GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Attribuzione al figlio del (solo) cognome materno (nota a App. Potenza, sez. civ., ord. 12 novembre 2021)

    Attribuzione al figlio del (solo) cognome materno (nota a App. Potenza, sez. civ., ord. 12 novembre 2021)

    di Maria Alessandra Iannicelli 

    Sommario: 1. Il caso. – 2. L’attribuzione del cognome al figlio. – 3. Gli orientamenti della giurisprudenza. – 4. L’opportunità di una soluzione legislativa.

    1. Il caso

    Nell’ordinamento italiano la vicenda del cognome familiare e, più precisamente, dell’attribuzione del cognome al figlio, può ritenersi una questione ancora tutta chiarire.

    Concorrono in tale direzione il vivace dibattito dottrinale, le insistenti e costanti pressioni della giurisprudenza, nonché il confronto con le esperienze statali europee[1].

    Il cognome – quale elemento costitutivo del nome unitamente al prenome, ai sensi dell’art. 6, comma 2, c.c. – non si limita ad assolvere una funzione pubblicistica preordinata a garantire la certezza delle relazioni giuridiche ed un ordinato vivere civile, quale espressione dell’interesse della collettività a poter identificare i propri componenti[2], ma ha anche e soprattutto una funzione privatistica, quale segno identificativo della discendenza familiare, finalizzata alla tutela dell’identità personale di ciascun individuo[3].

    A differenza del prenome, il cognome – oltre a svolgere una funzione identificativa – è dunque elemento che caratterizza il singolo in ambito sociale, poiché espressivo dell’identità della persona sotto il profilo della discendenza (biologica o affettiva). Motivo per cui il cognome, quale strumento idoneo non soltanto ad identificare una data persona ma anche a ricollegare ad essa una determinata identità, deve essere attribuito tenendo conto del fatto che ciascun individuo discende da una determinata coppia di genitori. Cosicché può affermarsi che ogni persona ha diritto non ad un cognome qualsiasi, ma a “quel” cognome che testimoni il legame con i genitori. E di conseguenza, che ciascuno dei genitori ha diritto a che il cognome del figlio testimoni tale legame[4].

    Nella fattispecie in esame, la Corte di appello di Potenza, con ordinanza del 12 novembre 2021, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 237, 262, 299 c.c. e 33 e 34 d.P.R. n. 396/2000, nella parte in cui non consentono ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, il solo cognome materno, per violazione degli artt. 2, 3, 29, comma 2, oltre che dell’art. 117, comma 1°, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritto dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).

    La questione di legittimità con riferimento alle norme suindicate è stata sollevata nell’ambito di un procedimento di reclamo avverso decreto del Tribunale di Lagonegro del 4 novembre 2020, con cui si dichiarava inammissibile il ricorso proposto da una coppia di coniugi che aveva richiesto, in via principale – previa disapplicazione della «norma consuetudinaria» che dava prevalenza al cognome paterno in quanto contra legem – che si ordinasse al proprio Comune di residenza di iscrivere il figlio presso i registri dello stato civile con il solo cognome materno (già proprio delle altre figlie, nate quando i ricorrenti non erano ancora coniugati, e riconosciute dalla madre per prima); iscrizione, invece, denegata dall’ufficiale di stato civile, il quale aveva registrato il neonato con il cognome di entrambi i genitori.

    In subordine, i ricorrenti chiedevano – ove si aderisse alla tesi della «natura legislativa» della norma in base alla quale il figlio assume il cognome del padre – che ne fosse sollevata la questione di legittimità costituzionale nella parte in cui prevede la prevalenza del cognome paterno e (per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 286/2016)[5] il doppio cognome in caso di accordo dei coniugi, residuando la preclusione di attribuire il solo cognome della madre.

    Il giudice di prime cure basava fondamentalmente la propria decisione sul rilievo che la «norma consuetudinaria» dell’attribuzione del cognome paterno al figlio nato in costanza di matrimonio potesse essere superata esclusivamente da un intervento legislativo, non potendo il giudice sostituirsi al legislatore in un ambito riservato a scelte di politica legislativa; inoltre, non poteva rimettersi la questione alla Corte costituzionale, non ravvisandosi profili di illegittimità nel vigente assetto normativo.

    Avverso il decreto del Tribunale di Lagonegro, i coniugi hanno proposto tempestivo reclamo.

    In primo luogo, i reclamanti si sono doluti della mancata disapplicazione della “regola del patronimico”, pur avendo essa natura consuetudinaria e non legislativa.

    La Corte di appello di Potenza ha ritenuto il suindicato motivo infondato.

    2. L’attribuzione del cognome al figlio

    Sebbene nel nostro ordinamento non esista una previsione normativa espressa in base alla quale al figlio (nato da genitori coniugati) è attribuito il cognome del padre, si tratta senza alcun dubbio di una regola operativa, osservata e fatta rispettare dalle istituzioni preposte. Ci si è allora interrogati in ordine alla natura di questa disposizione[6].

    Sull’alternativa tra norma consuetudinaria (fondata sulla risalente tradizione dell’attribuzione ai figli del cognome paterno) e norma implicita di sistema (presupposta da una serie di disposizioni regolatrici di fattispecie diverse), l’orientamento privilegiato dalla giurisprudenza prevalente aderisce alla seconda tesi[7].

    La soluzione elaborata dai giudici identifica una serie di previsioni normative, pur eterogenee e regolatrici di fattispecie diverse, dalle quali «si desume (…) l’immanenza di una norma che non ha trovato corpo in una disposizione espressa, ma che è pur presente nel sistema e lo completa» e che «si configura come traduzione in regola dello Stato di un’usanza consolidata nel tempo», alla stregua della quale «il cognome del figlio legittimo non si trasmette di padre in figlio, ma si estende ipso iure da quello a questo»[8].

    Le norme che, in combinato disposto fra loro, porterebbero a ritenere che esista una regola di sistema ovvero un principio desumibile da diverse disposizioni dell’ordinamento, conformi agli usi, in base al quale il figlio assume il cognome del padre, sono gli artt. 143-bis, 236, 237, comma 2, 262, 299, comma 3, c.c. nonché gli artt. 33, 34, d.P.R. n. 396/2000, sia pure con le rilevanti modifiche introdotte dalla riforma della filiazione[9].

    Secondo l’ordinanza della Corte di appello di Potenza in esame, la regola del patronimico desumibile dai suindicati articoli non è evidentemente suscettibile di una diversa interpretazione costituzionalmente orientata. Siffatta regola è infatti caratterizzata da «automatismo» e, d’altronde, la Corte costituzionale nel 2016 è intervenuta su analoga questione con sentenza di accoglimento: il che presuppone, appunto, l’impossibilità di una diversa interpretazione della norma denunciata.

    3. Gli orientamenti della giurisprudenza

    Con il secondo motivo i reclamanti si sono doluti del mancato accoglimento da parte del giudice di prime cure della eccezione di legittimità costituzionale della norma “implicita” di sistema in materia di attribuzione del cognome al figlio e ne hanno ribadito la rilevanza e la fondatezza.

    Secondo la Corte di appello di Potenza il motivo deve essere accolto e la controversia non può essere decisa indipendentemente dalla risoluzione della suddetta questione di legittimità costituzionale.

    A ben vedere, come sopra segnalato, la questione è analoga a quella sollevata dinanzi alla Consulta dalla Corte di appello di Genova nel 2013[10] ed accolta dalla Corte costituzionale con la suindicata sentenza n. 286/2016[11]. Mentre, in quel caso, era in esame la legittimità della regola del patronimico, ma limitatamente alla parte che non consentiva ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere “anche” il cognome materno, nella fattispecie qui considerata è invocato il diritto dei coniugi di attribuire concordemente al figlio “soltanto” il cognome della madre.

    Negli anni, la copiosa giurisprudenza in materia di attribuzione del cognome ha espresso orientamenti volti a corrodere progressivamente l’intangibile regola dell’attribuzione al figlio del cognome del padre[12]. È particolarmente indicativo come la Consulta, chiamata a pronunciarsi sull’automatica attribuzione al figlio del cognome paterno – dopo aver originariamente statuito, alla fine degli anni Ottanta[13], che la regola era rispondente all’interesse alla conservazione dell’unità familiare tutelata dall’art. 29 Cost. e profondamente radicata nel costume sociale come criterio di tutela della famiglia fondata sul matrimonio[14] – abbia manifestato, quasi un ventennio dopo[15], la consapevolezza di come la tematica in esame non sia avulsa dai profondi mutamenti culturali intervenuti nel corso degli anni. Pertanto, pur dichiarando inammissibile la questione prospettata, perché una decisione positiva avrebbe costituito una «operazione manipolativa» esorbitante dai poteri della Corte costituzionale[16], nel 2006 affermava espressamente che «l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna».

    Dopo circa un decennio dalla sentenza del 16 febbraio 2006, n. 61, la Corte costituzionale è tornata a pronunciarsi in materia di cognome del figlio con la nota sentenza sopra richiamata dell’8 novembre 2016, n. 286[17].

    In quell’occasione, la Consulta ha accolto la questione di legittimità costituzionale – sollevata dalla Corte di appello di Genova con riferimento agli artt. 2, 3, 29, comma 2, e 117, comma 1°, Cost.[18] – della norma “implicita”, desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 c.c. e dagli artt. 33 e 34 del d.P.R. n. 396/2000, nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di attribuire al figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno, prevedendo così l’automatica attribuzione del solo cognome del padre pur in presenza di una diversa volontà dei genitori.

    Il caso era nato dal rigetto della richiesta, presentata all’ufficiale dello stato civile, da una coppia di coniugi di nazionalità italo-brasiliana residenti a Genova, di poter registrare il proprio figlio – avente doppia cittadinanza – con il cognome di entrambi i genitori, considerato che il minore sarebbe stato identificato diversamente: in Italia, con il solo cognome del padre e, in Brasile, con il doppio cognome, paterno e materno.

    La pronuncia si è – purtroppo – rivelata parzialmente risolutiva, poiché l’attribuzione del cognome materno al figlio (non soltanto nato nel matrimonio ma anche a quello nato fuori dal matrimonio e a quello adottivo, considerato che la dichiarazione di illegittimità costituzionale si estende in via consequenziale alle norme di cui all’art. 262, comma 1, c.c. in caso di riconoscimento del figlio effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, e di cui all’art. 299, comma 3, c.c. in caso di adozione compiuta da entrambi i coniugi) è attualmente possibile soltanto in caso di comune accordo dei genitori e “in aggiunta” al cognome del padre automaticamente imposto.

    Nella controversia in esame, invece – ove si invoca il diritto dei coniugi di trasmettere concordemente il “solo” cognome della madre – la volontà dei ricorrenti nel giudizio di primo grado e, successivamente, reclamanti dinanzi alla Corte di appello di Potenza, coincide con la volontà espressa oltre venti anni fa da una coppia di coniugi milanesi, i quali, entrambi concordi e favorevoli ad attribuire alla propria figlia il solo cognome materno, si erano visti respingere la loro richiesta dalle autorità italiane, secondo la prassi che imponeva l’attribuzione automatica e senza eccezioni del cognome del padre ai figli nati nel matrimonio.

    I coniugi Cusan e Fazzo – desiderosi di onorare la memoria del nonno paterno, grande benefattore che aveva improntato la propria esistenza ad alti valori morali – adirono, pertanto, la Corte europea dei diritti dell’uomo che, nell’accogliere le richieste dei ricorrenti, ha evidentemente sollecitato l’apertura della strada al riconoscimento in Italia del diritto dei genitori di attribuire il cognome materno ai figli, pronunciando la storica sentenza del 7 gennaio 2014[19], con cui ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 («Diritto al rispetto della vita privata e familiare»)[20] in combinato disposto con l’art. 14 («Divieto di discriminazione»)[21] CEDU, a causa dell’impossibilità di derogare alla regola dell’attribuzione del cognome paterno ai figli anche laddove vi sia una diversa volontà concorde dei coniugi, ritenendo tale regola basata su una discriminazione fondata sul sesso dei genitori.

    Sebbene, nelle more del giudizio dinanzi alla Corte europea, i suindicati coniugi avessero ottenuto dal Prefetto di Milano – mediante il procedimento amministrativo di cui al d.P.R. n. 396/2000 – l’aggiunta del cognome materno a quello paterno per tutta la loro prole, tuttavia tale cambiamento non corrispondeva al desiderio iniziale degli stessi, i quali avrebbero voluto attribuire alla figlia il solo cognome della madre.

    La Corte EDU ravvisava, pertanto, nella prassi italiana il verificarsi di una discriminazione tra marito e moglie nell’esercizio del loro diritto di determinazione del cognome della figlia in quanto, pur trovandosi in una situazione simile (essendo padre e madre della bambina), erano trattati in maniera diversa: a differenza del padre, la madre non poteva attribuire il proprio cognome alla figlia. Questa distinzione, non poteva – ad avviso della Corte europea – giustificarsi in considerazione dell’interesse pubblico che ha lo Stato di preservare l’unità della famiglia mediante l’attribuzione automatica del cognome del padre a tutti i suoi membri. L’esigenza dell’unità familiare è insufficiente a giustificare una discriminazione siffatta; ne derivava, dunque, una violazione dell’art. 14 in combinato disposto con l’art. 8 CEDU[22].

    Non si può sottacere come, sia pure trattandosi di una coppia non coniugata, la medesima volontà di attribuire unicamente alla figlia minore il cognome della madre sia stata recentemente espressa da due genitori desiderosi di trasmettere il solo cognome materno (e non già, di aggiungerlo a quello del padre) per esigenze di eufonia, giacchè nella lingua tedesca il cognome della madre “suona” meglio di quello paterno.

    In questo caso, la Procura della Repubblica di Bolzano ha proposto ricorso, ex art. 95, d.P.R. n. 396/2000, al fine di ottenere la rettificazione dell’atto di nascita di una bambina i cui genitori non uniti in matrimonio, hanno concordemente espresso la volontà di attribuire alla minore unicamente il cognome della madre.

    Non potendo, nel caso di specie, procedersi ad una interpretazione orientata dell’art. 262, comma 1, c.c., sulla scorta della precedente sentenza della Consulta n. 286/2016, evidentemente inapplicabile, il giudice a quo ha dubitato della legittimità costituzionale del rigido automatismo di attribuzione del cognome paterno al figlio in caso di contestuale riconoscimento da parte di entrambi i genitori ex art. 262 c.c., non derogabile neppure in caso di concorde diversa volontà dei genitori di attribuire il solo cognome della madre.

    Secondo il Tribunale di Bolzano, siffatta disciplina sarebbe in contrasto sia con l’art. 2 Cost., sotto il profilo della tutela dell’identità personale, sia con l’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’eguaglianza tra uomo e donna; e violerebbe altresì l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, per mancato rispetto, da parte del legislatore statale, dei vincoli derivanti da obblighi assunti a livello internazionale.

    Ai fini della definizione del giudizio sollevato dal rimettente, il Collegio ha ritenuto di non potersi esimere dal risolvere pregiudizialmente la questione di legittimità costituzionale dell’art. 262, comma 1, c.c., nella parte in cui – in mancanza di diverso accordo dei genitori – impone l’acquisizione del solo cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i genitori, in ragione del rapporto di presupposizione e continenza tra la questione specifica dedotta dal Tribunale di Bolzano e la più ampia questione avente ad oggetto la generale disciplina dell’automatica attribuzione del cognome paterno. Pertanto, con ordinanza dell’11 febbraio 2021, n. 18[23], la Consulta ha sollevato dinanzi a sé la questione di legittimità costituzionale della suindicata disposizione, di cui si attende l’esito decisorio.

    La non manifesta infondatezza della questione pregiudiziale è – ad avviso della Corte – rilevabile nel contrasto della vigente disciplina, impositiva di un solo cognome e ricognitiva di un solo ramo genitoriale, con la necessità, costituzionalmente imposta dagli artt. 2 e 3 Cost., di garantire l’effettiva parità dei genitori nonché la pienezza dell’identità personale del figlio e di salvaguardare l’unità della famiglia[24]. Il dubbio di legittimità costituzionale che investe l’art. 262, comma 1, c.c., attiene anche alla violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU.

    Parimenti, con riferimento alla fattispecie qui in commento sottoposta a disamina dalla Corte di appello di Potenza, la questione di legittimità costituzionale della norma desumibile dalle disposizioni di cui agli artt. 237, 262, 299 c.c. e 33, 34 d.P.R. n. 396/2000, sollevata dai coniugi reclamanti, non può ritenersi manifestamente infondata. E infatti, la suindicata norma – ad avviso del collegio potentino – si pone innanzitutto in contrasto con l’art. 2 Cost., che tutela il diritto alla formazione dell’identità personale in maniera omogenea tra i figli e il diritto all’unità familiare. A tal riguardo, non si può sottacere che nel caso concreto la scelta dei genitori di attribuire il solo cognome materno al terzogenito non sia riconducibile ad un “capriccio”, bensì all’esigenza di tutelare l’interesse dei tre figli minori ad un armonico sviluppo della personalità e alla formazione dell’identità personale in maniera omogenea, contribuendo all’unità familiare mediante l’adozione del medesimo cognome. Seguendo il ragionamento del decreto impugnato, i reclamanti sarebbero stati costretti ad attribuire al terzogenito un cognome differente in ragione del matrimonio della coppia intervenuto successivamente alla nascita delle sorelle, riconosciute dalla madre per prima; in alternativa, avrebbero potuto dare anche alle prime due figlie il doppio cognome, con evidente pregiudizio per l’identità di queste ultime (in particolare per la figlia undicenne e, dunque, con identità pienamente formata nella comunità, innanzitutto scolastica). 

    Secondo la Corte di appello di Potenza, la regola del patronimico si pone altresì in contrasto con gli artt. 3 e 29, comma 2, Cost., poiché «…la diversità di trattamento tra i coniugi, in quanto espressione di una concezione patriarcale della famiglia e dei rapporti tra coniugi ormai superata, non è compatibile né con il principio di eguaglianza, né con quello della loro pari dignità morale e giuridica»[25].

    Anche in questo caso, il dubbio di legittimità della norma implicita di sistema in materia di cognome investe l’art. 117, comma 1 Cost. in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU risolvendosi in una discriminazione fondata sul sesso dei genitori e, comunque, in una ingiustificata compressione delle scelte familiari. A tal proposito, il collegio potentino richiama espressamente la sentenza della Corte EDU, Cusan e Fazzo c. Italia, nella parte in cui si afferma che l’impossibilità per i genitori di attribuire al figlio, alla nascita, il cognome della madre, anziché quello del padre, deriva da una lacuna del sistema giuridico italiano, per superare la quale «dovrebbero essere adottate riforme nella legislazione e/o nelle prassi italiane».

    La Corte di appello di Potenza, dunque, per violazione dei suindicati articoli della Costituzione, ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 237, 262, 299 c.c. nonché degli artt. 33 e 34 d.P.R. n. 396/2000, nella parte in cui non consentono ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, il solo cognome materno, ritenendo di non poter decidere la presente controversia indipendentemente dalla risoluzione della suddetta questione.

    In attesa che la Corte costituzionale si pronunci, non si può certo ignorare che l’esito di un giudizio volto ad erodere una regola[26] non consente di conseguire il medesimo risultato a cui perverrebbe, invece, il legislatore disciplinando in modo organico e sistematico la materia e ponendo, così, fine ad aporie e difficoltà interpretative[27].

    4. L’opportunità di una soluzione legislativa

    Un intervento legislativo volto a riformare una normativa obsoleta, che non tutela adeguatamente le istanze privatistiche connesse all’uso del cognome quale riflesso dell’identità personale e che tollera, ancora oggi, la vigenza di norme in cui il principio di parità tra i coniugi e, più generale, il principio di eguaglianza dei genitori risultano mortificati, appare quanto mai opportuno.

    Del resto, già quindici anni fa, anche la Corte di Cassazione[28] – pochi mesi dopo la nota pronuncia della Corte costituzionale del 16 febbraio 2006, n. 61[29] – segnalava espressamente la necessità di un intervento del legislatore, affermando che la sussistenza di una norma di sistema automaticamente attributiva del solo cognome paterno, oltre che retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, era in contrasto con le fonti sovranazionali, che impongono agli Stati membri l’adozione di misure idonee alla eliminazione delle discriminazioni di trattamento nei confronti della donna.

    Non resta dunque che confidare nel superamento dell’immobilismo legislativo italiano in materia di attribuzione del cognome ai figli affinché il nostro ordinamento si adegui alle legislazioni degli altri paesi europei che consentono l’attribuzione al figlio del cognome del padre e/o della madre, secondo un modello non solo aderente al disegno costituzionale, ma conforme ai principi convenzionali[30] e agli orientamenti giurisprudenziali europei ed italiani.

    L’ordinamento francese ha aperto alla possibilità che i genitori si esprimano anche per il doppio cognome[31], collocandosi evidentemente a metà strada tra la soluzione tedesca e quella spagnola, che ha fatto dell’imposizione ex lege del cognome secondo entrambe le linee genitoriali il cuore della propria tradizione[32].

    In Germania, invece, permane il rifiuto del cd. Doppelname e, pertanto, ai figli viene in ogni caso attribuito un unico cognome (ovvero quello del padre o della madre secondo la libera volontà dei genitori) oppure un cognome familiare comune (c.d. Ehename)[33].

    A ben vedere, le diverse soluzioni adottate in Europa[34] lasciano affiorare l’esigenza di creare in futuro un meccanismo unitario che, inserendosi nel solco del processo di armonizzazione del diritto europeo della famiglia, non ingeneri discriminazioni tra i cittadini appartenenti ai diversi paesi dell’Unione europea. Evidentemente, i tempi non sono maturi per una disciplina uniforme a livello europeo, il cui perseguimento – in ragione della diversa cultura e sensibilità dei legislatori nazionali – è senza dubbio caratterizzato da un iter lungo e complesso.

    Se, tuttavia, i tempi non sembrano tali da consentire la previsione di una disciplina uniforme in ambito europeo, alla luce delle brevi riflessioni sin qui svolte appaiono ormai mature le circostanze per approvare in Italia una legge in materia di attribuzione del cognome ai figli che si adegui alle normative vigenti in altri paesi europei ove – come sopra accennato – sia pure con soluzioni diverse, si è approdati ad un regime meno discriminatorio nei confronti della donna e più coerente con l’esigenza di tutelare il diritto all’identità personale del minore ad essere identificato sin dalla nascita anche con il cognome della madre[35].

     

    [1] In argomento, v. G. Passarelli, Note sulla attribuzione del cognome materno. Una questione (ancora de iure condendo), in Fam. dir., 2021, 551 ss.

    [2] Sul punto, v. A. Conti, Note intorno all’attribuzione del cognome paterno, in Giur. mer., 2011, p. 2392.

    [3] Superata la concezione pubblicistica che considera esclusivamente la finalità identificativa di ordine pubblico, è dato incontrovertibile che il nome – composto da prenome e cognome – sia il più rilevante segno distintivo della persona nella sua vita di relazione, attributo proprio dell’individuo, espressione delle sue qualità personali, la cui funzione identificativa attribuita dalla legge e preordinata alla tutela dell’identità personale è tutelata anche nei confronti dello Stato (art. 22 Cost.). A tal riguardo, si vedano M. Nuzzo, Nome, in Enc. dir., Milano, 1978, p. 304 ss.; L. Lenti, Nome e cognome, in Digesto IV, disc. priv., sez. civ., XII, Torino, 1995, p. 135 ss. e in Digesto IV, disc. priv., sez. civ., Aggiornamento, II, Torino, 2003, p. 928 ss.

    [4] In questi termini si esprime, condivisibilmente, M. Trimarchi, Diritto all’identità e cognome della famiglia, in Jus civile, 2013, p. 36.

    [5] Corte cost., 8 novembre 2016, n. 286, in Gazz. Uff., 1ª serie speciale, 28 dicembre 2016, n. 52; in Fam. e dir., 2017, p. 213 ss.; in Corriere giur., 2017, p. 165 ss.; in Nuova giur. civ. comm., 2017, p. 818 ss..

    [6] Sul punto, si segnalano in giurisprudenza numerose pronunce di merito: v. ex multis Trib. Lucca, decreto 1° ottobre 1984, in Dir. fam. pers., 1984, p. 1068; in Giust. civ., 1985, I, p. 876 e in Giur. mer., 1985, I, p. 288 (nel decreto si legge che: «è in base ad una consuetudine secolare, fondata sul regime patriarcale, che l’ufficiale dello stato civile attribuisce al figlio legittimo il solo cognome del padre»); Trib. Palermo, 17 marzo 1993, in Dir. fam. pers., 1994, p. 640; App. Milano, 4 giugno 2002, in Fam. dir., 2003, p. 173.

    In dottrina, v. A. Giusti, Il cognome del figlio legittimo di fronte alla Corte costituzionale, in Giust. civ., 1985, I, p. 1471 ss.; E. Pazè, Verso un diritto all’attribuzione del cognome materno, in Dir. fam. pers., 1998, p. 324 ss.; F. De Scrilli, Il cognome dei figli, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, II, Filiazione, Milano, 2002, p. 472 ss.; G. Grisi, L’aporia della norma che impone il patronimico, in Europa dir. priv., 2010, p. 649 ss.; G. Alpa e A. Ansaldo, Le persone fisiche. Artt. 1-10, in Il Codice civile. Commentario, fondato P. Schlesinger, diretto da F. D. Busnelli, 2ª ed., Milano, 2013, p. 405 ss.; M. Moretti, Il cognome del figlio, in G. Bonilini (a cura di), Trattato di diritto di famiglia, IV, Milano, 2016, p. 4078 ss.; C. Caricato, L’attuale normativa italiana in materia di attribuzione del cognome, in A. Fabbricotti (a cura di), Il diritto al cognome materno, Napoli, 2017, p. 9 ss..

    [7] In particolare, Cass. civ., sez. I, 26 maggio 2006, n. 12641, in Foro it., 2006, I, p. 2314 ss.; in Giust. civ., 2006, I, p. 1698 ss.; in Familia, 2006, p. 951 ss.; in Dir. fam. pers., 2006, p. 1649 ss.; in Fam. dir., 2006, p. 469 ss.; in Giur. it., 2007, p. 2198 ss..

    [8] Così, Cass. civ., sez. I, ord. 17 luglio 2004, n. 13298, in Foro it., Rep. 2004, voce Filiazione, n. 29; in Fam. dir., 2004, p. 457 ss.; in Dir. giust., 2004, 32, p. 27 ss.; in Europa dir. priv., 2005, p. 829 ss.. Nello stesso senso, anche la più recente Corte cost., 8 novembre 2016, n. 286, cit., ove si afferma espressamente che: «Non vi è ragione di dubitare dell’attuale vigenza e forza imperativa della norma in base alla quale il cognome del padre si estende ipso iure al figlio. Sebbene essa non abbia trovato corpo in una disposizione espressa, essa è presupposta e desumibile dalle disposizioni, regolatrici di fattispecie diverse, individuate dal rimettente (artt. 237, 262 e 299 c.c., 33 e 34 del d.P.R. n. 396/2000; nonché solo a fini esplicativi, art. 72, primo comma, del r.d. n. 1238 del 1939, abrogato dall’art. 110 del citato d.P.R.), e la sua perdurante immanenza nel sistema, come traduzione in regola dello Stato di un’usanza consolidata nel tempo, è stata già riconosciuta sia dalla giurisprudenza costituzionale, sia dalla giurisprudenza di legittimità».

    [9] L. 10 dicembre 2012, n. 219, recante «Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali», Gazz. Uff., Serie Generale, n. 293, 17 dicembre 2012 e d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, recante «Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’art. 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219», Gazz. Uff., Serie Generale, n. 5, 8 gennaio 2014.

    [10] App. Genova, sez. III, ord. 28 novembre 2013.

    [11] V. nota 5.

    [12] Per quanto riguarda la giurisprudenza nazionale di merito e di legittimità, v. ex multis: Trib. Bologna, decreto 9 giugno 2004, in Fam. dir., 2004, p. 441 ss., secondo cui «la doppia cittadinanza del minore legittima i suoi genitori a pretendere che vengano riconosciuti nell’ordinamento italiano il diritto e la tradizione spagnoli per cui il cognome dei figli si determina attribuendo congiuntamente il primo cognome paterno e materno»; Cass. civ., sez. I, 14 luglio 2006, n. 16093, in Giust. civ., 2007, I, p. 149 ss.; in Vita not., 2007, p. 203 ss.; in Fam. dir., 2006, p. 469 ss., ove si afferma che l’attribuzione al figlio del solo cognome paterno è antistorica oltre che in contrasto con le norme sovranazionali e si segnala, pertanto, la necessità di un intervento del legislatore; Cass. civ., sez. I, ord. 22 settembre 2008, n. 23934, in Fam. dir., 2008, p. 1093 ss.; in Foro it., 2008, I, p. 3097 ss.; in Dir. fam. pers., 2008, p. 1931; in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, p. 11 ss.; in Giust. civ., 2009, I, p. 2178 ss.; in Dir. fam. pers., 2009, p. 1074 ss..

    Con riferimento alla giurisprudenza europea, invece, v. in particolare: Corte di Giustizia UE, 2 ottobre 2003, causa C-148/02, Carlos Garcia Avello c. Belgio, secondo cui costituisce discriminazione in base alla nazionalità il rifiuto da parte dell’autorità amministrativa di uno Stato membro di consentire che un minore avente doppia nazionalità possa essere registrato con il cognome cui avrebbe diritto secondo le leggi applicabili nell’altro Stato membro, in Giur. it., 2004, 2009 ss.; in Fam. dir., 2004, p. 437 ss.; in Europa dir. priv., 2004, p. 217 ss.; Corte EDU, 16 novembre 2004, ric. n. 29865/96, Ünal Tekeli c. Turchia; Corte di Giustizia UE, 14 ottobre 2008, causa C-353/06, Grunkin e Paul c. Germania, in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, p. 268 ss.; in Corriere giur., 2009, p. 489 ss.; in Giur. it., 2009, p. 299 ss..

    [13] Corte cost., ord. 11 febbraio 1988, n. 176, in Rass. dir. civ., 1991, p. 190; in Foro it., 1988, I, p. 1811; in Giur. cost., 1988, I, p. 605; in Dir. fam. pers., 1988, p. 670; e Corte cost., ord. 19 maggio 1988, n. 586, in Dir. fam. pers., 1988, p. 1206; in Giust. civ., 1988, I, p. 1649.

    [14] Nella motivazione si legge che: «l’interesse alla conservazione dell’unità familiare, tutelata dall’art. 29 Cost., sarebbe gravemente pregiudicato se il cognome dei figli nati dal matrimonio non fosse prestabilito fin dal momento dell’atto costitutivo della famiglia».

    [15] Corte cost., 16 febbraio 2006, n. 61, in Foro it., 2006, I, p. 1673 ss.; in Giur. cost., 2006, p. 543 ss.; in Familia, 2006, p. 931 ss.; in Dir. giust., 2006, 10, p. 14 ss.; in Dir. fam. pers., 2006, p. 927 ss.; in Dir. comm. internaz., 2006, p. 341 ss.; in Giust. civ., 2006, I, p. 1124 ss..

    [16] Alla stessa conclusione perveniva la Consulta nel 2007, quando – chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 262, comma 1, secondo periodo, c.c., sollevata con riferimento agli artt. 2, 3 e 29 Cost., nella parte in cui, per il caso di contestuale riconoscimento del figlio operato da entrambi i genitori, anziché consentire ai genitori una scelta libera e concordata, dispone che il figlio assume il cognome del padre – dichiarava la questione manifestamente inammissibile, «poiché l’intervento richiesto, lasciando aperta una serie di opzioni riservate alla discrezionalità del legislatore, impone una operazione manipolativa esorbitante dai poteri della Corte costituzionale» (così, Corte cost., ord. 27 aprile 2007, n. 145, in Giust. civ., 2007, I, p. 1306 ss.).

    [17] V. nota 5.

    [18] V. nota 10.

    [19] Corte EDU, 7 gennaio 2014, ric. n. 77/07, Cusan e Fazzo c. Italia, in Foro it., 2014, IV, p. 57 ss.; in Dir. fam. pers., 2014, p. 537 ss.; in Fam. dir., 2014, p. 205 ss.; in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, p. 515 ss..

    [20] Ai sensi dell’art. 8 CEDU, rubricato «Diritto al rispetto della vita privata e familiare»: «1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».

    [21] Ai sensi dell’art. 14 CEDU, rubricato «Divieto di discriminazione»: «Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione».

    [22] La Corte ha condannato l’Italia, non in quanto la norma implicita sia di per sé in contrasto con la Convenzione europea, ma sulla base di una lacuna assiologica del sistema normativo italiano ovvero perché non prevede la facoltà di derogarvi anche laddove la volontà dei coniugi sia concorde (in francese la Corte usa, al paragrafo 81 della sentenza Cusan e Fazzo c. Italia, il termine più evocativo di «défaillance du système juridique italien»).

    [23] Corte cost., ord. 11 febbraio 2021, n. 18, in Gazz. Uff., 1ª serie speciale, 17 febbraio 2021, n. 7. A commento della pronuncia, v. M. N. Bugetti e F. G. Pizzetti, (Quasi) al capolinea la regola della trasmissione automatica del patronimico ai figli, in Fam. dir., 2021, p. 461 ss.; L. Olivero, Cognome dei figli: i rischi dell’autonomia e dell’alfabeto, in Giur. it., 2021, p. 1811 ss; E. Repetto, La trasmissione del cognome ai figli: fine di un’era?, in Familia, 2021, p. 544 ss..

    [24] Sin da epoca ormai risalente, la Consulta ha espressamente osservato che la prevalenza attribuita al ramo paterno nell’attribuzione del cognome non può ritenersi giustificata dall’esigenza di salvaguardia dell’unità familiare, poiché «è proprio l’eguaglianza che garantisce quell’unità e, viceversa, è la diseguaglianza a metterla in pericolo», in quanto l’unità «si rafforza nella misura in cui i reciproci rapporti fra coniugi sono governati dalla solidarietà e dalla parità» (così, Corte cost., 13 luglio 1970, n. 133).

    [25] Riprendendo le parole di Corte cost., 8 novembre 2016, n. 286, cit., par. 3.4.2.

    [26] In caso di accoglimento della questione, non si configurerebbe un vuoto normativo, ma la sola apertura all’accordo dei coniugi sulla scelta del cognome materno.

    [27] S. Troiano, Cognome del minore e identità personale, in Jus civile, 2020, p. 580, sottolinea «la fragilità di un quadro complessivo che affida la garanzia di diritti fondamentali e, al contempo dell’interesse pubblico all’identificazione delle persone, a regole basate sulle mutevoli letture degli interpreti e all’instabile contributo offerto da fonti normative sparse e, in buona misura, anche gerarchicamente sottordinate». A tal riguardo, un esempio significativo è dato proprio dalla sentenza della Corte costituzionale n. 286/2016, considerato che il Ministero dell’Interno aveva recepito il decisum di detta pronuncia con Circolare del 19 gennaio 2017, n. 1, limitandosi a stabilire che «l’applicazione della sentenza della Corte costituzionale è immediata… e che l’ufficiale dello stato civile dovrà accogliere la richiesta dei genitori che, di comune accordo, intendano attribuire il doppio cognome, paterno e materno, al momento della nascita o dell’adozione». Restavano, così, irrisolti i dubbi interpretativi originati dalla sentenza n. 286/2016 – applicabile dal giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ovvero dal 29 dicembre 2016 (Gazz. Uff., 1ª serie speciale, 28 dicembre 2016, n. 52) – in caso di richiesta concorde dei genitori di attribuzione al figlio del doppio cognome (a titolo esemplificativo: “Quale forma deve avere l’accordo dei genitori per l’attribuzione del doppio cognome: dichiarazione resa personalmente da entrambi i genitori o anche comunicazione scritta recante sottoscrizione autenticata? I cognomi devono attribuirsi secondo l’ordine prescelto dai genitori o il cognome della madre deve essere soltanto aggiunto a quello del padre e, quindi, sempre attribuito per secondo? E nel caso di accordo tra uno o addirittura entrambi i genitori che già recano un doppio cognome, si attribuiranno tutti o soltanto il primo dei due o uno dei due scelto discrezionalmente dai genitori?”).

    [28] Cass. civ., sez. I, 14 luglio 2006, n. 16093, in Giust. civ., 2007, I, p. 149 ss.; in Vita not., 2007, p. 203; in Fam. dir., 2006, p. 469 ss..

    [29] V. nota 15.

    [30] Si segnalano, in particolare, l’art. 16, comma 1, lett. g, della Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979 e ratificata dall’Italia con l. 14 marzo 1985, n. 132, che espressamente impegna gli Stati contraenti ad assicurare «gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compreso il diritto alla scelta del cognome»; gli artt. 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, che vietano ogni forma di discriminazione basata sul sesso (art. 21) nonché l’obbligo di assicurare la parità tra uomini e donne (art. 23); le Raccomandazioni del Consiglio d’Europa nn. 1271/1995 e 1362/1998 e, ancor prima, la risoluzione n. 37/1978, relative alla piena realizzazione dell’eguaglianza tra madre e padre nell’attribuzione del cognome ai figli; gli artt. 8 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), che sanciscono rispettivamente il diritto al rispetto della vita privata e familiare e il divieto di ogni forma di discriminazione.   

    [31] Loi n. 2002-304 du 4 mars 2002 relative au nom de famille, successivamente modificata dalla Loi n. 2003-516 du 18 juin 2003 relative à la dévolution du nom de famille, e dall’Ordonnance n. 2005-759 du 4 juillet 2005 portant réforme de la filiation; artt. 311-21, 311-22, 311-23, 311-24 del Code civil.

    [32] Nell’ordinamento spagnolo, vige la regola del doppio cognome. Secondo la Ley 40/1999, de 5 de noviembre, sobre nombre y apellidos y orden de los mismos, i figli assumono il cognome di entrambi i genitori, secondo l’ordine da questi stabilito. Inizialmente, la legge prevedeva che, in caso di difetto di accordo sull’ordine di precedenza, quest’ultima fosse automaticamente accordata al cognome paterno. Da ultimo, la disciplina è stata tuttavia modificata, nell’ambito della più ampia riforma del Registro civil (Ley 20/2011, de 21 de julio, entrata in vigore – per la parte che qui interessa – il 30 giugno 2017), prevedendosi che se i genitori non stabiliscono l’ordine dei cognomi o non vi è accordo tra loro su quale debba essere, decorso il termine di tre giorni, sarà l’ufficiale del Registro civil a dover stabilire il predetto ordine. Il criterio che l’ufficiale dello stato civile deve seguire è quello del interés superior del menor.

    [33] Ai sensi del paragrafo 1355 BGB, i coniugi possono decidere con una dichiarazione resa all’ufficiale dello stato civile al momento del matrimonio o successivamente con una dichiarazione autenticata, se adottare un cognome familiare comune (c.d. Ehename), scelto tra i propri cognomi, da assegnare alla prole o mantenere i rispettivi cognomi di nascita. In quest’ultima ipotesi, ai figli dovrà comunque essere attribuito un unico cognome (quello del padre o della madre) secondo la libera volontà dei genitori. In caso di disaccordo, secondo quanto previsto dal paragrafo 1616 BGB, compete al Giudice Tutelare scegliere il genitore a cui affidare la determinazione e, ove il genitore designato vi si sottragga, ai figli è attribuito il suo cognome.

    [34] Per una compiuta disamina delle normative vigenti in Europa in materia di attribuzione del cognome ai figli, v. R. Peleggi, Il cognome dei figli: esperienze statali a confronto, in A. Fabbricotti (a cura di), Il diritto al cognome materno, Napoli, 2017, p. 115 ss..

    [35] Nel corso dell’attuale XVIIIª legislatura, tra i più recenti progetti di legge presentati in materia di cognome si segnalano il d.d.l. n. 2293 (intitolato «Nuove disposizioni in materia attribuzione del cognome ai coniugi e ai figli», presentato al Senato in data 22 giugno 2021 e non ancora assegnato) e il d.d.l. n. 2276 (intitolato «Modifiche al codice civile in materia di cognome», presentato in data 10 giugno 2021 e assegnato alla 2ª Commissione Giustizia del Senato in sede redigente il 10 novembre 2021). Entrambi i suindicati progetti di legge – che modificano anche la normativa in materia di cognome dei coniugi e presentano evidenti analogie con la disciplina francese – riconoscono ampia discrezionalità ai genitori rimettendo loro la scelta del cognome (unico o doppio) dei figli, potendosi discrezionalmente attribuire al figlio il cognome del padre o quello della madre o quelli di entrambi, nell’ordine concordato. Il testo dei disegni di legge in questione ricalca il più risalente d.d.l. n. 286 (assegnato alla 2ª Commissione Giustizia del Senato in sede redigente l’11 luglio 2018) nonché il d.d.l. n. 1628 della precedente legislatura, con riferimento al quale, per un’attenta disamina sia consentito rinviare a M. A. Iannicelli, Prospettive di riforma in materia di attribuzione del cognome ai figli, in A. Fabbricotti (a cura di), Il diritto al cognome materno, Napoli, 2017, p. 157 ss.; M. A Iannicelli, Il cognome del figlio: brevi note de iure condendo, in Familia, 2017, p. 34 ss..

    Diversamente, il d.d.l. n. 2102 (intitolato «Modifiche al codice civile in materia di cognome dei figli», presentato in data 17 febbraio 2021 e assegnato alla 2ª Commissione Giustizia del Senato in sede redigente il 9 marzo 2021) – più aderente al modello spagnolo – prevede un’indicazione vincolante a favore del doppio cognome, stabilendo che, su accordo dei genitori, sia attribuito al figlio al momento della dichiarazione di nascita presso gli uffici di stato civile il cognome di entrambi nell’ordine concordato secondo la loro volontà.

    In caso di mancato accordo tra i genitori, tutti i disegni di legge suindicati prevedono che sia attribuito al figlio il cognome di entrambi in ordine alfabetico.

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