)
L’affermazione che fare musica è rendere un servizio ricorre spesso nelle dichiarazioni del Maestro; ed essa si trova legata all’idea della natura geneticamente rivoluzionaria della sonorità, talmente pervasiva da confinare lo spirito anarchico di chi vi si immerge, ossia il musicista, in una gabbia di severa autoresponsabilità, da cui il medesimo non può evadere.
In ciò non vi è contraddizione alcuna.
Infatti, la purezza (o l’“innocenza”) della musica, che ne determina la fuoriuscita da schemi prestabiliti, va salvaguardata da chi ne ha assunto la custodia, a beneficio dei fruitori, la cui capacità di ascolto verrebbe assai ridimensionata dal sopraggiungere di note stanche, sbiadite, ipocrite.
Il musicista, pertanto, pone le condizioni della sua libertà, la quale è vissuta, paradossalmente, come necessario asservimento.
Egli è quindi indipendente da ogni “sistema” convenzionale rinvenibile nel tessuto sociale, ma non da se stesso.
La musica, del resto, è servizio non solo per quello che è in grado di offrire all’ascolto, potendo essere, infatti, fonte di ispirazione ed appagamento anche nella quotidianità del lavoro.
Essa, tanto per fare un esempio, ha certamente la proprietà di rendere più scorrevole una sentenza dai tratti inizialmente oscuri, sì da ammorbidirne quelle asprezze che la rendono riottosa ad ogni tentativo di massimazione …
E può contribuire, soprattutto se scandita dai ritmi di un brano “dance”, a sciogliere con immediatezza gli enigmi di cui è sovente portatrice la materia della responsabilità civile, mentre una sonata “classica” può verosimilmente rasserenare l’animo di chi si accinge a convivere, a vita, con il diritto penale; ancora, un motivo “rap” può fornire quella “marcia in più” a chi è alle prese con il diritto successorio, ed un brano “blues” può mettere al riparo dagli agguati che il diritto condominiale non cessa mai, maliziosamente, di tendere.
Anche l’approccio con il diritto previdenziale può divenire fonte di piacere se sostenuto dall’energia della musica “rock”, ed il diritto tributario può essere domato da un mix di “funky e soul”, genere estremamente raffinato ed espressione di creatività…contagiosa.
Mi piace sempre raccontare di un’esperienza trascorsa, tanti anni fa, all’Ufficio legislativo del Ministero della giustizia, allorquando mi ritrovai a predisporre, sovrappensiero, la “bozza” di una norma sanzionatoria in materia penale, al ritorno verso casa, ispirato dalla musica jazz (che accarezzava il mio udito tramite gli auricolari), certo che, quale mera ipotesi di lavoro, sarebbe stata supervisionata e sicuramente rettificata dai superiori prima di approdare nel luogo deputato per l’approvazione.
Ma notai con stupore che quella norma passò, alla fine, così, e rimasi ancor più esterrefatto dai commenti anche positivi, successivamente rinvenuti casualmente su alcune riviste, espressi in merito dalla dottrina; il che mi portò ad apprezzare, ancor più, gli effetti benefici della musica, la quale, in quel caso, aveva offerto il suo pregevole contributo al formarsi della volontà del legislatore.
7. Caro Ezio
Caro Ezio, è passato un anno, ma, in verità, non me ne sono accorto.
La tua musica generosa, quella per cui hai combattuto, affinché diventasse di tutti, è sempre viva, intramontabile.
E’ un filo sottile che lega la nostra dimensione a quella nella quale tu adesso ti trovi, impegnato a discutere con Bach di una partitura, a suggerire a Mendelssohn un attacco sinfonico, a parlare a “voce alta” a Beethoven di una tua idea per un concerto “stellare”.
Ancora movimento, ancora tanto fare, ancora tempo per sorridere, perché nella musica, come dicevamo, e come ci hai insegnato, una conclusione non è immaginabile.