GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Responsabilità medica in équipe e dovere di diligenza sull’operato altrui.

    Il testo ricostruisce lo sviluppo della più recente giurisprudenza in tema di attività medica in équipe, ponendo particolare attenzione sulle controverse questioni relative all’estensibilità del dovere di diligenza del singolo sanitario al controllo e alla vigilanza dell’operato altrui.

    La mera appartenenza all’équipe non è sufficiente a legittimare l’addebito a carico del sanitario che abbia agito nel rispetto delle proprie regole cautelari.

    Di qui la necessità di individuare un criterio posto a governo del giudizio di accertamento della responsabilità penale. L’applicazione del principio di affidamento - seppure non inteso in termini assoluti -  contribuisce a delimitare i doveri incombenti su ciascun sanitario, conciliando così il principio della personalità della responsabilità penale con la crescente specializzazione e divisione del lavoro in ambito medico.

     

    Sommario: 1. L’attività medico-chirurgica in équipe. – 2. Il principio di affidamento quale criterio di attribuzione della responsabilità penale. – 3. Le eccezioni alla regola del principio di affidamento: a) la prevedibilità dell’altrui comportamento inosservante. - 4.(segue): b) il dovere giuridico primario di controllo e coordinamento del capo équipe sull’operato altrui. - 5. Conclusioni.



    1.L’attività medico-chirurgica in équipe.

        Il settore medico-chirurgico si caratterizza per lo svolgimento di attività sì rischiose, ma giuridicamente autorizzate dall’ordinamento giuridico in quanto socialmente utili.

        Al fine di garantire il giusto equilibrio tra l’esigenza di tutela di un bene minacciato, nella specie il diritto alla salute, e lo svolgimento di un’attività utile, quale l’intervento chirurgico, l’ordinamento ammette l’attività pericolosa, purché la stessa sia svolta nei limiti del c.d. rischio giuridicamente consentito. Quest’ultimo è fissato attraverso la predisposizione legislativa di regole di condotta cui i singoli soggetti devono attenersi. Sicché, al concretarsi di un evento lesivo, il medico che ha operato attraverso l’impiego delle regole cautelari impostegli è tendenzialmente esentato da ogni forma di responsabilità penale[1].

        Più complessa è l’individuazione di un criterio di attribuzione della responsabilità penale quando le attività sono svolte in équipe. In tal caso, infatti, ai tradizionali problemi legati all’accertamento della colpa e della rilevanza causale della condotta posta in essere da ciascun sanitario, si aggiunge la difficoltà della individuazione della responsabilità nell’azione collettiva dell’équipe, considerato anche il continuo progresso della medicina che ha determinato un proliferare di specializzazioni divergenti le une dalle altre dal punto di vista prescrittivo[2].

        Va preliminarmente specificato che con il sintagma équipe medica si fa riferimento alle ipotesi di cooperazione di più sanitari che interagiscono tra di loro per il conseguimento del fine comune della tutela della salute del paziente. Nello specifico, questa attività d’équipe si concretizza in un unico contesto spazio-temporale, mediante la c.d. attività sincronica verticale e orizzontale[3], o in tempi diversi ma intersecati tra di loro. In quest’ultimo caso di c.d. attività diacronica si assiste ad una successione nella posizione di garanzia tra i vari medici che intervengono in sequenza, come avviene nel caso del turno ospedaliero.

        In questo ambito, a parte le modalità di composizione del gruppo, è interessante capire se, in un contesto a partecipazione pluri-soggettiva, a fronte di un comportamento colposo riferibile solo ad alcuni componenti il gruppo, sia chiamato a rispondere penalmente anche colui che ha operato nel rispetto delle proprie regole di diligenza.

    2. Il principio di affidamento quale criterio di attribuzione della responsabilità penale.

        Il c.d. comportamento doveroso lecito esigibile dai singoli partecipanti ad un’équipe medica, in quanto compartecipi della gestione di un rischio comune destinatari di regole cautelari dirette ad evitare il medesimo evento, «ricomprende solamente condotte a sé esclusivamente riferibili» o può «altresì comportare obblighi di vigilanza e prevenzione rispetto ad una possibile azione colposa altrui [4]»?

        Il busillis non ha naturalmente riflessi marginali perché dalla soluzione data discende la sussistenza o meno della responsabilità in capo al singolo.[5]

        Secondo un primo orientamento il sanitario oltre a dover rispettare i canoni di diligenza e prudenza suoi propri, relativi alle specifiche mansioni svolte, è anche gravato dal defatigante obbligo di vigilare e curare l’osservanza delle regole cautelari altrui, fino a configurare una poco convincente forma di responsabilità per fatto altrui[6]. Tale indirizzo, foriero di una sostanziale violazione del principio costituzionale della personalità della condotta penalmente rilevante, ha spinto la dottrina più avvertita a ricostruire la responsabilità penale dei componenti l’équipe mediante il ricorso al principio di affidamento[7].

        Questo principio, affermatosi in Germania in materia di circolazione stradale, prevede che «ciascun soggetto può e deve poter confidare nel corretto comportamento degli altri soggetti, cioè nel rispetto da parte loro delle “regole cautelari”, scritte o non scritte, proprie delle rispettive attività da essi svolte ed aventi la funzione preventiva di escludere o contenere la pericolosità delle stesse[8]». Esemplificando, in forza di tale regola, secondo l’esperienza tedesca, il pedone che attraversi la strada sulle strisce pedonali, potrà confidare sul doveroso arresto della corsa dell’automobilista sopravveniente[9].

        Il principio in parola, recepito dall’ordinamento giuridico italiano, ha quindi trovato applicazione in materia di divisione del lavoro, in species nell’attività medico chirurgica in équipe[10].

        Da qui, ne deriva che «il soggetto titolare di una posizione di garanzia, come tale tenuto giuridicamente a impedire la verificazione di un evento dannoso, può andare esente da responsabilità quando questa possa ricondursi alla condotta esclusiva di altri, (con)titolare di una posizione di garanzia, sulla correttezza del cui operato il primo abbia fatto legittimo affidamento»[11].

        Chiaramente questo esonero da responsabilità del singolo non costituisce un privilegio immotivato essendo, invece, funzionale a far sì che ciascuno si concentri sulla propria sfera di responsabilità, libero dalla costante preoccupazione di controllare l’altrui operato[12]. Ne deriva che il principio di affidamento, quale criterio di perimetrazione degli obblighi di diligenza gravanti sul singolo, risponde all’esigenza specifica di garantire «una migliore e più assorbente applicazione che lo specifico ruolo richiede[13]».

        Tuttavia, la pedissequa applicazione del principio in parola comporta non solo problemi di coordinamento della stessa attività di gruppo, ma anche la difficoltà di accertare la rilevanza causale della condotta posta in essere da ciascun componente, e quindi di verificare sino a che punto gli altri componenti dell’équipe possono considerarsi immuni dal rimprovero penale.

        Pertanto, al fine evitare una rischiosa deresponsabilizzazione dei soggetti agenti in spregio all’esigenza di salvaguardia della tutela del bene-salute dei consociati, la giurisprudenza è intervenuta per definire l’ambito di operatività del legittimo affidamento.

        I giudici di legittimità sono giunti ad affermare l’esigenza di un accertamento del ruolo svolto dal sanitario componente l’équipe attraverso un’analisi case by case [14], riconoscendo all’applicazione del principio di affidamento l’impiego di un duplice ordine di limiti, quali «la riconoscibilità dell’altrui comportamento inosservante e l’obbligo di controllo sull’operato altrui».[15]


    3.  Le eccezioni alla regola del principio di affidamento: a) la prevedibilità dell’altrui comportamento inosservante.

        Il primo limite, vale a dire la riconoscibilità – prevedibilità dell’altrui comportamento inosservante è di ordine fattuale: l’aspettativa di affidamento del singolo partecipante riposta nell’altro in colpa risulta non più giustificata laddove insorgano comportamenti altrui scorretti dovuti alla mancata osservanza delle leges artis generiche, e non specialistiche, pertinenti cioè alle conoscenze professionali di ciascun medico e rese evidenziabili dalle concrete circostanze del caso[16].

        Le fattispecie in esame sono quelle a partecipazione pluri-soggettiva orizzontale (sincronica o diacronica che sia [17]), in cui, pur mancando un obbligo primario di controllo sull’altrui condotta (operando, almeno di regola, il principio di affidamento) [18], questo sorge in via secondaria ed eventuale allorché un qualsiasi membro dell’équipe «abbia avuto modo di percepire comportamenti scorretti ed inadeguati osservati da altri membri, tali da far prefigurare esiti pregiudizievoli per il bene della salute del paziente destinatario delle cure»[19]. La prevedibilità della scorrettezza altrui, in tali casi, in assenza di un intervento rimediale dovuto all’ inerzia del medico, comporta «l’imputazione dell’evento infausto in cooperazione colposa (art.113) tra il medico in errore “diretto” ed il medico che non ha fronteggiato tale circostanza nonostante la posizione di garanzia di cui è stato investito e la riconoscibilità della imperizia (art. 40 co. 2 c.p.).[20]

        Esemplificativamente, un medico dell’equipe operatoria intervenuto ad assistere il collega nel parto, pur non avendo la specializzazione in ginecologia, è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione responsabile in concorso con il ginecologo per la morte di un neonato. Tale responsabilità concorrente è stata ascritta per non avere diagnosticato la situazione di asfissia del feto, nonostante «la presenza di sintomi evidenti» e quindi in una «situazione né difficile né complessa, che non richiedeva, per essere adeguatamente affrontata, particolari cognizioni specialistiche»[21].

        Sicché, la preordinata divisione del lavoro non esonera, di per sé, il singolo dal dovere di vigilanza dell’operato altrui se questo è posto in essere con modalità che lasciano riconoscere e prevedere l’inosservanza delle regole cautelari, emendabili peraltro con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio.

        Più dettagliatamente, la giurisprudenza ha affermato che «l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali»[22]

        Con tale affermazione il contenuto del dovere di diligenza incombente sul singolo sanitario sembra ampliato in quanto alla regola generale – basata sull’obbligo di agire nel rispetto delle proprie leges artis – si aggiungerebbe un ulteriore obbligo di controllo anche dell’operato altrui, che si spinge fino all’intervento correttivo di errori, in contrasto all’applicazione del principio di affidamento.

        In realtà l’indirizzo interpretativo fa riferimento a quelle sole ipotesi, ragionevolmente circoscritte, in cui il singolo componente dell’équipe sanitaria percepisca sussistere «circostanze fattuali che si rivelano idonee ad annullare l’aspettativa di un comportamento corretto da parte degli altri»[23] e rendono, pertanto, perseguibile l’inosservanza del dovere di controllo.

        Circostanze queste, fissate dalla giurisprudenza di legittimità, che fanno leva sui parametri dell’evidenza e della non settorialità dell’errore altrui, il cui significato appare opportuno specificare.

        Orbene, mentre il concetto di evidenza è da intendersi in termini qualitativi, cioè «come concreta percezione o percepibilità dell’errore da parte di un professionista, impegnato nelle mansioni di sua competenza»[24], il concorrente requisito della non settorialità concerne la rilevabilità dell’errore tecnico sulla base del patrimonio di conoscenze comuni ad ogni sanitario, ancorché sprovvisto delle specifiche cognizioni tecniche del medico che ha commesso l’errore[25].

        In questa prospettiva si colloca la sentenza della Suprema Corte che ha affermato la responsabilità per omicidio colposo di una partoriente, per il riscontrato errore evidente di un anestesista nella manovra di intubazione; Al contempo ha assolto il medico chirurgo in ragione del fatto che l’errore era sì evidente ma solo per un anestesista medio. L’attività anestesiologica in quanto tale non era cioè percepibile dal chirurgo sulla base del suo patrimonio di conoscenze generiche e specialistiche.[26]

        I due requisiti, limitati ai soli casi di errori macroscopici e agevolmente riconoscibili, fungono dunque da “parametro di valutazione della colpevolezza” [27] per l’inosservanza dell’obbligo di intervento, da accertare di volta in volta tenendo conto delle peculiarità della fattispecie concreta [28].

        L’applicazione del principio di affidamento non indulge pertanto a meccanismi presuntivi, ma lascia spazio alle peculiarità del caso concreto. Ciò va necessariamente coniugato con l’esigenza di rispettare anche il principio della divisione del lavoro assunto ormai a rango di fattore di sicurezza. Laddove, infatti, i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono nettamente distinti deve trovare riconoscimento il «principio dell’affidamento […] non potendosi trasformare l’onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui» [29], sempre che, ovviamente, non si appalesino circostanze tali da renderne evidente la negligenza[30].

      4. (segue): b) il dovere giuridico primario di controllo e coordinamento del capo équipe sull’operato altrui.

        In relazione al secondo limite, questa volta di ordine giuridico, il principio di affidamento subisce una torsione ancor più stringente nelle ipotesi di distribuzione verticale del lavoro. Infatti, in presenza di un’équipe gerarchicamente organizzata il rapporto tra il principio di affidamento e il dovere di controllo risulta invertito: la particolare posizione apicale rivestita dal capo équipe comporta  l’obbligo per lo stesso di porsi in condizione di sorvegliare, controllare e coordinare le attività dei suoi collaboratori per prevenire o correggere l’eventuale comportamento negligente di uno di essi.

        Si pensi al dovere che grava verso infermieri, ostetriche ed assistenti sul capo-équipe chirurgico. Questo, in coerenza con la posizione che ricopre, è chiamato non solo a dover eseguire con diligenza e perizia le mansioni a lui assegnate nell’ambito della divisione delle competenze, ma ha anche un dovere di direzione e controllo dell’attività svolta dai subordinati, anche se specialisti, e nei cui confronti non può, di regola, porre alcuna forma di affidamento.

        Il ruolo del capo-équipe si arricchisce quindi di un ulteriore dovere giuridico che in tal caso ha valore primario, a differenza dei rapporti giuridici orizzontali in ordine ai quali, come indicato nel paragrafo precedente, si configura un dovere giuridico secondario in capo agli altri componenti [31]. Il medico in posizione apicale ha dunque in tali casi l’obbligo di impedire eventi lesivi al bene protetto cagionati da terzi, pena una sua responsabilità (in concorso).

         Così inteso il limite all’affidamento, la posizione di garanzia ricoperta dal capo équipe pare assumere prima facie valore assoluto: egli ha un dovere continuo e costante di sorveglianza su tutta l’attività dei collaboratori. Ma il soggetto gerarchicamente sovraordinato, per la sola posizione che riveste, non può considerarsi sempre e comunque responsabile degli errori colposi altrui. Si configurerebbe altrimenti una forma di responsabilità oggettiva o comunque per fatto altrui (sub specie responsabilità da posizione), in violazione del principio personalistico sancito dall’art. 27 Cost.; peraltro «.. si finirebbe per dare davvero quel significato di metodica sfiducia nell’abilità e nelle capacità degli altri […] finendo per assottigliare di molto la valenza dello stesso principio di affidamento» [32].

        Di qui la necessità di evitare il rischio di una vanificazione del principio della divisione del lavoro e una paralisi del principio di affidamento, attraverso una ricostruzione più rigorosa dei contorni della posizione di garanzia del capo équipe.

        Come rilevato in precedenza, l'ampia posizione di garanzia di cui il capo dell'equipe operatoria è titolare, si compone sia dell’attività direttamente operativa, sia della supervisione dell’altrui operato. In relazione a quest’ultima è necessario circoscrivere con esattezza l’ambito di operatività in quanto caratterizzato da una duplice funzione: di controllo e di coordinamento.

        Il dovere di controllo prevede che l’obbligo di sorvegliare il comportamento altrui non si limita alla sola fase iniziale dell’intervento chirurgico, come riteneva una parte della dottrina [33], ma va assolto per tutta la durata dell’attività medico – chirurgica, finanche nella fase post-operatoria.

        Così, il medico sovraordinato prima dell’inizio dell’intervento deve innanzitutto valutare la composizione del gruppo, e quindi la sussistenza in esso di eventuali circostanze che possano prefigurare il verificarsi di comportamenti inadeguati. Tipica è l’ipotesi di rischio derivante dall’inesperienza di uno dei componenti l’équipe cui il direttore dell’intervento deve preventivamente avvedersi: in tal caso l’importanza della funzione di controllo è direttamente proporzionale all’inesperienza del sottoposto [34]. Inoltre, sempre nella fase pre-operatoria, ciascun componente di una équipe chirurgica, a prescindere peraltro dal fatto che si trovi «in posizione sovra o sottordinata», è sempre tenuto a verificare prima dell’operazione le condizioni generali di salute del paziente risultanti dalla cartella clinica al fine di accertarsi che l’intervento sia compatibile e adeguato al caso di specie[35].

        Autorizzato poi l’inizio dell’intervento, il medico chirurgo deve ancora continuare a vigilare sull’operato dei sottoposti, assunto del quale la casistica giurisprudenziale offre svariate esemplificazioni concrete [36]. Tra queste, emerge il dovere dello stesso di partecipare attivamente alle decisioni sulle scelte terapeutiche e di definire i criteri diagnostici che poi dovranno essere seguiti dai subalterni.

        Allo stesso modo, nella fase post-operatoria la funzione del capo équipe deve essere egualmente improntata al dovere di controllo, non potendosi sottovalutare la necessitá di seguire il decorso successivo all’intervento [38]. E’ stata così dichiarata la responsabilità colposa del chirurgo operante che si allontanava dalla clinica, dopo la conclusione dell’intervento, disinteressandosi e sottovalutando le condizioni del paziente, pur a conoscenza del suo mancato risveglio[38].

        Il dovere di coordinamento invece, è inteso come «necessità di disporre previa e opportuna ripartizione delle varie mansioni tra i componenti del gruppo, a garantire la copertura di tutte le esigenze che l’intervento comporta» [39]. Così ad esempio, è stato ritenuto penalmente responsabile un chirurgo capo équipe che, a fronte di una questione anestesiologica di carattere interdisciplinare (a lui nota), non ha impedito l’errata condotta dell’anestesista ed evitato la morte del paziente. [40] 

        Tanto premesso, non vi è dubbio come sia evidente la difficoltà di riconoscere l’operatività del principio di affidamento nelle operazioni chirurgiche gerarchicamente organizzate. L’esigenza è quella di tutelare il legittimo affidamento del paziente, ma anche quella di garantire il capo équipe, evitando che il dovere di supervisione intrinseco alla posizione apicale, lo possa investire di responsabilità per qualsiasi prestazione inesatta altrui. [41] Opportuno limitare pertanto le imputazioni del capo-équipe alle sole ipotesi di negligenza dei sottoposti che siano effettivamente evidenti e controllabili [42], come peraltro già accade nei rapporti tra operatori sanitari di pari livello.

        Di qui l’apertura della Cassazione nel caso in cui tra i componenti l’équipe vi sia un sanitario con un sapere altamente specializzato[43]. Inoltre, se il direttore dell’operazione si procura le informazioni sulle iniziative intraprese o che stanno per essere intraprese dagli altri medici «non può essere chiamato a rispondere di ogni evento dannoso che si verifica, pure in sua assenza, all'interno del reparto affidato alla sua responsabilità, non essendo dal medesimo esigibile un controllo continuo e analitico di tutte le attività terapeutiche ivi attuate» [44].  Va da sé che in tali situazioni sussistano circostanze concrete legittimanti un ragionevole affidamento sull’operato altrui.

        Lo stesso ragionamento si è recentemente prodotto anche nel periglioso campo della condotta omissiva «in tema di reato omissivo improprio, la titolarità di una posizione di garanzia, non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione, da parte del garante, di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso» [45].

        Il sanitario operante in qualità di capo-équipe non può dunque per ciò solo, sic et simpliciter, ritenersi penalmente responsabile. E’, invece, necessario, così come nei rapporti orizzontali, verificare la sussistenza della responsabilità del capo équipe attraverso una prudente analisi case by case. Solo sulla base del dato empirico e della peculiarità del caso concreto è infatti possibile orientare l’interprete nel giudizio di accertamento sulla sussistenza della ragionevole prevedibilità dell’evento, oltre che sull’ampiezza degli specifici obblighi gravanti sul capo equipe.

     5. Conclusioni.

        Sia la legge Balduzzi prima che la legge Gelli-Bianco successivamente[46], non hanno affrontato specificamente la questione dell’attività medico-chirurgica in équipe, per cui l’apporto delle novelle legislative al tema in esame resta confinato alle pur non marginali questioni relative al rispetto delle linee guida e buone pratiche accreditate (per quanto riguarda la legge 8.11.2012 n. 189) ed al nuovo modello di responsabilità penale del medico introdotto dall’art. 590-sexies c.p.  (con riferimento alla legge 8.3.2017 n.24), che va esteso a tutti i componenti dell’équipe[47].

        Tuttavia, nonostante l’assenza di un preciso riferimento normativo in materia, è palese, da uno studio della dottrina e della giurisprudenza più recente, come nella disamina relativa agli obblighi gravanti sui componenti un’équipe, e sulla loro responsabilità, stia profondamente incidendo la portata del generale principio di affidamento come valido criterio di delimitazione delle responsabilità.

        Se inizialmente si era privilegiato un ampliamento della portata delle regole di prudenza e diligenza in capo a ciascun esercente la professione sanitaria, comprensiva del dovere di «farsi carico anche delle manchevolezze dell’altro componente l’equipe»[48], e quindi un’automatica esclusione del legittimo affidamento, oggi il rigore di tale indirizzo sembra temperato.

        Le soluzioni fornite recentemente dalla giurisprudenza, come sin qui esaminate, sono infatti prevalentemente improntate a rimarcare il principio di personalità della responsabilità penale e della “ragionevole prevedibilità” del comportamento colposo del terzo, parametri questi che fungono peraltro da comune denominatore di entrambe le eccezioni analizzate in precedenza[49].

        Allineandosi, quindi, su posizioni favorevoli all’applicabilità del principio di affidamento, la giurisprudenza sta mostrando sempre maggiore sensibilità nella distinzione dei ruoli dei singoli sanitari.

        Non a caso è stato suggestivamente evidenziato come le sentenze della Corte di Cassazione «… stanno traghettando il principio di affidamento fuori da quel limbo in cui sembrava giacere e stanno contribuendo in maniera decisiva a un più chiaro inquadramento sistematico dello stesso»[50].

        L’intenzione, in definitiva, sembra quella di circoscrivere gli obblighi di sorveglianza altrui alle ipotesi di errori macroscopici, realmente percettibili e prevedibili del sanitario membro dell’équipe attraverso un’analisi delle circostanze fattuali in cui si sviluppa l’intervento terapeutico.

        E’ infatti sul giudizio di prevedibilità in concreto operato di volta in volta dall’interprete «che si gioca la necessaria canalizzazione della responsabilità per colpa del sanitario in équipe nell’assetto dei principi costituzionali di tassatività e personalità del rimprovero penale»[51].

                                                                              

                                                                                              

    [1] Si veda a tal riguardo la disciplina di cui alla l. nr. 24/2017, cd. “Gelli-Bianco”.

    [2] Cfr. L. Risicato, L’attività di équipe tra affidamento ed obblighi di controllo reciproco. L’obbligo di vigilare come regola cautelare, Giappichelli, 2013.

    [3] L’attività sincronica si caratterizza a sua volta o in una forma di collaborazione di tipo orizzontale (in cui i sanitari, dotati di specializzazioni e competenze diverse, operano in una posizione paritaria, come avviene nel rapporto tra medico chirurgo e medico anestesista), ovvero di tipo verticale, in cui, invece, gli stessi hanno uguale specializzazione ma diversa posizione gerarchica, come avviene nel rapporto tra capo équipe e specializzando.

    [4] La questione viene diffusamente analizzata, se pure con riferimento ad un caso giudiziario in campo ben diverso da quello medico, da: G. Bova - A. Marchini, Il caso Costa Concordia: profili di responsabilità penale del comandante, CP, 2018, 4, pp. 1144;

    [5] Senza dubbio non può trattarsi di ipotesi di cooperazione colposa ex art. 113 c.p. in quanto nelle situazioni oggetto d’analisi non si rinviene la sussistenza nell’animus del compartecipe di contribuire all’azione od omissione altrui; così: Cass. Sez. IV pen., 28 novembre 2014 n. 49735.

    [6] A seguito di un esito infausto, considerata la difficoltà di attribuire la responsabilità penale all’azione colposa dell’uno o dell’altro operatore sanitario, è preferibile configurare nelle situazioni summenzionate, sulla chiara scia di matrice civilistica, una “responsabilità di gruppo”; così: E. Guerinoni, Attività sanitaria e responsabilità civile, CG, 2013, all. 1, p.5; G. Cattaneo, La responsabilità del medico nel diritto italiano, in AA.VV:, La responsabilità medica, Giuffrè, 1982, p. 22;

    [7] Cfr. G. Fortunato, Ancora sui rapporti tra il principio di affidamento ed équipe medica, DPCO, 2017, 5, p.41.

    [8] F. Mantovani, Il principio di affidamento nel diritto penale, RIDPP, 2009, p. 536.

    [9] Nell’ordinamento giuridico italiano in materia di circolazione stradale il codice contiene norme che riducono quasi a zero le possibilità di una pacifica affermazione del principio di affidamento in quanto preferiscono estendere al massimo l’obbligo di prudenza e di perizia dei singoli agenti sino a comprendere il dovere di prospettarsi le altrui condotte irregolari.  Si pensi all’art. 141 C.d.S, - che impone di regolare la velocità in relazione alle circostanze esterne – oppure l’art. 145 C.d.S,  - che impone la massima prudenza nell’impegnare l’incrocio – e l’art. 191 C.d.S – che prescrive la massima prudenza nei confronti dei pedoni ovunque essi si trovino. E’ evidente che quello della circolazione stradale è un contesto meno definito rispetto a quello del lavoro medico in équipe. Dal punto di vista strutturale, infatti, nell’uno si configura una interazione impersonale eventuale fra soggetti non preventivamente determinabili mentre nell’altro, dell’attività in équipe, c’è un intreccio cooperativo preesistente tra soggetti determinati”. Vedi in dottrina: A. Massaro, Principio di affidamento e obblighi di sorveglianza nell’attività sanitaria: plurisoggettività diacronica e lavoro di équipe, relazione al corso della S.S.M. “La responsabilità colposa nell’ambito delle attività sanitarie”, 29.6.2018, www.scuolamagistratura.it; in giurisprudenza: Cass. Sez. IV pen., 4 dicembre 2009, n. 46741.

    [10] Si osservi, peraltro, che il campo connaturale di operatività del principio di affidamento è esclusivamente quello delle attività rischiose giuridicamente autorizzate, e tra queste rientrerebbero ineludibilmente anche quelle medico - chirurgiche svolte in équipe, perché: “.. a) solo rispetto a tali attività sono concepibili le regole cautelari delimitanti l’autorizzazione giuridica delle medesime: «il rischio consentito»; b) solo rispetto ad esse è, conseguentemente, concepibile la possibilità per il singolo di confidare sul rispetto delle regole cautelari da parte degli altri autori di attività rischiose, autorizzate e convergenti”. Così F. Mantovani, Il principio di affidamento cit., p. 538.

    [11] M. Bilancetti - F. Bilancetti, La responsabilità penale e civile del medico, Cedam, 2013, pp. 879.

    [12] L. Gizzi, Orientamenti giurisprudenziali in tema di responsabilità medica in équipe, DPP, 6, 2006.

    [13] M. Bilancetti - F. Bilancetti, La responsabilità penale e civile del medico cit.p. 882 ss.

    [14] Cfr. Cass. Sez. IV pen., 21 dicembre 2017, n. 2354, per cui «in applicazione del principio di affidamento, per individuare la responsabilità penale del singolo sanitario che presta il proprio intervento in équipe medica, è necessario verificare l’incidenza avuta dalla sua condotta nella causazione dell’evento».

    [15] A. Massaro, Principio di affidamento e obblighi di sorveglianza cit.p.2.

    [16] A. Buzzoni, Responsabilità medica in équipe: breve disamina egli orientamene giurisprudenziali, www.diritto.it, 2017

    [17]«Ogni sanitario, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, è tenuto a osservare gli obblighi a ognuno derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune e unico. Ne consegue che nella colpa medica nell’attività d’equipe ciascuno dei soggetti che si dividono il lavoro risponde dell’evento illecito,[…] altresì per non essersi fatto carico dei rischi connessi agli errori riconoscibili commessi nelle fasi antecedenti o contestuali al suo specifico intervento, non potendo il sanitario esimersi dal valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega sia pur specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza ponendo se del caso rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali e, come tali, rimediabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio». Cass. Sez. IV pen., 24 gennaio 2005, n.18548; così anche Cass. Sez. IV pen., 16 maggio 2016, n. 20125.

    [18] Così G. Bova – A. Marchini, Il caso Costa Concordia, cit., p. 1147.

    [19] L. D’Apollo, La responsabilità del medico, Torino, 2012, p. 335. Tra le fattispecie sottoposte al vaglio dei giudici di legittimità quanto occorso durante un intervento di mastoplastica additiva in cui, a seguito di un mal posizionamento sul lettino operatorio della paziente, mantenuto per tutta la durata dell’intervento, era derivata una lesione neuroprassica del tronco superiore del plesso branchiale. In tal caso, la Cassazione si è espressa nel senso che il mal posizionamento della paziente sul lettino «pur essendo materialmente predisposto dall’anestesista, non può definirsi operazione del tutto sottratta al controllo del medico-chirurgo, incaricato dell’intervento»,di qui la responsabilità dell’anestesista in concorso con il medico-chirurgo(Cass. Sez. IV pen., 2 aprile 2010 n. 19637).

    [20] F. Lombardi, Il principio di affidamento nel trattamento sanitario d’équipe, in www.giurisprudenzapenale.com, 2018, 7-8, p. 5.

    [21] Cfr. Cass. Sez. IV pen., 24 gennaio 2005 n. 231535. Allo stesso modo, in ipotesi di omicidio colposo, si è pervenuti alla condanna oltre che del ginecologo anche delle ostetriche, ritenendo «….che l’errore commesso dal ginecologo nel trascurare i segnali di sofferenza fetale non esoneravano le ostetriche dal dovere di segnalare il peggioramento del tracciato cardiotocografico, in quanto tale attività rientrava nelle competenze di entrambe le figure professionali operanti in équipe» (Cass. IV pen., 18 ottobre 2016 n. 53315).

    [22] Tra le plurime pronunzie in materia, vedi: Cass. sez. IV pen., 18 ottobre 2016, n. 53315; Cass. sez. IV pen. 11 ottobre 2007, n. 41317; Cass. sez. IV pen., 12 luglio 2006, n. 33619: Cass. sez. IV pen., 2 marzo 2004, n. 24036; Cass. sez. IV pen., 24 gennaio 2005, n. 18548;

    [23] G. Fortunato, Ancora sui rapporti, cit., p.41.

    [24] Ibidem, p. 42.

    [25] Il dovere secondario del sanitario di «valutare l’attività del collega e la sua correttezza, cogliendone eventuali inadeguatezze e ponendovi rimedio, incontra [pertanto] un duplice limite, nel fatto che gli errori altrui siano rilevabili, e conseguentemente rimediabili da un medico non specialista nel settore interessato e nel fatto che siano prevedibili nella concreta situazione fattuale» così R. Bartoli, Responsabilità penale e rischio nelle attività mediche e d’impresa,  University Press, 2010, p. 35.

    [26] Cass. Sez. IV pen., 12 luglio 2006, n. 33619.

    [27] L. D’Apollo, La responsabilità del medico cit., p. 336.

    [28] La Suprema Corte (Cass. Sez. IV pen., 20 aprile 2017, n. 27314) ha elaborato il principio secondo cui «la responsabilità penale di ogni componente di una équipe medica per un evento lesivo occorso ad un paziente sottoposto ad intervento chirurgico non può essere affermata sulla base dell’accertamento di un errore diagnostico genericamente attribuito all’équipe nel suo complesso, ma va legata alla valutazione delle concrete mansioni di ciascun componente, nella prospettiva di verifica, in concreto, dei limiti oltre che del suo operato, anche di quello degli altri»; così anche Cass. Sez. IV pen., 5 maggio 2016, n. 18780 e Cass. Sez. IV pen., 3 dicembre 2015, n. 20125.

    [29] Cass. Sez. IV pen., 4 settembre 2018, n. 39733; Cass. Sez. IV pen., 20 aprile 2017, n. 27314; RIML, 2017, p. 1227, nt. S. Tunesi; vedi anche: Cass. Sez. IV pen., 8 luglio 2015 n. 7346; Cass. Sez. IV pen., 18 giugno 2013, n. 43988; Cass. Sez. IV pen.,9 aprile 2009, n. 19755.

    [30] A tal riguardo può farsi riferimento al caso del sanitario operante in qualità di secondo chirurgo che, resosi conto dell’intervenuta lacerazione dell’aorta e conseguente emorragia, aveva segnalato la circostanza al primo operatore che era intervenuto con la relativa suturazione ed apparente successo, data l’assenza di sanguinamento. Il successivo decesso del paziente, dovuto ad errori nella suturazione, è stato attribuito al solo primo operatore «non potendosi trasformare l’onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui», vedi: A. Foti, Intervento chirurgico e decesso del paziente: come accertare la responsabilità del singolo componente dell’équipe medica? D&G, 94, 2017, p. 27.

    [31] G. Fortunato, Ancora sui rapporti cit., pp. 43 ss.

    [32] A. Iadecola, I criteri della colpa nell'attività medica in équipe, GM, 1997, p. 229.

    [33] In tal senso E. Belfiore, Profili penali dell’attività medico-chirurgica in équipe, AP,  8, 1986, p. 295 ss.

    [34] Se difatti Infatti è ragionevole riconoscere al medico sovraordinato la facoltà di fare affidamento sull’operato dell’aiuto anziano, tale facoltà non può assumere rilevanza nell’ipotesi in cui ad operare sia un giovane collaboratore. Così:.«…in tema di colpa professionale, risponde del reato commesso dal medico specializzando, materiale esecutore dell’intervento chirurgico, anche il primario, cui lo specializzando è affidato, il quale allontanandosi durante l’operazione, viene meno all’obbligo di diretta partecipazione agli atti medici posti in essere dal sanitario affidatogli» Cass. Sez. IV pen., 3 marzo 1988, nt. Scotto, www.filodiritto.com., 2015.

    [35] Ciò significa che anche il sanitario in posizione di minore rilievo non può limitarsi a svolgere correttamente le proprie specifiche mansioni, ma deve garantire «pur sempre una partecipazione all’intervento chirurgico non da mero spettatore ma consapevole e informata». Sicché colui che non condivide le scelte adottate dal primo medico, nonostante sia in posizione di secondo operatore, è chiamato in ogni momento a segnalare il suo motivato dissenso rispetto alle scelte chirurgiche effettuate dagli altri operatori, ivi inclusa la scelta stessa di procedere all’operazione. Così Cass. Sez. III civ., 29 gennaio 2018, n. 2060, in GPW, 2018, 7-8, nt. S.M. Spina.

    [36] E’ stata affermata la penale responsabilità di un urologo che, al momento della chiusura dell’operazione chirurgica, aveva omesso la rimozione di una garza dall’addome del paziente, pur se l’evento lesivo era derivato dalla condotta colposa dell’addetto al conteggio dei ferri, per aver omesso, o inadeguatamente esercitato, il controllo sull’operato di quest’ultimo. Vedi Cass. Sez. IV pen., 25 maggio 2016, n. 34503 per cui:«…grava sul capo dell’équipe medico-chirurgica il dovere, da valutarsi alla luce delle particolari condizioni operative, di controllare il conteggio dei ferri utilizzati nel corso dell’intervento e di verificare con attenzione il campo operatorio prima della sua chiusura, al fine di evitare l’abbandono in esso di oggetti facenti parte dello strumentario». Allo stesso modo Cass. Sez. IV:pen., 26 maggio 2004, n. 39062, per fattispecie in cui, durante un’operazione chirurgica, non era stata rilevata da alcuno, neanche successivamente al momento del conteggio dei ferri, la rottura del margine della pinza e il suo deposito nell’addome.

    [37] «Il capo dell’équipe è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, che non è limitata all’ambito strettamente chirurgico ma si estende al successivo decorso post-operatorio, poiché le esigenze di cura e di assistenza dell’infermo sono note a colui che ha eseguito l’intervento più che ad ogni altro sanitario», Cass. Sez. IV pen., 6 marzo 2012, n. 17222.

    [38] Cass. Sez. IV pen., 7 novembre 1988 n. 180245. E stata invece esclusa la responsabilità del direttore dell’intervento che, prima di allontanarsi, «abbia affidato il paziente ad altri sanitari, debitamente edotti e in grado di seguire il decorso post operatorio» (cfr. Cass. Sez. IV pen., 23 gennaio 2018, n.  . Vedi anche Cass. Sez. IV pen., 6 marzo 2012 n. 17222;.Cass. Sez. IV pen., 8 febbraio 2005, n. 12275; Cass. Sez. IV, 1 dicembre 2004, n. 9739.

    [39] A. Iadecola, I criteri della colpa nell'attività medica in équipe, cit.., p. 229. Il capo dell’equipe operatoria è titolare di posizione di garanzia nei confronti del paziente in ragione della quale è tenuto a dirigere e coordinare l’attività svolta dagli altri medici, sia pur specialisti in altre discipline, per. Cass. Sez. IV pen., 5 maggio 2015, n. 33329.

    [40] Cfr. Cass. Sez. IV pen., 23 ottobre 2014 n. 1832, per cui: «… in tema di colpa medica, il medico chirurgo operatore è titolare di un’ampia posizione di garanzia nei confronti del paziente, in virtù della quale egli è tenuto a concordare con l’anestesista il percorso anestesiologico da seguire – avute presenti anche le condizioni di salute del paziente e le possibili implicazioni operatorie legate ad esse – nonché a vigilare sulla presenza in sala operatoria del medesimo anestesista, deputato al controllo dei parametri vitali del paziente per tutta la durata dell’operazione». In senso conforme: Cass. Sez. IV pen., 15 maggio 2014, n. 35953; Cass. Sez. IV pen., 18 giugno 2013, n. 43988.

    [41] M. Bilancetti - F. Bilancetti, La responsabilità penale cit., pp. 880;

    [42] T. Napoli, 13 gennaio 2007, in CM, 2007, vl. III, fasc. V, p. 584, nt. Cursi.

    [43] E’ il caso ad esempio dell’anestesista rianimatore «…portatore di conoscenze specialistiche e che assume la connessa responsabilità in relazione alle fasi di qualificata complessità nell’ambito dell’atto operatorio» Cass. Sez. IV pen., 5 maggio 2015, nr. 3329.

    [44] Cass. Sez. IV pen., 25 febbraio 2005, n. 4058.

    [45] Tra le più recenti: Cass. Sez. IV pen., 22 dicembre 2017, n. 3623; Cass. Sez. IVpen., 30 maggio 2017, n. 34375; Cass. Sez. IV pen., 21 settembre 2016, n. 5273; Cass. Sez. IV pen., 11 febbraio 2016, n. 7783; Cass. Sez. IV pen., 6 maggio 2015 n. 24462.

    [46] Sulla portata applicativa della legge 8 novembre 2012, n.189 al tema in esame, cfr. L. Cornacchia, Responsabilità penale da attività sanitaria in équipe, RIML, 3, 2013.

    [47] Ex art. 590-sexies c.p., introdotto dalla L. 8 marzo 2017, n. 24 qualora un evento lesivo si sia verificato, anche nello svolgimento di attività d’équipe, a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida ovvero le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che risultino adeguate al caso concreto.

    [48] Cass. Sez IV pen., 21 maggio 2017, n. 27314.

    [49] Vedi supra sub § 3 e 4.

    [50] A. Massaro, Principio di affidamento e obblighi di sorveglianza, cit., p. 8.

    [51] Cass. Sez. IV pen., 23 gennaio 2018, n. 22007, www.ridare.it, 2018, nt. G.A. Messina.

    Please publish modules in offcanvas position.

    × Progressive Web App | Add to Homescreen

    To install this Web App in your iPhone/iPad press icon. Progressive Web App | Share Button And then Add to Home Screen.

    × Install Web App
    Mobile Phone
    Offline - No Internet Connection