GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    ​Tecla Mazzarese. Una “Azione non Governativa” di “obbedienza civile”

     

    Tecla Mazzarese. Una “Azione non Governativa” di “obbedienza civile”

    Recensione di Alessandra Sciurba, Salvarsi insieme. Storia di una barca a vela sulla rotta dell’umanità, Milano, Ponte delle Grazie, 2020  

        No, Mediterranea. Saving Humans, «nata come piattaforma di realtà associative e singole persone» [p. 167], non è una ONG «ma piuttosto una “ANG”: una “Azione Non Governativa” di “obbedienza civile”» [p. 72, corsivi miei]. Così, nel recente volume Salvarsi insieme. Storia di una barca a vela sulla rotta dell’umanità, Alessandra Sciurba, sua storica portavoce e oggi sua presidente, ribadisce quanto detto già in occasione della prima conferenza stampa di presentazione di Mediterranea, il 22 ottobre del 2018, a Roma, nella sala stampa di Montecitorio.  

    Ed è proprio durante quella conferenza stampa che i termini in cui viene data notizia della sua prima missione offrono una buona sintesi della ragione d’essere di Mediterranea e della sua fondazione; in quell’occasione, come ricorda Sciurba, si informa infatti che «nella notte tra il 3 e il 4 ottobre del 2018 una nave [la Mare Jonio] battente bandiera italiana era salpata a cinque anni esatti dai 368 morti annegati nella strage di Lampedusa, per testimoniare e denunciare le violazioni dei diritti umani nel Mediterraneo» [p. 72, corsivo mio].  

    Testimonianza e denuncia delle violazioni dei diritti umani nel Mediterraneo che non si limitano a una pur importante attività di critica e di informazione ma che trovano espressione, anche e non meno significativamente, nell’impegno di arginare tali violazioni, adoperandosi fattivamente in operazioni di soccorso; impegnandosi, cioè, a “cercare e salvare” naufraghi in un mare insidioso per la precarietà delle loro imbarcazioni ma anche e soprattutto per i rischi legati al puzzle della sua parcellazione in distinte zone SaR (Search and Rescue) soggette alla competenza di paesi differenti e alle loro particolari politiche di (non) accoglienza. Zone SaR, distinte, fra le quali, non a caso, la più temuta è quella libica nelle cui acque i migranti vengono cercati non per essere salvati ma per essere riportati in Libia, all’incubo dei maltrattamenti e delle torture perpetrati nei campi di detenzione in cui vengono rinchiusi.  

    A partire da quella dell’ottobre del 2018, sono otto, ad oggi, le missioni in cui si è sviluppata l’azione di obbedienza civile (e/o, secondo una diversa connotazione forse meno incisiva, di “disobbedienza morale”) di Mediterranea; otto missioni intraprese dall’una o dall’altra delle sue due imbarcazioni: la nave Mare Jonio e la barca a vela Alex; otto missioni, di cui l’ultima, l’ottava, iniziata dalla Mare Jonio il 20 giugno del 2020 che al momento in cui si scrive è in quarantena perché, dopo una prima operazione di salvataggio di 67 migranti, in una seconda operazione, 8 dei 43 naufraghi soccorsi sono risultati affetti da Covid-19.  

    Il libro di Sciurba, “Salvarsi insieme. Storia di una barca a vela sulla rotta dell’umanità” parla di tutto questo. Racconta di Mediterranea; del suo progetto; della pluralità di persone, eterogenee per formazione e competenze professionali, che si sono impegnate nella sua ideazione e fondazione, nella raccolta pubblica di fondi (oggi si dice crowdfunding) per contribuire all’acquisto delle sue due imbarcazioni (Mare Jonio  e Alex), e, non ultimo, come membri dei differenti equipaggi che si sono alternati nelle sue diverse missioni.  

    Tutto questo non individua però né l’unico né il principale oggetto della narrazione quanto piuttosto lo sfondo o meglio il contesto in relazione al quale e in ragione del quale acquista senso il racconto della missione intrapresa dalla barca a vela Alex agli inizi di luglio del 2019 (la sesta missione di Mediterranea) contravvenendo alle stesse regole che l’equipaggio si era dato prima della partenza «La prima: non portare a bordo nessuno [...] stabilizzare un’eventuale situazione di rischio e aspettare che arrivi una nave adatta al soccorso. La seconda: [evitare di ritrovarsi ] da soli in mezzo a quella distesa immensa di acque internazionali controllate dai libici» (p. 15).  

    Nel luglio del 2019, infatti, la nave Mare Jonio è bloccata per un sequestro probatorio disposto dalla Procura di Agrigento –«le indagini […] sono per favoreggiamento della cosiddetta “immigrazione clandestina”» (p. 13) a seguito del salvataggio di 30 naufraghi il 9 maggio 2019.  A fronte di questo blocco e della diffida ricevuta dalla Capitaneria di porto di Palermo «a salvare vite umane in modo preordinato e sistematico […] perché quel vecchio rimorchiatore di nome Mare Jonio non sarebbe in grado di effettuare salvataggi in sicurezza» (p. 13), l’unica operazione possibile per Mediterranea è quindi l’organizzazione di «una missione di monitoraggio e denuncia delle violazioni dei diritti umani […] e, se servisse, per essere barca di appoggio alle altre due unità di soccorso della società civile in mare: la nave Open Arms, dell’omonima ONG spagnola, e la Alan Kurdi di Sea-Eye che invece è tedesca» (pp. 14-15); un’operazione esclusivamente di monitoraggio e denuncia anche perché l’unico mezzo a disposizione (essendo Mare Jonio sotto sequestro) è il veliero Alex, una piccola imbarcazione che non può ospitare più di diciotto passeggeri in assetto diurno.  

    Gli accadimenti, però, sconvolgeranno la prudente programmazione della missione di monitoraggio e/o, se necessario, di supporto logistico ad altre imbarcazioni impegnate in operazioni di soccorso: il 4 luglio, la piccola barca a vela Alex si troverà infatti ad essere l’unica imbarcazione a poter arrivare in tempo utile, in una zona al limite della SaR di competenza libica, a prestare soccorso a un gommone con decine di naufraghi a bordo (una volta resa possibile la loro conta, risulteranno ben 59) fra i quali donne (incinte), minori e quattro neonati.  

    E sono proprio questi accadimenti l’oggetto della narrazione del libro di Sciurba:  il salvataggio di 59 naufraghi; la navigazione con 70 persone a bordo (i 59 naufraghi più le 11 persone d’equipaggio) in un’imbarcazione che poteva trasportarne 18; il tentativo di una motovedetta libica di riportare i profughi in Libia; un iniziale rifiuto di Malta di far sbarcare i profughi presenti sulla Alex; i silenzi (prolungati e forse imbarazzati) del centro di coordinamento marittimo italiano alle prese con due decreti su sicurezza e immigrazione, voluti dall’allora Ministro degli interni, che sancivano la chiusura dei porti italiani; la consegna da parte della Guardia di finanza del provvedimento che vietava alla Alex l’ingresso nelle acque italiane; il primo sbarco parziale, gestito dalla Guardia costiera italiana, di tredici naufraghi («le donne incinte, i quattro neonati e i loro nuclei familiari» (p. 99) ); l’improbabile trovata del governo italiano del “baratto” fra i naufraghi sulla Alex da fare sbarcare a Malta in cambio di 50 migranti presenti a Malta da accogliere in Italia; e, da ultimo, la dichiarazione dello stato di emergenza da parte del capo missione Erasmo Palazzotto, parlamentare della Repubblica italiana e, quindi, in violazione del divieto ricevuto, l’approdo nel porto di Lampedusa; lo sbarco di tutti i profughi e infine il sequestro dell’imbarcazione.  

    Il libro di Sciurba narra di tutti questi fatti ma anche di quello della barca con a bordo uomini in divisa [di cui non verrà rivelato il corpo di appartenenza] che senza alcuna autorizzazione ufficiale nottetempo accostano furtivamente la Alex e «iniziano a tirare fuori dal cabinato una fila lunghissima di sacchi della spesa. Sacchi del supermercato, sacchi normalissimi, quelli che chiunque riempie di cose da mangiare dopo averle pagate alla cassa» (p.116) , sacchi pieni di tutto quello di cui possono aver bisogno naufraghi ed equipaggio per una cena finalmente decente dopo due giorni di pasti a base di barrette energetiche. E ancora, si sofferma sul rapporto istaurato con i 59 profughi da rassicurare e accudire ma, al tempo stesso, con i quali condividere le informazioni sulle decisioni da prendere.  

    Difficile da individuare un genere a cui ricondurlo, Salvarsi insieme è un libro scritto con la passione di una attivista dei diritti umani, con la lucidità e la fermezza di una giurista che conosce anche ma non solo diritto internazionale e diritto del mare e che padroneggia gli strumenti per un’analisi critica di decreti e ordinanze del diritto interno quando ne disconoscano i principi e i valori di cui sono espressione ma, al tempo stesso, con la sensibilità e la delicatezza di una mamma, , che non riesce a nascondere l’emozione e la gioia di tirar su a bordo una bimba «così minuscola che la testa scompare dentro il giubbotto salvagente, anche se è uno di quelli coi disegnini colorati, per i più piccoli» Una bimba così piccola che «restano visibili solo manine e piedini che si agitano [tanto da farla sembrare] una tartaruga variopinta» (p. 19).

     

     

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