Sommario: 1. Premessa - 2. Le questioni - 3. L’intervento del legislatore- 4. Le motivazioni del legislatore – 5. Le reazioni - 6. Il dictum della Corte Costituzionale - 7. La rilevanza e attualità delle questioni - 8. La riserva di discrezionalità legislativa - 9. Il carattere manipolativo della pronuncia richiesta - 10. Un corollario dell’accoglimento dell’eccezione -11. La violazione dell’art.117 -12. Conclusioni.
1. Premessa
Con la sentenza n.142 del 31.7.2025, deliberata il 24.6.2025 all’esito di pubblica udienza, la Corte Costituzionale (Presidente Amoroso, Giudice est. Navarretta) si è pronunciata, con apprezzabile tempestività, sulle questioni di legittimità costituzionale in tema di cittadinanza proposte dalle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione cittadini UE di quattro Tribunali[1].
Le questioni vertevano sulla legittimità costituzionale della normativa in materia di trasmissione della cittadinanza italiana iure sanguinis, così come interpretata alla luce del diritto vivente rappresentato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione[2].
Le disposizioni denunciate erano l’art. 4 del precedente codice civile approvato con regio decreto 25.6.1865, n. 2358, l’art. 1 della precedente legge sulla cittadinanza del 13.6.1912, n. 555, in quanto ancora applicabili ratione temporis, e soprattutto l’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 5.2.1992, n. 91 recante “Nuove norme sulla cittadinanza”.
2. Le questioni
In estrema sintesi, i Tribunali rimettenti avevano ritenuto violati gli artt. 1, secondo comma, e 3 della Costituzione, sotto il profilo della irragionevolezza e non proporzionalità. I Tribunali di Bologna, di Milano e di Firenze avevano sollevato la questione di legittimità costituzionale anche in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., relativamente agli obblighi internazionali e ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, con riguardo all’art. 9 del Trattato sull’Unione europea e all’art. 20 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Il Tribunale di Roma e quello di Milano avevano anche ritenuto la disciplina in questione lesiva dell’art. 3 Cost., per irragionevole disparità di trattamento rispetto a vari termini di raffronto.
Era stato il Tribunale di Bologna a prendere l’iniziativa nel novembre del 2024 con un articolato provvedimento e poi nel corso dei primi mesi del 2025 si erano accodati gli altri giudici rimettenti.
I Tribunali avevano illustrato la peculiarità della situazione italiana[3] caratterizzata, specie alla fine del 19° e nel corso del 20° secolo, da un massiccio fenomeno migratorio in uscita: fra il 1870 e il 1970 circa 27 milioni di cittadini italiani avevano lasciato l’Italia e di questi circa la metà non vi aveva più fatto ritorno, con la conseguenza che i loro discendenti presumibilmente tenderebbero a superare il numero dei cittadini che risiedono in Italia. Ciononostante, pur in siffatto contesto, l’ordinamento italiano, a differenza di altri Stati, non aveva reagito, ponendo limiti al riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis. La situazione si era poi aggravata per l’avvento di tecnologie che agevolavano la ricostruzione della linea di discendenza e soprattutto per il carattere attrattivo della cittadinanza italiana, tenuto conto delle gravi crisi economiche che hanno interessato i Paesi verso i quali si era prevalentemente rivolto il fenomeno migratorio. Inoltre la cittadinanza italiana offre lo status di cittadino dell’Unione europea e la possibilità di trasferirsi in qualunque Paese dell’Unione (in particolare in quelli di lingua spagnola o portoghese parlata nei Paesi sudamericani di emigrazione) e di evitare il visto d’ingresso negli Stati Uniti d’America, tenuto conto delle politiche fortemente restrittive inaugurate dall’amministrazione Trump.
V’era da aggiungere la constatazione dell’inerzia e dello stallo dei consolati all’estero con la conseguente incontrollata proliferazione delle richieste di accertamento della cittadinanza dinanzi ai tribunali italiani, inondati da una marea montante di controversie.
Infine, secondo i Tribunali rimettenti, l’art. 1, secondo comma, Cost. implica una stretta coincidenza fra popolo e sovranità che veniva alterata da una disciplina normativa che attribuiva la cittadinanza a decine di milioni di persone prive di un effettivo collegamento (il c.d.«genuine link») con l’Italia.
3. L’intervento del legislatore
Il legislatore, che pur nell’avvicendarsi dei governi e delle legislature era rimasto lungamente inerte dinanzi al problema, forse paralizzato dalla estrema difficoltà nel porre mano a una autentica polveriera di interessi contrastanti, con il d.l. n.36 del 28.3.2025, successivamente convertito, con modificazioni, con la legge n.74 del 23.5.2025, ha raccolto lo stimolo lanciato dall’ordinanza bolognese del novembre 2024, per incidere sull’automatica correlazione fra cittadinanza e status filiationis, nel caso di soggetti nati all’estero e in possesso di altra cittadinanza.
In particolare, l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 36 del 2025, come convertito, ha aggiunto alla legge sulla cittadinanza n. 91 del 5.2.1992 un nuovo art. 3-bis, il quale prevede che «in deroga agli articoli 1, 2, 3, 14 e 20 della presente legge, all’articolo 5 della legge 21 aprile 1983, n. 123, agli articoli 1, 2, 7, 10, 12 e 19 della legge 13 giugno 1912, n. 555, nonché agli articoli 4, 5, 7, 8 e 9 del codice civile approvato con r.d. n. 2358 del 1865, è considerato non avere mai acquistato la cittadinanza italiana chi è nato all’estero anche prima della data di entrata in vigore del presente articolo ed è in possesso di altra cittadinanza, salvo che ricorra una delle seguenti condizioni».
Le lettere a), a-bis) e b) indicano nella presentazione alle autorità competenti della domanda di accertamento della cittadinanza, corredata dalla necessaria documentazione, «entro le 23:59, ora di Roma, […] del 27 marzo 2025» il discrimine che separa la persistente applicabilità della pregressa disciplina dall’operatività delle nuove condizioni richieste per l’acquisizione della cittadinanza iure sanguinis. Queste sono, in particolare, indicate dalle lettere c) e d), che stabiliscono che la cittadinanza italiana si acquista attraverso il vincolo di filiazione se l’ascendente di primo o di secondo grado possiede, o possedeva, al momento della morte, esclusivamente la cittadinanza italiana; oppure, se il genitore o il genitore adottivo è stato residente in Italia per almeno due anni continuativi successivamente all’acquisto della cittadinanza italiana e prima della data di nascita o di adozione del figlio.
Sono state poi stabilite, all’art. 1, commi 1-bis e 1-ter, del d.l. n. 36 del 2025, come convertito[4], varie condizioni per consentire al figlio minore di un genitore italiano, che non rientri nelle previsioni dell’art. 3- bis, di acquisire la cittadinanza.
Nel caso, poi, di acquisto o riacquisto della cittadinanza da parte del genitore, la fattispecie acquisitiva dello status civitatis a favore del figlio minore richiede la residenza di quest’ultimo in Italia, legale e continuativa, protratta per due anni o, qualora il figlio abbia meno di due anni, a partire dalla nascita[5]. Infine, sono state estese al discendente del cittadino italiano le norme che operano per il discendente di chi ha perso la cittadinanza italiana[6].
4. Le motivazioni del legislatore
L’intervento legislativo[7] è stato così giustificato: «In sintesi, quindi, è oggi necessario che il legislatore intervenga per introdurre nella disciplina dell’acquisto della cittadinanza un bilanciamento dei valori costituzionali aderente alle esigenze della realtà sociale attuale. Il “popolo” individuato dall’articolo 1 della Costituzione come detentore della sovranità non può essere un’entità indeterminabile, sciolta da ogni vincolo con il territorio nazionale su cui si esercita la sovranità. Al contempo, un diritto tendenzialmente universale di cittadinanza con pienezza di diritti civili e politici - attivabile in qualsiasi momento a discrezione di una platea di decine di milioni di persone nate e cresciute all’estero e cittadini di altri Stati ai quali devono vincoli di fedeltà - non assicura parità di trattamento con le persone che, vivendo e lavorando nel territorio nazionale, partecipano appieno al complesso di diritti e di doveri nel quale si sostanzia una società democratica. Il carattere fondamentale di questi principi, radicati negli articoli 1 e 3 della Costituzione, giustifica la limitazione della natura imprescrittibile, attualmente riconosciuta dalla giurisprudenza al diritto a far valere la cittadinanza acquistata in virtù di automatismi di legge, quando tale status è rimasto dormiente per l’inattività degli interessati e dei loro ascendenti, derivante da un legame più forte con altro Stato. In altri termini, la giustiziabilità senza limiti della cittadinanza iure sanguinis di persone viventi presuppone che sia giustiziabile senza alcun limite anche l’accertamento della cittadinanza degli ascendenti da cui il ricorrente dichiara di derivare il diritto di cittadinanza, anche se tali ascendenti non sono mai stati preventivamente riconosciuti come cittadini. Il risultato è che attribuisce a posteriori lo stato di cittadino a persone da lungo tempo decedute e che in vita non hanno mai ritenuto di esercitare diritti e doveri inerenti a tale stato. La giustiziabilità all’infinito dello stato di cittadinanza di generazioni passate trasforma lo stato di cittadino in una situazione che può essere attivata in qualsiasi momento da parte di una platea indefinita di persone nate e residenti all’estero e in possesso della cittadinanza di altri Paesi con i quali hanno vincoli di cultura e di fedeltà palesemente più stretti rispetto a quelli che possono avere con l’Italia. Conferire a questa platea vastissima di persone lo stato di cittadini allo stesso modo di persone nate e residenti in Italia o comunque in possesso della sola cittadinanza italiana e quindi effettivamente vincolate al territorio e alla cultura del nostro Paese confligge con principi elementari di ragionevolezza, configurando un trattamento identico di situazioni marcatamente differenziate. Conseguentemente, l’illimitata giustiziabilità di situazioni passate ampiamente esaurite nella loro portata pratica (qual è l’attribuzione post mortem dello stato di cittadinanza o comunque l’attribuzione della stessa a persone che non hanno esercitato né eserciteranno mai diritti e doveri ad essa inerenti) comporta una modalità irragionevole di formazione del “popolo” cui spetta la sovranità a mente dell’articolo 1 della Costituzione e, conseguentemente, del corpo elettorale che tale sovranità esercita con le modalità proprie di un ordinamento democratico qual è quello italiano. È quindi necessario intervenire per limitare la giustiziabilità all’infinito di situazioni passate, ponendo ad esse dei limiti che tengano adeguatamente conto dell’obiettiva rilevanza del decorso di lunghi periodi di tempo senza che siano avvenuti contatti con l’Italia volti a stabilire in maniera anche formale i vincoli giuridici cui è assoggettato il cittadino.»
5. Le reazioni
Lo ius superveniens ha determinato forti reazioni da parte delle comunità di discendenti di italiani residenti all’estero e ha suscitato un impatto fortemente divisivo, seppur in modo trasversale rispetto alle tradizionali contrapposizioni ideologico-politiche; vi sono state anche severe critiche mosse sia dagli esperti consultati nelle audizioni in sede parlamentare[8], sia in dottrina[9] .
La maggior parte delle censure ha riguardato la natura decadenziale di massa del provvedimento e la retroattività penalizzante della nuova disciplina. Molti commentatori, pur ritenendo per varie ragioni (annacquamento del concetto di popolo italiano, sovraccarico degli uffici consolari e dei tribunali, responsabilità dello Stato italiano nei confronti dell’Unione europea) che i tempi fossero maturi per un intervento restrittivo in tema di riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis ai discendenti di italiani nati all’estero in difetto di un legame effettivo con l’Italia e così condividendo l’an del provvedimento, hanno preso le distanze dal quomodo, stigmatizzando le modalità con cui la scure della perdita della cittadinanza italiana, sin allora riconosciuta dal diritto vivente, era stata decretata.
Non è mancato anche un invito alla riflessione, cauto e misuratissimo, del Presidente della Repubblica, evidentemente consapevole della delicatezza dei temi innescati dal d.l. 36/2025 che ha auspicato, apparentemente in termini di valutazione di opportunità, «una meditata considerazione - ed eventualmente anche qualche riconsiderazione - dei temi che si sono aperti».[10]
6. Il dictum della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale si è pronunciata con la sentenza in commento a fine luglio 2025 e, dopo aver dichiarato inammissibili gli interventi di due associazioni di giuristi:
a) ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 del codice civile del 1865 e dell’art. 1 della precedente legge sulla cittadinanza del 13.6.1912, n. 555 in riferimento agli artt. 1, secondo comma, e 3 della Costituzione, quest’ultimo sotto il duplice profilo sia della irragionevolezza e non proporzionalità sia della irragionevole disparità di trattamento, nonché in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., relativamente agli obblighi internazionali e ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, questi ultimi con riguardo all’art. 9 del Trattato sull’Unione europea e all’art. 20 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea;
b) ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 5.2.1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), in riferimento agli artt. 1, secondo comma, e 3 Cost., quest’ultimo sotto il profilo della irragionevolezza e non proporzionalità, nonché in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli obblighi internazionali e ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, questi ultimi con riguardo all’art. 9 TUE e all’art. 20 TFUE;
c) ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 91 del 1992, sollevate, in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento.
La prima impressione suscitata dalla sentenza è che la Corte, ben consapevole della particolare delicatezza delle questioni provocate dal d.l. 36 del 2025 e in particolare dall’art.3-bis della legge n.91 del 1992 da esso introdotto, nel frattempo investito da una raffica di eccezioni di illegittimità costituzionali nei giudizi in corso dinanzi alle sezioni specializzate dei Tribunali italiani, già sfociate nella rimessione della questione ad opera del Tribunale di Torino sotto molteplici profili[11], abbia inteso rispondere alle questioni in modo puntuale e completo, ma, con la stessa prudenza mostrata dal Presidente della Repubblica, abbia evitato con attenta cura di anticipare considerazioni relative al d.l. 36 del 2025 e alla sua legge di conversione, a meno che non fossero indispensabili a sorreggere il decisum, sì da pregiudicare il meno possibile la prossima decisione.
Obiettivo di queste brevi note «a prima lettura» è quello di mettere a fuoco le affermazioni della Consulta suscettibili di orientare in qualche misura la prossima decisione, riguardante direttamente le innovazioni apportate dal d.l. 36 del 2025, poiché non appare seriamente immaginabile che i principi scanditi con la sentenza n.142 del 2025 verranno rinnegati o rimodulati di qui a qualche mese.
Ci si soffermerà, pertanto, solo su alcune delle statuizioni e delle relative argomentazioni contenute nella sentenza che in questa prospettiva appaiono significative.
7. La rilevanza e attualità delle questioni
La prima affermazione importante della Corte Costituzionale può essere colta nella decisione di considerare attuali e rilevanti le questioni proposte dai Tribunali nonostante il sopravvenire della nuova disciplina introdotta dal d.l. 36/2025 e dalla relativa legge di conversione.
La soluzione potrebbe sembrare financo ovvia e banale dal momento che la nuova disciplina non riguarda, alla luce di quanto disposto dall’art.1 del decreto, le domande amministrative e le domande giudiziali proposte entro il 27.3.2025 e che, conseguentemente, la disciplina previgente in tema di attribuzione automatica per nascita della cittadinanza ai discendenti di cittadini italiani nati all’estero, senza alcun limite, della cui legittimità costituzionale si era dubitato con le ordinanze di rimessione, continua ad applicarsi ratione temporis ai procedimenti amministrativi e giudiziali in corso prima dell’entrata in vigore del decreto.
L’art.3- bis così inserito nel corpo della legge 5.2.1992 n.91 alle lettere a), a-bis, e b) infatti esonera dalle misure restrittive le ipotesi in cui:
«a) lo stato di cittadino dell'interessato è riconosciuto, nel rispetto della normativa applicabile al 27 marzo 2025, a seguito di domanda, corredata della necessaria documentazione, presentata all'ufficio consolare o al sindaco competenti non oltre le 23:59, ora di Roma, della medesima data;
a-bis) lo stato di cittadino dell'interessato è riconosciuto, nel rispetto della normativa applicabile al 27 marzo 2025, a seguito di domanda, corredata della necessaria documentazione, presentata all'ufficio consolare o al sindaco competenti nel giorno indicato da appuntamento[12] comunicato all'interessato dall'ufficio competente entro le 23:59, ora di Roma, della medesima data del 27 marzo 2025;
b) lo stato di cittadino dell'interessato è accertato giudizialmente, nel rispetto della normativa applicabile al 27 marzo 2025, a seguito di domanda giudiziale presentata non oltre le 23:59, ora di Roma, della medesima data;».
Così spiega al proposito, assai stringatamente, la Corte Costituzionale: «Stante tale quadro normativo di riferimento, la nuova disciplina, al di là delle assonanze rispetto a quanto prospettato nelle ordinanze di rimessione, non si riverbera sulla rilevanza delle questioni sollevate dalle stesse. Tutte le controversie oggetto dei giudizi principali sono state, infatti, introdotte sulla base di domande giudiziali presentate prima del 27 marzo 2025, sicché – ai sensi dell’art. 3-bis, comma 1, lettera b), della legge n. 91 del 1992, introdotto con l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 36 del 2025, come convertito – resta applicabile ai giudizi a quibus la pregressa disciplina, cui si riferiscono le odierne censure. Non sussistono, dunque, i presupposti per restituire gli atti ai rimettenti.»
L’affermazione è ineccepibile e ci si potrebbe fermare lì. Vien da osservare, però, che la Corte ha evitato di giudicare rilevante lo ius supervemiens - forzatamente non considerato dai rimettenti - anche nella parte in cui, con la disciplina transitoria, ha inteso preservare le richieste di riconoscimento della cittadinanza oggetto di procedimenti amministrativi o giudiziari in corso al 27.3.2025 con una scelta evidentemente intrisa di discrezionalità; così facendo, ha mostrato di ritenere che la discrezionalità del legislatore si potesse estendere anche alla giustapposizione ratione temporis di due sistemi normativi assai differenti.
Per le stesse ragioni la Corte ha ritenuto che non ricorressero le condizioni per rimettere dinanzi a sé stessa questioni di legittimità costituzionale relativa alla nuova disciplina: e cioè perché essa non doveva essere applicata nel giudizio costituzionale, né sussisteva un «rapporto di presupposizione» fra la stessa e quella dedotta dal giudice a quo, tale per cui l’intervento solo su quest’ultima non avrebbe permesso comunque di rimuovere il vulnus, né sussistevano i presupposti della particolare urgenza o l’esigenza di evitare che la Corte fosse tenuta ad applicare leggi incostituzionali.
8. La riserva di discrezionalità legislativa
Particolarmente importanti – ed è forse il passaggio centrale della pronuncia - sono le osservazioni della Corte dedicate nel § 11 e sottoparagrafi, al rigetto dell’eccezione di inammissibilità.
Era infatti stato eccepito che la materia era riservata alla discrezionalità del legislatore, dimodoché l’eventuale accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale avrebbe determinato una violazione dell’articolo 70 Cost. in relazione al detentore della funzione legislativa, dell’articolo 71 Cost. in relazione ai soggetti titolari di iniziativa legislativa e dell’articolo 134 Cost. in relazione alle funzioni della Corte Costituzionale.
Ancor più significativo è il fatto che la Corte avrebbe anche potuto esimersi dal delibare l’eccezione, decretando, come ha fatto, l’inammissibilità delle questioni per altra ragione equi-ordinata (la necessità di un intervento manipolativo a rime non obbligate da parte sua) e facendo così applicazione del principio generale della «ragion più liquida», pur se dal punto di vista della coerenza logico-giuridica era effettivamente prioritario valutare l’esistenza del potere della Corte Costituzionale di intervenire e solo dopo stabilire se vi erano i presupposti per farlo.
La Consulta ha scelto di seguire l’ordine logico delle questioni e, così facendo, ha colto l’occasione per proclamare la sussistenza di limiti ben precisi al potere discrezionale del legislatore in tema di cittadinanza, derivanti dalla Carta Costituzionale e dal diritto dell’Unione europea.
Sembra naturale sottolineare: pour cause e da registrare a futura memoria in vista del prossimo giudizio incidentale promosso dal Tribunale subalpino.
La Corte, pur riconfermando che il legislatore gode di ampia discrezionalità nella disciplina dell’attribuzione della cittadinanza[13], ha tenuto a ribadire che tuttavia le norme dettate in materia, non diversamente da altre discipline connotate da elevata discrezionalità, «non si sottraggono per questo al giudizio di costituzionalità, in quanto devono pur sempre essere compiute secondo canoni di non manifesta irragionevolezza e di proporzionalità rispetto alle finalità perseguite (tra le altre, sentenze n. 88 del 2023, n. 194 del 2019, n. 202 del 2013 e n. 245 del 2011)». come era stato affermato con la sentenza n. 25 del 2025[14] e con la sentenza n. 195 del 2022[15].
In particolare, deve ritenersi non consentita l’adozione di criteri attributivi della cittadinanza connotati in termini discriminatori ovvero manifestamente irragionevoli e sproporzionati.
Quanto alla censura sollevata in riferimento agli artt. 1, secondo comma, e 3 Cost., e al denunciato mancato rispetto della nozione di popolo, la Corte Costituzionale ha inteso rammentare che la Costituzione non dà una definizione di popolo e si limita a delineare tratti della cittadinanza, peraltro dispiegati nella complessità del testo costituzionale, per associare la cittadinanza primariamente alla partecipazione politica e ai diritti politici e riferire ai cittadini la titolarità di diritti e di doveri (fra i quali il dovere di difesa della Patria; quello di concorrere alle spese pubbliche e il dovere di fedeltà); il tutto, peraltro, in un contesto i cui principi fondamentali garantiscono a ciascuna persona i diritti inviolabili e lo stesso principio di eguaglianza e riferiscono taluni doveri di solidarietà anche a non cittadini. Infine – ha proseguito la Corte - la Costituzione richiama l’idea di cittadinanza quale appartenenza a una comunità che ha comuni radici culturali e linguistiche, ma, al contempo, disegna una comunità aperta al pluralismo e che tutela le minoranze ed evoca una correlazione fra cittadinanza e territorio dello Stato, in quanto luogo che riflette un comune humus culturale e la condivisione dei principi costituzionali.
Proprio per la complessità dei riferimenti costituzionali alla cittadinanza al legislatore spetta un margine di discrezionalità particolarmente ampio per individuare i presupposti per l’acquisizione dello status e tuttavia la Corte ha rivendicato il potere di accertare – attraverso la valutazione dei canoni di non manifesta irragionevolezza e sproporzione – che le norme che regolano l’acquisizione dello status civitatis non facciano ricorso a criteri del tutto estranei ai principi costituzionali e a quei molteplici tratti che nella Carta connotano la cittadinanza.
La Corte Costituzionale ha rafforzato queste considerazioni alla luce del diritto dell’Unione europea, richiamando ampiamente la giurisprudenza della Corte di giustizia in tema di vincoli imposti in materia di cittadinanza dal diritto dell’Unione europea, e in specie dall’art. 9 TUE e dall’art. 20 TFUE.
La Corte ha così rammentato che «la determinazione dei modi di acquisto e di perdita della cittadinanza rientra, in conformità al diritto internazionale, nella competenza di ciascuno Stato membro»[16] e che tuttavia la competenza degli Stati membri «deve essere esercitata nel rispetto del diritto dell’Unione»[17]. La Corte ha inoltre evidenziato che in una prima fase la Corte di Giustizia ha censurato discipline statali che determinavano la perdita dello status civitatis nei confronti di uno Stato membro e, di riflesso, nei confronti dell’Unione europea e non consentivano «in nessun momento, un esame individuale delle conseguenze determinate da tale perdita, per gli interessati, sotto il profilo del diritto dell’Unione»[18], mentre recentemente ha esteso il proprio sindacato anche alle norme attributive della cittadinanza, rilevando che «l’esercizio della competenza degli Stati membri in materia di definizione dei requisiti per la concessione della cittadinanza di uno Stato membro non è, alla stregua della loro competenza in materia di definizione delle condizioni di perdita della cittadinanza, illimitato»[19], puntualizzando che la cittadinanza europea si fonda «sui valori comuni contenuti nell’articolo 2 TUE e sulla fiducia reciproca che gli Stati membri si accordano quanto al fatto che nessuno di essi eserciti tale competenza in un modo che sia manifestamente incompatibile con la natura stessa della cittadinanza dell’Unione» ed esigendo che le norme statali in materia di cittadinanza non debbano essere esercitate in un modo manifestamente incompatibile con la natura stessa della cittadinanza dell’Unione.
Tutto ciò ha condotto la Consulta a ritenere infondata l’eccezione diretta a escludere, in radice, in ragione della discrezionalità del legislatore, l’ammissibilità di una censura che contesti l’estraneità di una disciplina sulla cittadinanza rispetto ai principi costituzionali e alle norme del TUE e del TFUE, come interpretate dalla Corte di giustizia UE.
9. Il carattere manipolativo della pronuncia richiesta
Era stato eccepito inoltre che la Corte Costituzionale non potesse con un intervento manipolativo di sistema sostituirsi al legislatore nel decidere una pluralità di presupposti, perché essa avrebbe , da un lato, dovuto stabilire gli elementi di collegamento con ordinamenti giuridici stranieri, in presenza dei quali si indebolirebbe irrimediabilmente la funzione propria dello ius sanguinis e, dall’altro, avrebbe dovuto indicare, in maniera combinata e sistematicamente correlata, i criteri di collegamento con l’ordinamento giuridico italiano in mancanza dei quali il vincolo di filiazione non potrebbe più svolgere la funzione sua propria di far acquisire la cittadinanza.
Questa eccezione è stata accolta dalla Corte nel § 12 della sentenza, ove ha preliminarmente constato che giudici rimettenti non avevano contestato che il vincolo di filiazione, quale presupposto acquisitivo della cittadinanza, sia in quanto tale privo di corrispondenza con i tratti identificativi dello status civitatis nel testo costituzionale, così come nelle fonti dell’Unione europea; in altre parole, le censure non ponevano in discussione l’idea secondo cui, in generale, l’appartenenza a una comunità familiare, che è parte della comunità statale, possa implicare l’appartenenza anche a quest’ultima. Ciò di cui dubitavano i giudici a quibus era invece che, in presenza di elementi di collegamento fra il richiedente l’accertamento della cittadinanza italiana e ordinamenti giuridici stranieri e in assenza di elementi di collegamento con l’ordinamento giuridico italiano in aggiunta allo ius sanguinis, il vincolo di filiazione potesse risultare sufficiente alla funzione di fondamento della cittadinanza.
La Corte ha affermato che le era stato richiesto un intervento manipolativo oltremodo complesso, implicante un ventaglio quanto mai ampio di opzioni e scelte intrise di discrezionalità con incisive ricadute a livello di sistema. E ciò sia quanto all’individuazione di profili di correlazione con l’ordinamento giuridico straniero, in presenza dei quali la funzione attributiva dello status civitatis propria dello status filiationis risulterebbe indebolita, sia quanto alla scelta, fra i tanti tratti identificativi della cittadinanza, di quello o quelli idonei a dare sufficiente dimostrazione della circostanza che, nonostante la presenza di elementi di collegamento con l’ordinamento giuridico straniero, l’appartenenza al nucleo familiare continui a svolgere la sua funzione giustificativa di una appartenenza anche alla comunità statale.
La Corte ha quindi ritenuto che le fosse stato inammissibilmente richiesto di sostituirsi al legislatore nel valutare se valorizzare il legame culturale e linguistico con la comunità statale, tenendo conto della condizione dei cittadini residenti all’estero, o, viceversa, prediligere un collegamento con il territorio.
L’accoglimento dell’eccezione non ha consentito alla Corte Costituzionale di accertare la violazione dei principi costituzionali per limitarsi all’emissione di una c.d. «sentenza monito», chiusa con il rigetto o la dichiarazione di inammissibilità, ma accompagnata dalla formulazione di un avvertimento al legislatore affinché prevenga una futura possibile dichiarazione di incostituzionalità, provvedendo a modificare la norma in questione.
La teoria della «pronuncia a rime obbligate» consente l’intervento «manipolativo» solo quando la norma aggiunta dalla Corte sia direttamente ricavabile dal disposto costituzionale; secondo questo orientamento, ispirato a uno scrupoloso rispetto del principio di legalità, la denuncia della violazione deve presupporre l’individuazione di un tertium comparationis che fornisca al contempo le «rime obbligate» per sopperirvi. In altri casi, la Corte Costituzionale (in materia penale, con le sentenze n.222 del 2018 e n.236 del 2016) ha seguito un diverso e più elastico approccio, non reputando necessario che esista, nel sistema, un’unica soluzione costituzionalmente vincolata in grado di sostituirsi a quella dichiarata illegittima, come quella prevista da una norma avente identica struttura e ratio, idonea a essere assunta come tertium comparationis e reputando invece sufficiente, per consentire il sindacato e l’intervento della Corte che il sistema nel suo complesso offra alla Corte precisi punti di riferimento e soluzioni già esistenti immuni da vizi di illegittimità, ancorché non costituzionalmente obbligate, che possano sostituirsi alla previsione dichiarata illegittima, e ciò al dichiarato fine di consentire di porre rimedio immediatamente al vulnus riscontrato, senza creare insostenibili vuoti di tutela degli interessi di volta in volta protetti dalla norma incriminatrice incisa dalla pronuncia.
10. Un corollario dell’accoglimento dell’eccezione
È forse possibile cogliere un’implicazione ulteriore che consegue all’accoglimento dell’eccezione di inammissibilità scaturente dal carattere manipolativo dell’intervento richiesto, comportante una pluralità di scelte discrezionali, e alla correlativa decisione della Corte di non emettere alcun monito al legislatore relativamente alla disciplina precedente alle modifiche introdotte con il d.l. 36/2025 e tuttora applicabile ai procedimenti amministrativi e giudiziari già instaurati entro il 27.3.2025.
Vale a dire, l’intervento legislativo del 2025 non può trovare giustificazione nell’esigenza di eliminare un vulnus costituzionale in atto: non infrangeva la Costituzione la disciplina attributiva della cittadinanza italiana senza limiti sulla base dello ius sanguinis agli italo-discendenti nati all’estero, cristallizzata nel principio di diritto secondo cui « In tema di diritti di cittadinanza italiana, nel sistema delineato dal codice civile del 1865, dalla successiva legge sulla cittadinanza n. 555 del 1912 e dall'attuale l. n. 91 del 1992, la cittadinanza per fatto di nascita si acquista a titolo originario "iure sanguinis", e lo "status" di cittadino, una volta acquisito, ha natura permanente, è imprescrittibile ed è giustiziabile in ogni tempo in base alla semplice prova della fattispecie acquisitiva integrata dalla nascita da cittadino italiano; ne consegue che a chi richieda il riconoscimento della cittadinanza spetta di provare solo il fatto acquisitivo e la linea di trasmissione, mentre incombe alla controparte, che ne abbia fatto eccezione, la prova dell'eventuale fattispecie interruttiva.»[20].
11. La violazione dell’art.117.
La Corte di Giustizia ha ritenuto inammissibile, per mancata individuazione della norma internazionale interposta al parametro, la questione di legittimità costituzionale che lamenta la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli obblighi internazionali[21] poiché i Tribunali rimettenti non avevano specificato quale sia la fonte del diritto internazionale lesa, dalla quale discenderebbe il mancato rispetto di obblighi internazionali.
Giova precisare che il Tribunale di Torino con l’ordinanza del 25.6.2025 ha integrato la denuncia non solo con riferimento sia agli artt. 9 TUE e 20 TFUE, che istituiscono e regolano la cittadinanza europea come status che si aggiunge a quello di cittadino di uno Stato membro, ma anche all’art. 15, comma 2, della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 10.12.1948, ai sensi del quale “nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza”, e all’ art. 3, comma 2, del Quarto Protocollo Addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ai sensi del quale “nessuno può essere privato del diritto di entrare nel territorio dello Stato di cui è cittadino”.
Il Tribunale rimettente, in ordine alla giustiziabilità della violazione del diritto internazionale pattizio dinanzi alla Corte Costituzionale, ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale che trova la sua sintesi nelle sentenze n. 348 e 349 del 2007 della Corte Costituzionale; con specifico riferimento alla violazione dell’art. 117, comma 1, Cost. in relazione a norme di diritto dell’Unione Europea –giustiziabili anche mediante la proposizione di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE – il Tribunale ha invocato il principio della c.d. «alternatività dei rimedi» e la stessa recentissima pronuncia della Corte Costituzionale n. 7 del 2025. In quella sede la Consulta ha ribadito che allorché il giudice rilevi una incompatibilità tra una legge nazionale e una norma di diritto dell’Unione dotata di effetto diretto e la questione abbia altresì «un “tono costituzionale”, per il nesso con interessi o principi di rilievo costituzionale», il giudice italiano ha sempre – accanto alla possibilità di disapplicare, nel caso concreto, la legge nazionale, previo eventuale rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia in caso di dubbio sull’interpretazione o sulla validità della norma rilevante dell’Unione – l’ulteriore possibilità di sollecitare l’intervento della Corte Costituzionale, affinché rimuova la legge nazionale ritenuta incompatibile con il diritto dell’Unione.
Dunque, quanto alla nuova disciplina restrittiva contenuta nell’introdotto art.3-bis della legge 91 del 1992, l’eccezione è stata proposta in modo più completo e articolato con l’ordinanza torinese che la Consulta dovrà a breve esaminare.
12. Conclusioni
In estrema sintesi, dalla lettura della sentenza 142/2015 si possono trarre le seguenti indicazioni per delimitare il perimetro in cui presumibilmente si muoverà la decisione della Consulta sulla legittimità costituzionale dell’art.3-bis introdotto nel corpo della legge sulla cittadinanza dal d.l. 36/2025:
a) l’ampia discrezionalità che compete al legislatore in materia di cittadinanza, sia in base alla Carta costituzionale sia in base al diritto dell’Unione, non è insindacabile ed è soggetta al controllo della Corte Costituzionale, oltre che della Corte di Giustizia;
b) le norme di legge in tema di attribuzione e revoca della cittadinanza debbono rispettare i parametri della ragionevolezza e proporzionalità e i principi generali dell’ordinamento costituzionale ed europeo;
c) la pregressa disciplina, basata sull’attribuzione della cittadinanza iure sanguinis senza limiti temporali agli italo-discendenti nati all’estero, tuttora applicabile ratione temporis alle richieste amministrative o giudiziarie presentate a tutto il 27.3.2025, non è in contrasto con la Costituzione;
d) le disposizioni restrittive introdotte con il d.l. 36/2025 e relativa legge di conversione 74/2025 non hanno la funzione di riparare un vulnus costituzionale in atto.
Sembra dunque possibile prevedere che la Corte Costituzionale valuterà in concreto la disciplina restrittiva apportata dal d.l. 36/2025 per verificare se essa, nell’esercizio dell’ampia discrezionalità spettante al legislatore ordinario, rispetti i parametri della ragionevolezza e proporzionalità e i principi generali dell’ordinamento costituzionale ed europeo, incluso il principio dell’affidamento.
Pare improbabile che la Corte Costituzionale si avventuri nella valutazione in questa prospettiva dei singoli parametri prescelti dal legislatore del 2025 per ravvisare o escludere il legame effettivo dei discendenti dei cittadini italiani emigrati con la comunità nazionale, per le stesse ragioni, che seppur in direzione opposta, l’hanno indotta a ritenere «manipolativo» e dunque non consentito l’intervento sulla disciplina pregressa, tuttora applicabile alle richieste ante 28.3.2025.
Si può ragionevolmente ipotizzare che la sorte dell’art.3-bis sarà decisa in relazione alla retroattività della disciplina penalizzante per cui «è considerato non avere mai acquistato la cittadinanza italiana chi è nato all'estero anche prima della data di entrata in vigore del presente articolo ed è in possesso di altra cittadinanza, salvo che ricorra una delle seguenti condizioni», senza che la legge consenta un esame individuale delle richieste e soprattutto senza che sia previsto un termine per «manifestarsi»[22] a favore di coloro, che, seppur «dormienti»[23], sino al 27.3.2025 potevano considerarsi cittadini italiani ed europei secondo il diritto vivente.
È possibile che la soluzione sia proprio quella di una parziale dichiarazione di illegittimità costituzionale, come auspica l’ordinanza del Tribunale di Torino, nella parte in cui l’art.3-bis non prevede un termine perentorio e ultimativo per proporre l’istanza e manifestarsi, mentre gli interessati sono considerati «non avere mai acquistato la cittadinanza italiana» (sanzione questa in cui sembra assai difficile non scorgere una decadenza o una revoca implicita o mascherata).
La Relazione non si sofferma sulla valutazione di una soluzione del genere e la spiegazione forse si può intuire alla luce di quanto si legge nel preambolo del decreto, ove si giustifica l’adozione della decretazione d’urgenza[24] con il rilievo «Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di introdurre misure per evitare, nelle more dell'approvazione di una riforma organica delle disposizioni in materia di cittadinanza, un eccezionale e incontrollato afflusso di domande di riconoscimento della cittadinanza, tale da impedire l'ordinata funzionalità degli uffici consolari all'estero, dei comuni e degli uffici giudiziari».
E tuttavia sembra assai difficile negare che si dovrà registrare comunque un eccezionale e incontrollato afflusso di domande di riconoscimento della cittadinanza idoneo a intasare gli uffici giudiziari, stimolato dalla necessità di reagire giudizialmente nei confronti della nuova disciplina, gestito e organizzato, anche in modalità collettive, dalle comunità degli italiani residenti all’estero e dagli studi legali specializzati, volto a provocare l’intervento della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia dell’Unione.
Certamente dovrà essere valutata in questa prospettiva la possibilità di riacquisto della cittadinanza disciplinato dall’art.4 delle legge 5.2.1992 n.191, come modificato dal d.l. 36/2025, secondo cui « Lo straniero o l'apolide, del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono o sono stati cittadini per nascita, diviene cittadino: a) se presta effettivo servizio militare per lo Stato italiano e dichiara preventivamente di voler acquistare la cittadinanza italiana; b) se assume pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, anche all'estero, e dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana; c) se, al raggiungimento della maggiore età, risiede legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica e dichiara, entro un anno dal raggiungimento, di voler acquistare la cittadinanza italiana.»
V’è da dire peraltro[25]: a) che si tratta di un meccanismo di riacquisto e non di eccezione alla decadenza; b) che esso prevede condizioni implicanti scelte di vita penetranti e invasive, anche onerose economicamente; c) che esso non opera senza limiti, ma solo a favore di chi possa vantare almeno un nonno italiano per nascita (anche se non richiede che il nonno avesse solo la cittadinanza italiana), sì da escludere per esempio, colui che possa vantare solo bisnonni italiani.
Problemi analoghi e ancor più complessi pone il comma 1 bis del novellato art.4 quanto ai minori la cui trattazione eccede gli scopi di queste brevi note.
L’introduzione di un termine perentorio per richiedere la cittadinanza non sembra implicare un’attività manipolativa non consentita.
Il comma 1 ter dell’art.4 della legge 191 del 1992, inserito dall'articolo 1, comma 1, della legge 23.5.2025, n. 74, in sede di conversione, prevede per la dichiarazione a favore dei minori straniero o apolide, del quale il padre o la madre sono cittadini per nascita prevede il termine del 31.5.2026.
L’ordinamento prevede numerose disposizioni che assegnano un termine di un anno, reputato ragionevole, per reagire a un effetto penalizzante (ad esempio: art.1168, primo comma, e 1170, primo comma, in tema di azioni possessorie); lo stesso ordinamento processuale potrebbe offrire indicazioni per coniare un termine semestrale plasmato per analogia ai termini di impugnazione ex art.327 c.cp.c.
Lo stesso giudice ordinario non si è trattenuto talora dal ricavare, in via analogia legis o iuris, termini per l’esercizio di una certa attività: ad esempio le Sezioni Unite della Corte di Cassazione[26] hanno affermato che in caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall'art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa.
È in questo senso la proposta contenuta nell’ordinanza di rimessione del Tribunale di Torino, secondo cui « La dichiarazione di parziale incostituzionalità dell’art. 3-bis legge n. 91/1992 nei termini sopra prospettati consentirebbe inoltre di conservare l’effetto utile della riforma legislativa – che persegue l’intento di dare concreta attuazione nel nostro ordinamento al principio internazionale del “legame effettivo” (o “genuine link”, ribadito da ultimo dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza del 29.4.2025, causa C-181/23) – eliminando le sole conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’applicazione retroattiva (cioè a tutte le persone già nate) della nuova normativa. Attesa la natura derogatoria dell’art. 3-bis legge n. 91/1992, infatti, una volta eliminati i periodi che espressamente ne prevedono l’applicazione retroattiva, resterebbe un’unica interpretazione costituzionalmente orientata della nuova normativa in materia di cittadinanza: quella dell’applicabilità dell’art. 3-bis cit. soltanto alle persone nate successivamente all’entrata in vigore del d.l. n. 36/2025, valendo – in assenza di un’espressa previsione di retroattività – la regola generale di cui all’art. 11 delle preleggi, alla stregua della quale “la legge non dispone che per l’avvenire”. In questa prospettiva, la dichiarazione di incostituzionalità parziale dell’art. 3-bis cit. potrebbe anche essere accompagnata da un intervento di tipo manipolativo-additivo della Corte Costituzionale, con previsione di un meccanismo di diritto intertemporale che garantisca la possibilità (a tutte le persone già nate alla data di entrata in vigore del d.l. n. 36/2025) di presentare una domanda di riconoscimento della cittadinanza entro termini ragionevoli, in applicazione dei principi affermati dalla Corte di Giustizia UE nella menzionata sentenza 5.9.2023, C-689/21.»
Una soluzione di tal genere realizzerebbe un equilibrio ragionevole fra le opposte soluzioni, forse accettabile per tutti gli interessi coinvolti: si ripristinerebbe l’attribuzione della cittadinanza alla luce di un legame effettivo manifestato attivamente e controllato giudizialmente; si chiuderebbe per il futuro la porta alle propagazioni ad infinitum di una discendenza per sangue ormai priva di nessi effettivi con la comunità nazionale; si attenuerebbero grandemente le recriminazioni degli italo-discendenti verso la madrepatria; forse anche il vero obiettivo del legislatore del 2025, che non poteva non rendersi conto dei complessi scenari che si sarebbero realizzati e delle possibili correzioni in corso d’opera, potrebbe dirsi raggiunto.
[1] Le questioni erano state proposte dapprima dal Tribunale di Bologna (ordinanza del 26.11.2024), e poi dal Tribunale di Roma (ordinanza del 21.3.2025), dal Tribunale di Milano (ordinanza del 3.3.2025) e dal Tribunale di Firenze (ordinanza del 7.3.2025); le ordinanze erano state iscritte rispettivamente al n. 247 del registro ordinanze 2024 e ai numeri 65, 66 e 86 del registro ordinanze 2025, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, numeri 4, 16 e 18 dell’anno 2025.
[2] Da ultimo, Cass. Sez. U., 24.8.2022, n. 25317 e n.25318.
[3] Per un quadro efficace dei problemi attuali in tema di cittadinanza alla vigilia delle novità normative del 2025, B. NASCIMBENE, Cittadinanza: riflessioni su problemi attuali di diritto internazionale ed europeo, Riv. dir. ent. priv. proc. 2025,1.
[4] Disposizioni che integrano l’art. 4 della legge n. 91 del 1992 con i commi 1-bis e 1-ter.
[5] Art. 1, comma 1-quater, del d.l. n. 36 del 2025, come convertito, che integra l’art. 14, comma 1, della legge n. 91 del 1992.
[6] Art. 1, comma 1-bis, del d.l. n. 36 del 2025, come convertito, che estende il raggio operativo dell’art. 4, comma 1, della legge n. 91 del 1992; nonché art. 1-bis, comma 2, del d.l. n. 36 del 2025, come convertito, che integra l’art. 9, comma 1, della legge n. 91 del 1992
[7] L’esposizione delle ragioni sottostanti all’intervento normativo e la spiegazione delle sue modalità sono contenute nella amplissima ricostruzione, storica e giuridica, operata con la relazione illustrativa del decreto legge n.36/2025 e della legge di conversione n.74/2025.
[8] Si vedano gli interventi di R. CALVANO, S .LAGANÀ, C. PANZERA, E. GROSSO nel corso dell’audizione dinanzi alla I Commissione Affari costituzionali Senato della Repubblica, in https://www.senato.it/leg/19/BGT/Schede/Ddliter/documenti/57165_documenti.htm.
[9] G. BONATO, Il decreto-legge n. 36 del 28 marzo 2025: la “Grande Perdita” della cittadinanza italiana, Iudicium, aprile 2025.
[10] Parole pronunciate dal Presidente Sergio Mattarella in occasione del ricevimento al Quirinale il 17.6.2025 del Consiglio Generale degli Italiani all'Estero, in occasione della 47ª Assemblea Plenaria. Il discorso è stato pubblicato sul sito ufficiale della Presidenza della Repubblica.
[11] Ordinanza 25.6.2025 del Tribunale di Torino in causa n.r.g. 6648/2025.
[12] La lettera a-bis, aggiunta in sede di conversione, risponde a una logica di buon senso, rispettosa dei diritti del cittadino come pure delle esigenze organizzative della Pubblica Amministrazione, evitando l’applicazione dello ius superveniens sfavorevole a coloro che risultano essersi tempestivamente attivati senza che la P.A. abbia ancora potuto esaminare le loro istanze. Cfr, per analoga soluzione, l’art.7, comma 2, del d.l. 10.3.2023 n.20 (cosiddetto «decreto Cutro»), convertito con modificazioni dalla legge 5.5.2023 n.50
[13] Come aveva fatto poco prima con la sentenza n. 25 del 2025.
[14] Con tale sentenza è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 9.1 della legge 5.2.1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), introdotto dall’art. 14, comma 1, lettera a-bis), del decreto-legge 4.10.2018, n. 113, convertito, con modificazioni, nella legge 1.12.2018, n. 132, nella parte in cui non esonera dalla prova della conoscenza della lingua italiana il richiedente affetto da gravi limitazioni alla capacità di apprendimento linguistico derivanti dall’età, da patologie o da disabilità, attestate mediante certificazione rilasciata dalla struttura sanitaria pubblica.
[15] Con tale sentenza è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 della legge 5.2.1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), nella parte in cui non esclude, dal novero delle cause ostative al riconoscimento del diritto di cittadinanza, la morte del coniuge del richiedente, sopravvenuta in pendenza dei termini previsti per la conclusione del procedimento di cui al successivo art. 7, comma 1.
[16] Corte di giustizia, sentenza 7.7.1992, causa C-369/90, Micheletti e altri.
[17] Corte di giustizia, grande sezione, sentenze 29.4.2025, causa C-181/23, Commissione europea contro Repubblica di Malta, punti 42, 95 e 98; 5.9.2023, causa C-689/21, Udlændinge- og Integrationsministeriet, punto 30; 18.1.2022, causa C-118/20, JY, punto 49; 2.3.2010, causa C-135/08, Rottmann, punto 45, oltre alla citata sentenza Micheletti.
[18] Corte di giustizia, grande sezione, sentenza 17.3.2019, causa C-221/17, Tjebbes e altri, nonché le già citate sentenze Udlændinge e Rottmann.
[19] Sentenza Malta sopra citata. Il caso riguardava un programma di naturalizzazione che concedeva la cittadinanza maltese a seguito di pagamenti o investimenti effettuati in quello Stato, assimilabile a una commercializzazione della concessione dello status di cittadino di uno Stato membro e conseguentemente di cittadino dell’Unione.
[20] Cass. Sez. U., 24.8.2022, n. 25317.
[21] La violazione dell’art.117 Cost, in relazione agli obblighi scaturenti dall’art. 9 TUE e dall’art. 20 TFUE è invece stata scrutinata dalla Corte.
[22] Questa l’efficace terminologia utilizzata nella Relazione illustrativa.
[23]Anche qui la terminologia è ripresa dalla Relazione illustrativa.
[24] Anche questa oggetto di severe critiche.
[25] Anche ammesso che il riferimento a coloro che sono stati cittadini italiani si riferisca chi poteva essere considerato italiano secondo la disciplina previgente
[26] Cass. Sez. U., 15.7.2016, n. 14594.
A questo link si può consultare la sentenza in oggetto.
Immagine: C. R. Cockerell, Il sogno del professore, 1848. Via didatticarte.