I nuovi artt. 9 e 41 Cost.: centralità dell’uomo e limiti di revisione costituzionale
di Giuliano Scarselli
Sommario: 1. Premessa. I nuovi artt. 9 e 41 della Costituzione - 2. La revisione della Costituzione nel dibattito in Assemblea costituente - 3. La revisione della Costituzione nella dottrina e nella Corte costituzionale - 4. È legittima la revisione costituzionale degli artt. 9 e 41 Cost.? - 5. La centralità dell’uomo quale valore supremo della nostra Costituzione e della nostra tradizione umanista - 6. Le riforme possibili (ma illegittime) che potrebbero discendere dalla contrapposta idea di una tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi che vada oltre la centralità dell’uomo - 7. Conclusioni.
“Sous l’amour de la nature, la haine des hommes”.
Marcel GAUCHET, La democratie contre elle-meme, Gallimard, 2002, 204
1. Premessa. I nuovi artt. 9 e 41 della Costituzione
L’8 febbraio 2022 si giungeva all’approvazione definitiva della proposta di riforma costituzionale A.C. 3156-B recante: “Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente”.
Votazione: 468 voti favorevoli, 1 contrario, 6 astenuti; una maggioranza talmente qualificata da non consentire il referendum confermativo ai sensi dell’art. 138, 3° comma Cost., e tale, così, da fare entrare indiscutibilmente le novità nel nuovo testo costituzionale.
A questo punto l’art. 9 Cost. aggiunge due comma che recitano: “Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.
Parimenti l’art. 41 Cost., al primo comma, dopo aver recitato che l’iniziativa economica privata è libera ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, aggiunge: “alla salute e all’ambiente”; parimenti il comma successivo, dopo aver previsto il coordinamento dell’iniziativa economica privata ai fini sociali, aggiunge: “e ambientali”.
Le ragioni della riforma sono quelle di considerare l’ambiente e la natura non più come delle res ma come dei valori primari costituzionalmente protetti.
Si dirà che non v’è niente di riprovevole a tutelare l’ambiente e la biodiversità, e certamente è vera una simile affermazione[1]; il problema, però, è che la questione non è stata affatto dibattuta (almeno per quanto mi risulta) dalla politica, dai giuristi e dall’opinione pubblica prima di arrivare a questa sua concretizzazione in Parlamento, cosicché la revisione di queste norme costituzionali appare ora come una novità della quale niente i più sapevano fino al giorno prima.
Nessuno, poi, dal 1948 ad oggi, aveva pensato di poter modificare la parte prima della Costituzione, ovvero quella parte relativa ai principi fondamentali e ai diritti e doveri dei cittadini; nessuno aveva pensato di poter intervenire su quel costrutto che i nostri costituenti, usciti dall’esperienza del fascismo, avevano faticosamente e meritevolmente messo insieme dopo la guerra.
Oggi, al contrario, abbiamo scoperto che tutto questo è invece possibile; e soprattutto abbiamo scoperto che una modifica della costituzione può avvenire, anche sui principi fondamentali, senza anteporla ad un previo, adeguato dibattito.
Credo, allora, si imponga una preliminare riflessione su quelli che sono i limiti alla revisione costituzionale, poiché alla luce di questa novità il tema non appare più una diatriba dottrinale bensì una esigenza pratica e concreta, atteso che nessuno credo voglia svegliarsi una mattina e trovarsi a vivere in uno Stato che non è più quello che aveva avuto fino alla notte precedente.
2. La revisione della Costituzione nel dibattito in Assemblea costituente
Spero dunque non si consideri una divagazione spendere qualche parola sui limiti di revisione costituzionale.
Se stiamo al dato testuale, l’unica cosa che non può essere modificata è la forma repubblicana, ai sensi dell’art. 139 Cost., perché su ciò la costituzione è stata chiara: “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”.
Sul resto, niente dice la carta costituzionale; e tuttavia nessun costituzionalista ha mai pensato che fuori da questo limite tutto il resto possa essere modificato.
E’ evidente che in Assemblea costituente, appena usciti dalla guerra e dal fascismo, la paura del ritorno alla monarchia era forte, e questo giustificava la disposizione di cui all’art. 139 Cost., voluta tanto dalle sinistre (Togliatti)[2], quanto dai cattolici (Dossetti, Moro)[3].
Ma già in Assemblea giuristi di primo piano quali Piero Calamandrei sottolineavano come la rigidità della Costituzione non potesse ridursi al solo impedire il ritorno della monarchia, e doveva invece necessariamente estendersi alla immutabilità dei valori fondamentali della Repubblica e delle disposizioni relative ai diritti di libertà[4].
Ed così, facendo seguito alla presa di posizione di Piero Calamandrei, Lodovico Sforza Benvenuti sottoponeva all’Assemblea plenaria del 3 dicembre 1947, un art. 130 bis, che recitava: “Le disposizioni della presente Costituzione che riconoscono e garantiscono diritti di libertà, rappresentando l’inderogabile fondamento per l’esercizio della sovranità popolare, non possono essere oggetto di procedimenti di revisione costituzionale, tendenti a misconoscere o a limitare tali diritti, ovvero a diminuirne le guarentigie”[5].
L’articolo, seppur condiviso nella sostanza da tutti[6], non trovava tuttavia approvazione per ragioni formali, atteso che taluni sostenevano che la norma potesse essere fonte di dispute e dubbi interpretativi[7].
Ad ogni modo nessuno in Assemblea costituente metteva in dubbio che i diritti di libertà della persona e i principi fondamentali della Repubblica potessero essere oggetto di revisione costituzionale; ed in particolare ciò veniva sottolineato con forza in un importante intervento da Rossi[8].
3. La revisione della Costituzione nella dottrina e nella Corte costituzionale
Il tema della revisione costituzionale si rendeva poi, evidentemente, materia di dibattito dottrinale, nonché oggetto di decisione da parte della Corte Costituzionale.
Già Costantino Mortati poneva la differenza tra limiti espressi e limiti impliciti[9], e altri giuristi sostenevano parimenti che il limite di revisione della forma repubblicana implicasse inevitabilmente l’interpretazione del valore da dare al termine “repubblica”, dovendo esso essere necessariamente comprensivo dell’intero impianto fondamentale del sistema costituzionale[10].
Si sosteneva, inoltre, che questi limiti impliciti potessero poi dividersi tra limiti impliciti materiali, se ricavabili dal testo formale di altre disposizioni della carta costituzionale, e limiti impliciti sistematici, se non ricavabili direttamente da specifiche norma ma desumibili dai principi fondamentali irrinunciabili della nostra organizzazione statuale libera e democratica, ovvero ancora da “quei diritti i quali, pur non essendo esplicitamente menzionati nella costituzione, risultano implicitamente tutelati sulla base del sistema di valori che essa fa proprio”[11].
D’altronde, sarà poi questa la posizione della Corte costituzionale, per la quale: “La costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa Costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quale la forma repubblicana, quanto i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana”[12].
Ovviamente, si tratta di stabilire quali siano questi “valori supremi” ai quali la Corte costituzionale fa riferimento; e tuttavia l’operazione esegetica non sembra difficile, poiché questi valori supremi sono esattamente quelli che già erano stati rilevati in Assemblea costituente da Piero Calamandrei e Lodovico Sforza Benvenuti, e che attengono alla sovranità popolare, all’ordinamento democratico, ai diritti d’eguaglianza, alla separazione dei poteri, al rispetto della dignità della persona umana, alle libertà personali ed economiche, e a tutti i diritti inviolabili di cui all’art. 2 Cost.
E spetta, se del caso, sempre alla Corte costituzionale, valutare se una revisione della costituzione sia fatta nel rispetto di questi limiti oppure oltre questi limiti, e quindi, di nuovo, in modo incostituzionale[13].
Credo che oggi questo orientamento debba essere da tutti noi condiviso con forza e piena convinzione, poiché ogni altra interpretazione dell’art. 139 Cost. porterebbe al contrario a concludere che possiamo svegliarsi una mattina e apprendere che sono stati modificati, ad esempio, i diritti di libertà della persona (art. 13 Cost.) o del domicilio (art. 14 Cost.), oppure soppresso il diritto di riunione (art. 17 Cost.), o quello di libertà nella manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.), o ancora quello del lavoro (art. 4 Cost.) o della iniziativa economica (art. 41 Cost.); o ancora (perché no?) quello del diritto di voto (art. 48 Cost.), o del diritto ad agire in giudizio (art. 24 Cost.) dinanzi a giudici indipendenti e terzi (art. 101 e 104 Cost.), o del diritto di accesso alle cariche pubbliche (art. 51 Cost.), ecc……..non rientrando, da un punto di vista meramente formale, alcuno di questi diritti tra quelli non soggetti a revisione ex art. 139 Cost.
Se riteniamo, dunque, che queste modifiche siano impossibili, siano solo una barzelletta che ci raccontiamo per fugare ogni paura, allora va da sé che i limiti alla revisione della Costituzione vanno ben oltre la mera forma repubblicana dello Stato, e coinvolgono invece, come sottolineato, tutti i valori supremi che la nostra repubblica ha.
4. È legittima la revisione costituzionale degli artt. 9 e 41 Cost.?
Ciò premesso, la domanda è evidente: questa riforma rientra tra le revisioni possibili?
Qui io credo si debba preliminarmente chiarire la portata della riforma.
Precisamente, anche prima di essa, la Corte Costituzionale aveva riconosciuto la tutela della salvaguardia dell’ambiente come diritto fondamentale della persona[14], e le stesse Sezioni unite della Corte di Cassazione avevano parimenti riconosciuto il diritto di tutti a vivere in un ambiente salubre[15]. La tutela dell’ambiente si trovava poi già nell’art, 117 Cost., lettera g), che prevede infatti la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”.
Così, se qualcuno sostiene che la revisione costituzionale nient’altro è se non la trasformazione in legge di quello che precedentemente era un indirizzo di giurisprudenza, e quindi non introduca niente di nuovo, allora è chiaro, nulla quaestio, la revisione è senz’altro lecita.
Però, io credo che per tutelare l’ambiente e la biodiversità, per fare leggi che limitino l’inquinamento, per proteggere gli animali, non v’era bisogno di modificare la costituzione, poiché a nessuno sarebbe mai venuto in mente di ritenere incostituzionali norme o leggi ordinarie finalizzate alla tutela di questi valori, stati, appunto, anche gli orientamenti giurisprudenziali ora ricordati.
E allora penso che questa interpretazione così riduttiva della riforma lasci un po’ perplessi, poiché il sospetto, per tutti, credo sia invece quello che questa revisione sia stata portata a termine per ben altre riforme.
E potrebbe così affacciarsi l’ipotesi che la revisione fissi invece nuovi diritti e nuovi ordini di valori, e soprattutto aderisca ai costumi dell’ora attuale, che chiedono di adeguare la nostra società alla nuova filosofia ecologica.
L’uomo e la sua economia, in questi termini, non potrebbero più anteporsi all’ambiente, alla biodiversità e agli ecosistemi; l’uomo, esattamente, in quanto essere vivente e in quanto parte integrante della natura, non varrebbe più di ogni altro essere animato, pianta o animale che sia, secondo la regola per la quale “L’umain n’est supérieur a rien”[16].
Conseguentemente, gli interessi economici dell’uomo non potrebbero certo anteporsi al valore della natura e dell’ambiente, ma anzi dovrebbero sempre esercitarsi nei limiti del rispetto di essi.
È così?
Perché, se questa fosse la reale riforma, allora, par evidente, la trasformazione dell’uomo da essere umano a essere vivente, e la centralizzazione delle esigenze dell’ambiente sugli altri interessi del convivere sociale, potrebbero certo porre problemi di limiti alla revisione costituzionale, e, direi tutto assieme, suscitare forti preoccupazioni.
5. La centralità dell’uomo quale valore supremo della nostra Costituzione e della nostra tradizione umanista
Ed infatti, se c’è una cosa che non credo possa esser messa in discussione, questa è quella che la nostra Costituzione ha voluto mettere al centro di tutto proprio e solo l’uomo.
Diceva Pico Della Mirandola nella celeberrima Oratio de hominis dignitate, del 1486: “Ti posi nel mezzo del mondo perché di là meglio tu potessi scorgere tutto quello che è nel mondo, perché di te stesso, libero e sovrano artefice, ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto”.
E questa tradizione, che mette, appunto, al centro del mondo l’uomo, e che dall’umanesimo al rinascimento, e poi dall’illuminismo fino all’età contemporanea, è arrivata a noi, veniva infatti presentata in modo solenne da Giorgio La Pira in seno alla discussione sui principi fondamentali della nostra repubblica.
La Pira dichiarava in Assemblea costituente che: “È necessario che alla costituzione sia premessa una dichiarazione dei diritti dell’uomo, ciò in conformità anche a tutta la tradizione giuridica cosiddetta occidentale. Ma oltre che in omaggio alla tradizione, una dichiarazione dei diritti dell’uomo deve essere ammessa soprattutto come affermazione solenne della diversa concessione dello Stato democratico, che riconosce i diritti sacri, inalienabili, naturali del cittadino, in opposizione allo Stato fascista, che con l’affermazione dei diritti riflessi, e cioè con la teoria che lo Stato è la fonte esclusiva del diritto, negò e violò alla radice i diritti dell’uomo”[17].
Si chiedeva poi La Pira: “Esiste una base filosofica, che sia a fondamento di questa teoria dei diritti riflessi? Alla domanda si può rispondere affermativamente, in quanto la teoria dei diritti riflessi corrisponde alla concezione hegeliana, che vede lo Stato come un tutto e l’individuo come elemento integralmente subordinato alla collettività, in contrapposto all’altra concezione che, pur rispettando l’esigenza della collettività, vede la persona come un ente dotato di una sua interiore autonomia e quindi considera la libertà e i diritti subiettivi non come concessione, ma come conseguenza di questa interiore autonomia”[18].
Premesso questo, La Pira: “illustra l’articolazione proposta, facendo presente che nel primo articolo viene determinato il fine della Costituzione: tutela dei diritti originari ed imprescrittibili della persona e delle comunità naturali…..diritto alla libertà personale, ai giudici naturali, alla libertà di circolazione, alla libera espressione del proprio pensiero, ecc……..”[19].
Il discorso era chiarissimo: la filosofia dei diritti riflessi dovuti alla centralità dello Stato non poteva essere accolta; al centro doveva stare l’uomo, con i diritti originari ed imprescrittibili della persona, non altro.
E l’Assemblea, dopo ampie discussioni, approvava la linea dell’onorevole Giorgio La Pira, seppur liberandola dagli aspetti più strettamente religiosi nei quali La Pira l’aveva configurata, e arrivava in tal modo ad approvare l’ordine del giorno discusso da Dossetti: “Si vuole o non si vuole affermare l’anteriorità della persona di fronte allo Stato? Questo concetto fondamentale dell’anteriorità della persona, che dovrebbe essere gradito alle correnti progressiste qui rappresentate, può essere affermato con il consenso di tutti”[20].
La linea veniva infatti accolta anche dalle sinistre, ed in particolare da Palmiro Togliatti, il quale tuttavia chiedeva che il testo avesse forma laica, concreta e accessibile: “dal professore di diritto e in pari tempo dal pastore sardo”[21]; e fondamentale in questo contesto resterà l’intervento di Moro: “Uno Stato non è pienamente democratico se non è al servizio dell’uomo, se non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l’autonomia della persona umana, se non è rispettoso di quelle formazioni sociali nelle quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali essa integra la propria personalità”[22].
Dunque, non v’è dubbio, al centro del nostro sistema sta l’uomo e la sua umanità[23], l’uomo con la sua specificità e la sua anteriorità rispetto ad ogni altra cosa.
6. Le riforme possibili (ma illegittime) che potrebbero discendere dalla contrapposta idea di una tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi che vada oltre la centralità dell’uomo
Se, invece, noi facciamo venir meno questo costrutto, e diciamo che non è l’uomo che sta al vertice dei valori, bensì l’ambiente e la natura, allora, si comprende, torniamo alla teoria dei diritti riflessi, e l’uomo avrebbe in questo modo solo diritti condizionati e indiretti.
Con questo, non si nega certo il dovere di tutti di tutelare l’ambiente, di non inquinare, di protegge la natura, e di fare tutto quanto è possibile per difendere il nostro pianeta; si evidenzia solo il rischio che può esservi nell’inversione di una priorità, ove si arrivasse a sostenere, a seguito di questa riforma costituzionale, che la bontà della tutela dell’ambiente non trova più la sua ragion d’essere nell’interesse dell’uomo a vivere in un ambiente salubre, bensì la trova in sé stessa, e quindi anche contro l’interesse dell’uomo, e/o anche in contrasto con i suoi diritti e la sua libertà.
Si capisce che, se le cose in futuro dovessero davvero essere lette e interpretate così, tutto allora si potrebbe rendere possibile e costituzionalmente lecito.
Si potrebbe imporre la riduzione dei consumi, e stabilire che a tutela dell’ambiente solo certi consumi sono ammessi e non altri; si potrebbe ridurre la produzione industriale e il libero commercio, e stabilire che solo alcune cose possono essere prodotte e vendute e non altre, e magari, con ciò, favorendo taluni e danneggiando altri[24]; si potrebbe impedire l’accesso a taluni luoghi, o limitare fortemente, e in modo stabile, il diritto di circolazione, sostenendo che tutto questo va a vantaggio dell’ambiente e della biodiversità, poiché al contrario la libertà di circolazione dell’uomo, con i suoi egoismi e le sue disattenzioni, danneggia il pianeta; si potrebbe imporre regole comportamentali per ragioni ecologiche, impedendo ad esempio di mangiare certe cose, oppure imponendo la nutrizione con altre, se non addirittura imponendo ulteriori trattamenti sanitari; si potrebbe vietare il fumo anche all’aperto, stabilire un certo abbigliamento, imporre degli orari nei quali è possibile tenere certi comportamenti, che sarebbero invece vietati in altri momenti; si potrebbe limitare o escludere l’uso di taluni mezzi di trasporto, auto, aerei, ecc…., sempre a tutela dell’ambiente e al fine di limitare l’inquinamento; si potrebbe dividere tutti i beni in essenziali e non essenziali, ed escludere questi ultimi, o tutto ciò che venisse giudicato superfluo, o lussuoso, o eccessivo; si potrebbe imporre grossi oneri alla proprietà privata, facendola venir meno ove questa non si conformi ai dettati dell’ecologia e del risparmio energetico, consentendo così nuove forme di espropriazioni per ragioni ambientali; si potrebbe danneggiare la cultura e l’informazione impedendo o fortemente limitando l’uso della carta; sempre nell’ottica dell’abolizione dell’uso della carta, si potrebbe poi abolire ogni forma di pagamento in contanti, anche di piccolissima misura; si potrebbe ancora limitare i mezzi di comunicazione come internet o telefoni portatili, sostenendo che il loro uso contribuisce all’inquinamento del pianeta; si potrebbe imporre la riduzione drastica di beni quali l’elettricità, il gas, i carburanti, costringendo le persone a cambiare fortemente le loro abitudini e le loro attività lavorative; si potrebbe in ogni momento prevedere decadenze giuridiche in grado di incidere sui diritti contrattuali delle parti per ragioni di tutela dell’ambiente, compromettendo in questo modo il concetto stesso di “certezza del diritto”, e creando in tal misura un danno alle relazioni commerciali ed economiche; si potrebbe fortemente aumentare le imposte sui commerci e sulla proprietà privata, sostenendo che entrambe costituiscono ostacolo all’ambiente e all’igiene del pianeta; e così di seguito.
In breve, si potrebbe sostanzialmente abolire la vita dell’uomo occidentale, sostenendo che quella vita, dunque, e finalmente, non è conforme all’esigenze dell’ambiente e della natura.
Soprattutto, il tutto verrebbe sempre e unilateralmente deciso dal Governo, cosicché, di fatto, noi avremmo una nuova, ulteriore, e assai significativa, modifica costituzionale, poiché il Governo non sarebbe più, a questo punto, secondo i criteri di Montesquieu, mero potere esecutivo, ma si trasformerebbe a tutti gli effetti in un organo che decide la nostra vita e la determinazione della nostra persona.
7. Conclusioni
Dunque, in estrema sintesi, va ribadito che se c’è un valore supremo, questo è proprio quello della centralità dell’uomo.
Questa centralità dell’uomo non può essere oggetto di revisione costituzionale; essa è il pernio intorno al quale girano tutti gli altri diritti e si forma l’organizzazione della nostra società, secondo le stesse parole della Corte costituzionale[25].
Dal che, invito tutti a riflettere su questi aspetti, sperando vi sia ampio accordo nel ritenere che la revisione costituzionale che si è avuta lo scorso 8 febbraio 2022 ha sole due chiavi di lettura:
a) o si sostiene che la revisione nient’altro sia stata se non la trasformazione in legge di quello che precedentemente era un indirizzo di giurisprudenza, e allora nulla quaestio;
b) oppure, se vogliamo andare oltre ciò, non possiamo tuttavia farlo fino al punto di sottomettere l’uomo all’ambiente, poiché ciò contrasterebbe con valore opposto della centralità dell’uomo.
Fermo il dovere di tutti noi di proteggere l’ambiente, la tutela della natura deve tuttavia sempre pensarsi nel rispetto primo degli esseri umani; e l’ambiente non può trasformarsi in uno strumento da utilizzare per limitare o negare oltre misura i diritti, ne’ può costituire una ragione (se non, in taluni casi, un pretesto) per punire e/o cancellare le libertà della persona; e deve così rimanere integro il principio secondo il quale la tutela dell’ambiente si dà perché è interesse dell’uomo vivere in un ambiente salubre, non altro.
E tutti gli uomini di buona fede, al di là di questa riforma, conoscono bene questi limiti e questi equilibri, e rispetteranno la natura senza rimanerne intrappolati.
[1] V., in questa stessa rivista AMENDOLA, L’inserimento dell’ambiente in Costituzione non è ne’ inutile ne’ pericoloso, febbraio 2022.
[2] V. infatti Palmiro Togliatti nella seduta del 29 novembre 1946, in La costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, Roma, 1976, VI, 738.
[3] V. infatti l’intervento di Giuseppe Dossetti, ivi, cit., 741, e di Aldo Moro, ivi, cit., 743.
[4] Asseriva espressamente Piero Calamandrei che: “Se si è adottato questo sistema per le norme che riguardano la forma repubblicana, dichiarando queste norme immutabili, non credete che questo sistema si sarebbe dovuto adoperare a fortiori per quelle norme che consacrano diritti di libertà? Era tradizione, nelle costituzioni nate alla fine del secolo XVIII che i diritti di libertà, i diritti dell’uomo e del cittadino, venissero affermati come una realtà preesistente alla stessa Costituzione, come esigenze basate sul diritto naturale; diritti, cioè, che nemmeno la costituzione poteva negare, diritti che nessuna volontà umana, neanche la maggioranza e neanche l’unanimità dei consociati poteva sopprimere, perché si ritenevano derivanti da una ragione profonda che è inerente alla natura spirituale dell’uomo. Ora, se la Costituzione ha adottato questa misura di immutabilità per la forma repubblicana, credo che dovrà adottare questa stessa misura anche per le norme relative ai diritti di libertà” (v. infatti Piero Calamandrei, nella seduta del 4 marzo 1947, ivi, cit., I, 166).
[5] V. infatti Lodovico Sforza Benvenuti, ivi, cit., V, 4328.
[6] Fondamentale, a mio parere, sono le ragioni in forza delle quali Lodovico Sforza Benvenuti chiedeva l’approvazione di quell’articolo. Ammoniva lo stesso: “Gli Stati assoluti, anche nel loro sviluppo parlamentare, erano sempre legittimi, quale che fosse l’apporto dato dalla volontà popolare alla vita dello Stato. La legittimità c’era sempre, il consenso si presumeva anche in mancanza di un istituto che permettesse a tale consenso di manifestarsi liberamente, coscientemente, volontariamente. Lo Stato era sempre legittimo, avesse un Parlamento o no, ammettesse il suffragio universale o no, partecipasse il popolo all’attività politica o no. In regime democratico invece la volontà sovrana dello Stato si manifesta solo per mezzo della partecipazione libera e cosciente dei cittadini. Onde, ogni revisione costituzionale dei diritti di libertà, ossia della libertà personale, della libertà di coscienza, della libertà di riunione, della libertà di espressione, della libertà di voto, colpirebbe alla radice il concetto di libertà democratica e non solo farebbe cadere l’istituto, ma distruggerebbe fondamentalmente i concetti di democrazia e di libertà costituzionale. Dovrà venir proclamata l’intangibilità, e quindi la non revisionabilità, dei diritti fondamentali senza dei quali non vi è ne’ repubblica ne’ libertà” (v. infatti Lodovico Sforza Benvenuti, ivi, cit., V, 4329).
[7] Tra queste eccezioni di tipo formale ricordo l’intervento di Russo Perez: “è assurda una legge che dichiara immutabile ed eterna un’altra legge” (v. infatti Guido Russo Perez, ivi, cit., V, 4330); e quello di Moro, per il quale nessun dubbio doveva darsi circa la salvaguardia dei diritti naturali, che: “noi poniamo al di sopra delle mutevoli esigenze della vita politica…..ma la norma così come formulata può essere pericolosa” (v. infatti Aldo Moro, ivi, cit., V, 4330).
[8] Paolo Rossi precisamente asseriva: “I diritti di libertà, fra i quali il diritto del lavoro, è compreso come primissimo, sono contenuti in una categoria più vasta: il diritto naturale. L’onorevole Benvenuti e l’onorevole Laconi rivendicano qui, dopo tante discussioni, il vecchio e maltrattato diritto naturale e hanno ragione. La preoccupazione che i diritti della persona umana, i diritti della dignità umana, i diritti del lavoro umano siano validamente tutelati è la preoccupazione essenziale dell'Assemblea. Per difendere questi diritti ci vuole qualcosa di più che una disposizione di carattere costituzionale, ci vuole il permanere costante e fino al sacrificio, in tutti noi, della stessa ardente volontà di essere liberi che in questo momento ha manifestato con eloquenza l’onorevole Benvenuti” (v. infatti Paolo Rossi, ivi, cit., V, 4329).
[9] MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1967, II, 974, 975.
Sui limiti impliciti Mortati asseriva che v’è da: “rispettare i principi essenziali del tipo di Stato quale risulta dall’ordinamento in atto”; e che “Altri limiti assoluti alla revisione, deducibili in via implicita dal sistema, sono quelli inerenti ai diritti fondamentali della persona, singola o associata, qualificati dall’art. 2 come inviolabili, proprio per affermare l’intangibilità, da parte di qualunque istanza costituita, del loro nucleo fondamentale”.
[10] Per questo dibattitto v. per tutti S.M. CICCONETTI, Revisione costituzionale, voce dell’Enc. del Diritto, Milano, 1989, XL, 134.
[11] Così, espressamente, PIZZORUSSO, Commento costituzione diretto da Branca, Bologna-Roma, 1981, 72.
[12] Così Corte Cost. 29 dicembre 1988 n. 1146.
[13] Asserisce ancora la Corte costituzionale: “Non si può pertanto negare che questa Corte sia competente a giudicare sulla conformità delle leggi di revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali anche nei confronti dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale. Se così non fosse, del resto, si perverrebbe all’assurdo di considerare il sistema di garanzie giurisdizionali della Costituzione come difettoso o non effettivo proprio in relazione alle sue norme di più elevato valore (v. ancora Corte Cost. 29 dicembre 1988 n. 1146).
[14] V. Corte Cost. 1 aprile 1985 n. 94; Corte Cost. 27 giugno 1986 n. 151; Corte Cost. 28 maggio 1987 n. 210; Corte Cost., 20 dicembre 2002 n. 536, per la quale l’ambiente si configura: “come bene unitario, che va pertanto salvaguardato nella sua interezza”; Corte Cost. 1 giugno 2016 n. 126.
[15] V. Cass. sez. un. 6 ottobre 1979 n. 5172.
[16] B. LEVET, l’Écologie ou l’ivresse de la table rase, L’Observatoire, 2022, 145.
[17] V. infatti Giorgio La Pira, in La Costituzione, ivi, seduta del 9 settembre 1946, cit., VI, 316
[18] Giorgio La Pira, cit., 316.
[19] Giorgio La Pira, cit., 317.
[20] Giuseppe Dossetti, cit., 323.
[21] Palmiro Togliatti, cit., 319.
[22] Aldo Moro, ivi, seduta del 13 marzo 1947, cit., I, 372.
[23] Sul principio personalista v. anche TOSATO, Rapporti tra persona, società intermedie e Stato, in AA.VV., I diritti umani. Dottrina e prassi, Roma, 1982, 695.
[24] E’ vero, e non può essere messo seriamente in discussione, che l’iniziativa economica privata conosceva già dei limiti quali l’utilità sociale, la sicurezza, la libertà e la dignità umana.
Tuttavia credo si possa affermare che, in questi anni, dal 1948 ad oggi, questi limiti sono stati piuttosto principi del diritto del lavoro, ovvero valori costituzionali ai quali gli imprenditori e i lavoratori autonomi si dovevano attenere nei confronti del personale dipendente; ma non costituivano, e non hanno mai costituito, dei veri e propri limiti all’iniziativa economica privata in senso stretto.
E credo si possa altresì dire che la Corte Costituzionale, quando si è dovuta pronunciare sui bilanciamenti tra libertà economica e limiti di diritto pubblico, ha solo prudenzialmente ribadito che il nostro è un sistema misto, così come lo si ricava dalla lettura degli artt. 41 e 42 Cost., e così come ci perviene dalla nostra storia e dalla scelta che fecero a suoi tempo i nostri costituenti (faccio, senza alcuna pretesa di completezza, riferimento alle pronunce Corte Cost. 1 aprile 1985 n. 94; Corte Cost. 27 giugno 1986 n. 151; Corte Cost. 26 luglio 1993 n. 365; Corte Cost. 9 maggio 2013 n. 85). E di nuovo valgono al riguardo i lavori fatti in Assemblea costituente. Ruini: “Il comunismo puro ed il liberismo puro sono due ipotesi e schemi astratti, che non si riscontrano mai concretamente nella realtà…….La realtà è sempre una sintesi”. E sull’idea di piani statuali di regolamento dell’attività economica osservava: “Piano non significa piano integrale, coattivo, alla russa, che sopprima l’iniziativa privata. Nella nostra costituzione abbiamo messo che l’iniziativa economica privata è libera. Evidentemente un piano che sopprimesse l’iniziativa privata non è ammissibile (Così Meuccio Ruini nella seduta del 13 maggio 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, cit., II, 1664).
[25] Né si può ripetere, in questo caso, la frase abusata secondo la quale “Ce lo chiede l’Europa”, poiché non è vero che l’Europa ha chiesto all’Italia, o ad altri paesi europei, una revisione costituzionale in detta materia, né esistono leggi e/o direttive europee per le quali era necessario modificare la Costituzione. V. su ciò anche G. SEVERINI – P. CARPENTIERI, Sull’inutile, anzi dannosa modifica dell’art. 9 della Costituzione, in questa rivista, settembre 2021.