GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    La richiesta di autorizzazione a procedere sul caso Open Arms (1-20 agosto 2019). Nota a Tribunale di Palermo, collegio per i reati ministeriali, 30 gennaio 2020.

     La richiesta di autorizzazione a procedere sul caso Open Arms (1-20 agosto 2019). Nota a Tribunale di Palermo. Collegio per i reati ministeriali, 30 gennaio 2020*.

     di Fulvio Vassallo Paleologo

    Sommario: 1. Il blocco della Open Arms davanti al porto di Lampedusa. - 2. I fatti contestati dal Tribunale dei ministri di Palermo. - 3. Il sistema gerarchico delle fonti ed il ruolo delle norme internazionali ed europee. - 4. Il falso problema dello stato di bandiera della nave soccorritrice. - 5. Diritto di accesso al territorio per i richiedenti asilo e divieto di respingimento. 6. Doverosità degli interventi di soccorso in acque internazionali in caso di distress. - 7. Conclusioni.

                                                                   

    Mentre nei casi Diciotti e Gregoretti il dibattito sull’autorizzazione a procedere contro il senatore Salvini si basava sulla natura politica degli atti con i quali l’ex ministro dell’interno aveva bloccato lo sbarco dei naufraghi da navi militari italiane, nel caso Open Arms, per la quale il TAR del Lazio aveva sospeso il primo divieto di ingresso nelle acque territoriali, la difesa dell’ex ministro cerca di criminalizzare l’operato dei componenti dell’equipaggio della nave, adducendo che l’indicazione del Porto sicuro di sbarco (Pos) spettava alla Spagna o a Malta (e non all’Italia) e che il comandante della nave avrebbe deliberatamente rifiutato il porto sicuro, indicato successivamente da Madrid, perdendo tempo prezioso al solo scopo di far sbarcare gli immigrati in Sicilia ricorrendo dunque un caso di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. I fatti accertati e le argomentazioni giuridiche formulate dal Tribunale dei ministri di Palermo, sulla base del richiamo alle norme internazionali contenuto negli art. 10, 11 e 117 della Costituzione, che “non possono costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali dell’autorità politica”, capovolgono la prospettiva sulla base della quale l’ex Ministro dell’interno, prima e dopo il decreto sicurezza bis, ha adottato divieti di ingresso nei porti italiani. Non è illecita l’attività di soccorso operata dalle ONG in acque internazionali, ma ricorre un illecito in ordine alla mancata indicazione di un porto di sbarco sicuro, conseguenza del divieto di ingresso nelle acque territoriali ed al trattenimento prolungato dei naufraghi a bordo della nave soccorritrice, sia pure allo scopo di ottenere una redistribuzione degli stessi in diversi paesi europei.

         

    1. Il blocco della Open Arms davanti al porto di Lampedusa

     La decisione del Senato che, su richiesta del Tribunale dei ministri di Palermo,si pronuncerà sul caso Open Arms, assume un rilievo particolare alla vigilia della probabile modifica delle norme del decreto sicurezza bis (D.L. n. 53/2019, convertito nella L. n. 77/2019) che riguardano i soccorsi inalto mare operati dalle Organizzazioni non governative. La nave della omonima ONG,spagnola, tra il 14 ed il 20 agosto dello scorso anno, era stata bloccata all’ancora davanti al porto dell’isola di Lampedusa, prima che intervenisse il sequestro da parte della Procura di Agrigento, che finalmente permetteva lo sbarco a terra dei naufraghi, alcuni dei quali, in preda alla disperazione, si erano già lanciati in mare per raggiungere a nuoto la costa. 

      Il capo di imputazione formulato a carico del senatore Salvini è ancora una volta per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio, per la mancata indicazione di un porto di sbarco sicuro (POS) e per aver trattenuto indebitamente a bordo della Open Arms, ormeggiata a poche centinaia di metri da Lampedusa, le 164 persone soccorse dalla nave umanitaria in tre distinti eventi SAR a partire dal primo agosto 2019. Sulla nave si trovavano numerosi minori stranieri non accompagnati, per i quali l’art. 19 del Testo Unico sull’immigrazione n.286/98 dispone il divieto di respingimento [1]

      Già il primo agosto 2019, giorno nel quale veniva effettuato il primo soccorso di decine di naufraghi nella cosiddetta zona SAR (Ricerca e salvataggio) “ libica”, il Ministro dell’Interno pro-tempore, di concerto con i Ministri della Difesa e delle Infrastrutture e dei Trasporti, disponeva nei confronti della Open Arms il “divieto di ingresso, transito e sosta nel mare territoriale nazionale”, con decreto emesso ai sensi dell’art. 11 comma 1-ter D. lgs. N. 286/98, come modificato dal D.L. n. 53/2019, convertito nella L. n. 77/2019. Successivamente la Open Arms operava altri due interventi di soccorso, uno in acque internazionali rientranti nella cd. zona SAR “libica”, l’altro nella zona SAR maltese, salvando la vita di decine di persone tra cui donne in stato di gravidanza e minori non accompagnati. Tutte le competenti autorità venivano tempestivamente informate dei soccorsi. I libici non rispondevano, le autorità spagnole invitavano il comandante a rivolgersi alla centrale operativa della Guardia costiera maltese (MRCC Malta) che però rifiutava di assumere la responsabilità dei primi due eventi occorsi al di fuori della zona SAR di propria competenza, salvo ad offrire la propria disponibilità per i naufraghi soccorsi nel terzo intervento, quando la Open Arms si trovava vicino l’’isola di Lampedusa, in condizioni meteo tanto critiche che anche la guardia costiera italiana ne escludeva la possibilità di allontanamento verso Malta. Per questa ragione appare privo di fondamento l’assunto difensivo del senatore Salvini che continua ad accusare la Open Arms di avere intenzionalmente introdotto “clandestini” in territorio italiano e di non avere accettato il porto di sbarco sicuro (POS) tardivamente offerto dalle autorità spagnole. Come rilevano i giudici del Tribunale dei ministri di Palermo,“va anzitutto evidenziato l’indiscutibile ruolo di primo piano svolto e, per certi versi, rivendicato dal Ministro Salvini sin da quando, apprendendo dell’intervento di soccorso posto in essere in zona Sar libica dalla Open Arms, coerentemente con la politica inaugurata all’inizio del 2019, adottava nei confronti di Open Arms, d’intesa con i Ministri della Difesa e delle Infrastrutture e dei Trasporti, il decreto interdittivo dell’ingresso o del transito in acque territoriali italiane, qualificando l’evento come episodio di immigrazione clandestina, a dispetto del riferimento alla situazione di distress del natante su cui i soggetti recuperati stavano viaggiando”. 

      Durante il periodo, nel corso del quale stazionava in acque internazionali a sud-ovest di Lampedusa in attesa di assegnazione di un POS, ed anche successivamente, quando si trovava nelle acque territoriali, in diverse occasioni la Open Arms richiedeva (congiuntamente a RCC Malta ed a I.M.R.C.C.) di effettuare delle evacuazioni mediche di migranti in precarie condizioni di salute(MEDEVAC), che alla fine venivano eseguite. Dopo l’ennesimo rifiuto delle autorità maltesi che impedivano persino l’avvicinamento della Open Arms all’isola di Malta per cercare ridosso a fronte di un progressivo peggioramento delle condizioni meteo, il 14 agosto il comandante della nave faceva rotta verso l’isola di Lampedusa.In quello stesso giorno, il Presidente del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (terza sezione)[2]. Sospendeva l’efficacia del divieto di ingresso, transito e sosta nel mare territoriale nazionale, “al fine di consentire l’ingresso della Nave Open Arms in acque territoriali italiane (e quindi di prestare l’immediata assistenza alle persone soccorse maggiormente bisognevoli)[3]

      Dopo la decisione del giudice amministrativo, l’ex Ministro dell’interno, il 14 agosto 2019,reiterava il divieto di ingresso nelle acque territoriali, che però non veniva sottoscritto come atto di concerto da parte di altri ministri, annunciando ricorso urgente al Consiglio di Stato (del quale non si hanno altre notizie) sostenendo che “Open Arms si è trattenuta in acque Sar libiche e maltesi, ha anticipato altre operazioni di soccorso e ha fatto sistematica raccolta di persone con l’obiettivo politico di portarle in Italia”.Come ricorda il Tribunale dei ministri di Palermo, invece,” Open Arms aveva inviato (alle autorità maltesi, n.d.a.) in data 13 agosto 2019 una richiesta urgente di indicazione di un riparo dal mal tempo, alla luce delle avverse condizioni meteo previste per le ore successive, che avrebbero esposto le persone a bordo, tutte ricoverate sul ponte della nave, a seri pericoli. La centrale operativa della Guardia costiera (RCC) di Malta, con messaggio delle ore 21,17 dello stesso giorno, rispondeva a tale richiesta con un ennesimo rifiuto, limitandosi ad indicare la sussistenza di “migliori opzioni disponibili e più vicine”, ossia Lampedusa e la Tunisia”. 

      Il nuovo decreto adottato dall’ex ministro dell’interno il 14 agosto, dopo la pronuncia di sospensiva da parte del TAR Lazio sul precedente decreto che vietava l’ingresso nelle acque territoriali, non otteneva il “concerto” del ministro della difesa e del ministro delle infrastrutture. Senza la firma di “concerto”degli altri due ministri competenti, Elisabetta Trenta[4] e Danilo Toninelli[5], che la rifiutavano, il secondo divieto di ingresso nelle acque territoriali adottato da Salvini ai sensi del decreto sicurezza bis non aveva alcuna validità.

        2. I fatti contestati dal Tribunale dei ministri di Palermo 

      Nella notte tra il 14 ed il 15agosto la nave Open Arms ,con la scorta di due mezzi della Marina italiana, mentre il mare si ingrossava fino a burrasca, faceva ingresso nelle acque territoriali ormeggiandosi di fronte al porto di Lampedusa, come convenuto con le autorità marittime locali. Dopo una successiva richiesta pervenuta da Open Arms, ormai a ridosso di Lampedusa, che sollecitava la indicazione di un porto di sbarco sicuro, il 15 agosto lo stesso ministro dell’interno sottoscriveva una nota di risposta ad una precedente missiva del 14 agosto del Presidente del Consiglio Conte, con cui lo si era invitato “ad adottare con urgenza i necessari provvedimenti per assicurare assistenza e tutela ai minori presenti sull’imbarcazione”. Salvini escludeva che i migranti a bordo della nave fossero sotto la giurisdizione italiana, sostenendo invece che dovevano ritenersi soggetti alla giurisdizione dello stato di bandiera, dunque la Spagna, affermando anche di avere dato mandato all’Avvocatura dello Stato per impugnare il decreto di sospensiva del Tar Lazio, impugnativa di cui però non risulta alcuna traccia. Nello stesso giorno, in risposta al Presidente del Tribunale per i Minori di Palermo e al Procuratore della Repubblica presso lo stesso Tribunale, con riferimento ai minori non accompagnati a bordo della Open Arms: ribadiva la giurisdizione spagnola in materia, e reiterava il suo rifiuto di compiere gli atti di ufficio richiesti per la indicazione di un porto di sbarco sicuro. 

      Il 16 agosto il Presidente del Consiglio rispondeva ad una ennesima nota del ministro dell’interno, sollecitando lo sbarco immediato dei minori presenti a bordo della Open Arms, che ormai si trovava in acque territoriali italiane e prospettando la possibilità di configurare l’eventuale rifiuto come un’ipotesi di illegittimo respingimento, comunicando anche la disponibilità già offerta da altri paesi europei di accogliere parte dei migranti della Open Arms, “indipendentemente dalla loro età”.

      A quel punto l’ex ministro dell’interno autorizzava lo sbarco dei minori non accompagnati che, soltanto il 18 agosto, su decisione della Prefettura di Agrigento e dietro comunicazione dell’Ufficio di Gabinetto del Ministro dell’Interno, venivano fatti sbarcare. Nella stessa giornata diversi naufraghi si gettavano in mare nel tentativo di raggiungere a nuoto la costa di Lampedusa, e venivano recuperati da membri dell’equipaggio della stessa Open Arms. 

      Una successiva ispezione del Procuratore della Repubblica di Agrigento a bordo della nave accertava “condizioni emozionali estreme in un clima di altissima espressione” ove “il vissuto di morte collegato a un eventuale rimpatrio e la percezione di vita affrontando a nuoto lo specchio di mare” che li separava dall’Isola di Lampedusa “comportavano una marginalizzazione del rischio individuale e collettivo che si inseriva in un contesto di scarso controllo critico – cognitivo, con conseguente pericolo di agiti comportamentali inappropriati (mettere a repentaglio l’incolumità fisica e la vita medesima) senza possibilità, da parte di terzi, di contenere dette condotte né di arginare un ulteriore sviluppo di gravi situazioni psicopatologiche”.Lo sbarco definitivo dei naufraghi riconosciuti come maggiorenni avveniva soltanto il 20 agosto dopo l’ingresso della nave nel porto di Lampedusa, in conseguenza del provvedimento di sequestro adottato dalla Procura di Agrigento[6]. 

     Secondo i giudici del Tribunale dei ministri di Palermo, la condotta riferibile personalmente al ministro Salvini, consistente nella mancata indicazione di un porto di sbarco sicuro (POS) alla Open Arms, nel periodo intercorrente tra il 14 ed il 20 agosto 2019, sarebbe risultata “illegittima per la violazione delle convenzioni internazionali e dei principi che regolano il soccorso in mare, e, più in generale, la tutela della vita umana, universalmente riconosciuti come ius cogens”. Gli stessi giudici rilevano come, “durante il primo segmento della vicenda, protrattosi sino al 14.8.2019, si delineasse già un obbligo esclusivo per lo Stato italiano di indicare un POS, quanto meno in relazione al concomitante obbligo gravante, in virtù delle medesime norme, sulle autorità maltesi. In effetti, in capo a queste si profilava anche il più stringente criterio di collegamento della titolarità della zona in cui era avvenuto almeno il secondo soccorso, circostanza questa strenuamente contestata da Malta e, specularmente, sostenuta dal comandante della Open Arms; alla luce di questo criterio, le richieste di sbarco e di ridosso immediatamente successive vennero, infatti, indirizzate dal comandante della Open Arms esclusivamente a Malta”. 

    A seguito dei reiterati rifiuti frapposti dalle autorità maltesi, che si dichiaravano tardivamente disponibili soltanto ad accettare lo sbarco dei 39 naufraghi soccorsi dalla Open Arms in zona SAR di competenza maltese nel terzo evento di salvataggio, secondo i giudici del Tribunale dei ministri di Palermo, si ritiene che l’obbligo di indicare un POS, a partire dal 14.8.2019, si sia venuto definitivamente a concentrare in capo alle autorità italiane. 

      La vicenda della Open Arms appare dunque assai diversa rispetto ai casi Diciotti[7]e Gregoretti[8], già esaminati dal Senato con esiti opposti, perché si trattava di una nave appartenente ad una ONG e il divieto di sbarco imposto dall’ex ministro dell’interno, relativo al periodo tra il 14 ed il 20 agosto 2019, non era stato condiviso dalle altre autorità di governo, pure richiamate dal decreto sicurezza n. 53/2019, che veniva convertito in legge proprio negli stessi giorni nei quali la nave spagnola soccorreva i naufraghi in zona SAR “libica”. Anche nel caso della Open Arms erano però presenti tra i naufraghi minori non accompagnati, per i quali il Tribunale dei minori di Palermo aveva adottato un ordine di sbarco immediato, sbarco che di fatto venne ritardato per diversi giorni, senza alcuna giustificazione per questa grave limitazione della loro libertà personale, in contrasto con tutte le norme internazionali e di diritto interno ( Legge Zampa n.47 del 2017) a tutela del “superiore interesse del minore”. 

      Nelle sue difese più recenti il senatore Salvini, a differenza di quanto gli era stato possibile nei casi Diciotti e Gregoretti, tenta di criminalizzare l’intervento di soccorso operato dalla Open Arms, giungendo a ricordare il precedente sequestro della stessa nave giunta nel porto di Pozzallo, nel marzo del 2018, ed il relativo procedimento penale ancora in corso presso il Tribunale di Ragusa, senza però fare riferimento al provvedimento di dissequestro[9] pure adottato dallo stesso Tribunale. Anche nel caso Open Arms dell’agosto 2019, dopo lo sbarco dei naufraghi a Lampedusa, conseguente al sequestro della nave, il GIP del Tribunale di Agrigento disponeva la restituzione (dissequestro) della nave della Ong spagnola. osservando che “non sussistono, dopo l’evacuazione e il soccorso dei migranti, esigenze probatorie anche in considerazione del fatto che non si ascrive all’organizzazione e all’equipaggio alcuna responsabilità”. Secondo lo stesso magistrato, piuttosto, si potevano invece configurare gravi reati, allo stato a carico di ignoti, che avrebbero impedito l’ingresso della nave nelle acque territoriali e lo sbarco dei naufraghi nel porto sicuro più vicino. Il GIP di Agrigento scrive infatti che “sussiste il fumus del reato di sequestro di persona da parte dei pubblici ufficiali in corso di identificazione sulla base del fatto che il Tar aveva sospeso il divieto di ingresso in acque territoriali e i migranti sono, quindi, stati trattenuti indebitamente dal 14 agosto”. Il magistrato rilevava “analogie con la cosiddetta vicenda Diciotti” in quanto, anche in questo caso, “è stato omesso il preciso obbligo di individuare un porto sicuro spettante all’Italia in quanto primo porto di approdo in base al trattato di Dublino”. 

      La prospettiva sulla base della quale il Viminale, prima e dopo il decreto sicurezza bis, ha adottato divieti di ingresso in porto non solo nei confronti delle ONG, ma anche nei casi di soccorsi operati da imbarcazioni militari italiane, viene così completamente ribaltata: non è illecita l’attività di soccorso in acque internazionali, ma, in via di ipotesi, ricorre un illecito in ordine alla mancata indicazione di un porto di sbarco sicuro, conseguenza del divieto di ingresso nelle acque territoriali.

      3. Il sistema gerarchico delle fonti ed il ruolo delle norme internazionali ed europee. 

     Occorre ricordare che dal momento del suo insediamento al Viminale l’ex ministro Salvini aveva disposto nei confronti delle navi private appartenenti alle Organizzazioni non governative numerosi divieti di ingresso nei porti italiani, a partire dal caso Aquarius nel giugno del 2018. In una prima fase si era trattato di provvedimenti informali, comunicati attraverso i social, poi si erano adottate “direttive” specifiche, rivolte espressamente alle singole navi private che avevano eseguito interventi di soccorso in acque internazionali, contenenti divieti di ingresso nelle acque territoriali, quindi, dopo il decreto sicurezza bis, si era provveduto con decreti, previsti dalla nuova normativa approvata definitivamente proprio nei giorni del caso Open Arms qui in esame. Nell’estate del 2019 veniva infatti emanato il cd. “decreto sicurezza bis” (Decreto legge n. 53 del 14 giugno del 2019) poi convertito in legge (Legge n. 77 dell’8 agosto 2019), 

      Secondo il Tribunale dei ministri di Palermo, il senatore Salvini, con il rifiuto di concedere un porto sicuro alla nave Open Arms nell’agosto 2019 avrebbe violato le convenzioni internazionali. Come affermano i giudici palermitani “l’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati che non si esaurisce nel primo intervento di salvataggio e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare. Le Convenzioni internazionali in materia, cui l’Italia ha aderito, costituiscono un limite alla potestà legislativa dello Stato e, in base agli artt. 10, 11 e 117 della Costituzione, non possono costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali dell’autorità politica (…), assumendo un rango gerarchico superiore rispetto alla disciplina interna (l’art. 117 Cost. prevede infatti che la potestà legislativa è esercitata nel rispetto, tra l’altro, dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali. 

      Le Convenzioni internazionali ed i Regolamenti europei[10] assumono quindi immediato rilievo nell’ambito della giurisdizione interna anche in materia di soccorsi in mare. Sotto il vaglio del giudice finiscono le norme interne e le prassi applicate che costituiscono una violazione di norme cogenti di rilievo internazionale. Nessuna norma di diritto internazionale del mare[11] autorizza uno Stato ad esercitare poteri d’interdizione su imbarcazioni sospettate di trasportare migranti irregolari nelle acque internazionali. In base alla sentenza del Tribunale di Agrigento sul caso Cap Anamur[12], “le violazioni delle norme sull’immigrazione possono costituire illeciti rilevanti per gli ordinamenti nazionali degli Stati che ne sono coinvolti (Stato di partenza o Stato di arrivo o entrambi). Ma è ovvio che qualsiasi illecito d’immigrazione clandestina si consuma soltanto dopo che le persone coinvolte sono entrate nel mare territoriale dello Stato di destinazione ( o di uno Stato di transito), e non già prima, e cioè quando la nave che li trasporta si trova ancora in alto mare”. 

      L’art. 19 della Convenzione Unclos prevede la libertà di navigazione in acque internazionali, ed anche nel mare territoriale (passaggio inoffensivo), ma al secondo comma della norma si prevede una deroga che in Italia è stata utilizzata capovolgendo il rapporto regola eccezione. In base all’art. 19 comma 2 della stessa Convenzione Unclos“il passaggio di una nave nelle acque territoriali di uno Stato” è permesso “fintanto che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero”. Per il ministro dell’interno l’ingresso delle navi delle ONG cariche di naufraghi avrebbero arrecato pregiudizio alla sicurezza dello Stato. 

      La Convenzione Internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Convenzione Solas) impone poi gli interventi di soccorso al comandante di una nave “ che si trovi nella posizione, di essere in grado di prestare assistenza”. In altri termini chi si trovi più vicino al mezzo in difficoltà, per il quale è giunta una chiamata di soccorso, ha l’obbligo di avvertire le competenti autorità SAR e di attivarsi immediatamente seguendo le istruzioni fornite dal Comando centrale della Guardia Costiera (IMRCC. 

      La Convenzione di Amburgo SAR (1979) impone un preciso obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare “…senza distinguere a seconda della nazionalità o dello stato giuridico, stabilendo altresì, oltre l’obbligo della prima assistenza anche il dovere di sbarcare i naufraghi in un “luogo sicuro”. L’art. 10, par 1, della Convenzione di Amburgo del 1979(SAR) prevede che ogni comandante è obbligato, nella misura in cui lo possa fare senza serio pericolo per la propria nave e le persone a bordo, a rendere assistenza a qualsiasi persona che rischia di perire in mare[13].Le Convenzioni internazionali sono specificate dalle Risoluzioni dell’IMO, Organizzazione internazionale del mare, agenzia delle Nazioni Unite [14]

      I giudici del Tribunale dei ministri di Palermo rilevano come “la Risoluzione MSC 167-78 ha quindi individuato delle “linee guida” che costituiscono la cornice entro cui i singoli Stati possono disciplinare la materia: esse, in particolare, prevedono che ciascuno Stato dovrebbe disporre di piani operativi che disciplinino in dettaglio le modalità con cui deve effettuarsi l’azione di coordinamento, per affrontare tutti i tipi di situazioni SAR. Come ricordano gli stessi giudici, “la Risoluzione citata individua altresì il principio del centro di coordinamento di “primo contatto” stabilendo che (punto6.7) “Se del caso, il primo RCC contattato dovrebbe iniziare immediatamente gli sforzi per il trasferimento del caso al RCC responsabile della regione in cui l’assistenza viene prestata. Quando il RCC responsabile della regione SAR in cui è necessaria assistenza è informato della situazione dovrebbe immediatamente assumersi la responsabilità di coordinare gli sforzi di salvataggio,poiché le responsabilità correlate, comprese le disposizioni relative a un luogo sicuro per i sopravvissuti, cadono principalmente sul governo responsabile di quella regione. Il primo RCC, tuttavia, è responsabile per aver coordinato il caso fino a quando l’RCC o altra autorità competente non ne assumerà la responsabilità.” 

      Nessuna disposizione di diritto internazionale autorizza dunque gli stati a considerare le persone “al sicuro” su una nave tenuta a tempo indeterminato al di fuori delle acque territoriali. La nave soccorritrice può essere considerata soltanto come un luogo sicuro temporaneo[15].In base a quanto espressamente previsto dalle Convenzioni UNCLOS e SAR, il primo MRCC che riceva notizia di una possibile situazione di emergenza S.A.R. ha la responsabilità di adottare le prime immediate azioni per gestire tale situazione, anche qualora l’evento risulti al di fuori della propria specifica area di responsabilità. Ciò almeno fino a quando tale responsabilità non venga formalmente accettata da un altro MRCC, quello competente per l’area o altro in condizioni di prestare una più adeguata assistenza (Manuale IAMSAR – Ed. 2016; Risoluzione MSC 167-78 del 20/5/2004)[16].  

       I dubbi sulla valenza normativa cogente di quanto previsto dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare e dalle Risoluzioni dell’IMO possono essere superati richiamando la natura di ius cogens dei Regolamenti europei che hanno efficacia vincolante diretta nell’ordinamento interno degli stati dell’Unione europea. Si deve infatti considerare come i Regolamenti europei n.656/2014 e n.1624/2016 prevedano espressamente un richiamo a tutte le Convenzioni internazionali di diritto del mare, congiuntamente alla Convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione dei rifugiati. L’art. 4 del Regolamento europeo 2016/1624 (costitutivo della nuova Agenzia per la guardia di frontiera e costiera europea) prevede espressamente che, nel corso delle operazioni di controllo delle frontiere marittime, le attività S.A.R. continuano comunque ad essere avviate e condotte in conformità a quanto previsto dal Reg. EU2014/656, ovverosia in conformità alle norme di diritto internazionale sulle attività di ricerca e soccorso in mare(SAR).

    4. Il falso problema dello stato di bandiera della nave soccorritrice 

      Ai fini della individuazione del porto di sbarco sicuro non può assumere rilievo la bandiera che batte la nave soccorritrice, argomento che ricorre ancora adesso alla base delle considerazioni difensive prodotte dal senatore Salvini davanti alla Giunta per le autorizzazioni a procedere, soprattutto quando si tratta di una nave che ha già fatto ingresso nelle acque territoriali sulla base di un autorizzazione concessa dalle autorità marittime, dopo la sospensione, per effetto della ordinanza del giudice amministrativo, del divieto di ingresso adottato in precedenza dall’ex ministro dell’interno . 

      I giudici del Tribunale dei ministri di Palermo ricordano in proposito come “deve escludersi che lo Stato di “primo contatto” si identifichi con quello di bandiera della nave che ha provveduto al salvataggio; tale individuazione, invero, confligge innanzitutto con la stessa lettera del testo normativo di riferimento (Risoluzione MSC 167-78), che al punto 6.7 fa esplicito riferimento al “primo RCC contattato”, esigendo, dunque che il “contatto” sia realizzato con il centro di coordinamento per le attività di ricerca e soccorso costituito, in ottemperanza alle linee guida IMO, presso ogni Stato aderente alle convenzioni in materiaessa, poi, appare incoerente con lo scopo perseguito dalle richiamate linee guida (criterio ermeneutico, questo, di primaria rilevanza nell’applicazione dei trattati e delle convenzioni internazionali), scopo che, come s’è detto, consiste nel far sì che la collaborazione degli Stati converga verso il risultato di consentire alle persone soccorse di raggiungere quanto prima un posto sicuro, arrecando alla nave soccorritrice il minimo sacrificio possibile”. 

      Dalle indagini svolte dal Tribunale dei ministri di Palermo emergeva che “il POS (indicato ad Algeciras ovvero, successivamente alle osservazioni trasmesse dalla Guardia Costiera italiana, presso le Isole Baleari) offerto dalla Spagna – peraltro solo in data 18.8.2019, quando la nave si trovava già da tre giorni alla fonda in prossimità delle coste di Lampedusa – non rispondeva, già in astratto, alle esigenze tutelate dalla normativa internazionale; in base al par. 6.18 della Risoluzione MSC 167-78, infatti, la nave soccorritrice ha diritto di ottenere l’autorizzazione allo sbarco dei migranti in un luogo che implichi il minimo disagio per la nave stessa, gravando specularmente sui responsabili l’obbligo di tentare di organizzare delle alternative ragionevoli per questo scopo (v. par. 6.13 ris. cit, secondo cui la nave deve essere comunque sollevata da questa responsabilità non appena possono essere presi accordi alternativi); sotto questo profilo, sia il porto di Algeciras, ubicato addirittura sullo stretto di Gibilterra, che quello di Palma di Maiorca, nelle Isole Baleari, distante circa 590 miglia nautiche da Lampedusa, erano entrambi troppo lontani dalla posizione della nave per poter essere considerati idonei a salvaguardare le esigenze in rilievo”.

      5. Diritto di accesso al territorio per i richiedenti asilo e divieto di respingimento 

      Non si può infine dimenticare che la maggior parte dei naufraghi presenti a bordo della Open Arms aveva manifestato l’intenzione di chiedere asilo in Italia In base al “Considerando 26” della Direttiva 2013/32/UE, qualora i richiedenti asilo si trovino nelle acque territoriali di uno Stato membro, è opportuno che siano trasferiti sulla terra ferma e che ne sia esaminata la domanda ai sensi della stessa direttiva[17]

      Per effetto del Regolamento UE Dublino III n.604/2013, attualmente in vigore, tutti i naufraghi della Open Arms dovevano essere sbarcati al più presto al fine di presentare in Italia una richiesta di protezione internazionale, anche se intendevano poi trasferirsi in un altro paese, o se un accordo europeo ne avesse previsto un ricollocamento. In base all’art. 3 del Regolamento n.604/2013/UE, gli Stati membri esaminano qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide sul territorio di qualunque Stato membro, compreso alla frontiera e nelle zone di transito. Quanto previsto da direttive e regolamenti europei lo impone anche l’art.10 ter del Testo Unico 286/1998 in materia di immigrazione, in base al quale “lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi.” (cd. approccio Hotspot). 

      Il rifiuto, aprioristico e indistinto, di un governo, peggio di un singolo ministro, di fare approdare in porto una nave, che ha soccorso naufraghi in acque internazionali, comporta l’impossibilità di valutare le singole situazioni delle persone a bordo, e viola il divieto di espulsioni collettive previsto dall’art. 4 del Protocollo n. 4 alla CEDU. L’invito a rivolgere la prua verso un altro stato (ad esempio Malta o la Tunisia) rivolto ad una nave che ha effettuato un soccorso in alto mare e che si trova all’interno della zona contigua o nelle acque territoriali di un determinato paese, per quanto osservato in precedenza, viola il diritto internazionale[18]. L’articolo 10 del Testo Unico sull’immigrazione 256/98 prevede peraltro la possibilità di applicare il respingimento differito (comma 2) alle persone straniere che sono state “temporaneamente ammesse nel territorio per necessità di pubblico soccorso”. Il prolungato trattenimento di naufraghi a bordo della nave soccorritrice non può essere utilizzato come arma di pressione sugli stati europei in vista di una possibile redistribuzione dei richiedenti asilo. 

      Il principio di non refoulement sancito dall’art.33 della Convenzione di Ginevra implica “no rejection at frontiers without access to fair and effective procedures for determining status and protection needs”. Come ha ribadito l’UNHCR ciò dovrebbe comportare in linea generale che la persona intercettata in prossimità della zona contigua alle acque territoriali abbia accesso alle procedure nello Stato che ha effettuato l’intercettazione, poiché questo di solito consente sia l’accesso alle strutture di accoglienza, sia eque ed efficienti procedure d’asilo, nel rispetto degli standards garantiti dal diritto internazionale. Secondo l’UNHCR, «il soccorso in mare è una tradizione secolare e un obbligo che non si esaurisce tirandole persone fuori dall’acqua. Un salvataggio può essere considerato completo una volta che i passeggeri hanno raggiunto la terraferma in un porto sicuro». Come afferma l’UNHCR, nel determinare se gli obblighi di uno Stato sui diritti umani sussistono nei confronti di una determinata persona, il criterio decisivo non è se quella persona si trovi sul territorio nazionale di quello Stato, o all’interno di un territorio che sia de jure sotto il controllo sovrano dello Stato, quanto piuttosto se egli o ella sia o meno soggetto all’effettiva autorità di quello Stato. Nei suoi documenti ” l’UNHCR chiede nuovi sforzi per limitare la perdita di vite in mare, tra cui il ritorno delle navi di ricerca e soccorso degli Stati Membri dell’UE. Le restrizioni legali e logistiche alle operazioni di ricerca e soccorso delle ONG, sia in mare che per via aerea, devono essere eliminate. Gli Stati costieri dovrebbero facilitare, non ostacolare, gli sforzi volontari per evitare le morti in mare”.

    6. Doverosità degli interventi di soccorso in acque internazionali in caso di distress. 

      Si deve altresì escludere qualsiasi intento elusivo del comandante e dell’equipaggio della Open Arms che, secondo l’ex ministro dell’interno, avrebbero tentato in sostanza di agevolare l’ingresso irregolare di migranti nel territorio italiano. I soccorsi in alto mare non sono atti discrezionali ma costituiscono comportamenti dovuti. Le imbarcazioni che trasportano i migranti poi soccorsi da navi private delle ONG, nella maggior parte dei casi sono unsafe, cioè prive dei requisiti di navigabilità richiesti secondo la Convenzione SOLAS. La nozione di “distress è stabilita dalla Convenzione di Amburgo del 1979 (Annex, ch. 1, para. 1.3.11) “a)situation wherein there is a reasonable certainty that a vessel or a per-son is threatened by grave and imminent danger and requires immediate assistance”.Se ricorre una situazione di distress in alto mare il comandante di qualsiasi nave, è obbligato ad intervenire con la massima rapidità, anche senza attendere indicazione da parte delle competenti autorità marittime o politiche. 

      La nozione di “distress” generalmente adottata in diritto internazionale demolisce la ricostruzione dell’ingresso irregolare camuffato da soccorso, o delle “consegne concordate”, perché se è vero che la presenza della nave soccorritrice ai limiti delle acque territoriali libiche è largamente prevedibile dai trafficanti, questa tende ad impedire che, come purtroppo continua a verificarsi in troppi casi, l’assenza delle imbarcazioni di soccorso o il loro ritardato arrivo producano l’annegamento di tutti o parte dei migranti. Che una volta abbandonati in alto mare dai trafficanti, o affidati a “scafisti per necessità”, sono soltanto naufraghi da soccorrere e non certo “clandestini”, che potrebbero sbarcare in territorio europeo in violazione delle leggi vigenti. Che invece prevedono espressamente l’ipotesi dell’ingresso per ragioni di soccorso di migranti privi di valido titolo di ingresso, per stabilire che, in assenza di una richiesta di protezione internazionale, o di specifici divieti di respingimento ( previsti dall’art. 19 del T.U. n.286/98) può essere disposto il respingimento ( art. 10 del T.U. n.286/1998) o l’espulsione ( art. 13 dello stesso Testo Unico). Ma solo dopo il loro sbarco a terra nel porto sicuro più vicino[19]

      Non si possono dunque adottare provvedimenti amministrativi che intaccano i diritti fondamentali della persona sulla base del mero sospetto che le Ong siano colluse con trafficanti o scafisti, oppure che compiano attività dolosamente preordinate alla introduzione di immigrati irregolari in Italia. I divieti di ingresso nelle acque territoriali fin qui adottati sono illegittimi perché contrastano con le Convenzioni internazionali di diritto del mare e con la Convenzione di Ginevra sui rifugiati che non consentono di qualificare come comportamenti illegali le attività di ricerca e soccorso in acque internazionali ed il successivo ingresso nel mare territoriale per lo sbarco dei naufraghi in un place of safety[20]. Una prospettiva questa che dovrebbe essere tenuta presente sia nel procedimento penale e nel procedimento di autorizzazione a procedere sul caso Open Arms, che in sede di revisione del decreto sicurezza bis.

     
    7. Conclusioni    

    Appare incontrovertibile come la decisione di vietare l’ingresso nel porto di Lampedusa alla nave Open Arms, non abbia contribuito alla sicurezza dei cittadini o alla difesa delle frontiere, ma abbia prodotto in modo diretto e immediato, effetti pregiudizievoli alla sfera giuridica individuale dei migranti soccorsi da settimane e ristretti a bordo della stessa nave, come non si sarebbe verificato se il ministro dell’interno si fosse limitato ad una scelta politica di carattere generale senza violare la normativa interna ed internazionale che stabilisce procedure vincolate per lo sbarco dei naufraghi soccorsi in alto mare. Come rileva il Tribunale dei ministri di Palermo, le condotte riferite al senatore Salvini risultano rientrare “nell’esercizio delle funzioni e dei poteri del Ministro dell’Interno”, come “espressione dell’attività amministrativa rimessa a quella autorità, e non invece di quella di indirizzo politico e di attuazione generale dell’azione amministrativa del governo che, nella fattispecie, fa da sfondo allo svolgersi della vicenda, apparendo confinata nell’ambito dei motivi che hanno ispirato la condotta medesima”.

    Il prolungato trattenimento dei naufraghi rimasti a bordo della nave Open Arms che da Lampedusa non poteva più salpare a quel punto per il porto di Malta, come pure prospettato dal Viminale, appare riconducibile esclusivamente alle scelte del ministro dell’interno, che in quello stesso periodo, a fronte dei dinieghi frapposti da altri ministri alla reiterazione del divieto di ingresso nelle acque territoriali, sospeso dal TAR Lazio, invocava i “pieni poteri”.

      Non entriamo qui nel merito dei successivi sviluppi del processo penale per i reati di rifiuto di atti di ufficio e sequestro di persona, che potrebbe seguire al voto favorevole del Senato sulla autorizzazione a procedere richiesta dal Tribunale dei ministri di Palermo sul caso Open Arms qui in esame. Non si può tuttavia delegare esclusivamente alla magistratura la soluzione dei problemi posti dagli ampi poteri discrezionali assegnati con il decreto sicurezza bis al ministero dell’interno. Malgrado la ventilata riforma del decreto n.53/2019, ed il possibile intervento della Corte costituzionale, il rischio che si ritorni a divieti di ingresso nelle acque territoriali, e dunque dei soccorsi operati in acque internazionali da parre delle Organizzazioni non governative, rimane assai alto. Vanno accertate tutte le responsabilità di chi ha ritardato lo sbarco dopo le operazioni di soccorso, con argomenti che appaiono privi di fondamento legale. Ma occorre abrogare anche il decreto sicurezza bis, nelle parti che riconoscono al ministro dell’interno i poteri di vietare l’ingresso nelle acque territoriali in violazione delle Convenzioni internazionali, e sanzionano i soccorsi umanitari delle ONG, concedendo ai prefetti il potere di adottare la confisca amministrativa delle navi soccorritrici, con effetti che perdurano anche quando la magistratura penale esclude ogni responsabilità in capo ai soccorritori. 

    [1]In una nota del Tribunale dei minori di Palermo del 9 agosto 2019, questo Tribunale scriveva“come è ben noto le Convenzioni Internazionali a cui l’Italia aderisce e soprattutto l’art. 19 co. 1 Bis D Lvo 286/98 come integrato dall’articolo 3 della legge 47/17, impongono il divieto di respingimento alla frontiera o di espulsione dei minori stranieri non accompagnati, riconoscendo loro, invece il diritto ad essere accolti in strutture idonee, nonché di aver nominato un tutore e di ottenere il permesso di soggiorno.”. Lo stesso Tribunale proseguiva affermando che “Evidentemente tutti questi diritti vengono elusi a causa della permanenza dei suddetti a bordo della nave Open Arms, nella condizione di disagio fisico e psichico descritta dal medico di bordo che ha riferito della presenza di minori con ustioni, difficoltà di deambulazione, con traumi psichici gravissimi in conseguenza alle terribili violenze subite presso i campi di detenzione libici.”    

    [2]https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/open-arms-tar-lazio-sospende-divieto-dingresso/  

    [3]Osservava il TAR Lazio, “considerato, quanto al fumus, che il ricorso in esame non appare del tutto sfornito di fondamento giuridico in relazione al dedotto vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti e di violazione delle norme di diritto internazionale del mare in materia di soccorso, nella misura in cui la stessa amministrazione intimata riconosce, nelle premesse del provvedimento impugnato, che il natante soccorso da Open Arms in area SAR libica – quanto meno per l’ingente numero di persone a bordo – era in “distress”, cioè in situazione di evidente difficoltà (per cui appare, altresì, contraddittoria la conseguente valutazione effettuata nel medesimo provvedimento, dell’esistenza, nella specie, della peculiare ipotesi di “passaggio non inoffensivo” di cui all’art. 19, comma 1 [recte, comma 2], lett. g), della legge n. 689/1994)”

    Il TAR Lazio riteneva pertanto,” quanto al periculum in mora, che sicuramente sussiste, alla luce della documentazione prodotta (medical report, relazione psicologica, dichiarazione capo missione), la prospettata situazione di eccezionale gravità ed urgenza, tale da giustificare la concessione – nelle more della trattazione dell’istanza cautelare nei modi ordinari – della richiesta tutela cautelare monocratica, al fine di consentire l’ingresso della nave Open Arms in acque territoriali italiane (e quindi di prestare l’immediata assistenza alle persone soccorse maggiormente bisognevoli, come del resto sembra sia già avvenuto per i casi più critici”.  

    [4]Come riferiva l’ANSA il 15 agosto, il ministro della difesa Trenta affermava: “Non firmo il nuovo divieto di Salvini in nome dell’umanità”. “Non si può infatti ritenere che siano rinvenibili nuove cogenti motivazioni di carattere generale ovvero di ordine e sicurezza pubblica tali da superare gli elementi di diritto e di fatto nonchè le ragioni di necessità e urgenza posti alla base della misura cautelare disposta dall’autorità giudiziaria che anzi si sono verosimilmente aggravati. La mancata adesione alla decisione del giudice amministrativo – continua Elisabetta Trenta – potrebbe finanche configurare la violazione di norme penali”. E ancora: “Ho preso questa decisione motivata da solide ragioni legali ascoltando la mia coscienza. Non dobbiamo mai dimenticare che dietro le polemiche di questi giorni ci sono bambini e ragazzi che hanno sofferto violenze e abusi di ogni tipo. La politica non può mai perdere l’umanità”

    [5]Il ministro dei Trasporti Toninelli motivava così la sua decisione di non firmare il nuovo divieto: “Emettere un nuovo decreto identico per farselo bocciare di nuovo dal Tar dopo 5 minuti – spiega – esporrebbe la parte seria del governo, che non è quella che ha tradito il contratto, al ridicolo. Questo non significa che dobbiamo accogliere tutti i migranti di Open Arms. La nostra linea non cambia: mettiamo in sicurezza la nave come ci chiedono i giudici, poi l’Europa e in primis la Spagna inizino ad assumersi le proprie responsabilità facendosi carico di accogliere 116 migranti. Noi come Italia interveniamo per tutelare la salute dei 31 minori a bordo”.  

    [6]https://www.ilpost.it/2019/08/21/migranti-open-arms-sbarcati-lampedusa/

    [7] http://www.dpceonline.it/index.php/dpceonline/article/download/701/663/

    [8]https://www.a-dif.org/2020/02/09/divieti-di-ingresso-nel-mare-territoriale-e-processo-penale/

    [9]http://questionegiustizia.it/articolo/dissequestrata-la-nave-open-arms-soccorrere-i-migranti-non-e-reato_19-04-2018.php 

    [10]http://questionegiustizia.it/rivista/2018/2/gli-obblighi-disoccorso-inmare-neldiritto-sovranazionale-enell-ordinamento-interno_548.php

    [11] S. Trevisanut, Immigrazione irregolare via mare, diritto internazionale e diritto dell’Unione europea, Napoli, Jovene, 2012.

    [12]https://www.meltingpot.org/Cap-Anamur-Pubblicati-i-motivi-di-assoluzione-l-intervento.html#.XkxRrTJKj3g

    [13] M. Starita, Il dovere di soccorso in mare e il “diritto di obbedire al diritto” (internazionale) del comandante della nave privata, in Diritti umani e diritto internazionale, 2019, pp. 5-47.

    [14]http://www.imo.org/en/KnowledgeCentre/IndexofIMOResolutions/Pages/Default.aspx

    [15] Una nave che interviene per fornire soccorso non può essere assunta come porto sicuro, in quanto essa non è dotata dei servizi e dell’equipaggiamento adatti per assistere le persone soccorse in maniera adeguata e senza mettere in pericolo la sua stessa sicurezza. Per tale ragione: “even if a ship is capable of safely accommodating the survivors and may serve as a temporary place of safety, it should be relieved of this responsibility as soon as alternative arrangements can be made. A place of safety may be on land, or it may be aboard a rescue unit or other suitable vessel or facility at sea that can serve as a place of safety until the survivors are disembarked to their next destination” (par. 6.13 e 6.14 delle Linee guida).  

    [16]http://www.imo.org/en/OurWork/Safety/RadioCommunicationsAndSearchAndRescue/SearchAndRescue/Pages/IAMSARManual.aspx

    [17]Il Considerando 26 della Direttiva 2013/32/UE prevede che “al fine di garantire l’effettivo accesso alla procedura di esame, è opportuno che i pubblici ufficiali che per primi vengono a contatto con i richiedenti protezione internazionale, in particolare i pubblici ufficiali incaricati della sorveglianza delle frontiere terrestri o marittime o delle verifiche di frontiera, ricevano le pertinenti informazioni e la formazione necessaria per riconoscere e trattare le domande di protezione internazionale tenendo debitamente conto, tra l’altro, dei pertinenti orientamenti elaborati dall’EASO. Essi dovrebbero essere in grado di dare ai cittadini di paesi terzi o agli apolidi presenti sul territorio, compreso alla frontiera, nelle acque territoriali o nelle zone di transito degli Stati membri, e che manifestano l’intenzione di presentare una domanda di protezione internazionale, le pertinenti informazioni sulle modalità e sulle sedi per presentare l’istanza. Ove tali persone si trovino nelle acque territoriali di uno Stato membro, è opportuno che siano sbarcate sulla terra ferma e che ne sia esaminata la domanda ai sensi della presente direttiva”.  

    [18] v. T. Scovazzi, Il respingimento di un dramma umano collettivo e le sue conseguenze, in L'immigrazione irregolare via mare nella giurisprudenza italiana e nell'esperienza europea, a cura di A. Antonucci, I. Papanicolopulu e T. Scovazzi, Torino, Giappichelli, 2016, p. 45 ss.

    [19]Nell’ordinanza del GIP di Agrigento del 2 luglio 2019, relativa al caso Sea Watch, infatti, si afferma che :”«l’art. 11 comma ter del D. Lgs 286-98 (introdotto dal D. L. n. 53/2019): difatti, ai sensi di detta disposizione, il divieto interministeriale da essa previsto (di ingresso, transito e sosta) può avvenire, sempre nel rispetto degli obblighi internazionali dello Stato, solo in presenza di attività di carico o scarico di persone in violazione delle leggi vigenti nello Stato Costiero, fattispecie qui non ricorrente vertendosi in una ipotesi di salvataggio in mare in caso di rischio di naufragio. Peraltro, l’eventuale violazione del citato art. 11 comma 1 ter – si ribadisce sanzionata in sola via ammnistrativa – non fa venir meno l’inderogabile disposto di cui all’art. 10 ter del Dlgs 286/98, avente ad oggetto l’obbligo di assicurare il soccorso, prima, e la conduzione presso gli appositi centri di assistenza, poi».  

    [20]Si deve ricordare quanto richiama Irini Papanicolopulu, docente di diritto internazionale presso l’Università di Milano Bicocca, secondo cui “l’ingresso di una nave che trasporta persone soccorse in mare in adempimento dell’obbligo internazionaleassistere le persone in pericolo e di condurle in un luogo sicuro. In altri termini, la fattispecie del salvataggio in mare continua fino a quando il comandante non abbia fatto sbarcare le persone in luogo sicuro, e il suo ingresso nel mare territoriale e nei porti di uno Stato non può essere visto sotto luce diversa. Non si può quindi precludere il passaggio inoffensivo ad una nave che ha soccorso persone in pericolo, anche al di fuori del mare territoriale, qualora questa intenda entrare al fine di perfezionare il proprio obbligo di salvare la vita umana in mare.”di salvare la vita umana in mare non può considerarsi come attività compiuta in violazione delle leggi nazionali sull’immigrazione, a condizione che l’obiettivo della nave sia semplicementequello di far sbarcare le persone soccorse. Infatti, l’obbligo di salvare la vita umana in mare vincola sia gli stati (ai sensi dell’art.98, par. 1 CNUDM) sia icomandanti di navi (ai sensi del Capitolo V, reg. 33 SOLAS, nonché di numerose norme nazionali, quali ad esempio l’art. 489 cod. nav.).

     

     * di seguito la Relazione del Tribunale di Palermo, Collegio per i reati di cui all'art. 96 Cos.

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