GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Il voto ai diciottenni per il Senato: una modifica inevitabile in attesa del Parlamento che verrà  di Corrado Caruso

     

    Il voto ai diciottenni per il Senato: una modifica inevitabile in attesa del Parlamento che verrà

    di Corrado Caruso*

    1. Lo scorso 8 luglio il Senato della Repubblica ha varato, in via definitiva, la modifica del primo comma dell’art. 58 Cost., eliminando l’inciso che conferiva il diritto di elettorato attivo ai maggiori di 25 anni. La riforma non tocca invece il comma secondo, che limita l’elettorato passivo ai cittadini ultraquarantenni. La legge di revisione costituzionale non ha raggiunto il quorum dei due/terzi: una volta pubblicata, a fini notiziali, sarà necessario attendere, per la sua entrata in vigore, lo spirare dei tre mesi previsi dall’art. 138 Cost., così da consentire l’eventuale iniziativa referendaria ivi prevista.

    Dopo la riduzione del numero dei parlamentari, è stata portata a compimento un’ulteriore tappa del percorso di riforme istituzionali inaugurato in questa legislatura. Accomunate dall’abiura della “grande riforma”, che aveva caratterizzato i precedenti tentativi di revisione costituzionale, le attuali forze politiche (il M5S, partito di maggioranza relativa, e gli alleati che, dal 2018 ad oggi, si sono alternati alla guida della compagine di governo) hanno adottato una strategia puntinistica di riforma della Costituzione, da realizzare attraverso revisioni minimali ad oggetto limitato. Nelle intenzioni dei proponenti, simile tecnica sarebbe maggiormente rispettosa dell’art. 138 Cost. poiché consentirebbe all’opinione pubblica e al corpo elettorale di determinarsi consapevolmente circa le scelte compiute dal legislatore di revisione[1].

    Quanto al metodo, come si è sostenuto altrove[2], simile strategia non convince: non solo perché, dal punto di vista formale, l’art. 138 Cost. nulla dice sull’estensione delle modifiche costituzionali (salvi, ovviamente, i principi fondamentali della Costituzione), ma soprattutto perché la frammentazione in una pluralità di singole proposte rischia di smarrire la finalità complessiva del disegno riformatore. Le manutenzioni della Costituzione devono essere sorrette, invece, da una «logica riformatrice» coordinata e univoca[3], da un unitario principio di revisione che consenta di cogliere obiettivi e finalità degli interventi unitariamente considerati. Non è possibile avallare una lettura insulare delle proposte di revisione, quasi sia possibile delimitare il significato della singola modifica avulsa dal disegno complessivo. È vero invece l’opposto: il senso della modifica può cogliersi solo con una lettura sistematica e unitaria del pacchetto di riforme. Se contestualizzata, la singola proposta può colorarsi di nuove sfumature, obiettivizzando la propria ratio oltre l’intenzione soggettiva del legislatore storico. Si pensi alla riduzione del numero dei parlamentari: difficile sfuggire dalla sensazione che quella modifica, collocata in origine a fianco del rafforzamento degli istituti di democrazia diretta (come, ad esempio, l’iniziativa legislativa rafforzata) fosse ispirata da un disegno antiparlamentare[4]; letta insieme alla proposta di valorizzare la funzione legislativa della Camera dei deputati, con concentrazione, in capo al Parlamento in seduta comune, del rapporto fiduciario, la medesima innovazione può essere percepita alla stregua di un tentativo di razionalizzazione delle istituzioni rappresentative[5].

    2. Nel merito, non vi è dubbio che l’equiparazione del diritto di elettorato attivo elimini una asimmetria figlia delle indecisioni del Costituente intorno alla composizione e al ruolo da attribuire alla seconda camera. Originariamente privo di funzioni di indirizzo politico[6], l’attuale Senato è frutto del compromesso tra le sinistre, monocameraliste e fautrici dell’elezione diretta, e il centro a trazione democristiana, volto a privilegiare una seconda camera di rappresentanza delle categorie produttive e delle autonomie regionali o comunque dotato di compiti “riflessivi”, di moderazione degli “ardori” della camera politica. Questa soluzione al ribasso (quanto meno rispetto alle aspirazioni dei protagonisti del processo costituente), conseguenza anche del deterioramento dei rapporti tra i partiti costituenti nel 1947, ha portato all’odierno bicameralismo “perfetto”, e cioè paritario (nessuna delle due camere prevale sull’altra) e indifferenziato (analoghe funzioni e simile composizione).

    Le incertezze sul ruolo della seconda camera hanno lasciato diverse tracce in Costituzione: la rappresentanza degli interessi trova un’eco nel CNEL, organo ausiliario delle Camere, ove siedono i rappresentanti delle categorie produttive (art. 99 Cost.); la rappresentanza territoriale viene richiamata dal riparto dei seggi che, al Senato, avviene su «base regionale» (art. 57.1 Cost.); l’idea della camera “riflessiva”, volta a calmierare il confronto politico, trova conferma nella nomina presidenziale dei senatori a vita, personalità che hanno dato «lustro alla Patria per altissimi meriti nel campo sociale, artistico e letterario», e nell’originaria sfasatura della durata in carica di Camera e Senato (pari, rispettivamente, a cinque e sei anni, secondo una differenziazione poi uniformata dalla l. cost. n. 2 del 1963)[7].

    Anche la differente modulazione dell’elettorato attivo si spiega con la necessità di innestare un elemento “riflessivo” nella rappresentanza politica, assegnando al Senato una sorta di funzione pedagogica rispetto alla camera bassa. Un compito che, a oltre settant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione, può dirsi diluito nella parificazione delle funzioni (legislativa, di indirizzo e controllo, di rappresentanza politica) svolte dalle due Camere. L’essenza del bicameralismo perfetto ha prevalso sulle tenui differenziazioni pure accolte dal testo costituzionale, tanto da spingere la Corte costituzionale, nella sentenza che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’Italicum, ad affermare che la «parità di posizione e funzioni delle due Camere elettive» impone un sistema elettorale idoneo a favorire, all’esito delle elezioni, «la formazione di maggioranze parlamentari omogenee»[8]. In un simile contesto, le ragioni che storicamente hanno supportato la limitazione dell’elettorato attivo sono andate offuscandosi, sino a smarrirsi del tutto dopo la revisione costituzionale che ha ridotto il numero dei senatori: è evidente, infatti, che simile diminuzione, accompagnata da una limitazione anagrafica del diritto di voto capace di escludere circa quattro milioni di cittadini dalla partecipazione elettorale[9], avrebbe provocato irragionevoli distorsioni in termini di rappresentatività del corpo elettorale.

    Stupisce invece la scelta, compiuta dal legislatore di revisione, di non toccare il diritto di elettorato passivo, che il secondo comma dell’art. 58 Cost. riserva agli ultraquarantenni: allargata la partecipazione elettorale, il mantenimento di simile limitazione appare ingiustificata, quanto meno nella prospettiva dell’eguale composizione di Camera e Senato. Lo stesso andamento dei lavori preparatori, sul punto, non è stato lineare: alla Camera dei deputati, infatti, il Presidente della Commissione affari costituzionali, on. Brescia[10], ha giustificato il mancato intervento in tema di elettorato passivo per ragioni di etichetta, di rispetto istituzionale nei confronti del Senato (motivazioni che però non hanno evidentemente impedito ai deputati di dare avvio al procedimento di revisione del primo comma dell’art. 58 Cost.). Nel dibattito al Senato, il relatore, sen. Parrini, è addirittura tornato sui suoi passi rispetto all’articolato approvato in Commissione, che equiparava le due Camere anche nell’elettorato passivo, rilevando non meglio precisate riserve e contrarietà tra le forze politiche. L’Assemblea plenaria ha quindi votato un emendamento sostitutivo volto a circoscrivere la revisione al solo elettorato attivo, assimilando la formulazione normativa a quella voluta dalla Camera[11]. Non è da escludere che tale scelta sia motivata da ragioni di stretta convenienza elettorale degli incumbents, a maggior ragione a seguito della riduzione dei seggi: i senatori attualmente in carica potrebbero avere maggiori chances di rielezione proprio grazie alla persistenza del requisito anagrafico per l’elettorato passivo.

    3. Al netto di simili perplessità, la riforma in esame si inserisce nella tendenza, da tempo perseguita dal legislatore, a ridurre le diversità strutturali delle due Camere nel nome di un bicameralismo “ancora più perfetto”: si pensi non solo alla già citata parificazione della durata dei due rami del Parlmento, risalente al 1963, ma anche all’identico meccanismo di trasformazione dei voti in seggi previsto dall’attuale sistema elettorale[12]. Simile tendenza dovrebbe essere portata a compimento tramite l’eliminazione della «base regionale» delle circoscrizioni elettorali del Senato (art. 57.1 Cost.)[13] e, appunto, con l’equiparazione del diritto di elettorato passivo. Con l’avvertenza, però, che quanto più si volge verso l’equiparazione della composizione dei due rami del Parlamento, tanto meno trova giustificazione l’esistenza di due camere eguali ma divise, incaricate di svolgere le medesime attività ma separate nella struttura e nel funzionamento. Non rimarrebbe allora che compiere un ulteriore passo in nome della funzionalità del sistema rappresentativo: valorizzare, a partire dal rapporto fiduciario per poi arrivare a tutte le funzioni di «maggiore rilievo costituzionale» (sessione di bilancio, di politica internazionale e comunitaria, conversione dei decreti-legge)[14], i compiti del Parlamento in seduta comune, trasformando il claudicante bicameralismo perfetto in un efficiente «monocameralismo temperato»[15]. Non bastano piccoli atti di maquillage istituzionale a migliorare il rendimento del circuito democratico-rappresentativo. 

     

    * Professore associato di diritto costituzionale, Università di Bologna.

    [1] Cfr. L. Spadacini, Prospettive di riforma costituzionale nella XVIII legislatura, in Astrid Rassegna, n. 13/2018.

    [2] Cfr., se si vuole, C. Caruso, Il forum – In tema di riforme costituzionali in itinere, in Gruppo di Pisa. Dibattito aperto sul Diritto e la Giustizia costituzionale, 2019/02, pp. 218 e ss.

    [3] In tal senso, v. C. Fusaro, Contributo scritto all'istruttoria legislativa relativa alle proposte di legge cost. nn. 726 Ceccanti e 1173 D'Uva recanti modifiche all'art. 71 Cost. in materia di iniziativa legislativa popolare, reperibile all’indirizzo https://www.camera.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/upload_file_doc_acquisiti/pdfs/000/000/515/Memorie_prof._FUSARO.pdf.

    [4] Cfr. M. Luciani, Audizione resa alla commissione affari costituzionali della camera dei deputati, 27 marzo 2019, reperibile all’indirizzo https://www.camera.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/upload_file_doc_acquisiti/pdfs/000/001/370/2019.03.27-LUCIANI_-_Audizione_Riduzione_numero_parlamentari.pdf).

    [5] Cfr. XVIII legislatura, A.S. n. 1960, Modifiche alla parte seconda della Costituzione concernenti le competenze delle Camere e del Parlamento in seduta comune, la composizione del Senato della Repubblica, il procedimento legislativo e i procedimenti di fiducia e sfiducia, presentato pochi giorni dopo il referendum del settembre 2020 sul taglio dei parlamentari.

    [6] Cfr. artt. 87 e 88 del Progetto di Costituzione deliberato dalla Commissione dei 75.

    [7] Un indizio di una ulteriore differenziazione, di oggi si è persa traccia, può rinvenirsi nell’approvazione il 7 ottobre 1947, in Costituente, dell’odg. Nitti, in virtù del quale la Camera avrebbe dovuto essere eletta con il sistema elettorale proporzionale, mentre il Senato con i collegi uninominali. L’odg. venne superato dalla legge pseudo-uninominale del 1948 (l. n. 29/1948), che individuò una soglia molto alta, pressoché irraggiungibile, per la conquista del Collegio (65% dei voti validi). Riferimenti in A. Barbera, La nuova legge elettorale e la «forma di governo» parlamentare, in Quad. cost., 2015, p. 663.

    [8] Corte cost., sent. n. 35 del 2017, cons. dir. 15.2. Sottolinea tale aspetto anche N. Lupo, Il “mezzo voto” ai cittadini più giovani: un’anomalia da superare quanto prima, in Osservatorio AIC, 2019, p. 74.

    [9] Cfr. il dossier del 21 ottobre 2019 del Servizio studi del Senato e della Camera intitolato Note sull’A.S. n. 1440 modificativo dell’articolo 58 della Costituzione approvato dalla Camera dei deputati in prima deliberazione, p. 6, reperibile all’indirizzo https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01124873.pdf.

    [10] Resoconto stenografico dell'Assemblea Seduta n. 219 di mercoledì 31 luglio 2019.

    [11] Cfr. Senato, seduta del 9 settembre 2020.  

    [12] Cfr. l. n. 165 del 2017, cd. Rosatellum.

    [13] Come nella proposta deposita alla Camera, XVIII legislatura, A.C. 2238. Il ddl di revisione mira a ridurre a due il numero dei delegati regionali nell’elezione del Presidente della Repubblica, per riequilibrare la riduzione della componente parlamentare nel collegio elettorale chiamato a designare il Capo dello Stato.  

    [14] Così E. Cheli, Editoriale. Dopo il referendum costituzionale. Quale futuro per il nostro Parlamento?, in Quad. cost., 2020, 699.

    [15] A. Manzella, Elogio dell’Assemblea, tuttavia, Modena, 2020, p. 30.

     

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