GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    La crisi della famiglia e le nuove forme di devianza minorile: oltre la maschera

    La crisi della famiglia e le nuove forme di devianza minorile: oltre la maschera*

     di Valentina Pirrò, Luca Muglia, Maria Rupil

    Sommario: 1. Le innovazioni della società moderna e la paura della solitudine - 2. Le nuove devianze minorili, le neuroscienze e la giustizia riparativa - 3. I reati intrafamiliari degli adolescenti - 4. Cosa dicono i nuovi reati? Oltre la maschera -

    Il focus ha l’obiettivo di sviluppare un pensiero sulla complessità della famiglia e le nuove forme di devianza minorile, ivi comprese quelle intrafamiliari, a partire da una riflessione sul contesto sociale e culturale che caratterizza la società attuale.

     

    1.Le innovazioni della società moderna e la paura della solitudine

    I cambiamenti socio-economici avviatisi a partire dagli anni 70, tra cui industrializzazione avanzata, inurbamenti, ingresso della donna nel mondo del lavoro, la messa in crisi dei valori tradizionali, l’evolversi dell’informatica, la partecipazione di milioni di persone ai social media, hanno determinato mutamenti importanti nell’esperienza culturale del nostro paese. Pensiamo all’ingresso nella società dei consumi, al cambiamento nella gestione dei ruoli maschile e femminile. Se tutto questo ha portato ad un’emancipazione delle persone e anche ad una migliore qualità di vita, la velocità e l’esasperazione di alcuni cambiamenti hanno comportato una serie di criticità inaspettate e quindi difficilmente contenibili. La stessa spinta all’autorealizzazione e all’individualismo è slittata nel bisogno sempre più forte di ammirazione, nello spirito di continua competizione, nell’ossessione del culto del successo personale che ha come corollario l’inaccettabilità del fallimento (Cappelli et al., 2019)[1]. Anche e soprattutto nelle giovani generazioni vediamo emergere una forte necessità di ricevere consensi, in particolare all’interno di un mondo virtuale dove non emerge il sé reale della persona. Un mondo che, tuttavia, protegge e contiene, che protegge dal contatto diretto ma permette anche di essere ciò che nella vita reale non si è, di creare degli spazi in cui si riesce ad esprimere ciò che nella vita reale si reprime, in cui condividere ciò che non viene colto dal mondo esterno o che si ha paura non venga compreso o accettato dalla famiglia (Manca, 2016)[2].

    A ben vedere, viene a mancare, nei rapporti la comunicazione emozionale con conseguenze sempre più importanti: se non si conosce lo stato d’animo dell’interlocutore il messaggio non potrà mai essere corretto e il prezzo da pagare si può tradurre in un lento ma inesorabile distaccamento dalla realtà in cui l’aspetto narcisistico si manifesta con atteggiamenti di eccessiva fiducia, senza la contestuale ricerca di un reale riscontro, di sopravvalutazione delle proprie capacità, di generazioni di miti e di false credenze. La persona diventa altro da sé, dimentica le priorità personali, la propria autostima, dando importanza solo all’apparire, dando importanza a non scegliere ma ad essere scelti. L’unica alternativa che sembra rimanere è quella della solitudine. Quali sono i miei bisogni? Cosa provo? (Manca, 2016).        

    Una delle emozioni prevalenti, di giovani e meno giovani, sembra essere la paura. La paura di un futuro sempre meno prevedibile e la paura del diverso da noi che invade i nostri spazi, ma soprattutto la paura della solitudine collegata al peggioramento della qualità dei rapporti, in un tessuto sociale rarefatto con un forte scollamento tra le generazioni. La famiglia si è calata sempre di più nel contesto di vita consono con la società attuale in cui gli impegni lavorativi, le attività extrafamiliari e la caoticità in cui tutto questo si svolge ha aumentato a dismisura i contatti sociali, ha aperto a visioni del mondo ed opportunità, a volte impensabili ma, paradossalmente, ha accentuato l’isolamento e ridotto le relazioni significative.

    Attualmente si sono diffuse forme familiari sempre più lontane ideologicamente e strutturalmente dalla tradizione culturale. Viene da chiedersi cosa sia oggi la famiglia e che senso assume (Giovagnoli, 2012)[3]. Potremmo dire che la famiglia non esiste scontatamente nella sua accezione classica; esistono più modelli. Abbiamo famiglie atipiche, famiglie di fatto, famiglie mononucleari, ma anche famiglie multietniche e famiglie con genitori dello stesso sesso, etc (Carli, 2018)[4].

    Con l’avvento del divorzio, si è assistito alla costruzione di famiglie allargate e famiglie monogenitoriali. Queste trasformazioni hanno portato a definizioni più chiare e fatto cadere tabù, ma hanno reso anche le relazioni più complesse e i confini più incerti, la ricaduta sui figli non si è fatta attendere. Si sono, infatti, amplificate anche le rappresentazioni in cui i figli si percepiscono come membri di una famiglia e vivono le dinamiche familiari, il modo in cui si rapportano ai genitori e vivono lo scambio tra il mondo familiare e le più ampie relazioni sociali. Lo spazio di libertà dei giovani si è esteso, più possibilità di movimento fisico e mentale ma anche "spazio-vuoto" dato dalla crisi del ruolo educativo genitoriale e del mondo adulto nel suo complesso.

    L'estensione dei modelli di riferimento, la trasformazione dei ruoli e delle funzioni all’interno della famiglia, ha prodotto anche una più difficile definizione delle relazioni stesse. Più’ che le carenze strutturali di base, a costituire un fattore di rischio per i nuclei familiari odierni pensiamo sia la difficoltà a rapportarsi all’interno di relazioni fluttuanti che, ad oggi, determinano ancora troppo spesso confusione di ruoli e funzioni così da rendere fortemente incerta la struttura di riferimento familiare. L’esercizio della responsabilità genitoriale sembra essere gestito da un genitore supercomprensivo o  “genitore-bambino” in difficoltà rispetto alla gestione dei passaggi delicati che caratterizzano la crescita dei figli, in un rapporto che vede il potere dell’adulto e del bambino confondersi. E’ forte il ricorso di delega alla scuola, alle altre agenzie educative e agli esperti; nel contempo vi è una "crisi della delega" in quanto la richiesta di aiuto si ridefinisce nella pressante pretesa di soluzioni immediate, spesso rancorose o magiche e rigidamente orientate agli esiti dei richiedenti stessi.

     2. Le nuove devianze minorili, le neuroscienze e la giustizia riparativa

    Il fenomeno della devianza giovanile ha subito nell’ultimo ventennio una profonda trasformazione che ha riverberato i suoi effetti sulla qualità dell’atto deviante e il contesto di provenienza più che sugli aspetti quantitativi. Quanto al tasso di criminalità minorile l’Italia, infatti, continua ad occupare gli ultimi posti in Europa. Una riflessione attenta, nel tentativo di definire le nuove forme di devianza minorile, deve cogliere gli elementi di novità muovendo dal basso, e cioè dall’esperienza concreta.

    Vengono in mente le segnalazioni che arrivano al Tribunale per i Minorenni, che da una parte ci mostrano nuove forme di devianza legate alla tecnologia, dall’altra comportamenti connotati come illeciti e reati che cambiano rappresentazione. Si evidenziano, innanzitutto, le irregolarità della condotta tradizionali: fughe da casa, abbandono scolastico, sessualità disordinata o anticipata, bullismo, atti vandalici, vagabondaggio, ubriachezza, gioco d’azzardo, appartenenza a contesti di criminalità, assunzione di sostanze stupefacenti e spaccio. A queste si affiancano comportamenti quali: prostituzione minorile, ludopatia, dipendenza da internet/smartphone o da farmaci, sexting, abusi sessuali di gruppo, blue whale, tagli sul corpo, violenze ai danni dei genitori, lancio di sassi dal cavalcavia. I giovani sono ingurgitati dai social e dalla rete attraverso i quali diventano spesso vittima del loro falso sé. Si sono affermate così particolari tipologie di devianza: dal revenge porn alle incursioni dei “nuovi bulli”, il branco di minorenni che si accanisce con crudeltà sulla vittima, filmando i momenti essenziali dell’aggressione (che finiscono puntualmente sul web). Il disagio, che investe i giovani di estrazione sociale medio/alta, oltre che i ragazzi tradizionalmente “deprivati”, si manifesta anche nella diffusione di giochi di morte o atti autolesionistici in relazione ai quali il malessere, l’emulazione e la richiesta di aiuto si si confondono pericolosamente.

    Le criticità della condizione minorile sono ulteriormente aggravate dal sensibile incremento dei disturbi dello sviluppo (dislessia, disturbi del linguaggio o del comportamento), delle patologie psichiatriche e del disagio psichico degli adolescenti[5].

    Una lettura delle nuove forme di devianza minorile, strettamente collegate alla crisi della famiglia, non può prescindere dall’approfondimento di alcune questioni cruciali. Occorre, infatti, rivolgere l’attenzione a modelli e ruoli educativi al fine di stabilire se l’oggetto del desiderio mimetico dei giovani possa essere adeguatamente soddisfatto dalla “famiglia narcisista”.

    Alcuni reputano che l’accresciuta capacità tecnologica (informatica e telematica) degli adolescenti sia il segno di una sorta di precocità sociale della devianza minorile, giungendo alla conclusione che la soglia di punibilità - coincidente con il compimento del 14° anno di età - andrebbe abbassata. Tale sillogismo, in realtà, è ampiamente confutato e contraddetto dalle ricerche in campo psicosociale che dimostrano come i giovani adolescenti di oggi siano poco maturi, non recepiscano il disvalore di determinate azioni e incontrino difficoltà enormi dal punto di vista relazionale, emotivo o affettivo.

    Varie sono le teorie e le linee di pensiero in questo ambito. Le neuroscienze ci dicono che dalla preadolescenza ad oltre i 20 anni il cervello va incontro a un aumento della mielinizzazione, migliorando così l’efficienza della conduttività neurale. Le funzioni esecutive, e cioè l’organizzazione dei pensieri, il controllo degli impulsi e la valutazione delle conseguenze delle proprie azioni, sono fortemente correlate alla nozione di imputabilità: man mano che il lobo frontale si sviluppa, il soggetto acquisisce la capacità di controllare la propria impulsività. A quattordici il lobo frontale e le funzioni esecutive non sono ancora formate, quindi il minore non è in grado di capire quando fermarsi, mentre sono sviluppate le funzioni sotto-corticali legate all’impulsività. Dai quattordici ai diciotto anni, invece, sopraggiunge una valutazione soggettiva poiché si ha la maturazione completa delle aree cerebrali, che non è uguale per tutti i soggetti (Mian-Mantovan, 2016)[6].

    Le immagini della risonanza magnetica del cervello, arricchite dalle nuove metodologie di esplorazione (risonanza magnetica funzionale e magnetoencefalografia), confermano che negli adolescenti cosiddetti devianti l’area del lobo frontale non è adeguatamente sviluppata. Alcune teorie ci parlano di varianti genetiche associate al comportamento antisociale del minore (si pensi al c.d. “gene guerriero”)[7] e di anomalie genetiche “predittive” la cui conoscenza diventa utile per calibrare al meglio l’intervento socio-ambientale, limitando o riducendo il rischio di devianza e/o di recidiva. Di indubbio interesse il ruolo dell’epigenetica che mette in crisi le teorie deterministiche e presenta importanti possibilità applicative nel contesto della giustizia minorile, essendo quest’ultima fisiologicamente abituata a costruire percorsi individualizzati e ad anticipare l’evoluzione delle prassi innovative in ragione della sua estrema versatilità. Gli ambiti di interazione tra neuroscienze e diritto minorile, in minima parte già sperimentati, sono diversi: 1) la ricerca scientifica sulle new addictions; 2) la capacità di discernimento e l’imputabilità del minore; 3) la valutazione delle capacità genitoriali. In tutti questi casi l’interesse minorile è rivolto soprattutto alle nuove tecniche di neuroimaging, agli studi epigenetici e alla genetica comportamentale. Si aggiungano le questioni, non meno rilevanti, concernenti le competenze cognitive della persona minore di età e il rapporto tra mente e linguaggio (Muglia, 2019)[8].

    A questo punto rimane da comprendere se, in che termini e con quali strumenti sia possibile contrastare le nuove devianze giovanili, muovendo dal presupposto che l’unico valido approccio che, ad oggi, è riuscito a conseguire risultati apprezzabili è rappresentato dalla giustizia riparativa. In questa direzione, riteniamo che nessun approccio possa essere di per sé esaustivo se non tiene conto del contesto familiare e sociale in cui il minore è inserito. Per la tutela dell’adolescente deviante è essenziale investire sulla fiducia nella sua ripresa maturativa, sostanziata da progetti riabilitativi che mantengano la centralità del recupero delle capacità pensanti e simboliche, anche della sua stessa famiglia. La funzione del comportamento deviante assume le forme di una richiesta di aiuto disfunzionale. Da qui l’importanza di cogliere la specifica valenza comunicativa e relazionale del tipo di reato e di collocarne la ricerca di significato nella storia affettiva, familiare e sociale del minore.

    La giustizia riparativa, che investe sulla responsabilità e sul futuro, rappresenta il ponte tra due verità: la legge della norma e la legge soggettiva. Al fine di contenere il percepito di una comunità insicura e di una giustizia inefficace o ingiusta, essa si propone di restituire alle parti coinvolte il senso della propria dignità ed unicità, offrendo spazio, tempo e parola al conflitto e individuando, nel contempo, atti e atteggiamenti riparativi. La giustizia riparativa si prospetta cosi come una giustizia delle persone e delle relazioni, il cui elemento focale è la partecipazione attiva della vittima, dell’autore di reato e quanto più possibile delle altre parti (la comunità), così come affermato dalle direttive e raccomandazioni europee e delle Nazioni Unite (Patrizi, 2019)[9]. Perno centrale di tale tipologia di giustizia è il senso di responsabilità, di solidarietà, la partecipazione e ancor di più la cura delle relazioni, attraverso le diverse funzioni riparative; si pensi alla mediazione, per esempio, ma non solo. All’interno del paradigma della giustizia riparativa sono possibili diversi programmi e paradigmi, in funzione del contesto sociale, familiare, culturale di appartenenza (McCold, Watchel, 2003)[10].

    L’attività di mediazione, oltre che un metodo utile di risoluzione del conflitto, è un tassello importante che consente alla vittima di dare forma e voce alle istanze di cui è portatrice, manifestando anche il carico di sofferenza personale. E’ indubbio, altresì, che la mediazione penale, espressione tipica della cosiddetta giustizia delle emozioni, sia divenuto uno strumento educativo efficace capace di contenere in percentuali minime il rischio di recidiva del minore autore di reato (Muglia et al., 2016)[11]. Come se fosse una prima opportunità di ristabilire un contatto emotivo con l’esito dei propri gesti e con la storia che ne discende: prima opportunità proprio in quanto la vita del ragazzo fino a quel momento, come abbiamo visto, si svolge in una sorta di distacco dal mondo delle emozioni.

    Il progetto di messa alla prova è sostanzialmente un dettagliato programma trattamentale, elaborato in maniera individualizzata per ciascun minore, basato sulla sua interazione con le figure parentali adulte di riferimento e con le risorse educative e formative dell’ambiente di provenienza (Patrizi, 2019). Il coinvolgimento del nucleo familiare fa emergere in prima battuta alcune dinamiche relazionali che, se approfondite, danno spazio ad una migliore comprensione del disagio di quel minore in quello specifico contesto. Vengono alla mente genitori che giustificano la condotta del proprio figlio, altri che la disconoscono, genitori poco collaborativi, e ancora genitori distratti da altri figli con problematiche sanitarie importanti, genitori concentrati sul conflitto di coppia. E allora, rispondere alle sollecitazioni di questi minori rappresenta, per tutti noi, un’opportunità. Rappresenta per le famiglie un’occasione di crescita.

    La formulazione da parte dell’autorità giudiziaria, nell’ambito del progetto di messa alla prova, di prescrizioni mirate sia allo sblocco del processo maturativo del minore che al recupero della funzione genitoriale, attraverso l’applicazione degli interventi tipici del T.M. in sede amministrativa e/o civile, realizza di fatto, piuttosto che una funzione sanzionatoria o arresa ad un’immaturità difficilmente risolvibile, un’autorevole chiamata in causa dei servizi specializzati e dei genitori stessi per la loro emancipazione da una dimensione involutiva. Questa valorizzazione viene a costituirsi come sviluppo vitale allo stesso processo di cambiamento del minore deviante per l’importanza che assume, in questa fase di vita, l’interazione tra mondo esterno e mondo interno, nel quale il ripristino di buoni soggetti genitoriali interni (Bowlby, 1989)[12] rimane una funzione irrinunciabile per la crescita del minore, non solo nella sua dimensione attuale ma anche in quella transgenerazionale.

    La messa alla prova all’interno del processo penale, se non coinvolge in maniera attiva l’intero nucleo familiare, tende ad avere risultati parziali, con il rischio di recidiva quando il minore rientra nel sistema familiare o quando vengono meno i supporti esterni. Il processo penale minorile, che realizza il suo scopo ed il suo significato nella capacità di rispondere alle esigenze educative riabilitative dell’imputato/indagato minorenne, si pone anche mediante specifici istituti come potenziale ambito di intervento psico-socio-educativo capace di promuovere l’evoluzione della personalità in formazione dell’adolescente e, nel contempo, di sostenere la funzione genitoriale in crisi di fronte alle difficoltà maturative del figlio all’interno di un contesto ambientale sempre più fluido. Solo il trattamento elaborativo di entrambi rende possibile una prognosi favorevole in merito all’educazione dell’imputato minore ed alla conseguente riduzione del rischio di recidiva.

    E’ stato correttamente evidenziato, in proposito, che la correlazione tra il significato dei miti e dei segreti familiari che ruotano intorno ad eventi traumatici non-elaborati della storia familiare e trangenerazionale e la tipologia dei reati commessi dai figli adolescenti inducono fortemente a riflettere sulla necessità rielaborativa di tali dinamiche intrafamiliari, affinché i genitori con adeguato supporto possano recuperare le funzioni che sono loro proprie di «generare amore, contenere la sofferenza depressiva, infondere speranza e pensare, piuttosto che trasmettere ansia persecutoria e seminare disperazione» (Meltzer-Harris), per le difficoltà di fornire il supporto allo sviluppo mentale del figlio (Zappia et al., 2012)[13].

    E’ chiaro, quindi, che sia quanto mai necessaria la partecipazione dei genitori del minore al progetto educativo predisposto in sede giudiziaria e che si debba prevedere un loro coinvolgimento diretto anche in caso di messa alla prova. E’ evidente poi che, laddove si tratti di reati commessi dal minore ai danni di uno o entrambi genitori, risulti di fondamentale importanza attivare un intervento specifico di mediazione penale e/o di terapia familiare.

     3. I reati intrafamiliari degli adolescenti

    Come detto, la complessità delle dinamiche familiari è accompagnata dal crescente aumento di alcune tipologie di reato: la violenza reiterata di giovani adolescenti ai danni dei propri genitori, con denunce e processi in progressivo aumento. Se, infatti, si analizzano i dati che riguardano i soggetti in carico ai Servizi Minorili si avrà modo di verificare che si è passati da 314 maltrattamenti in famiglia nell’anno 2015[14] a 569 delitti contro la famiglia nell’anno 2019[15]. Basti pensare che nell’anno 2010 i maltrattamenti in famiglia dei minori in carico all’USSM erano appena 120[16]. Le violenze familiari degli adolescenti, caratterizzate spesso da pressioni dirette ad ottenere denaro per acquistare sostanze e beni o per accedere a divertimenti, sono riconducibili principalmente all’esasperazione di conflitti familiari. Unitamente ai maltrattamenti i genitori denunciano altri gravi reati commessi nei loro confronti dai figli minori: estorsione, violenza privata, sequestro di persona, rapina impropria. 

    Tra questi nuovi adolescenti ci sono anche i figli delle buone famiglie, "le famiglie della porta accanto". Nuovi adolescenti che in un rapporto apparentemente pacificato col mondo: “viviamo in un tempo di guerra mascherato da un tempo di pace” (De Gregorio, 2019)[17]crescono interfacciandosi con difficoltà sconosciute alla generazione precedenti. Figli che hanno una lenta transizione alla vita adulta, dove l'adulto stenta a chiedere ma è proteso a dare. "A mio figlio non è mancato mai nulla", siamo soliti sentirci ripetere nei nostri contesti istituzionali. Figli che crescono in un mondo familiare caldo, attratti da un esterno che risulta freddo, un fuori che chiede e non vuole dare. La crescita, lo svincolo[18], preannuncia confronti, fatiche, sconfitte e dolore... meglio temporeggiare, ma "non c'è tempo". La proposizione di un sé adulto preme. Il divario tra il sé ideale e reale (James, 1980)[19] è ampio e pone le basi per severi inciampi e aree tensive. Sono spariti i riti, carichi di aspetti simbolici, che scandivano e davano significato al tempo, ai passaggi, alle appartenenze... La transizione al mondo del giovane adulto è sempre più spesso sostenuta solo dai pari.  Più complessa, più ibrida, ondeggia tra un essere nel mondo riconosciuti come degli adulti e, al contempo, "ancora bimbi in casa". Lo scontro generazionale è più fievole, per i genitori troppo doloroso, meglio accontentare.... "in fondo, in casa, sono bravi ragazzi, figli modello". Ma la tensione allo svincolo si fa intensa e in questi ragazzi abituati alle scorciatoie, ai pretesti. L'evento violento che offre l'illusione di un passaggio magico può essere a portata di mano. Un gesto violento, un reato estremo può irrompere nel tentativo di condensare il malessere e il conflitto tra istanze evolutive e involutive, facendo credere ad una "via d'uscita" miracolosa, un balzo istantaneo (Grimoldi, 2006)[20].

    Le denunce dei genitori, ne sono il chiaro esempio gli ultimi fatti di cronaca, finiscono per assumere una duplice funzione: pongono un confine chiaro al comportamento violento del figlio, ma di fatto delegano l’autorità all’esterno, abdicando al ruolo di riferimento che dovrebbe costituire il perno essenziale di qualsiasi unità familiare. La domanda di aiuto latente, se fatta emergere, può costruire la domanda che produce l’intervento. In questi ragazzi, e nelle rispettive famiglie, manca una solida struttura del sé e/o un’identità fondata sull’appartenenza.

    A partire da alcune riflessioni relative alla configurazione di nuovi reati o all'aumento di alcune tipologie di reati, abbiamo provato a collegare lo scenario che si muove "nell'area penale" ai profondi cambiamenti avvenuti, e tutt’ora in corso, nella società odierna. Trasformazioni del contesto sociale dove, non tanto, si palesa una maggiore violenza, ma una violenza che genera forte preoccupazione, che assume forme peculiari e include altri attori. L'accelerazione dei processi di cambiamento tecnologici e delle transizioni che si attivano e si succedono incidono sulla nostra quotidianità, sui nostri tempi di vita, sulle relazioni interpersonali e sulle relazioni fra le generazioni. E’ "quella di oggi" una dimensione particolare e nuova, che chiede una comprensione complessa, l'attivazione di strategie idonee e una tempistica congrua per affrontare situazioni problematiche inedite. Il rischio è di affrontare il nuovo, o le nuove forme di devianza, avvalendosi di visioni statiche che ripropongono logiche "in cerca di sicurezza e protezione" attraverso risposte datate o solo pragmatiche e urgenti. Siamo pervasi da un sentire comune che preme e legittima comportamenti a loro volta violenti, che sostiene la diffidenza, il conflitto e l'isolamento sociale.

    Le istituzioni hanno tempi lenti per il cambiamento: uscire dalle logiche difensive sia come servizi che come professionisti non è sempre facile e, se i minori e i giovani adulti che attraversano i nostri ambiti di intervento sono sempre meno comprensibili e le loro sofferenze meno decifrabili, è evidente che i nostri codici di riferimento e le nostre procedure operative siano messe in crisi. Una crisi dalla quale, però, è possibile cogliere l'aspetto evolutivo e rilanciare la competenza, una crisi che nel metterci in discussione, al contempo, ci sollecita a tentare un salto di livello professionale, a sentirci " chiamati" a trovare visioni e strategie meno abituali, a soffermarci sull'atto violento e sulla ricaduta di sofferenza. Laddove il pensiero declina rispetto ad un bisogno di agito sempre più veloce e lineare, proviamo ad interrogarci sui nostri interventi, sulle nostre sovrapposizioni e disarticolazioni, a fermare il flusso di percorsi frammentati, connessi alla moltiplicazione degli interventi settoriali e delle agenzie di cura. Laddove l’esperienza dei ragazzi è deprivata dell’apporto emotivo, a noi sta soffermarci e utilizzare a pieno la nostra parte emotiva per poterla trasmettere ed essere da stimolo anche al ragazzo e alla sua famiglia. E' utile recuperare il significato dell'atto violento all'interno del suo contesto d'insorgenza, coglierne l'eco di rimando. Al contempo, riconsiderare la famiglia, il territorio e la comunità sociale quali risorse atte ad attivare percorsi inclusivi e riparativi. Ad aver cura dei legami.

    Difficile comprendere le motivazioni e i perché di un giovane che si costruisce un'identità criminale, che perpetua comportamenti violenti, che si palesa attraverso atti distruttivi o che si diverte a" far male" in gruppo. E ancora, farsi una ragione dei reati privi di senso, dove prevale l'assoluta gratuità del gesto violento, come nel gioco del lancio dei sassi dal cavalcavia.  La visione della sofferenza come spettacolo, l'aumento dei crimini ad opera di bambini, i giochi fra ragazzi, " ... Dove chi vince: ... vince la Morte."

     4.Cosa dicono i nuovi reati? Oltre la maschera

    Occorre domandarsi, a questo punto, cosa ci dicono i reati degli adolescenti di oggi, muovendo dal presupposto che l’atto deviante è il sintomo di una comunicazione e di una relazione disfunzionale.

    Nel tempo si sono succedute varie teorie esplicative, alcune falsificate, altre che resistono o coesistono ancora oggi. Non abbiamo la pretesa di dare risposte ma di impegnarci in uno sforzo di riflessione necessario per avvicinarci e comprendere maggiormente questi nostri giovani. E' facile pensare i giovani autori di reato come degli irriducibili, dei sadici, degli inconsapevoli, dei delinquenti nati. Queste definizioni ci catturano e ci seducono. Danno ragione all'inspiegabile e lasciano "fuori da noi ", l'inquietudine di "sentirli" parte della nostra umanità. 

    Facciamo uno sforzo, cerchiamo di comprendere di più dei disagi e delle derive andando oltre le maschere.... le maschere dei mostri e dei folli. Comprendere la genesi della violenza e dei comportamenti crudeli significa, prima di tutto, riuscire a togliere la maschera della semplificazione che ci conduce a localizzare il negativo in un'area o a trovare una causa certa che ci permetta di prendere fiato. Illudendoci così di evitare i danni, eliminandone l'origine, così come nell'Immagine dell'Arcangelo Michele che sconfigge il Male allontanandolo con la spada. L'icona della Giustizia con la spada fa parte di una risposta antica, radicata che si ripropone offrendo sollievo immediato al nostro senso di equità e aprendoci alla speranza della sconfitta del male. Ma la giustizia in questa accezione fallisce perché si propone di tagliare e separare l’inseparabile ed è sempre a rischio di ingiustizia, essendo pervasa dal senso di onnipotenza.                                                        

    Questo pensiero non significa adattarsi impotenti alla "naturalità del Male", alla sua immanenza, altrimenti, come dice il Manzoni: "… non resta che far torto o patirlo".  (Manzoni A., 1822)[21] Significa raccogliere la sfida con modestia, interrogarci e cercare di comprendere il possibile, il sottotraccia, l'invisibile.                                                  

    Chiediamoci allora: cosa ci dicono i nuovi reati?

    Proviamo a dotarci di uno sguardo sciamanico e ad andare oltre, oltre i nascondimenti, proviamo a cambiare l'angolazione della nostra osservazione e stare nella complessità. Vedere il reato, quel reato, e cosa ci rappresenta nella sua valenza comunicativa e simbolica in quel contesto. Dobbiamo abitare uno spazio né semplice né semplificabile. Avvicinarci e provare a ipotizzare quale funzione svolge quel gesto delittuoso all'interno di quel sistema-famiglia e di quel contesto sociale. Quale la specifica valenza comunicativa e relazionale, aprendo ambiti conoscitivi della storia affettiva del suo autore. Quali legami, quale appartenenze, quali lealtà invisibili lo vincolano? Vale la pena includere la relazione con il contesto in cui il reato si è espresso e costruito. Chiediamoci allora, non solo cosa nascondono i reati di oggi, ma cosa ci dicono della storia delle persone, della nostra società e... dei nostri Servizi. Proviamo a dare un senso a questi comportamenti perturbanti, non perché siamo buonisti, ma perché semplicemente le nostre professioni ci chiamano a sostenere, anche in aree diverse, percorsi di riscatto, di recupero, di riparazione. Ad avere attenzione nel garantire percorsi di responsabilizzazione che guardano alle conseguenze e investono nel futuro. Percorsi di tutela, di emancipazione, di trasformazione e per questo di cura.

    La nuova cultura educativa produce una fragilità dei confini e rende evanescente la sorveglianza interna. Quale significato aggiunto assume la nuova cattiveria che sta prendendo sempre di più la scena? Quale la maschera indossata dai giovani nel nostro tempo odierno? La linearità della genesi della cattiveria ci seduce sempre nel leggere le imprese di questi giovani, importanti elementi di criticità ci catturano ma, se ci soffermiamo, ci accorgiamo del loro essere conferme parziali, in relazione all'interrogativo del "come è potuto accadere ciò?" All'interno dell'accadimento si affacciano infatti una varietà di elementi di contesto, di storie, di narrazioni, di concatenazioni di fatti, di relazioni, di processi.

      Se allarghiamo lo sguardo, se ci addentriamo scopriamo anche:

    • La forza e il potere della cultura del contesto e delle sue regole. Dove l'obbedienza "all'appartenenza", la lealtà al gruppo, gli automatismi "del fare" possono eclissare la persona nel ruolo e corrodere la responsabilità individuale. Dove il rischio è l'assimilazione e l'obbedienza cieca. Con tutte le sfumature possibili, l'analisi di questi processi ci aiuta a dar ragione di alcuni fenomeni di delinquenza minorile che nascono ad esempio all'interno di gruppi, non solo di criminalità organizzata.
    •   Il significato che assume "la distanza" tra il soggetto e la sua azione e la distanza tra i soggetti stessi, dove l'altro si slatentizza divenendo sempre più anonimo, effimero.... virtuale, se non un nemico o un capro espiatorio.
    • Il bisogno dell'ascolto, del riconoscimento e della valorizzazione come persone.
    • L'emergere dei figli "non visti" perché invasi dalle aspettative e dalle emozioni dei loro genitori; figli alienati o figli ingombranti, uccisi perché "carichi troppo faticosi, figli che pretendono spazio, che piangono di notte…" o strumenti eccellenti, per vendicare ferite intollerabili.

    "Reati e carriere devianti" (G. De Leo et al., 2004)[22] come atroci giochi di un destino avverso, avviati e nutriti dalla "cultura" di questi nostri anni che ha eroso il valore dei legami e della vicinanza, dove la responsabilità negativa è postata "sul fuori da noi ". Genitori non più umiliati di fronte alle prepotenze dei propri figli, ma arrabbiati e offesi perché ... sentono i figli non compresi, non giustificati. Spesso, come operatori, ci troviamo testimoni della meraviglia della famiglia, che vede il figlio coinvolto in un reato, come un evento impensabile in un qualcosa di impensabile: "mio figlio non è questo".

    A questo punto, se crediamo alle maschere, abbiamo: il ragazzo solare che si trasforma in un mostro incomprensibile o in un folle. Se vediamo “oltre”, possiamo ricondurre l'evento mostruoso o il disagio alla difficoltà peculiare di quella famiglia, di quel giovane... di quel contesto allargato. Possiamo provare a comprendere che nesso possa esserci tra una violenza, un matricidio, una molestia inferta o subita ... con una rappresentazione irrisolta rispetto la propria dimensione di crescita o ancora che relazione ci possa essere, ad esempio, nei confronti di un contesto familiare ossessivamente richiedente o intriso di un celato abbandono. O quale splendido contenitore esplosivo possa essere un figlio/a per dei genitori impegnati in severe e laceranti istanze conflittuali.

    Ma l'adolescenza deflagrante, al sevizio del compito evolutivo, dell'espressione del dolore e del disagio fallirà ancora una volta se i servizi e i professionisti che la avvicinano non sapranno "sostare" nella sofferenza, nel disagio, nell'incertezza e nell'ambiguità del comprendere e per questo, o proprio per questo, vedere oltre. Oltre le semplificazioni delle visioni lineari e delle risposte veloci. Un atto mancato, un'opportunità persa, ancora una volta, se non sapremo allearci in visioni integrate, recuperare, riparare, dare voce ai bisogni silenti, far emergere emozioni, pensieri e immagini celate.

    Il reato, allora, come segno - maschera di un malessere non intercettato, di un bisogno intrappolato e al contempo di una ricerca estrema di aiuto ci investe e ci allerta, quali operatori dei sistemi di cura e dei contesti della giustizia, ad essere consapevoli che quando incrociamo questi giovani si delinea una traiettoria a effetto "sliding doors", perché, come è possibile avviare incontri responsabilizzanti per innescare processi trasformativi, è possibile, e facile, delineare percorsi volti a incistare maschere mostruose.

    *Tratto dal Seminario “L’evoluzione delle diverse forme di devianza e la crisi della famiglia: le nuove risposte possibili”, a cura di Associazione ARGO e Scuola Romana di Psicoterapia Familiare, Rende (CS), 16 novembre 2019. Vedi anche atti del IV° Convegno Nazionale di Psicologia Giuridica, 7-8-9 novembre 2019, Abstract, in www.convegnopsicologiagiuridica.it.

     [1]Cappelli T., Crisanti P., Donatiello G., Magrini F., Mariani N. & Propersi G., Intervenire sui figli, lavorare con le famiglie, in Quaderni della Rivista di Psicologia Clinica, 1, 2019.

     

    [2]Manca M., Generazione hashtag. Gli adolescenti disconnessi, Alpes Italia, 2016.

    [3]Giovagnoli, F., Alcune riflessioni sul concetto di famiglia, in Quaderni della Rivista di Psicologia Clinica,1, 2012.

    [4]Carli, R., Controllo e diffidenza, in Rivista di Psicologia Clinica, 2, 2018.

    [5]Per un approfondimento Benzoni S., Nuove forme della sofferenza psichica in adolescenza: tra vecchi problemi e nuove sfide, in Minorigiustizia, Franco Angeli, n. 2, 2019.

    [6]Mian E. - Mantovan G., Le nuove frontiere dell’imputabilità. Neuroscienze e processo, libreriauniversitaria.it edizioni, Padova, 2016.

    [7]Vedi sul punto Pellegrini S., Il ruolo dei fattori genetici nella modulazione del comportamento: le nuove acquisizioni della biologia molecolare genetica, in Bianchi, Gulotta, Sartori, Manuale di neuroscienze forensi, Giuffrè, Milano, 2009.

    [8]Muglia L., Adolescenza, (im)maturità, neuroscienze: gli scenari futuri tra nuove conquiste e imbarazzanti paradossi, in Minorigiustizia, Franco Angeli, n. 2, 2019.

    [9]Patrizi P., La giustizia riparativa. Psicologia e diritto per il benessere di persone e comunità, Carrocci Editore, 2019.

    [10]McCold P., Wachel T., In Pursuit of Paradigm: A Theory of a Restorative Justice, Paper presented at the XIII Word Congres of Criminology, Rio deJaneiro, 2003.

    [11]Muglia L., Fabrizio L., Calabrese B., Mercantini A., Costabile A., Gli effetti della mediazione nella giustizia minorile: alcuni risultati provenienti dalla ricerca in Calabria, in Minorigiustizia, Franco Angeli, n. 1, 2016. La ricerca dimostra che in caso di esito positivo della mediazione il tasso di recidivanza è bassissimo (3%), confermando, altresì, che la recidiva è meno probabile allorquando il minore inserito in un progetto di messa alla prova acceda anche ad un programma di mediazione.

    [12]Bowlby J., Una base sicura. Applicazioni tecniche alla teoria dell’attaccamento, Raffaello Cortina, 1989.

    [13]Il trattamento dei minori sottoposti a messa alla prova: griglia per i servizi psico-sociali, a cura di un Gruppo di lavoro del Tribunale per i Minorenni di Milano coordinato da Anna Zappia (Giudice per le Indagini Preliminari), composto da Marina Episcopi, Marina Gasparini, Luca Massari, Joseph Moyersoen e Roberto Paganini (Giudici Onorari), in Cassazione penale, Giuffrè Editore, n. 05/2012.

    [14]Analisi dei flussi di utenza dei Servizi della Giustizia Minorile (Anno 2015), Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità, Ufficio I, Servizio Statistica, Roma, giugno 2016.

    [15]Minorenni e giovani adulti in carico ai Servizi Minorili. Analisi statistica dei dati (15 dicembre 2019), Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità, Ufficio I, Servizio Statistica, Roma, 17 dicembre 2019.

    [16]Analisi statistica dei dati relativi agli Uffici di Servizio Sociale per i Minorenni (Anni 2010-2011), Dipartimento Giustizia Minorile, Ufficio I, Servizio Statistica, Roma, maggio 2013.

    [17]De Gregorio C., Viviamo in un tempo di guerra mascherato da un tempo di pace, 2019.

    [18]Bowen M., Dalla famiglia all’individuo, Roma, 1974.

    [19]James W., Principi di psicologia, Edizioni Libraia, Milano, 1980.

    [20]Grimoldi M., Adolescenze estreme, Feltrinelli, Milano, 2006.

    [21]Manzoni A., 1822 Adelchi, Bur.

    [22]De Leo G. et al., L'analisi dell'azione deviante, Il Mulino, Bologna, 2004.

     

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