GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    ​Modelli di prova. Gravità degli indizi e giudizio cautelare

    Modelli di prova. Gravità degli indizi e giudizio cautelare

    di Angelo Costanzo 

    Sommario: 1. La concezione razionalista della prova - 2. La probabilità come provabilità e la dialettica confutativa - 3. Los estándares de prueba - 4. Il modello di prova per le misure cautelari personali - 4.1. Differenza fra gravi indizi e indizi gravi precisi e concordanti - 4.2. Gravità dell’indizio come resistenza alle obiezioni - 5. Valutazione degli indizi e manifeste illogicità - 5.1. Manifesta illogicità e irrilevanza degli elementi difensivi - 5.2. L’indebita generalizzazione - 5.3. La valutazione atomistica degli indizi - 5.4. La praesumptio de praesumpto.

    1. La concezione razionalista della prova 

    Fra i molti temi trattati durante la recente Michele Taruffo Girona Evidence Week, svoltasi presso l’Università di Girona e a cui questa Rivista ha partecipato come istituzione associata, ha destato particolare interesse quello dei modelli di prova sviluppato in Prueba sine convicción, Estàndares de prueba y debido proceso (Madrid, Marcial Pons, 2021) dal filosofo del diritto Jordi Ferrer Beltrán.

    La argomentazione relativa alla prova dei fatti è una attività complessa e il significato del termine «motivazione» usato per denominarla è ambiguo. Secondo l’accezione psicologistica indica l’espressione linguistica delle cause di una decisione. Invece, secondo l’accezione razionalista indica le ragioni che giustificano la decisione così la prova viene emancipata dalla persuasione meramente soggettiva del giudice e trova nella logica e nei criteri della epistemologia generale gli strumenti per rendere più probabile che la ricostruzione dei fatti sia logicamente corretta e, quindi, più vicina alla verità[1].

    Aderendo alla concezione razionalistica della prova, Ferrer Beltrán ritiene che la ricostruzione dei fatti debba avvenire con il metodo della conferma e confutazione delle ipotesi tramite una rigorosa argomentazione retta dal principio del contraddittorio e con la possibilità di produrre prove contrarie[2].

    In questa impostazione, il fatto che una ipotesi possa ritenersi provata è un esito totalmente indipendente dalle credenze del giudicante (in questo senso è «sine convicción»), che non solo può ma anche deve decidere prescindendo dalle sue credenze. Le credenze sono stati mentali personali utili a scopi euristici ma delle quali liberarsi se si rivelano controfattuali o intraducibili in precisi contenuti composti secondo chiari nessi logici. La forma mentis del giudicante tanto più si si evolve quanto più tende a consolidare le sue credenze solo a conclusione di un corretto ragionamento probatorio[3].

    2. La probabilità come provabilità e la dialettica confutativa

    2.1. L’uso di espressioni come «probabilità logica», «alta probabilità logica», «elevata credibilità razionale» è un espediente retorico, che allude a una quantificazione della probabilità o della credibilità razionale che però non si riesce a determinare, e sembra trascurare che il termine «probabilità» appartiene a un ambito tecnico le cui regole non possono essere ignorate se non debordando verso affermazioni generiche idonee solo a approntare a posteriori la parvenza di una giustificazione formale[4].

    Allora, il ricorso alla probabilità oggettiva, intesa come frequenza statistica, sebbene possa certamente connotare la rilevanza indiziaria di un dato alla luce delle scienze empiriche, non può reggere un intero ragionamento probatorio neppure se indica una elevata probabilità, perché si occupa di frequenze e, quindi, ammette eccezioni, sicché  non si adatta alla ricostruzione degli eventi singoli oggetto dei processi che non può accontentarsi della minimizzazione degli errori[5].

    All’opposto, il metodo di Bayes che mira a rendere ripercorribile l’iter della decisione valutando l’incidenza di un dato probatorio sul grado personale di convincimento razionale di un giudicante circa una determinata ipotesi ricostruttiva trascura che il convincimento del giudice si forma non solipsisticamente ma attraverso la dialettica processuale[6].

    La probabilità alla quale si mira nei processi è la provabilità dei fatti che sono oggetto del giudizio, che si persegue con il classico metodo della dialettica confutativa, che richiede posizioni argomentate e elimina quelle che risultano confutate. 

    2.2. Il modello di argomentazione tracciato per il ragionamento probatorio nel processo penale italiano si incentra sui concetti di ipotesi, indizi e prove, contraddittorio fra le parti (artt. 111, commi 2 e 6 Cost.), ragionevole dubbio, giustificazione razionale della decisione, metagiudizio nel processo di impugnazione, controllo sulla legalità e sull’assenza di illogicità manifeste nella decisione e si ispira, appunto, al metodo del razionalismo dialettico. Infatti, richiede che si dia conto «dei risultati acquisiti e dei criteri adottati» (art. 192, comma 1, cod. proc. pen.), che si enuncino le «ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie» (art. 546, comma 1 lett. e, cod. proc. pen.) e che le motivazioni siano esenti da «manifeste illogicità» (art. 606 lett. e, cod. proc. pen.).

    I discorsi delle parti processuali sono un capitolo della ars opponendi et respondendi, propaggine della dialettica confutativa classica[7], dove il termine «contraddizione» ha origine nella prassi dialogica volta a contrastare il pensiero dell’avversario: «Artificis est invenire in actione adversarii quae inter semet ipsa pugnent aut pugnare videantur» [È proprio dell’esperto di retorica saper trovare nel discorso dell’avversario gli elementi che sono o sembrano contraddittori: Quintiliano, Institutio oratoria, V-13-29].

    Per produrre conoscenza, la dialettica confutativa necessita di un insieme – magari disorganizzato ma delimitabile – di posizioni diverse e le parti offrono al giudice spunti e strumenti per porre o scartare le premesse, prendendo posizione intorno al problema: è questa la ragione profonda del principio et audietur altera pars, quale strumento per la imparzialità del giudizio.

    Come è noto, le vie fondamentali della confutazione dialettica sono la dimostrazione per assurdo e la riduzione all’inammissibile che si reggono sulla dimostrazione che una ipotesi è autocontraddittoria o dalle conseguenze fra loro incompatibili oppure contrastante con una tesi assunta come indiscutibile (perché irrefutabilmente dimostrata o comunque postulata)[8].

    La confutazione di una delle due ipotesi fra loro incompatibili ne dimostra la falsità, ma prova la validità dell’altra solo se questa è l’esatta contraddittoria della prima: la mancata conferma di una ipotesi non corrobora, di per sé, quella che le si oppone se le due ipotesi sono, come ordinariamente avviene, fra loro solo logicamente contrarie e non anche contrarie e contraddittorie, sicchè tertium datur. Né la verifica di una sua implicazione conferma definitivamente l’ipotesi perché questo esito potrebbe essere giustificato a partire da una diversa ipotesi: gli stessi dati sono spesso spiegabili sulla base di ipotesi diverse e, in questo caso, occorrerà collaudarle tutte verificando se qualche dato acquisito costituisce implicazione di una sola delle ipotesi in competizione.

    Il passaggio dai primi dati acquisiti alla formulazione di ipotesi sugli eventi si situa nell’ambito della immaginazione logica che consente, per esempio, di configurare ipotesi fra loro incompatibili, o di ragionare in termini controfattuali, o di costruire un esperimento (anche solo mentale) falsificante la ricostruzione degli eventi che si è delineata. Il ragionamento probatorio  si sviluppa di solito a catena (secondo l’incedere della deduzione naturale e non assiomatica), assumendo come vere le ipotesi che sono state accettate come provate. Al momento della valutazione dei dati acquisiti e delle argomentazioni sviluppate, il giudicante si trova in una  posizione analoga a quella della comunità scientifica che valuta il grado di conferma di un’ipotesi alla luce delle teorie rivali considerate, dei dati disponibili, degli esperimenti realizzati, et cetera[9].

    3. Los estándares de prueba 

    3.1. I canoni della dialettica confutativa sono applicabili in modi vari e con differenti gradi di rigore. Quando sono seguiti correttamente essi conferiscono il massimo grado di razionalità ai ragionamenti probatori, ma a costo di un impegno intellettuale e di un impiego di risorse organizzative e economiche che non può essere sopportato sempre e allo stesso modo per tutti i tipi di processo.

    Determinare il contenuto di un modello (estándar, standard, paradigma) di prova significa anche fissare il livello di sufficienza probatoria che a quel modello è connesso. Ne deriva che la stessa ipotesi probatoria può ritenersi confermata oppure no secondo il modello di prova che è stato adottato: lo stesso fatto può risultare provato, secondo un certo modello, in un dato ambito (per esempio civilistico) ma non in un altro (per esempio penalistico).

    La fissazione dei livelli di prova connessi a un certo modello probatorio svolge una funzione sia euristica che giustificativa e anche di garanzia per le parti (sia in relazione alle decisioni finali e intermedie del processo sia in relazione ai meccanismi di definizione anticipata eventualmente previsti dalle leggi processuali) perché indica loro come impostare e controllare le strategie probatorie circa la decisione sui fatti.

    Inoltre, in una prospettiva che trascende le sorti del singolo procedimento, deve considerarsi che l’adozione di un paradigma di prova, invece di un altro, può incidere sulla distribuzione del rischio di errori giudiziari: per esempio, un paradigma di prova assai rigoroso riduce il rischio di erronee condanne ma aumenta il rischio di erronee assoluzioni. Il paradigma di prova deve riprodurre la ratio della distribuzione degli errori che si ritengono socialmente accettabili.

    Tutto questo comporta − come evidenziato da Ferrer Beltràn – che la scelta di un modello di prova riguarda la politica giudiziaria e spetta al legislatore perché definisce i rapporti fra l’interesse all’accertamento della verità e altri interessi giuridicamente rilevanti che possono con lo stesso confliggere o anche tiene conto della esistenza di altre forme di responsabilità (civile, amministrativa, disciplinare..) a carico dell’autore delle condotte da provare abbinate a quella penale.

    Per esigenze garantistiche, quanto più alta è la compressione dei diritti del soggetto eventualmente ritenuto responsabile di un fatto, tanto più elevato dovrebbe essere il livello di prova mirato. Tuttavia, non necessariamente questo implica che i più elevati livelli di prova debbano riguardare il processo penale perché non sempre le condanne con cui si può concludere si risolvono in gravi limitazioni della libertà personale, mentre può avvenire che notevole incidenza sulla sfera economica di persone fisiche o giuridiche siano l’esito di processi civili o amministrativi

    3.2. Uno degli scopi mirati in Prueba sine convicción è quello di fornire strumenti per ridurre «la subjectividad y la imprecisión» nei ragionamenti probatori giuridici considerati come una specie del genere “ragionamento” che include sia il ragionamento scientifico che quello che si utilizza per decidere circa i fatti della vita ordinaria: l’epistemologia generale governa tutti questi tipi di ragionamento[10].

    L’idea è che il metodo di eliminazione delle ipotesi fra loro concorrenti anche se non utilizza il calcolo matematico consente comunque di comparare il grado di conferma  delle diverse ipotesi in conflitto così da ordinarle secondo gradi di probabilità.

    Nell’ottica del razionalismo dialettico il grado di conferma di una ipotesi dipende non dalle credenze di chi assume la decisione ma dalle implicazioni vere che si possono formulare a partire dalla ipotesi e dalle difficoltà di dare conto delle stesse implicazioni sulla base delle ipotesi rivali. La probabilità di una ipotesi aumenta con il progredire del suo superamento delle controargomentazioni che le si oppongono. Quanti più controlli supera un’ipotesi e quante più sono le ipotesi in conflitto eliminate tanto maggiore è il suo grado di conferma.

    In questa prospettiva, Ferrer Beltràn fornisce, senza pretesa di completezza, sette esempi di estándares (modelli) di prova ben formulati, ordinati in direzione discendente dal maggiore al minore grado di esigenza probatoria.

    I primi tre per considerare provata una ipotesi circa i fatti richiedono che si realizzino congiuntamente due condizioni.

    La prima condizione è comune: l’ipotesi deve potere spiegare i dati disponibili, integrandoli in forma coerente e le previsioni di nuovi dati che essa permette di formulare devono risultare confermate e portate come prove nel processo.

    La differenza sta nella seconda condizione, in relazione alla quale può osservarsi l’accrescersi dell’onere probatorio per la difesa e una correlativa diminuzione per l’accusa. Infatti: per il primo modello devono essere state refutate tutte le restanti ipotesi plausibili esplicative degli stessi dati che siano compatibili con la innocenza dell’accusato/imputato o per lui più favorevoli, escluse le mere ipotesi ad hoc[11]; per il secondo deve essere stata refutata l’ipotesi alternativa formulata  dalla difesa della parte contraria, se plausibile, esplicativa degli stessi dati che siano compatibili con la tesi innocenza dell’accusato/imputato o per lui più favorevole, tranne che si tratti di una mera ipotesi ad hoc[12]; per il terzo deve essere stata refutata l’ipotesi alternativa formulata  dalla difesa della parte contraria, se plausibile, esplicativa degli stessi dati che siano compatibili con la innocenza dell’accusato/imputato o per lui più favorevoli, sempre che sia stata apportata qualche prova che le conferisca un qualche grado di conferma.

    I restanti modelli di prova presentati differiscono dai precedenti perché non esigono che le ipotesi alternative (tutte o alcune) siano state refutate o possano essere scartate alla luce dei dati acquisiti al processo.

    I primi due presuppongono entrambi che il compendio probatorio sia completo (escluse le prove ridondanti) ma il secondo considera provata soltanto l’ipotesi più probabilmente veridica mentre il secondo ammette come provata l’ipotesi più probabilmente veridica della ipotesi della parte contraria, sempre alla luce degli elementi di giudizio esistenti nel procedimento.

    Gli ultimi due neanche richiedono che il compendio probatorio sia completo: l’uno considera provata soltanto l’ipotesi che risulti più probabilmente veridica; l’altro si accontenta dell’ipotesi che risulti più probabilmente veridica di quella della parte contraria, sempre  alla luce degli elementi di giudizio acquisiti.

    4. Il modello di prova per le misure cautelari personali

    Nel processo penale sono presenti diversi modelli di prova in relazione al tipo di decisione da assumere (misure cautelari, conclusione delle indagini preliminari, non luogo a procedere, rinvio a giudizio, giudizio) secondo soglie di sufficienza probatoria diverse per ciascuno stadio e progressive.

    In particolare, nell’ambito delle misure cautelari personali l’effetto convergente dei limitato tempo per lo svolgersi delle procedure e dell’urgenza del provvedere comporta – anche quando le decisioni producono gravi limitazioni della libertà personale e possono incidere, per altro verso, sulla salvaguardia di rilevanti esigenze di sicurezza per le persone e la collettività – che non possa imporsi un modello ispirato al conseguimento della piena prova.

    Nel codice di procedura penale italiano il modello di prova cautelare è fondato sulla necessità di «gravi indizi di colpevolezza» per l’applicazione di una misura cautelare e costituisce una specificazione del generale modello di prova ispirato al razionalismo dialettico [2.2.].

    Infatti, l’art. 292, comma 2, lett. c), cod. proc. pen. richiede, «a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio» che nell’ordinanza cautelare siano esposti gli «indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza» e la lettera c-bis dello stesso comma richiede che siano esposti i «motivi per i quali non sono stati ritenuti rilevanti gli elementi forniti dalla difesa»[13].

    La norma ripropone la previsione contenuta nell’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti connessi al particolare contenuto del provvedimento cautelare (non fondato su prove ma su gravi indizi e riguardante non la responsabilità ma una rilevante probabilità di colpevolezza).

    4.1. Differenza fra gravi indizi e indizi gravi precisi e concordanti

    In questo quadro la (complessa) questione del significato della espressione «gravi indizi» che l’art. 273 cod. proc. pen.  usa per definire la prima fra le «condizioni generali di applicabilità delle misure» cautelati personali non riceve risposte univoche dalla giurisprudenza della Corte di cassazione[14].

    Sulla base di una interpretazione letterale e coordinata dei dati normativi, un primo indirizzo assume che per giustificare una misura cautelare personale basti qualunque elemento idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell'indagato per i reati addebitatigli. I «gravi indizi di colpevolezza» non  corrispondono agli «indizi» intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un giudizio finale di colpevolezza, sicché non andrebbero valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il  giudizio di merito, dall'art. 192, comma 2, cod. proc. pen. − che, oltre  alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi −   perché il comma 1-bis dell'art. 273 cod. proc. pen. richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non il comma 2 del suddetto art. 192  cod. proc. pen. (ex plurimis: Sez.  4 ,  n. 16158 del 08/04/2021, Rv.  281019;  Sez.  5, n. 55410 del 26/11/2018  Rv.  274690;  Sez.  1, n. 43258 del 22/05/2018, Rv. 275805). Anzi, secondo una posizione, l'indizio può anche essere unico, considerando che l'uso del plurale in «gravi indizi» avrebbe scopo soltanto indeterminativo (Sez.  6, n. 3734 del 27/09/1994,  Rv. 199472;  Sez.  3, n. 1740 del 30/07/1993, Rv.  195212; Sez.  6, n. 3144 del 08/09/1992, Rv. 192822;  Sez.  6, n. 2950 del 21/07/1992,  Rv.  191942).

    Della necessità di una più articolata strutturazione dei «gravi indizi», si cura, invece, l’indirizzo secondo cui per valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza necessari per l'applicabilità di misure cautelari personali è necessario utilizzare anche il canone posto dall'art. 192, comma 2, cod. proc. pen. che prevede che gli indizi, oltre che gravi, devono essere anche plurimi, precisi e concordanti. L’idea è che, in assenza della pluralità e concordanza degli indizi, la discrezionalità valutativa del giudice non potrebbe esercitarsi adeguatamente (ex plurimis: Sez. 5, n. 55410 del 26/11/2018, Rv. 274690; Sez. 4,  n. 25239 del 05/04/2016, Rv. 267424; Sez. 4, n. 31448 del 18/07/2013,  Rv. 257781)[15]. In qualche motivazione viene precisato che il mancato richiamo del secondo comma dell’art. 192 non rileva perché il codice nell'esigere la esistenza di «gravi indizi di colpevolezza» per l’adozione di una misura cautelare non può che presupporre tale disposizione che, oltre a codificare una regola di inutilizzabilità, costituisce un canone di prudenza nella valutazione della probabilità di colpevolezza necessaria per esercitare il potere cautelare)[16].

    4.2. Gravità dell’indizio come resistenza alle obiezioni 

    Pare ottimistico attendersi che le formule legislative possano trattare compiutamente il problema della valutazione degli indizi e affidare alla loro esegesi la sua soluzione.

    Quando si tratta di regolare le motivazioni dei provvedimenti, il legislatore può porre dei divieti di utilizzazione o anche stabilire delle presunzioni di vario grado, ma non può riuscire a regolare lo sviluppo delle operazioni intellettuali per la ricostruzione degli eventi singoli perché queste appartengono al genere dei giudizi riflettenti, che estraggono dal caso concreto le premesse che compongono per poi giungere alle loro conclusioni[17].

    Rappresentate in forma discorsiva, sono argomentazioni, che occorre esporre al vaglio dialettico della confutazione: se le resistono sono convalidate, se non le resistono devono essere modificate o eliminate.

    In realtà, la giurisprudenza della Corte di cassazione fornisce delle indicazioni che vanno oltre quella nozione di “gravità” dell’indizio che viene fondata cripticamente sulla enunciazione della “qualificata”, “ragionevole”, “elevata” probabilità del fatto fornita dall’indizio che spesso ricorre nelle sentenze[18] e la cui insoddisfacente genericità non è emendata neanche dall’indirizzo (formalmente più rigoroso) che richiede una pluralità di indizi fra loro concordanti.

    Queste indicazioni riguardano la necessità, con il correlato onere argomentativo, di superare le ragioni di segno contrario in base alle quali, invece, viene esclusa la valenza dell’indizio.

    Si osserva che per possedere la gravità richiesta per l’applicazione di una misura cautelare personale l’indizio deve possedere un elevato grado di capacità dimostrativa del fatto da provare che gli deriva dalla «resistenza alle obiezioni» (Sez.  6,  n. 26115 del 11/06/2020, Rv. 279610) cioè alle «interpretazioni alternative» (Sez.  1, n. 1454 del 02/04/1992, Rv. 190119; Sez.  2, n. 394 del 28/01/1992, Rv. 18916; Sez.  1,  n. 2989 del 26/09/1990,  Rv. 185610).

    Questo criterio di valutazione della gravità dell’indizio si collega alla concezione dialettica della prova e richiede al giudicante la esplicitazione delle sue argomentazioni da sottoporre al vaglio della dialettica confutativa. Tale obbligo non è adempiuto con una generica enunciazione delle fonti di prova, senza la individuazione degli specifici dati indizianti a sostegno del provvedimento e senza la giustificazione logica della decisione perché diversamente si comprometterebbe il diritto di difesa (Sez.  1, n. 4522 del 28/10/1993, Rv. 195616; Sez.  1, n. 1164 del 18/03/1993,  Rv.  193952), fermo restando, in ogni caso, che fra più significati parimenti attribuibili all’indizio, deve privilegiarsi quello più favorevole all'indagato, che può essere accantonato solo qualora risulti inconciliabile con altri univoci elementi di segno opposto (Sez.  3,  n. 17527 del 11/01/2019,  Rv.  275699; Sez. 1, n. 19759 del 17/05/2011, Rv. 250243).

    La necessità di giustificare in modo logicamente corretto e, comunque, esente da manifeste illogicità il rigetto delle interpretazioni di segno contrario implicita anche una valutazione della precisione degli indizi e della concordanza fra loro (fra tutti o fra alcuni di quelli reperiti). In altri termini, fondare il giudizio di gravità degli indizi su una adeguata concretizzazione della concezione dialettica della prova assorbe e supera le esigenze evidenziate dalla giurisprudenza che ritiene necessario utilizzare anche per le misure cautelari personali il canone posto dall'art. 192, comma 2, cod. proc. pen.

    5. Valutazione degli indizi e manifeste illogicità

    5.1. Manifesta illogicità e irrilevanza degli elementi difensivi

    L’esposizione delle ragioni che hanno condotto a ravvisare o a disconoscere gravi indizi di colpevolezza e a disattendere le prospettazioni di segno contrario costituisce il requisito strutturale minimo della decisione cautelare e la condivisione di tali ragioni da parte degli altri giudici di merito conduce alla conferma del provvedimento eventualmente impugnato.

    Tuttavia, il provvedimento cautelare può anche avere confutato le posizioni di segno contrario rispetto a quella adottata circa i gravi indizi di colpevolezza ma non per questo soltanto essere indenne da vizi logici: la confutazione di una ipotesi contraria dimostra la posizione sostenuta soltanto se le due posizioni sono fra loro contrarie e contraddittorie ma non se, come per lo più avviene, fra loro soltanto contrarie.

    Allora, per superare il controllo da parte della Corte di cassazione la motivazione deve comunque essere esente dai vizi indicati nell’art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen., ma tanto basta a salvaguardo dall’annullamento e a nulla vale che il ricorrente opponga che i dati si prestano a una diversa interpretazione (Sez.  U, n. 11 del 22/03/2000, Rv. 215828; Sez. U, n. 30 del 27/09/1995, Rv. 202903; Sez.  2, n. 27866 del 17/06/2019, Rv. 276976 Sez.  4, n. 26992 del 29/05/2013, Rv. 255460; Sez.  4, n. 22500 del 03/05/2007, Rv. 237012; Corte cost. sent. n. 121/2009).

    La manifesta illogicità di una decisione giudiziaria è una categoria inventata dal legislatore, non corrispondente a una nozione equivalente nella teoria logica. Questo conduce a una prassi (attuata secondo criteri convenzionali ma variabili) che può concorrere a trasformare il controllo della Corte di cassazione sulle argomentazioni relative alle ricostruzioni dei fatti in un ibrido terzo grado di giudizio non utile al funzionamento del sistema e concausa del proliferare dei ricorsi.

    Esiste, comunque, un nucleo certo di illogicità evidenti: le violazioni dei principi della logica formale, la sconnessione fra premesse e conclusioni, le fallacie dei giudizi condizionali e altre specifiche delle inferenze induttive e della abduzione, la confusione fra generalizzazione e particolarizzazione nell’uso delle massime d’esperienza e la confusione fra logica delle asserzioni generali e logica delle asserzioni singolari nel ricorso alle leggi scientifiche[19].

    La giurisprudenza della Corte di cassazione ne ha individuato alcune, concernenti le inferenze abduttive che reggono la valutazione di indizi, confermando che, come per gli altri tipi di inferenza, la tipologia delle illogicità è strettamente connessa alla struttura del ragionamento che esse viziano.

    5.2. L’indebita generalizzazione

    Al fondo delle inferenze abduttive traibili dagli indizi sta il ricorso alle massime di esperienza che comporta il rischio della fallacia della indebita generalizzazione consistente nell’attribuire carattere di generalità a quelle che potrebbero rivelarsi mere indebite generalizzazioni, tanto più se si considera che esse per lo più si formano secondo vie non vigilate dal rigore del metodo scientifico. Sarebbe improprio qualificare come manifestamente illogica la scelta di una massima di esperienza pertinente al caso, però manifestamente illogica può essere l’inferenza che raccorda la massima al caso singolo se la prospettazione di altre massime di esperienza di diverso contenuto, ma egualmente pertinenti al caso, palesa l’arbitrarietà della sua assolutizzazione. Allora, per seguire una massima d’esperienza, è necessario che si possa ragionevolmente escludere ogni spiegazione alternativa che invalidi l’ipotesi che ne scaturisce: se viene richiesta una attività istruttoria allo scopo di mostrare che una certa massima di esperienza non è adeguata al caso concreto, la sua mancata effettuazione lascia meramente verosimile la conclusione suggerita dalla massima. Solo se resiste alla dialettica confutativa (con l’esclusione di una ipotesi contraria) la applicazione di una massima di esperienza giustifica l’attribuzione di valenza indiziaria al dato acquisito (Sez. 4, n. 22790 del 13/04/2018, Rv. 272995; Sez. 6, 42049 del 22/10/2014, Rv. 261220, Sez. 5905 del 29/11/2011, dep. 2012, Rv.252066). Ancora: se la situazione da ricostruire presenta connotati non riducibili all’ordinario, allora l’atteggiamento mentale che confida nelle massime di esperienza diventa del tutto fuorviante, manifestamente illogico.

    5.3. La valutazione atomistica degli indizi

    La valutazione atomistica degli indizi è fallace perché trascura che l’indizio – per sua costituzione – è un dato la cui ambiguità va emendata collegandolo a altri. Rifuggire da questa operazione significa accantonare indebitamente elementi di valutazione rilevanti che potrebbero rivelarsi, infine, persino decisivi e, quindi, fallare per difetto.

    Risulta, in effetti, consolidato l’indirizzo secondo il quale nella valutazione degli elementi indiziari l’interpretazione del compendio probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e, mentre non può prescindere dalla operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni indizio nella sua valenza qualitativa e nel grado di  precisione e gravità, deve  poi valorizzarlo, se ne ricorrono i  presupposti, in una prospettiva complessiva e unitaria, considerando i collegamenti e la eventuale confluenza dei dati indizianti (per tutte: Sez.  U., n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv.  231678).

    In altri termini: ai fini della configurabilità dei gravi indizi di colpevolezza necessari per l'applicazione di misure cautelari personali, è illegittima una valutazione frazionata ed atomistica dei singoli dati acquisiti, dovendo invece seguire, alla verifica della gravità e precisione dei singoli elementi indiziari, il loro esame unitario, che ne chiarisca l'effettiva portata dimostrativa del fatto, la coesione e la congruenza rispetto al tema di indagine (ex multis: Sez.  1, n. 30415 del 25/09/2020, Rv. 279789; Sez. 1, n. 1790 del 30/11/2017, dep. 2018, n. 272056; Sez. I, n. 46566 del 21/02) 2017, n. 271228).

    5.4. La praesumptio de praesumpto

    Manifestamente fallace è ritenuta anche la praesumptio de praesumpto perché (l’argomento è forte ma non incontrovertibile) diluisce la valenza sintomatica di un indizio: il giudice, che ben può partire da un fatto noto (indizio) per risalire a uno ignoto, non può porre il fatto (originariamente) ignoto come fonte di una ulteriore presunzione perché la doppia presunzione contrasta con la regola della certezza dell’indizio, connessa al requisito della sua precisione, richiesto dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (ex multis: Sez. 6, n. 37108 del 02/12/2020,  Rv. 280195; Sez. 1, n. 18149 del 11/11/2015, dep. 2016, Rv. n. 266882; Sez. 1, n. 4434 del 6/11/ 2013, dep. 2014, Rv. 259138; Sez. 2, n. 5838 del 9/02/ 1995, Rv. 201517). A fortiori, è evidente (rientra nella sua stessa definizione) che il dato indiziante deve essere certo (Sez.  2, n. 2935 del 17/09/1992, Rv.  191072).

      

    [1] Per tutti: J.H. Wigmore, The Science of Judicial Proof as given by Logic and General Esperience, an Illustrate in Judicial Trials, Boston, Brown & Co., 1937. M.Taruffo, La semplice verità. Il giudice e la costruzione dei fatti, Bari, Laterza, 2009.

    [2] La trilogia iniziata Ferrer Beltràn con Prueba y verdad en el derecho (Madrid, Marcial Pons,2002, Ed.it.: Prova e verità nel diritto, Bologna, il Mulino, 2004) e proseguita con La valoracion racional de la prueba (Marcial Pons, Madrid, Barcelona, Buenos Aires, 2007. Edizione Italiana di G.B. Ratti, con presentazione di R.Guastini, La valutazione razionale della prova, Milano, Giuffrè, 2012) viene completata dal citato Prueba sine convicción, del quale è prossima l’edizione italiana. Sulle posizioni di Ferrer Beltràn (e di altri): S. Novani, La teoria della colpevolezza nella filosofia processuale, in: Archivio della nuova procedura penale, 2013, I, p. 26ss, 27-29.

    [3] Sul tema: A.Costanzo, Logica e psicologia nel ragionamento giudiziario, in: Cassazione penale, 6, 2017, pp. 2516-2534.

    [4] Sul punto efficacemente: G. Boniolo-G.Gennari, Note su giurisprudenza e probabilità: fra leggi di natura e causalità, in:  Sistema penale, 10, 2021, pp. 85- 104, 94, 103 ss. Evidenziano degenerazioni di tipo retorico anche: R. Blaiotta-G.Carlizzi, Libero convincimento, ragionevole dubbio e prova scientifica, in AA. VV., Prova scientifica e processo penale (a cura di G.Canzio-L. Luparia, Cedam Kluwer, Milano, 2017, p. 464. Sul tema: G. Carlizzi, Errore giudiziario e logica del giudice nel processo penale, in AA. VV, L’errore giudiziario (a cura di L. Luparia), Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2021, 93. In termini generali sulla questione: G. Boniolo-P.Vidali, Strumenti per ragionare. Le regole logiche, la pratica argomentativa, l’inferenza probabilistica, Pearson, Milano, 2017.

    [5] Per un’analitica disamina del problema: F. Coniglione, Introduzione alla filosofia della scienza. Un approccio sotorico, Roma, Bonanno, 2004, pp. 291-313.

    [6] Viene definito come «funzione logico-probabilistica che descrive la procedura corretta per revisionare la fiducia verso un’ipotesi alla luce di un insieme di prove» in: P. Cherubini, Fallacie nel ragionamento probatorio, in L. De Cataldo Neuburger (a cura di), La prova scientifica nel processo penale, Cedam, Padova, 2007, p. 251. 

    [7] L. Pozzi, Le consequentiae nella logica medioevale, Padova, Liviana, 1978; L. Pozzi, La coerenza logica nella teoria medioevale delle obbligazioni,Parma, Zara,1990.

    [8] Per una chiara esposizione della storia della dialettica confutativa: E. Berti, Contraddizione e dialettica negli antichi e nei moderni, Palermo, L’Epos, 1987, pp. 257-279. Per alcune applicazioni: V. Marinelli, Il dilemma. Contributo alla logica giuridica, Milano. Giuffrè, 2004; A. Costanzo, Logica giudiziaria, Roma, Aracne, 2012. Relativizzare i principi della logica classica depotenzia l’efficacia della dialettica confutativa: A. Costanzo, Difficoltà della reductio ad absurdum e apparenti deroghe alla logica classica nelle argomentazioni giudiziali, in: Rivista Internazionale di filosofia del diritto, 67, 1990, 576-617].

    [9] Per alcuni aspetti: M. Pera, Scienza e retorica, Bari Laterza, 1991, pp. 1999-226. Sulla inferenza alla migliore spiegazione:  V. Fano, Comprendere la scienza. Introduzione all’epistemologia delle scienze naturali, Bologna  Liguori, 2005, pp. 114 sas, 158 ss.

    [10] I primi tre livelli di prova si ispirano alla filosofia della scienza di Hempel e all’idea di probabilità sviluppata da Cohen: C.G. Hempel, Philosophy of Natural Science, Henglewood Cliffs, New Jersey; Prentice Hall, 1966; L.J. Choen, The Probable and the Probable, Oxford, Clarendon Press, 1977; L.J. Choen, Introduction to the Philosophy of Induction and Probability, Oxford, Oxford University Press, 1989.

    [11]  Ad hoc è l’ipotesi coerente con i dati conosciuti ma né confermabile né refutabile. Classico esempio ne è l’idea di un complotto accusatorio contro l’imputato.

    [12] Sembrano adottare questo modello di prova le decisioni che, in relazione alle misure cautelari attribuiscono all’indagato l’onere di formulare una plausibile ipotesi alternativa a quella dell’accusa: Sez. 3 n. 209 del 17/09/2020, dep. 2021, Rv. 281047; Sez. 5., n. 2471 del 31/10/1995, Rv. 203391.

    [13] Sull’applicazione  di queste norme: Sez.  5, n. 4915 del 12/11/1996, dep. 19/02/1997, Rv. 207468; Sez. 6, n. 3109 del 19/09/1995, Rv. 202553; Sez.  6, n. 36874 del 13/06/2017, Rv. 270815; Sez.  1, n. 4777 del 15/11/2011, dep. 201,  Rv. 51848; Sez.  2, n. 28662 del 27/05/2008, Rv. 240654; Sez.  1, n. 14374 del 09/01/2001, Rv.219093.

    Alcune sentenze attribuiscono all’indagato l’onere di proporre ricostruzioni alternative a lui favorevoli per evitare che il giudice valuti gli indizi nella sola prospettiva dell'ipotesi formulata dall'accusa, si attribuisce all'indagato l'onere di proporre una plausibile  ricostruzione alternativa a quella dell’accusa considerando che l'attendibilità degli indizi non può essere rapportata a tutte le conclusioni astrattamente compatibili con i fatti  noti e, Sez. 3 n. 209 del 17/09/2020, dep. 2021, Rv. 281047; Sez. 5, n. 2471 del 31/10/1995, Rv. 203391).

    [14] F.  Falato,  La Cassazione (ri)propone la improponibile endiadi tra indizio probatorio e indizio cautelare, in: La Giustizia Penale, 2013, 8-9, pp. 488-512;  F.M. Grifantini,  La nozione di indizio nel codice di procedura penale, in: Rivista di diritto processuale, 2013, 1, pp. 12-31; G. Poi, La valutazione degli indizi nella fase cautelare: una questione da risolvere alla luce della teoria generale della prova, in: Giurisprudenza italiana, 1, 2017, pp. 213-217.

    [15] Anche se per la applicazione di una misura cautelare personale basta un probatio minor di quella richiesta per la condanna, occorre tuttavia, che l'identificazione dell’indagato sia certa (Sez. 3, n. 30056 del 25/02/2021, Rv. 282232; Sez. 5,  n. 9192 del 07/02/2007,  Rv. 236258). Questo comporta l’adozione del modello di prova che conduce “oltre il ragionevole dubbio”. Nella sentenza del 2007 si precisa che il principio vale «indipendentemente dalle scelte e strategie processuali o dalla linea difensiva prescelta dall’indagato».

    [16] Secondo una posizione «i gravi indizi sono prove allo stato degli atti», cioè  in assenza di ulteriori elementi di valutazione favorevoli all’indagato: F. Iacoviello, La Cassazione penale. Fatto, diritto e motivazione, Milano Giuffrè, 2013. p. 641. Introduce nodi problematici forse legati alle peculiarità delle fattispecie la (opposta?) posizione secondo cui «gravi indizi di colpevolezza» ex art. 273 cod. proc. pen. sono quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa che, contenendo in nuce elementi strutturali della corrispondente prova, non bastano a provare la responsabilità dell'indagato e, tuttavia, consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, per mezzo della futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrarla, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (Sez. 3, n. 17527 del 11/01/2019, Rv. 275699; Sez. 2,   n. 28865 del 14/06/2013,  Rv. 256657).

    [17] I.Kant, Logik a cura di G. B.Jäsche, Königsberg, 1800. Trad. it. Logica, a cura di L. Amoroso, Bari, Laterza,1990  p. 125

    [18] I gravi indizi di colpevolezza richiesti dall'art. 273 cod. proc. pen. per l'emissione dei provvedimenti dispositivi di misure cautelari non possono riferirsi al solo fatto materiale, ma devono riguardare l’intero reato e quindi anche l'elemento soggettivo (Sez.  6, n. 3131 del 03/09/1992, Rv.  191757).

    [19] Sul tema sia consentito rinviare a: A. Costanzo, Anomia della illogicità manifesta, in: Cassazione penale, 3, 2019,  pp. 1308-1326.

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