GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Il bambino sa quello che fa?  Coscienza e responsabilità nell’infanzia: tra diritto e neuroscienze

    Il bambino sa quello che fa?

    Coscienza e responsabilità nell’infanzia: tra diritto e neuroscienze

    di Santo Di Nuovo e Alessandra Garofalo  

    Sommario: 1. Premessa - 2. Cosa prevedono le norme? - 3. La consapevolezza secondo le neuroscienze - 4. Le tappe della coscienza di sé nel mondo - 5. La coscienza si può raccontare?  

    1. Premessa

    La capacità di intendere e volere e la capacità di testimoniare nell’infanzia pongono al diritto e alla psicologia quesiti che vengono ricondotti a “soglie” temporali: 14 anni è la soglia entro la quale non si è giuridicamente responsabili per il diritto penale minorile; nelle cause civili fino a 12 anni l’ascolto è demandato alla valutazione delle capacità di “discernimento”, e così via.

    Va dichiarato non responsabile un ragazzino tredicenne ingaggiato e lautamente stipendiato per il trasporto di pacchetti di polvere bianca, che sa bene non essere borotalco. Ad un figlio undicenne si può non chiedere cosa pensa riguardo a conflitti familiari in cui è direttamente coinvolto, con la motivazione di “non turbarne l’equilibrio”.

    Il problema non è – come da più parti si dice – se convenga alzare o abbassare le soglie, fissate ai fini dei provvedimenti da prendere. Va invece trovato un rationale scientifico per adattare i provvedimenti possibili al livello di consapevolezza presente i quel minorenne, a prescindere di una soglia fissa per età, basandosi sulle risultanze delle recenti ricerche neuroscientifiche sullo sviluppo della mente umana e sui metodi di accertamenti messi a punto e validati.  

    2. Cosa prevedono le norme?

    In ambito penale, l’art. 120 c.p.p. prevede che “non possono intervenire come testimoni ad atti del procedimento i minori degli anni quattordici”, anche se è stato autorevolmente precisato che questo non incide sulla sua capacità di testimoniare (che è disciplinata dal principio generale contenuto nell'articolo 196, comma 1, del c.p.p.), bensì sulla valutazione della attendibilità della testimonianza e, cioè, sulla sua attendibilità. Ed “è in tale prospettiva che opera lo speciale regime dettato dall'articolo 498, comma 4, del c.p.p. per l'esame del minore, affidato al presidente dell'organo giudicante e condotto sulla base di domande e contestazioni proposte dalle parti, eventualmente con l'ausilio di un familiare o di un esperto psicologo[1], salva la facoltà di consentire la deposizione in forma ordinaria, quando l'esame diretto non possa nuocere alla serenità del testimone”[2]. La stessa Corte di Cassazione riconosce: “… anche i bambini in tenera età sono in grado di ricordare ciò che hanno visto e soprattutto ciò che hanno subito con coinvolgimento diretto, pur spettando al giudice di valutare con particolare attenzione la credibilità del dichiarante e l'attendibilità delle dichiarazioni. In una tale prospettiva, nel caso di minore-parte offesa (la cui deposizione ben può essere assunta anche da sola come fonte di prova della responsabilità[3]), si spiega, nella prospettiva di controllo sulla «credibilità soggettiva», la possibilità di procedere alla verifica dell'«idoneità mentale» (articolo 196, comma 2, del c.p.p.), rivolta ad accertare se il minore stesso sia stato nelle condizioni di rendersi conto dei comportamenti tenuti in pregiudizio della sua persona e possa poi riferire in modo veritiero siffatti comportamenti”[4].

    L'«idoneità mentale» a testimoniare viene accertata dal giudice mediante ricorso ad una perizia. Secondo il punto 16 della Carta di Noto (IV ed. del 14 ottobre 2017), la perizia dovrebbe precedere l'esame testimoniale. Tale raccomandazione, condivisa dalla comunità scientifica, non è però prevista dal codice, per cui non è precluso al giudice di ascoltare il testimone minorenne prima di effettuare la perizia. Si tratta di accertare “l'attitudine del bambino a testimoniare, sotto i profili intellettivo e affettivo” e la “credibilità” dello stesso.

    Il primo aspetto concerne “l'accertamento della sua capacità di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione complessa, da considerare in relazione all'età, alle condizioni emozionali, che regolano le sue relazioni con il mondo esterno, alla qualità e natura dei rapporti familiari”, mentre il secondo è diretto ad esaminare il modo in cui il minore vittima di reati ha vissuto ed ha rielaborato la vicenda[5]. La valutazione sull'attitudine a testimoniare deve essere tanto più rigorosa quanto minore sia l'età del bambino, considerata la maggiore tendenza dei “minori in tenera o tenerissima età” al “condizionamento o alla suggestione”[6].

    La più recente giurisprudenza stabilisce che i bambini piccoli possono essere attendibili se “lasciati liberi” di esprimersi, ma “diventano altamente malleabili in presenza di suggestioni eteroindotte” tendendo a conformarsi alle aspettative dell'interlocutore[7]. Il bambino, senza volerlo, crea falsi ricordi e può considerare vissute come reali esperienze anche solo veicolate come tali da altri soggetti[8].

    Una parte della giurisprudenza distingue tra dichiarazioni del bambino e quelle dell'adolescente: entrambi presenterebbero “una singolare attitudine alla fabulazione magica” creandosi un mondo secondo i loro desideri, ma mentre il bambino ricorre molto più facilmente a tale rappresentazione[9], l'adolescente è portato a colorare la realtà e a raccontare menzogne che potrebbero apparire veritiere a differenza delle menzogne dei bambini che, prive di malizia, sono facilmente smascherabili[10].

    Sino al 2012 non erano previste specifiche tutele per l'audizione del minore durante le indagini preliminari. Solo con la L. 172/2012, che ha recepito la Convenzione di Lanzarote del 2007, è stato introdotto l'obbligo di servirsi di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile per sentire il minore durante le audizioni investigative di polizia giudiziaria, pubblico ministero e difensore.

    Per cristallizzare l'apporto dichiarativo del minorenne e al contempo farlo uscire dal circuito giudiziario, che ne aggrava la vittimizzazione secondaria, e per permettere al minore stesso un percorso terapeutico nel quale rielaborare i fatti, si privilegia il ricorso all'incidente probatorio - quanto più vicino possibile cronologicamente ai fatti - disciplinato dall’art. 398, comma 5-bis, c.p.p., che prevede alcuni presidi a tutela del minorenne: il giudice, per i gravi delitti ivi indicati, “stabilisce il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all'incidente probatorio”, potendo l'udienza svolgersi “anche in luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza, o, in mancanza, presso l'abitazione della persona interessata all'assunzione della prova” (c.d. esame protetto).

    Ulteriori presidi a tutela del minore sono indicati dall'art. 498, comma 4-ter, c.p.p. (c.d. esame schermato), che prevede che l'esame del minore vittima di reati sessuali venga effettuato mediante l'uso di un vetro-specchio unidirezionale, unitamente ad un impianto citofonico, che impedisce all'accusante di vedere l'accusato, il quale si colloca al di là del vetro.  

    In ambito civile l’ascolto del minore, in quanto in grado di dare delle risposte ‘consapevoli’, è previsto in norme del codice relative a vari procedimenti, nonché in svariate leggi. L’art. 336-bis c.c. costituisce la norma generale della disciplina dei requisiti – minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento - e della modalità di ascolto, riprodotta in materia di separazione e divorzi nell’art. 337-octies.[11]

    Anche la Carta dei diritti fondamentali dell’UE prevede all’art. 24, par. 1, l’ascolto dei minori laddove stabilisce che i minori possono esprimere liberamente la propria opinione e che questa viene presa in considerazione  sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità: disposizione questa di applicazione generale che non riguarda procedimenti specifici.

    Anche la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo si è occupata, seppure indirettamente, della tutela e dell’ascolto del minore dichiarandone l’importanza nelle decisioni familiari che lo riguardano direttamente, diritto garantito da più strumenti giuridici internazionali[12].

    L’audizione del minore, già prevista nell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziali che lo riguardano[13], quale riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere la propria opinione, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse[14].

    Nessuna norma definisce la capacità di ‘discernimento’, essendo questo un concetto mutuato dalla scienza neuropsichiatrica. Anche rare sono le pronunce che forniscono elementi in ordine al questo concetto, perché è un elemento fattuale da valutare caso per caso e devoluto al libero e prudente apprezzamento del giudice che non necessita di specifico accertamento d’indole tecnica specialistica prima dell’audizione. Tale capacità non può essere esclusa solo col dato anagrafico del minore, ma può presumersi quando si tratti di minori soggetti per età ad obblighi scolastici e, quindi, normalmente in grado di comprendere l’oggetto del loro ascolto e di esprimersi consapevolmente[15].

    L’art. 336-bis c.c. prevede espressamente che l’ascolto del minore sia condotto dal giudice anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari. I giudici di merito hanno largamente praticato la modalità dell’ascolto indiretto delegandolo a professionisti, quali gli operatori dei Servizi Sociali, il Consulente Tecnico d’Ufficio o un esperto psicologo, onde evitare fraintendimenti sulle risposte e interpretare correttamente la volontà del minore. Tale modalità di ascolto è stata avallata anche dalla Cassazione, che però ne ha posto precisi paletti imponendo al giudice l’obbligo di uno specifico e previo provvedimento contenente una vera e propria delega al riguardo, nonché l’obbligo di una esaustiva motivazione della scelta per cui abdica al suo dovere di ascolto a favore di una modalità indiretta[16].

    L’ascolto del minore non va operato tutte le volte che sia ritenuto inopportuno o pregiudizievole per l’interesse ad un equilibrato sviluppo psicofisico[17], né tutte le volte che esso devia dalle finalità sue proprie, divenendo anche fonte di pregiudizio per il minore stesso (C. App. Catania 17 aprile 2015).

    Recentemente la Corte di Cassazione, riprendendo un consolidato indirizzo[18], si è espressa ritenendo l'audizione del minore un adempimento previsto a pena di nullità in tema di provvedimenti in ordine alla convivenza dei figli con uno dei genitori, a tutela dei principi del contraddittorio e del giusto processo, incombendo sul giudice “che ritenga di ometterlo un obbligo di specifica motivazione, non solo se ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento ovvero l'esame manifestamente superfluo o in contrasto con l'interesse del minore, ma anche qualora opti, in luogo dell'ascolto diretto, per quello effettuato nel corso di indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori di detto incarico, atteso che solo l'ascolto diretto del giudice dà spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda”.

    Il fondamentale principio del contraddittorio si esplicita in senso pieno con l'attribuzione al minore della qualità di parte in senso formale e processuale. Ciò avviene nei procedimenti più incisivi di ablazione della responsabilità genitoriale e nei giudizi sullo status filiationis o per la dichiarazione di adottabilità, che incidono sui diritti fondamentali del minore e in cui il minore può vantare una specifica autonoma legittimazione nel processo. In questi casi le esigenze correlate al contraddittorio possono essere tutelate con la nomina di un curatore speciale.

    Nei procedimenti più contenuti negli effetti, in cui il provvedimento giudiziario viene, comunque, a incidere nella sfera del minore (separazioni, divorzi e in genere le problematiche nascenti dalla crisi familiare che riguardano i minori), la qualità di parte che compete al minore non è in senso processuale ma sostanziale e il principio del contradditorio viene salvaguardato attraverso l'istituto dell'ascolto, la cui mancanza, in assenza di una adeguata causa giustificatrice esplicitata con idonea motivazione, integra un vizio sostanziale nella decisione[19].

    L'ascolto del minore ha una portata diversa a seconda dei vari procedimenti e non è sempre obbligatorio, necessario e ineludibile. Così nel procedimento in tema di sottrazione internazionale del minore previsto dall’art. 7 L. 64/1994, il tribunale per i minorenni può ascoltare il minore capace di discernimento e trarre elementi ai fini della valutazione del fondato rischio di esporlo, per il fatto del suo ritorno, a pericoli psichici. Tale audizione, pur prevista dall’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta adempimento necessario ai sensi degli artt. 3 e 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la legge n. 77/2003, ma non è prescritta in via assoluta e il giudice può non ricorrervi privilegiando l’interesse superiore del minore.

    Nel procedimento di riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio ex art. 250 c.c. è previsto l’obbligo di ascolto del minore quattordicenne al fine del suo assenso e, nell’ambito dell’opposizione, l’obbligo di audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore ove capace di discernimento.

    L’ascolto del minore, pur non essendo assimilabile alla testimonianza né ad alcuno dei mezzi di prova tipici, ha di fatto un grado di cogenza superiore specialmente in materia di sottrazione internazionale di minori, secondo la più recente giurisprudenza del Supremo Collegio[20].

    I riferimenti alla idoneità mentale e alla capacità di discernimento del bambino sottendono la più generale nozione di consapevolezza. Ma cosa intendono le neuroscienze per consapevolezza?  

    3. La consapevolezza secondo le neuroscienze

    Comprendere i correlati neurali della coscienza, studiando le basi neurocognitive delle rappresentazioni ed elaborazioni relative al Sé, è attualmente una delle maggiori sfide scientifiche[21].

    Secondo Searle e Nagel[22] la consapevolezza sintetizza l’esperienza soggettiva di sensazioni personali, che vengono fuse in un’unica esperienza, e mantengono un significato al di là delle sensazioni fisiche del momento. Essa risulta dalla sintesi di elaborazioni attuate dalle diverse aree cerebrali[23], ma è una proprietà emergente del cervello, diversa da tutte le altre proprietà cerebrali. L’intenzionalità come manifestazione essenziale della consapevolezza comporta la capacità di progettare l’azione comprendendone il significato, e tutto questo è accessibile all’analisi empirica, usando tecniche appropriate.

    La consapevolezza (definita dal termine inglese awareness) è diversa dall’arousal o pura “vigilanza”, o attivazione dell’attenzione su sé e sull’ambiente che ci circonda. Questo livello di awareness è presente anche negli animali, che sono capaci di riconoscersi allo specchio[24]; si sviluppa precocemente nel bambino, passando dalla primitiva confusione con l’ambiente esterno, alla minima differenziazione da esso, fino alla piena consapevolezza di sé[25].

    Ma è la awareness è pure diversa dalla capacità di auto-rilevazione di sensazioni, pensieri, memorie, immaginazione, emozioni (self-consciousness), e al tempo stesso di comprendere quelle degli altri, come è dimostrato dagli studi sulla “teoria della mente” nel bambino[26]. Questo livello di coscienza si sviluppa progressivamente, e con tappe che non possono essere ricondotte ad intervalli temporali precisi, dipendendo dalla interazione tra maturazione neurobiologica e specifica stimolazione ambientale, che attiva meccanismi epigenetici differenziati tra una persona e l’altra.

    Tradizionalmente la corteccia prefrontale è stata associata alla programmazione dell’atto volitivo cosciente. Di recente sono state scoperte aree corticali (alcune aree del lobo temporale e parietale) la cui attivazione è associata all’esperienza soggettiva di essere l’autore di una specifica azione, quello che viene definito senso di agency[27]. I processi di riflessione sui propri processi mentali e sulla programmazione cosciente di un atto impegnano tutto il cervello, come hanno dimostrato gli studi di neuroimaging.

    L’auto-consapevolezza non si esaurisce nel riconoscersi come separati dal resto del mondo (caratteristica condivisa da varie specie animali e dai bambini molto piccoli), ma perviene alla riflessione critica su sé e sul proprio “essere pensanti e attivi nel mondo”.

    “La coscienza non si esaurisce nell'intenzionalità diretta agli oggetti, ma, ripiegandosi, riflette su di sé. Come tale, essa non è solo coscienza, ma autocoscienza. L'io penso e l'io penso che sto pensando coincidono in modo da non poter esistere l'uno senza l'altro”[28].

    “La capacità riflessiva distingue sul piano categoriale la coscienza dell’uomo da quella degli animali in quanto è indissolubilmente connessa al linguaggio umano, e alla capacità – pure tipicamente umana – di comunicarla con le parole oltre che con il linguaggio non verbale. Come è stato precisato dagli orientamenti fenomenologici, l’Io individuale diventa attore dei diversi gradi costitutivi della coscienza, fino al livello più elevato, che è quello dell’apertura al mondo in un orizzonte originale, costituito da gerarchie di valori e da decisioni prese tra necessità e libertà, ma sempre in modo peculiare per la persona che sceglie ed è consapevole delle proprie scelte”[29].  

    4. Le tappe della coscienza di sé nel mondo

    Gli stati di coscienza emergono dall’attività neuronale, già in fasi precoci, e le neuroscienze descrivono come si sviluppa questa emergenza. Lo fanno ovviamente basandosi su rilevazioni dirette delle attività cerebrali, in quanto non è possibile avvalersi di report soggettivi di bambini molto piccoli. Ad esempio, in neonati fra 5 e 15 mesi sono stati identificati specifici eventi cerebrali analoghi a quelli che si verificano negli adulti mentre fissano coscientemente l’attenzione su un viso. Quindi già a pochi mesi esiste uno stadio di coscienza percettiva[30].

    Damasio[31] parla di un passaggio dal proto-sé (non conscio, riguardante i sentimenti elementari di esistenza, e la capacità di sentire, con base neurologica nel tronco encefalico) alla coscienza nucleare, che fa percepire all’organismo le relazioni interne e quelle con il mondo esterno, producendo specifiche azioni e modificazioni sia cognitive che emozionali. Da questa fase ancora transitoria e labile di coscienza si passa poi alla coscienza estesa, che attraverso la memoria autobiografica registra e richiama le esperienze passate. Questo sé autobiografico, che utilizza le aree corticali, consente di riflettere sia sul passato che sul futuro e sulla sua programmazione in relazione al contesto. La mente cosciente diventa così “sé sociale”.

    Già Stern[32], con riferimento alla fenomenologia dello sviluppo, poneva in sequenza il passaggio dal sé emergente e nucleare, a quello soggettivo e poi verbale e narrativo. Quest’ultimo si sviluppa a partire dai 3 anni come capacità di esternare la propria esperienza, riferita a dimensioni di carattere simbolico.

    Altri studi neuroscientifici[33] distinguono la coscienza primaria, evolutivamente più primitiva sul piano evolutivo, come consapevolezza del proprio corpo e della realtà esterna, dalla coscienza superiore che consapevolmente organizza il tempo e gli eventi in esso vissuti, definibile “coscienza di essere coscienti”.

    La coscienza sta nella mente, ma è non localizzabile in aree specifiche in quanto esperienza unitaria, che richiede un funzionamento “a rete” come le simulazioni con neural networks hanno dimostrato. “Il network non è un epifenomeno ma è strumento essenziale nella generazione di self-awareness”[34].

    Proprio per l’efficienza di questo network che include i centri del linguaggio, la coscienza umana, a differenza da quella animale, è capace di meta-consapevolezza o – per riprendere un antico termine filosofico – auto-coscienza, esprimibile in termini linguistici[35].  

    5. La coscienza si può raccontare?

    Se è vero che la coscienza può essere espressa linguisticamente, l’incapacità di esprimere a parole gli stati di coscienza non significa che siano assenti: problema che sul piano giuridico riguarda la testimonianza, più indirettamente la dichiarazione di capacità.

    Il problema è trovare i mezzi idonei per far emergere, in modo attendibile, le capacità di riferire (o dimostrare con modalità non verbali) stati mentali interni. Esistono a tal riguardo strumenti di assessment che, se correttamente usati, consentono di accedere alla coscienza infantile anche ad età precoci; raccogliendo informazioni la cui accuratezza e attendibilità può essere accertata mediante verifiche incrociate fra diversi mezzi e strumenti di indagine[36].

    Partendo da questo presupposto metodologico, e utilizzando le tecniche adatte, si può condividere la affermazione secondo cui “i bambini sono testimoni migliori di quello che comunemente si ritiene”[37]. Testimoni di eventi esterni che hanno visto e sentito con i propri sensi, ma anche di ciò che all’interno della propria mente pensano e programmano.

    Purché – se si tratta di procedure giudiziarie - questo venga appropriatamente chiesto e accertato, evitando domande suggestive o induttive, controllando atteggiamenti di compiacenza o acquiescenza, distinguendo se e in che misura la narrazione linguistica dell’esperienza corrisponde all’esperienza effettivamente vissuta, e se non ci sono intrusioni di elementi cognitivi o emotivi che non corrispondono o distorcono le tracce effettivamente depositate in memoria. Senza però una sfiducia pregiudiziale nelle capacità psicologiche del minore che porterebbe ad una altrettanto pregiudiziale limitazione dei suoi diritti di essere ascoltato e tenuto in considerazione su questioni che riguardano la sua vita relazionale.

    È essenziale “garantire l’attendibilità degli accertamenti effettuati da parte dei tecnici e la genuinità delle dichiarazioni” ma al tempo stesso “assicurando protezione psicologica al minore, tutela dei suoi diritti di relazione”[38].

    Nel caso di un bambino piccolo, è necessario un “accertamento della sua capacità a recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle ed esprimerle in una visione complessa, da considerare in relazione all’età, alle condizioni emozionali che regolano la sua relazione con il mondo esterno, alla qualità e alla natura dei rapporti familiari.”[39]

    E quindi va stabilito di volta in volta, senza automatismi che le neuroscienze dimostrano infondati, se il minorenne - quale che sia la sua età cronologica - è consapevole di ciò che vede e che fa, e quindi possa essere giudicato testimone attendibile e/o capace di intendere e volere, e di conseguenza possa essere dichiarato responsabile  - in vario grado, ovviamente – di ciò che fa e che dice. E in base al grado accertato di questa responsabilità, andranno adottati i provvedimenti giuridici che lo riguardano.


    [1] Lo psicologo assiste il giudice sia fornendo sostegno psicologico al minore sia indicando le modalità con cui devono essere preferibilmente poste le domande (v.si Cass. Pen., sez. III, 15 febbraio 2008, n. 11130), evitando che il dichiarante subisca suggestioni. Parte della giurisprudenza ritiene possibile l'esame del minorenne da parte del solo psicologo (v.si Cass. Pen., sez. III, 27 aprile 2012, n. 20886).

    [2] Cass. pen., Sez. III, 28/02/2003, n. 19789.

    [3] Ex multis Cass. Pen., sez. III, 29 gennaio 2020, n. 12027; Cass. Pen, sez. III, 5 aprile 2019, n. 20018.  Altra parte della giurisprudenza considera necessari i relativi riscontri ove sia stata omessa la perizia che accerti l'idoneità a testimoniare o qualora la perizia non abbia rispettato i protocolli generalmente riconosciuti dalla comunità scientifica (v. Cass. Pen., sez. III, 23 giugno 2020, n. 21166).

    [4] Cass. pen., Sez. III, 06 marzo2003, n. 36619.

    [5] Cass. Pen, sez. IV, 14 maggio 2019, n. 27192.

    [6] Cass. Pen., sez. III, 9 luglio 2020, n. 23202; Cass. Pen., Sez. III, 21 luglio 2020, n. 25042.

    [7] Cass. Pen., sez. III 29 gennaio 2020, n. 12027.

    [8] Cass. Pen., sez. III, 18 dicembre 2013, n. 7510, che sottolinea anche il pericolo di “amnesia infantile”.

    [9] Cass. Pen., sez. IV, 17 dicembre 2010, n. 2585; Cass. Pen., sez. III, 10 gennaio 2007, n. 8661; Cass. Pen., sez. III, 5 ottobre 2006, n. 41282.

    [10] Cass. Pen., sez. III, 23 maggio 2007, n. 35224.

    [11] L’art. 315 bis c.c. riconosce il diritto del bambino che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore se capace di discernimento, ad essere ascoltato in tutte le questioni che lo riguardano. L’art. 336 bis c.c. dispone che il minore sia ascoltato dal giudice nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo interessano, salvo il caso in cui l’ascolto sia in contrasto con il suo interesse o manifestamente superfluo.

    [12] Di recente Corte EDU, M.K. v. Greece, 1° febbraio 2018, ricorso n. 51312/16.

    [13] Cass.civ, SS. UU., 21 ottobre 2009, n. 22238; Cass. civ., 11 dicembre 2019, n. 32413, ord.; Cass.civ., 20 novembre 2019, n. 30191, ord.; Cass. civ., 4 novembre 2019, n. 28244, ord.; Cass. civ., 3 ottobre 2019, n. 24790, ord.; Cass. civ., 16 febbraio 2018, n. 3913.

    [14] Cass. civ., 7 maggio 2019, n. 12018, ord.

    [15] Cass. civ., 19 gennaio 2015, n. 752.

    [16] Ex multis Cass. civ., 24 maggio 2018, n.12957, ripresa da Cass. 17 aprile 2019, n.10774.

    [17] Cass. 2 luglio 2014, n. 15143.

    [18] Cass., sez. I, 25 gennaio 2021, n. 1474, ord. (precedenti: Cass., SS: UU:, n. 22238/2009; Cass. n. 6129/2005; Cass. n. 12018/2019; Cass. n. 16410/2020).

    [19] Cass. civ., sez. I, 30 luglio 2020, n. 16410, ord.

    [20] Cass. civ., 5 marzo 2014, n. 5237; Cass. civ., 26 settembre 2016, n.18846.

    [21] Baars B. J., Ramsøy T.Z., Laureys S. Brain, conscious experience and the observing self, Trends in Neurosciences, 2003, 26, 671-675.

    [22] Searle J. R., Il mistero della coscienza, Cortina, Milano 1998; Nagel T., Mente e cosmo. Cortina, Milano 2015

    [23] Dennett D.C. Contenuto e coscienza, Mulino, Bologna 1992.

    [24] Gallup Jr G. G. e al. >span class="mixed-citation">(Eds) The cognitive animal: empirical and theoretical perspectives on animal cognition, MIT Press, Cambridge (Mass.) 2002, pp. 325-333.

    [25] Rochat P. Five levels of self-awareness as they unfold early in life, Consciousness and Cognition, 2003, 12, 717-731.

    [26] Camaioni L. (a cura di) La teoria della mente. Origini, sviluppo e patologia. Laterza, Bari-Roma 2006.

    [27] Chambon V., Sidarus N. Haggard P. From action intentions to action effects: how does the sense of agency come about? Frontiers in Human Neuroscience, 2014, 8, 320.

    [28] Jaspers K. Philosophie, Springer, Berlin 1932; tr. it. Filosofia, Utet, Torino 1978 (cit. p. 117).

    [29] Di Nuovo S. Prigionieri delle neuroscienze? Giunti, Firenze 2014, pp. 156-157.

    [30] Kouider S. e al. A neural marker of perceptual consciousness in infants, Science, 2013, 340, 6130, 376-380.

    [31] Damasio A. Il sé viene alla mente, tr. it. Adelphi, Milano 2012.

    [32] Stern D. Il mondo interpersonale del bambino, Torino, Bollati Boringhieri 1992.

    [33] Edelman G.M., Tononi G. Un universo di coscienza. Come la materia diventa immaginazione. Einaudi, Torino, 2002.

    [34] Low H.C., Changeux J.P., Rosenstand A. Towards a cognitive neuroscience of self-awareness, Neuroscience & Biobehavioral Reviews, 2017, 83.

    [35] Perconti P. L'autocoscienza: cosa è, come funziona, a cosa serve, Laterza, Roma-Bari 2008.

    [36] Gulotta G., Camerini G. Linee guida nazionali. L’ascolto del minore testimone, Giuffrè, Milano 2014.

    [37] Castellani P., Pajardi D., La testimonianza. In: Quadrio A. (a cura di) Psicologia e problemi giuridici. Giuffrè, Milano 1991. Una ricerca sperimentale sull’argomento ha concluso: «Non abbiamo riscontrato differenze significative tra l’attendibilità dei bambini e la loro età: quindi, gli intervistati di 6, 7 e 8 anni sono risultati essere ugualmente attendibili nelle risposte alle domande aperte non suggestive» (Gulotta G., Ercolin D., La suggestionabilità dei bambini, uno studio empirico, Psicologia Giuridica, 2004, pp. 83-92).

    [38] Aa. Vv. Linee guida per l’esame del minore. Carta di Noto (4a edizione) 14.10.2017.

    [39] Cass. Pen. Sez. III, 3 ottobre 1997, n. 8962.

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