L’Italia, l’art. 11 e la guerra
di Alfonso Celotto
Sommario: 1. “L’Italia rinunzia alla guerra come strumento di conquista e di offesa …” - 2. L’aspirazione del nostro Paese a partecipare all’Organizzazione delle Nazioni Unite.
1. “L’Italia rinunzia alla guerra come strumento di conquista e di offesa…”
Così esordiva l’art. 4 del progetto di Costituzione presentato alla Assemblea costituente il 31 gennaio 1947.
Era nitida la volontà di rottura e di contrapposizione con la allora recente guerra, ma si voleva anche porre una visione più ampia, mondiale: lo disse chiaramente Togliatti «per chiarire la posizione della Repubblica italiana di fronte a quel grande movimento del mondo intiero che cerca di mettere la guerra fuori legge», aggiungendo poi che «in particolare, deve essere sancito nella Costituzione italiana per un motivo speciale interno, quale opposizione cioè alla guerra che ha rovinato la Nazione» (3 dicembre 1946, I Sottocommissione).
Quando il testo arrivò in Assemblea, si discusse animatamente sul verbo che era opportuno utilizzare.
Meuccio Ruini chiarì il punto: «Si tratta anzitutto di scegliere fra alcuni verbi: rinunzia, ripudia, condanna, che si affacciano nei vari emendamenti. La Commissione, ha ritenuto che, mentre «condanna» ha un valore etico più che politico-giuridico, e «rinunzia» presuppone, in certo modo, la rinunzia ad un bene, ad un diritto, il diritto della guerra (che vogliamo appunto contestare), la parola «ripudia» … ha un significato intermedio, ha un accento energico ed implica così la condanna come la rinuncia alla guerra» (seduta pom. del 24 marzo 1947).
Poi si scelse di non parlare di guerra “di conquista”. Come osservò ancora Ruini “Risuonava qui come un grido di rivolta e di condanna del modo in cui si era intesa la guerra nel fosco periodo dal quale siamo usciti: come guerra sciagurata di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli. Ecco il sentimento che ci ha animati. Ma è giusta l'osservazione fatta anche dall'onorevole Nitti che però sembra esagerato e grottesco parlare, nelle nostre condizioni, di guerra di conquista. È meglio trovare un'altra espressione”.
Ecco come è nato: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Ma allora l’Italia rinuncia a ogni tipo di guerra?
Non è proprio così perché occorre una lettura sistematica della costituzione.
L’art. 11 va letto tuttavia assieme all’art. 52 che pone la difesa della patria quale “sacro dovere” e con l’art. 78 che affida al Parlamento la competenza a dichiarare lo Stato di guerra.
Quindi, se da un lato viene dunque energicamente ripudiata la forza bellica come strumento di offesa alla libertà d’altri popoli o come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, dall’altro, permane la facoltà di ricorrere all’uso delle armi per contrastare un altrui ingiustificato attacco all’indipendenza o all’integrità territoriale, coerentemente con il principio di autodifesa sancito dalla Carta delle Nazioni Unite del 1945.
Del resto, quando fu discusso l’art. 52 venne presentato un emendamento di radicale pacifismo con la prima firma dell’on. Cairo, per sancire che “Il servizio militare non è obbligatorio” e che “La Repubblica, nell'ambito delle convenzioni internazionali, attuerà la neutralità perpetua”.
Questo emendamento venne discusso con passione ma fu bocciato ampiamente con 332 voti contrari e soltanto 33 favorevoli.
Insomma, l’Italia non rinuncia ad una guerra difensiva ma condanna per principio la guerra come strumento di offesa e promuove le organizzazioni tese ad “assicurare la pace e la giustizia fra le nazioni”, come precisa la parte finale dello stesso art. 11 Cost.
2. L’aspirazione del nostro Paese a partecipare all’Organizzazione delle Nazioni Unite
Sulla stesura della seconda parte dell’art. 11, profonda influenza ha avuto l’aspirazione del nostro Paese a partecipare all’Organizzazione delle Nazioni Unite.
La diffusa idea di base era che soltanto l’istituzione di una federazione di Stati e la conseguente attenuazione dei pericolosi nazionalismi – con l’abbandono del «dogma della sovranità perfetta», giudicato da Einaudi come il «nemico primo e massimo dell’umanità e della pace» – avrebbe consentito di trasformare i rapporti tra gli Stati, tradizionalmente fondati sulla forza, in rapporti di «collaborazione […] per il bene comune» (Dossetti, seduta del 3 dicembre 1946, I Sottocommissione).
Ben presente nella mente dei Padri costituenti, benché non espressamente menzionata nel testo costituzionale, era anche la prospettiva verso l’integrazione europea. Proprio l’opportunità o meno di inserire un riferimento esplicito all’Europa fu oggetto di ampi dibattiti.
Una prima discussione emerse in seno alla Commissione per la Costituzione tra Lussu e Moro. Il primo aveva presentato un emendamento volto ad inserire, nella seconda parte dell’allora art. 4 del progetto di Costituzione, un riferimento esplicito alle organizzazioni europee, oltre che a quelle internazionali, dando in tal modo risalto al desiderio da più parti manifestato di «dare un’organizzazione federalistica all’Europa». D’altra parte, l’on. Moro, pur dimostrandosi d’accordo con la sostanza della proposta Lussu, aveva sconsigliato il riferimento espresso, ritenendo da un lato che un richiamo testuale all’Europa non fosse conveniente, dall’altro che il riferimento generale ad organizzazioni internazionali non meglio specificate valesse a comprendere anche le istituzioni europee.
Così, al plenum dell’Assemblea, il progetto dell’art. 4 venne presentato senza alcun riferimento esplicito all’Europa.
Il dibattito, tuttavia, si riaccese a seguito dell’emendamento proposto dall’on. Bastianetto, volto ad introdurre, dopo le parole «limitazioni di sovranità necessarie» il riferimento «all’Unità dell’Europa», così motivandolo: «se in questa Carta costituzionale potremo inserire la parola “Europa”, noi incastoneremo in essa un gioiello, perché inseriremo quanto vi è di più bello per la civiltà e per la pace dell’Europa. Perché, badate, onorevoli colleghi, dal punto di vista economico questa Europa non si scinde più; dal punto di vista politico-militare nemmeno si scinde più; dal punto di vista ideologico noi vediamo già che i partiti politici hanno un grande funzione in questa unità europea».
Ancora una volta, tuttavia, la proposta di emendamento non venne accolta, ma non in conseguenza di un’ipotetica ostilità nei confronti dell’integrazione europea, ma perché, come affermato dal Presidente Ruini: «in questo momento storico un ordinamento internazionale può e deve andare anche oltre i confini d’Europa. Limitarci a tali confini non è opportuno di fronte ad altri continenti, come l’America, che desiderano partecipare all’organizzazione internazionale» (seduta pom. del 24 marzo 1947).
Un riferimento all’Europa o all’integrazione europea poteva suonare come un confine esterno, ad esclusione di altri Paesi – primo fra tutti gli Stati Uniti – nei cui confronti l’Italia era legata da un debito storico di grande rilievo.
Si trattò dunque di una prudenza nella forma, per non pregiudicare i delicati equilibri internazionali dell’epoca, che non ebbe mai tuttavia il sapore di una chiusura verso progetti di integrazione di matrice europea che nel frattempo andavano maturando.
Ancora una volta, il tutto viene racchiuso nelle parole del Pres. Ruini di presentazione del testo del futuro art. 11 approvato all’Assemblea: «possiamo fermarci al testo proposto dalla commissione, che, mentre non esclude la formazione di più stretti rapporti nell’ambito europeo, non ne fa un limite ed apre tutte le vie ad organizzare la pace e la giustizia fra tutti i popoli» (Assemblea costituente, seduta pom. del 24 marzo 1947).