GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    La riforma della giustizia civile secondo il Piano nazionale di ripresa e resilienza e gli emendamenti governativi al d.d.l. n. 1662/S/XVIII. Riflessioni sul metodo di Elena D’Alessandro

    La riforma della giustizia civile secondo il Piano nazionale di ripresa e resilienza e gli emendamenti governativi al d.d.l. n. 1662/S/XVIII. Riflessioni sul metodo*

    di Elena D’Alessandro

    *Si rinvia all’editoriale del 27 maggio 2021 ed agli altri contributi sul tema di Giuliano Scarselli, Andrea Panzarola, Bruno Capponi e Giuseppe Rana pubblicati su questa Rivista.

    Sommario: 1. Perché a livello europeo si auspica, per l’Italia, un sistema giurisdizionale civile più efficiente - 2. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza e la riforma della giustizia civile - 3. Gli emendamenti governativi al d.d.l. n. 1662/S/XVIII - 4. “Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo”

    1. Perché a livello europeo si auspica, per l’Italia, un sistema giurisdizionale civile più efficiente

    Dal 2013, ossia da quando la Commissione europea ha pubblicato il “Quadro di valutazione UE della giustizia (EU Justice Scoreboard), che mette a confronto l’efficienza, la qualità e l’indipendenza dei sistemi giudiziari di tutti gli Stati membri dell’Unione europea, costantemente (ma, fino ad oggi, senza grande successo) si raccomanda all’Italia di porre in essere riforme volte a rendere più efficiente – ossia, in primis: più celere – il proprio sistema di tutela giurisdizionale civile.

    Benché il diritto processuale sia materia di competenza nazionale, l’interesse dell’Unione europea per l’efficienza del sistema giurisdizionale civile italiano deriva da tre fattori.

    Il primo: i giudici nazionali non applicano solo il diritto nazionale ma anche ed in primis il diritto dell’UE e, nel farlo, assicurano che i diritti e gli obblighi sanciti dal diritto dell'UE siano attuati correttamente (articolo 19 TUE). L’esistenza di sistemi giudiziari nazionali efficienti è fondamentale per attuare propriamente il diritto dell'UE e rendere effettivi i valori su cui si fonda l’UE[1].

    Il secondo: lo spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, su cui la cooperazione giudiziaria civile europea si basa, si fonda sul principio della fiducia reciproca ed equivalenza tra le giurisdizioni dei diversi Stati membri. Tali giurisdizioni, pertanto, debbono tendere al conseguimento del medesimo livello di efficacia e celerità.

    Il terzo: studi scientifici[2] hanno dimostrato che l’efficienza (e la celerità) dei sistemi giudiziari civili ha un impatto benefico sull’economia. Sulla base di tali studi la Commissione europea ha fatto notare che “quando i sistemi giudiziari garantiscono il rispetto dei diritti (in tempi contenuti, n.d.a.), i creditori sono più inclini a concedere prestiti, le imprese sono dissuase dall’assumere comportamenti opportunistici, i costi delle operazioni si riducono e vi sono maggiori probabilità che le imprese innovative investano”[3]. In particolare, da uno studio condotto – ironia della sorte – da due italiani[4] “è emerso che una riduzione della durata dei procedimenti giudiziari dell'1 % (misurata in termini di tempi di trattazione) può aumentare la crescita delle imprese”.

    Evidente, pertanto, la ragione per cui, nell’ambito del programma di finanziamento europeo “Next generation EU”, la riforma della giustizia civile assuma un ruolo chiave, tanto più che la Commissione europea aveva chiesto agli Stati membri di redigere il piano di ripresa e resilienza alla luce delle raccomandazioni rivolte negli anni 2019 e 2020 a ciascun Stato membro e rimaste inattuate (country specific recommendations).  

    2. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza e la riforma della giustizia civile  

    Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (di seguito: il PNRR)[5], l’Italia si è impegnata – in maniera tanto ambiziosa quanto necessaria per la ripresa economica del paese – a ridurre la durata del “processo civile” (recte: del processo civile di cognizione[6]) di circa il cinquanta per cento[7]. Ovviamente, per non minare l’effettività del sistema, la riduzione della durata dei tempi del giudizio civile deve avvenire a garanzie del giusto processo invariate, conformemente all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali della UE nonché all’art. 6 CEDU. Si conta di raggiungere l’obiettivo percorrendo due strade: per un verso agendo sull’organizzazione della “macchina giudiziaria” e, per altro verso, mediante interventi riformatori sul rito civile di cognizione. Gli interventi contemplano anche l’incentivo all’utilizzo degli strumenti alternativi al processo (“ADR”, recte: negoziazione assistita, mediazione, arbitrato) per la soluzione di controversie concernenti diritti disponibili[8], nella consapevolezza che “solo a fronte di un processo (recte: di un processo di cognizione) efficace davanti all’autorità giudiziaria le misure alternative (recte: gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie) possono essere in grado di funzionare proficuamente”[9].

    Per rendere più celere la soddisfazione dei crediti e favorire così la competitività del sistema paese, sono altresì annunciati interventi sul processo esecutivo.

    Ciascuno di questi tre settori del processo che si intendono riformare per perseguire l’obiettivo della riduzione dei tempi della giustizia civile e rendere così il nostro sistema giurisdizionale “efficiente” (1.”ADR”; 2.“processo civile” da intendersi come sinonimo di “processo civile di cognizione”; 3. “processo esecutivo”), è accompagnato da una descrizione delle linee di intervento da intraprendere per il raggiungimento della finalità che ci si prefigge.

    In realtà, unitamente al processo esecutivo, il PNRR menziona un ulteriore settore di intervento, ossia quello dei procedimenti speciali, senza però indicare la ragione per cui tale intervento è considerato funzionale al raggiungimento dell’obiettivo primario del PNRR, che è quello dell’efficienza tramite la riduzione dei tempi del processo civile di cognizione (“il fattore tempo al centro” recita il PNRR). Peculiarmente, infatti, nel paragrafo del PNRR dedicato agli “Interventi sul processo esecutivo e sui procedimenti speciali” vengono illustrate solo la ratio e le linee di intervento riguardanti il processo esecutivo, salvo poi fare riferimento – non già in quel paragrafo ma, piuttosto, in quello che avrebbe dovuto essere dedicato alla sola esplicazione delle “modalità di attuazione delle azioni” precedentemente illustrate – ad “ulteriori interventi nel settore del contenzioso della famiglia”.

    Si afferma che l’intervento nel settore del contenzioso della famiglia “intende sciogliere alcuni problemi legati alla compresenza di organi giudiziari diversi e individuare un rito unitario per i procedimenti di separazione, divorzio e per quelli relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli nati al di fuori del matrimonio”. Si omette, però, di chiarire perché quello relativo al settore del contenzioso della famiglia è di un intervento necessario al raggiungimento dell’obiettivo del PNRR; obiettivo che, giova ribadirlo, non è quello di colmare le lacune normative di un settore della giustizia civile che indubbiamente necessita di interventi a livello legislativo per essere più efficiente quanto, piuttosto, quello della riduzione dei tempi del processo civile (di cognizione) e della rapidità del processo esecutivo.

    Il PNRR, insomma, mira a garantire l’efficienza dei giudizi civili attraverso la riduzione della loro durata (“il fattore tempo al centro”).

    Altrettanto curiosamente, almeno per chi abbia dimestichezza con la progettazione propedeutica alla richiesta di finanziamenti europei (categoria a cui pare ascrivibile anche il piano Next generation EU), il PNRR si limita ad indicare:

    a) l’obiettivo di efficienza da raggiungere, i.e. riduzione di circa il 50 per cento dei tempi del giudizio civile di cognizione; maggiore celerità delle procedure esecutive;

    b) le linee di intervento “riformatore” che si intendono adottare per raggiungerlo: c.d. riforma ADR; interventi sul processo civile – recte, sul giudizio civile di cognizione –; interventi sul processo di esecuzione e sui processi speciali;

    c) i tempi di attuazione delle riforme.

    Per contro, il PNRR non indica quali sono le osservazioni empiriche, i dati statistici e/o di analisi economica del diritto da cui si trae la ragionevole convinzione per cui, assieme alla riorganizzazione degli uffici giudiziari ovvero all’aumento del numero dei magistrati togati in organico[10], è necessario porre in essere ulteriori riforme del rito civile. Altresì il PNRR non indica perché le riforme che è necessario intraprendere per raggiungere l’obiettivo sono proprio quelle ivi indicate. E non spiega perché tali riforme consentiranno di raggiungere l’obiettivo di efficienza in termini di riduzione della durata dei giudizi senza fallire, in toto o in parte, come i precedenti tentativi, tra cui ci limitiamo a ricordare, senza pretesa di completezza:

    - la legge 7 agosto 2012, n. 134 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 contenenti misure urgenti (anche sulla giustizia civile, N. d.A.) per la crescita del Paese;

    - la legge 10 novembre 2014, n. 162 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, recante misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile;

    - la legge 25 ottobre 2016, n. 197, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 agosto 2016, n. 168, recante misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di cassazione, per l'efficienza degli uffici giudiziari, nonché per la giustizia amministrativa;

    - il decreto legislativo del 13 luglio 2017, n. 116 di riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace, nonché contenente la disciplina transitoria relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma della legge 28 aprile 2016, n. 57.

    Manca, cioè, il c.d. added value assessment[11].

    Un esempio per tutti: tra le linee di intervento concernenti il processo di cognizione si prevede il c.d. rinvio pregiudiziale in Cassazione, ossia la possibilità, per il giudice di merito, “di rivolgersi direttamente alla Corte di Cassazione per sottoporle la risoluzione di una questione nuova (non ancora affrontata dalla Corte), di puro diritto e di particolare importanza, che presenti gravi difficoltà interpretative e sia suscettibile di porsi in numerose controversie”. In questo modo – precisa il PNRR –  è favorito il raccordo e il dialogo tra gli organi di merito e la Cassazione e valorizzata la sua funzione nomofilattica[12]. Il PNRR non indica, però, quali sono i dati statistici forniti dalla Suprema Corte da cui si ricava la ragionevole convinzione che questa innovazione avrà effetti significativi in termini di riduzione della durata dei giudizi civili di cognizione, così realizzando l’obiettivo che il PNRR si propone[13]. L’obiettivo dichiarato del PNRR, infatti, non è quello di valorizzare la nomofilachia.

    Ancora: il PNRR indica una tempistica per la realizzazione delle riforme sul processo civile, ma non precisa quale è l’orizzonte temporale per cui, grazie alle realizzate riforme, sono attesi gli effetti benefici in termini di riduzione significativa della durata del processo civile di cognizione, nonché di accelerazione del processo esecutivo: si tratta di un orizzonte temporale di 5 anni che finisce nel 2026, in linea con la durata temporale del progetto Next generation EU? Non è dato saperlo.

    Neppure si indica un obiettivo a medio termine, quale avrebbe potuto essere il monitoraggio intermedio (dopo due o tre anni dalla loro entrata in vigore), dell’impatto delle riforme – nonché della riorganizzazione degli uffici e della messa a regime dell’ufficio del processo –  sulla durata dei giudizi civili di cognizione ed esecutivo. Vi sarebbe stato così il tempo di approntare misure correttive nel caso in cui gli effetti benefici fossero risultati inferiori a quelli attesi.

    Non a caso il nostro PNRR, pur avendo la medesima struttura di quelli presentati da altri Stati membri (evidentemente imposta a livello europeo) è tra quelli più sintetici, specie quando lo si compari con la mole dei piani di resilienza belga, francese e tedesco.  

    3. Gli emendamenti governativi al d.d.l. n. 1662/S/XVIII  

    Il compito gravante sulla nuova compagine governativa per il raggiungimento dell’obiettivo concernente la giustizia civile indicato nel PNRR è di quelli che fanno tremare i polsi: occorre realizzare le riforme della giustizia civile che l’Europa auspica dal 2013 e bisogna agire in tempi strettissimi, ossia quelli imposti dal cronoprogramma Next generation EU.

    Mancando i tempi tecnici necessari per l’elaborazione e il confezionamento una proposta ex novo, si è scelto di percorrere la via, più celere, della presentazione di emendamenti governativi al d.d.l. n. 1662/S/XVIII (Delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie), anche per non disperdere il lavoro già posto in essere a livello parlamentare. Una via, questa, senza dubbio più celere ma ben più difficile da percorrere, perché si tratta di intervenire chirurgicamente su di un testo pensato ed elaborato da un’altra compagine governativa, di cui non è detto che si condividano tutte le linee e le modalità di intervento.

    Questa essendo la situazione, non ci si poteva certamente attendere che in soli due mesi il Governo elaborasse degli emendamenti al d.d.l. n. 1662/S/XVIII anche solo equiparabili, dal punto di vista della loro organicità, alla riforma del 1990. Il massimo che si poteva realizzare era, appunto, un intervento chirurgico e d’emergenza che adattasse il testo del d.d.l. n. 1662/S/XVIII agli obiettivi indicati nel PNRR.

    Delle circa 25 pagine di testo degli emendamenti governativi che vorrebbero riprendere ed attuare le linee di intervento indicate nel PNRR, ben 7 sono minuziosamente dedicate alla riforma ai procedimenti in materia di persone, minorenni e famiglia; settore, quest’ultimo, che indubbiamente necessita di un intervento del legislatore, ma che nel PNRR non sembrava essere il settore chiave per il conseguimento dell’obiettivo che l’Italia si pone per la giustizia civile, tant’è che, come precedentemente indicato, non ci si è neppure sforzati di dimostrare il suo “ruolo chiave” ai fini del conseguimento dell’obiettivo primario del PNRR, che poi coincide con quello degli emendamenti governativi, almeno stando alla Relazione esplicativa[14], i.e. quello di ridurre l’eccessiva durata dei giudizi civili, per conseguire la fiducia dei cittadini e degli eventuali investitori stranieri.

    Con riferimento agli emendamenti al d.d.l. n. 1662/S/XVIII in questa sede ci limiteremo ad esprimere considerazioni di carattere generale sul metodo utilizzato per la loro formulazione, senza esprimerci sul contenuto; contenuto sul quale esiste già un vivace dibattito ospitato da questa Rivista.  

    4. “Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo [15]  

    Gli emendamenti governativi al d.d.l. n. 1662/S/XVIII, come del resto il PNRR, hanno fatto uso del consueto metodo per prova ed errori. Di fronte ad un malato grave, quale è la giustizia civile italiana, si provano varie cure confidando che una, tra quelle testate, sia quella risolutiva per ridurre i tempi del giudizio civile di cognizione e accelerare le procedure esecutive. Tale metodo era già stato impiegato, senza soverchio successo, nel caso:

    i) della legge 7 agosto 2012, n. 134 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 contenenti misure urgenti (anche sulla giustizia civile, N. d.A.) per la crescita del Paese;

    ii) della legge 10 novembre 2014, n. 162 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, recante misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile;

    iii) della legge 25 ottobre 2016, n. 197, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 agosto 2016, n. 168, recante misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di cassazione, per l'efficienza degli uffici giudiziari, nonché per la giustizia amministrativa.

    Diverso è invece il metodo che si suole utilizzare a livello europeo, dove ci si basa su added value assessments compiuti ex ante, ossia ci si avvale di studi che, con l’ausilio della matematica, e partendo da dati empirici, cercano di misurare se e quale sarà l’impatto benefico di un intervento normativo in un determinato settore dell’ordinamento nel breve, medio e lungo periodo. Il giurista, cioè, entra in campo solo dopo il matematico per proporre una o più soluzioni giuridiche alternative per ovviare alle difficoltà riscontrate all’esito della lettura del dato statistico. Dopodiché il giurista passa di nuovo il testimone al matematico/economista per l’elaborazione della valutazione di impatto delle varie proposte da lui formulate. Alla luce dei risultati della valutazione di impatto, il politico sceglie quale strumento giuridico introdurre nell’ordinamento, con la ragionevole probabilità che si tratterà di un rimedio efficiente.

    Uno studio di tal fatta, finalizzato a misurare l’impatto delle riforme previste dagli emendamenti governativi al d.d.l. n. 1662/S/XVIII sugli attuali tempi dei giudizi civili, a meno che non vi sia già una base di lavoro, avrebbe richiesto mesi, forse anni (molto più tempo di quello che aveva a disposizione il Governo per il confezionamento degli emendamenti) ma avrebbe consentito di valutare, prima di averle viste operare nella pratica, il grado di ragionevole probabilità che le suggerite riforme del rito civile riducano la tempistica del nostro sistema giurisdizionale nel rispetto delle garanzie del giusto processo.

    In sua mancanza, il giurista-commentatore può solo presagirne l’esito infausto (sperando, per il bene del paese, di essere smentito)[16] e indicare quali, tra gli emendamenti proposti, appaiono a prima vista congeniali alla sua sensibilità (ad esempio, gli interventi proposti in tema di arbitrato ovvero le modifiche all’art. 614-bis c.p.c.) e quali meno (ad esempio, l’ampliamento delle ipotesi in cui la mediazione è condizione di procedibilità[17], per un asserito periodo transitorio di cinque anni, che in Italia è tendenzialmente destinato a durare assai di più).

    Scorrendo gli emendamenti si ha la sensazione che, per compiere alcune (forse più di alcune) delle scelte fatte, si sia come di consueto partiti dal rimedio congeniale a chi lo ha proposto (“il farmaco”)[18] anziché prendere le mosse da un’analisi del dato empirico e statistico (“le analisi prescritte al malato”)[19], per poi trovare – non già la cura che più piace a chi la prescrive ma, piuttosto – la cura più efficace[20] per risolvere il cronico problema della tempistica della giustizia civile italiana.

    Il metodo per prova ed errori ha un costo, che rischia di frustrare l’obiettivo che il PNRR si propone.

    Per parte sua, il PNRR ambisce a potenziare l’efficienza del sistema “giustizia civile” per accrescere la fiducia che in tale sistema hanno i suoi fruitori, perché, come ricorda la relazione illustrativa degli emendamenti al d.d.l. n. 1662/S/XVIII[21], “l’eccessiva durata dei giudizi incide negativamente …..sulla percezione della qualità della giustizia resa nelle aule giudiziarie italiane, offuscandone il valore”. Tuttavia, quanto più si riforma il codice di procedura civile imponendo cambiamenti all’operatore pratico (tra gli altri: l’ampliamento, che si descrive come temporaneo, delle ipotesi di mediazione obbligatoria e la revisione della fase introduttiva del giudizio di cognizione dinanzi al tribunale in composizione monocratica), senza che a tale sforzo faccia seguito una significativa riduzione dei tempi del processo ovvero un significativo aumento dell’efficienza e della qualità della nostra giustizia civile, quanto più si fa decrescere la fiducia nei confronti del sistema giurisdizionale e verso le capacità di miglioramento del sistema.

    Ci si gioca molto, in questo senso, con il d.d.l n. 1662/S/XVIII, a proposito della credibilità del sistema italiano di tutela giurisdizionale dei diritti all’interno dei confini nazionali nonché all’estero, dove la giustizia italiana è spesso associata alle sole torpedo actions. E potrebbe non esserci una seconda occasione.

    Davvero la cura miracolosa per la riduzione della lunghezza dei giudizi civili consiste (anche) nell’ennesima riforma del rito civile elaborata con il metodo per prova ed errori?

    Proprio gli insuccessi delle passate riforme del rito civile elaborate in base al metodo” per prova ed errori” ci dimostrano il contrario. O almeno così sembra a chi scrive.

    Davvero la Commissione europea si accontenterà che siano approvate le ennesime riforme riguardanti il processo civile o non vorrà, piuttosto, per il bene dell’Italia, che tali riforme conseguano, nel breve periodo, l’obiettivo di ridurre effettivamente la durata dei nostri giudizi di cognizione ed esecutivi? Crediamo che si dovrà dare conto dell’efficacia delle misure intraprese, perché se solo bastasse dare prova di buona volontà nel legiferare sul processo civile, l’Europa non ci chiederebbe interventi dal lontano 2013, né il nostro legislatore avrebbe dato vita a quell’intensa quanto infelice attività normativa sopra richiamata.

    Davvero non si poteva, per una volta, sperimentare (e negoziare con l’Europa) un cambio di metodologia elaborando un added value assessment?

    Forse stavolta si poteva osare.

    E già che ci siamo, perché non proviamo a rendere conoscibile all’estero la nostra normativa in tema di giustizia civile – anche su questo si costruisce la fiducia dell’investitore straniero – valorizzando le potenzialità del sito di “normattiva” e rendendo disponibile anche la versione ufficiale in lingua inglese del codice civile e di procedura civile italiana, come fa, ad esempio, il ministero della giustizia tedesco[22]?

    Si tratta di un intervento di buon senso che non necessita di riforme legislative e che avrebbe potuto essere intrapreso da anni.

       

    [1] COM (2020) 580 final, pag. 8; COM(2020) 306 final, quadro di valutazione UE della giustizia 2020, pag. 2.

    [2] Vedili citati in COM (2020) 580 final, pag.5.

    [3] Ivi, loc. ult.cit.

    [4] V. Bove, L. Elia; "The judicial system and economic development across EU Member States",

    Relazione tecnica del JRC, EUR 28440 EN, Ufficio delle pubblicazioni dell'Unione europea, Lussemburgo,

    2017, consultabile al link http://publications.jrc.ec.europa.eu/repository/bitstream/JRC104594/jrc104594__2017_the_judicial_system_a

    nd_economic_development_across_eu_member_states.pdf.

    [5] I piani nazionali di ripresa e resilienza presentati dagli Stati membri, incluso quello inviato dall’Italia, sono consultabili al seguente link: https://ec.europa.eu/info/business-economy-euro/recovery-coronavirus/recovery-and-resilience-facility_it

    [6] L’espressione sembra riferibile al processo di cognizione, sebbene il PNRR non lo specifichi, in considerazione del riferimento agli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie che, come noto, costituiscono una alternativa alla sola tutela dichiarativa.

    [7] PNRR, pag. 51: “Si stima che una riduzione della durata dei procedimenti civili del 50 per cento possa accrescere la dimensione media delle imprese manifatturiere italiane di circa il 10 per cento”.

    [8] In proposito, con particolare riferimento alla mediazione, il PNRR afferma che la riforma mira ad ampliare “l’ambito di applicazione della mediazione”, e a verificare “in particolare, se sia possibile estenderne la portata in ulteriori settori non precedentemente ricompresi nell’ambito di operatività”. Posto che la mediazione, quale alternativa alla tutela giurisdizionale può aversi unicamente per le controversie vertenti su diritti disponibili e che al momento nulla impedisce il suo utilizzo al di là dei casi in cui la mediazione è obbligatoria, l’affermazione pare riferibile alla volontà di estendere le fattispecie di mediazione obbligatoria, come infatti prevedono gli emendamenti governativi al d.d.l. n. 1662/S/XVIII.

    [9] PNRR, pagg. 52, 56.

    [10] Strada, questa, la cui fruttuosa percorribilità, sulla base di dati statistici, è stata dimostrata da M. Modena, Giustizia civile. Le ragioni di una crisi, Roma, 2019.

    [11] Redatto sul modello degli European impact and added value assessments che il Parlamento europeo regolarmente commissiona prima di avanzare una proposta normativa.

    [12] Piano nazionale di ripresa e resilienza, pag. 57.

    [13] Effetti in astratto ravvisabili, in quanto suo tramite è possibile l’ottenimento di una decisione di legittimità su una questione interpretativa controversa senza necessità di previo esperimento dei tre gradi di giudizio, non trattandosi di mezzo di impugnazione.

    [14] Leggibile in calce al saggio di B. Capponi, Prime note sul maxi-emendamento al d.d.l. n. 1662/S/XVIII, pubblicato su questa Rivista, consultabile al seguente link: https://www.giustiziainsieme.it/it/news/121-main/processo-civile/1736-prime-note-sul-maxi-emendamento-al-d-d-l-n-1662-s-xviii-di-bruno-capponi.

    [15] “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”: E. Montale, Non chiederci la parola, in Ossi di seppia, Torino, 1925.

    [16] Perché stavolta l’esito dovrebbe essere diverso, visto che la metodologia impiegata è la medesima?

    [17] In questo caso, come riportato nella relazione della apposita Commissione costituita dalla Ministra (leggibile al link.: https://www.giustiziainsieme.it/it/news/121-main/processo-civile/1754-le-proposte-di-interventi-in-materia-di-processo-civile-e-di-strumento-alternativi) pag. 21: “le statistiche provano che a otto anni dalla riforma del 2013, la stragrande maggioranza delle mediazioni viene avviata ancora solo nelle materie dove è previsto il primo incontro di mediazione come condizione di procedibilità”. Ciò significa che l’istituto, per una serie di ragioni che pare qui superfluo richiamare, non gode ancora di fiducia tra gli operatori pratici.

    [18] Tant’è che G. Scarselli, Osservazioni al maxi-emendamento 1662/S/XVIII di riforma del processo civile, in questa Rivista, consultabile al link https://www.giustiziainsieme.it/it/news/121-main/processo-civile/1747-osservazioni-al-maxi-emendamento-1662-s-xviii-di-riforma-del-processo-civile, ritiene che questa non sia una riforma funzionale alla riduzione dei tempi del processo.

    [19] Magari condotto in prospettiva comparatistica, guardando a come gli altri Stati membri che hanno avuto il medesimo problema lo hanno risolto efficacemente. La comparazione tra ordinamenti, in altri termini, può servire non solo a prendere a prestito singoli istituti giuridici (ad es. le astreintes) ma anche a prendere ispirazione dal modo in cui è stato complessivamente risolto il problema dell’efficienza della giustizia civile.

    [20] Che può coincidere, come no, con il farmaco che più piace a chi lo deve prescrivere.

    [21] V. nota 14.

    [22] https://www.gesetze-im-internet.de/zpo/index.html.

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