GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    La dichiarazione Schuman ha settanta anni:  è ancora attuale la sua finalità federale?  di Pier Virgilio Dastoli

    La dichiarazione Schuman ha settanta anni: è ancora attuale la sua finalità federale?

    di Pier Virgilio Dastoli

    Il 30 aprile 1945 Adolf Hitler muore suicida nel Palazzo della Cancelleria a Berlino. La morte di Hitler segna l’annientamento definitivo del regime nazista, la cui resa incondizionata viene firmata il 7 maggio 1945 a Reims dagli emissari del Terzo  Reich di fronte ai rappresentanti delle potenze vincitrici. La caduta del Terzo Reich, preceduta l’8 settembre 1943 dall’armistizio firmato dall’Italia e seguita il 14 agosto 1945 dalla resa del Giappone chiude la Seconda Guerra Mondiale, scatenata il 1° settembre 1939 dall’attacco tedesco alla Polonia.

    Con la fine della guerra termina un capitolo della storia dell’umanità e se ne apre uno nuovo, che porta nelle prime pagine i segnali contradditori di iniziative destinate a costruire un sistema internazionale che avrebbe dovuto garantire la pace e la cooperazione economica ma anche di atti politico-militari volti a mostrare la determinazione ad usare le tecnologie moderne per perpetuare l’equilibrio di potere basato sulla minaccia e sul terrore della distruzione totale.

    Al primo tipo di segnali appartiene la decisione – progettata nel febbraio 1945 nel palazzo imperiale di Livadija a Jalta , una città della Crimea regalata nel 1954 da Krusciov all’Ucraina e annessa nel 2014 alla Federazione Russa dopo un referendum-farsa, e formalizzata a San Francisco nel successivo mese di aprile – di ricostituire un’organizzazione mondiale di Stati sovrani (l’ONU) soggetta al diritto internazionale per sostituire la defunta Società delle Nazioni. Tutte le altre iniziative di cooperazione internazionale fino al 1948 portano all’origine il segnale della apparente volontà di creare un ordine internazionale aperto a tutti i paesi del mondo e di sviluppare, in uno spirito di ampia all’laddove principalmente sul continente europeo – erano state più pesanti le conseguenze della guerra.

    In questo spirito e prima di Jalta era stata promossa nel 1944 a Bretton Woods nello Stato del New Hampshire la creazione del Fondo Monetario Internazionale con lo scopo di assicurare lo sviluppo equilibrato del commercio internazionale ed una sostanziale stabilità monetaria e, sulla spinta della politica di liberalizzazione degli scambi, l’Accordo Generale sulle tariffe e sul Commercio (in inglese GATT, divenuta OMC nel 1995 dopo nove anni di negoziati). Last but not least vale la pena di ricordare oggi, fra le numerose agenzie delle Nazioni Unite, l’Organizzazione Mondiale della Salute costituita nel 1945 a Ginevra. Anche l’annuncio all’Università di Harvard di un piano per la ricostituzione dell’Europa (European Recovery Plan) nel giugno 1947 da parte del segretario di Stato USA Marshall (da cui il nome, oggi abusato, di Piano Marshall) fu inizialmente indirizzato a tutti i paesi europei ivi compresi l’URSS e i suoi paesi satelliti che si auto-esclusero dopo le prime fasi della Conferenza preparatoria di  Parigi.

    Insieme ai segnali di pace, la fine della guerra portò con sé nuovi segnali minacciosi, che avrebbero condizionato fino al 1989 le relazioni planetarie ed il funzionamento delle organizzazioni internazionali. Da alleate, le potenze vincitrici si trasformarono in rivali, pronte a dispiegare la propria forza militare per non cedere il potere acquisito nella zona di influenza di loro competenza sottomessa all’Ovest all’egemonia statunitense e all’Est all’imperialismo sovietico con la prima fondata sul capitalismo liberale e la seconda sul “socialismo reale”. In questo spirito fu creato nel gennaio 1949 il COMECON e nel 1955 il Patto di Varsavia ad Est mentre ad Ovest l’integrazione economica promossa dal Piano Marshall si concretizzò nel 1948 nell’OECE (poi divenuto OCSE) e l’interdipendenza o meglio la dipendenza militare fu perfezionata nel 1955 con il Patto Atlantico.

    In questo quadro di consolidata egemonia ed imperialismo delle potenze vincitrici, l’Europa non contava più, né militarmente, né economicamente, né politicamente. “Europa anno zero” si potrebbe dire parafrasando il titolo del film sulla distruzione di Berlino “Germania, anno zero” di Roberto Rossellini. La distruzione economica dell’Europa aveva portato con sé la frantumazione di tutti i poteri statali, di quelli totalitari e di quelli travolti dal caos e dal collaborazionismo con l’occupazione nazista. La storia dell’integrazione europea prende così a svolgersi a partire dalla necessità di trovare delle risposte comuni a problemi comuni a tutto il continente, manifestandosi inizialmente sia ad Est che ad Ovest ma l’imperialismo sovietico chiuse ben presto l’Europa orientale ad ogni prospettiva di unificazione o di cooperazione intergovernativa con l’Europa occidentale cosicché l’idea di unificazione europea divenne inevitabilmente e per quarant’anni sinonimo di unificazione dei paesi di democrazia liberale dell’Europa occidentale.

    Le idee d’Europa si sviluppano su due piani distinti: quello delle iniziative dei governi nazionali che partono dal principio del diritto internazionale della collaborazione fra Stati-sovrani e quello dei movimenti perché il processo si componga in una costruzione organica, vivificata dalla volontà dei popoli, democraticamente articolata e istituzionalmente originale.

    Tutto quel che è stato realizzato in tema di unificazione europea è il frutto dell’azione dei governi e dei movimenti, fra la visione radicale – potremmo dire rivoluzionaria – dei movimenti e le realizzazioni pragmatiche dei governi. Senza questa tensione nulla sarebbe stato intrapreso: la visione dei movimenti sarebbe rimasta utopia se non avesse trovato eco in alcuni statisti e il pragmatismo conservatore degli statisti non avrebbe prodotto nulla se essi non fossero stati costantemente sollecitati dai movimenti.

    La “Dichiarazione di Schuman”, letta nel Salone dell’Orologio del Ministero degli Esteri francese il 9 maggio 1950, è stata un innovativo punto di incontro fra la visione radicale dei movimenti, che avevano posto come obiettivo essenziale e irrinunciabile il superamento della sovranità assoluta e della divisione dell’Europa in stati-nazione, e il pragmatismo dei governi che avrebbero accettato la finalità federale di una organizzazione internazionale sui generis solo se ne avessero visto lo sviluppo di realizzazioni concrete.

    Il piano di Robert Schuman, allora ministro degli esteri, per la “messa in comune della produzione franco-tedesca di carbone e acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di una organizzazione alla quale possono aderire gli altri Stati europei” era stato largamente ispirato da Jean Monnet che vi aveva inserito tutti gli elementi fondamentali di quello che sarebbe poi stato il metodo comunitario: la delegazione di una parte delle sovranità nazionali ad una organizzazione inter-statale; l’idea che l’unità politica si sarebbe realizzata a partire dall’integrazione economica e la convinzione che l’asse franco-tedesco sarebbe stato il pilastro della futura costruzione europea. Rispetto alla versione iniziale dei collaboratori di Robert Schuman Paul Reuter, Etienne Hirsch e Bernard Clappier, Jean Monnet aveva apportato di suo pugno tre modifiche significative:

    • L’ incipit della dichiarazione secondo cui “la pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”
    • L’idea tutta nuova di comunità, che si sarebbe poi tradotta nei trattati comunitari prima nel 1952 con quello della CECA e poi nel 1957 quelli di Roma (CEE e EURATOM), insieme al principio di una solidarietà di fatto come strumento per garantire lo sviluppo economico dei paesi membri
    • L’obiettivo “di una Federazione europea, indispensabile per il mantenimento della pace”
    • La realizzazione di uno dei compiti essenziali dell’Europa: “lo sviluppo del continente africano”.

    Eravamo decisi – scrisse più tardi  Jean Monnet – a portare avanti tutta l’operazione escludendo le vie diplomatiche e a fare a meno degli ambasciatori”. L’idea di Schuman trovò l’immediato sostegno del cancelliere tedesco Konrad Adenauer e del capo del governo italiano Alcide De Gasperi, uomini che avevano sofferto come lui il dramma della Seconda Guerra Mondiale e il loro stato particolare di “cittadini di frontiera”.

    Il Trattato istitutivo della Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) fu firmato a Parigi il 18 aprile 1951 e entrò in vigore il 25 luglio 1952.

    Rispetto ai successivi trattati di Roma, fondati sull’obiettivo essenziale del libero mercato come strumento per realizzare lo sviluppo economico e su un ruolo preponderante dei governi nazionali, il trattato di Parigi – che traduce in un testo  giuridico il contenuto politico della Dichiarazione Schuman – riempie di sostanza il concetto di “comunità” sia dal punto di vista istituzionale con la creazione della Alta Autorità che dal punto di vista sociale perché alla CECA – contrariamente alla CEE - viene attribuito il compito di farsi carico delle conseguenze sui lavoratori delle sue politiche economiche e industriali, al fine di “migliorarne le condizioni di vita e di lavoro” e di permettere “la loro uguaglianza nel progresso”.

    Ci sarebbero voluti molti anni dopo i trattati di Roma del 1957 per giungere gradualmente ad accompagnare l’obiettivo quasi esclusivo del libero mercato con quelli della coesione sociale e territoriale insieme ai principi della solidarietà e per iscrivere cinquanta anni dopo nel Trattato di Lisbona l’obiettivo della economia sociale di mercato come modello di sviluppo che si propone di garantire in un difficile equilibrio la libertà di mercato e la giustizia sociale.

    La crisi finanziaria del 2007-2008, scoppiata subito dopo la firma del Trattato di Lisbona, e ancor di più gli effetti economici e sociali dell’attuale crisi sanitaria da COVID-19 mostrano quanto sia difficile trovare un equilibrio fra libera iniziativa, libertà di impresa, libertà di mercato e diritto di proprietà da una parte e giustizia sociale dall’altra per far fronte con politiche comuni alle asimmetrie di un sistema che non garantisce in partenza l’uguaglianza delle opportunità.

    L’Europa non è in guerra e non si sta avviando ad un secondo dopo-guerra ma le conseguenze della pandemia saranno egualmente devastanti per l’insieme della società europea soprattutto fra le lavoratrici e i lavoratori e sulle categorie più deboli nelle nostre comunità.

    Se vogliamo trarre un insegnamento dalla Dichiarazione Schuman a settanta anni dalla sua proclamazione dobbiamo tornare alle radici della sua ragion d’essere che andava ben al di là della messa in comune del carbone e dell’acciaio e si era posto l’obiettivo – giuridicamente originale e politicamente rivoluzionario - di una comunità in quanto sistema internazionale per superare le divisioni dell’Europa in stati-nazione chiusi a difesa delle loro sovranità assolute concepito come prima tappa di una futura federazione europea.

     

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