GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Covid, mascherine e diritto penale: precisiamo

    Covid, mascherine e diritto penale: precisiamo

    di Andrea Apollonio    

    Non c'era prima, e non c'è oggi, alcuna situazione di antinomia normativa, di frontale contrasto tra precetti, per cui una norma (precedente o successiva, di grado inferiore o superiore) possa dirsi implicitamente abrogata. In questo senso il lettore va rassicurato: il nostro ordinamento è perfettamente armonico e coerente al suo interno, ieri (con il DPCM) come oggi (con il decreto legge).

    Per concludere, sempre rassicurando il lettore: l'obbligo di indossare le mascherine all'aperto o in luoghi chiusi aperti al pubblico è non solo (ovviamente) legittimo sotto l'aspetto giuridico, ma neppure importa (ovviamente) alcuna conseguenza penale per chi la osserva: al contrario, potrebbe avere conseguenze penalmente rilevanti disattendere tale obbligo.  

    Nonostante il XX secolo abbia avuto numerosi geniali scrittori distopici e fantapolitici, non un Huxley, non un Orwell sono riusciti ad immaginare gli scenari che, da un paio di settimane a questa parte, ci sono (tristemente) noti: infatti, con decreto legge n. 125 del 7 ottobre 2020 è stato introdotto l'obbligo, legato alla diffusione del virus Covid19, di indossare la mascherina all'aperto. E' quindi trascorso il secondo fine settimana con vie e piazze - va detto: popolate quanto e più di prima - a presentare uno scenario degno di un film di George Lucas: tutti col viso coperto dalle mascherine. Tutti o quasi. 

    Perché non tutti si sono adeguati all'obbligo imposto dalla legge, chi per incoscienza chi per una netta presa di posizione personale. E' il caso dei c.d. "no mask", di coloro cioé che ritengono di non dover utilizzare la mascherina, da un lato perché dannosa alla salute (con il naso coperto dal dispositivo di protezione si respirerebbero microparticelle cancerogene), dall'altro, perché tale obbligo sarebbe illegittimo, frutto di una inconcepibile "dittatura sanitaria". Per forza di cose tra i "no mask" si annidano, in rapporto di genere a specie, anche i c.d. "negazionisti Covid" (quanti neologismi in tempi di pandemia...) secondo i quali il virus sarebbe un'invenzione della politica e dei media. Una clamorosa montatura funzionale agli scopi delle oligarchie mondiali - chi siano però i beneficiari ultimi di questo "complotto", non è dato sapere.

    Veniamo a noi. Il tema che, in astratto considerato, per un giurista può suscitare interesse è quello relativo alla legittimità del precetto e quindi, nel nostro caso, alla fondatezza dell'obbligo di indossare le mascherine. Tema che ha già trovato una prima articolazione su questa Rivista nello scritto pubblicato il 16 giugno 2020 da Alberto Rizzo, titolato "Covid e mascherine": un contributo che, senza scendere nel merito della funzionalità tecnica di questi dispositivi "la cui valutazione è opportuno lasciare alle menti scientifiche", prova a rispondere alla domanda: "i regolamenti regionali e ministeriali che impongono alla popolazione di indossare le mascherine sono davvero del tutto legittimi?". Nel momento in cui  è stato scritto l'articolo, infatti, non c'era una legge (recte: un atto avente forza di legge, quale il decreto emergenziale) a disciplinare l'obbligo, bensì un DPCM (quello del 26 aprile 2020) che provava a mettere ordine tra le varie ordinanze regionali e sindacali; inoltre, quattro mesi fa l'obbligo era meno invasivo riferendosi essenzialmente ai luoghi chiusi accessibili al pubblico. Sostituita la fonte, ampliato il divieto, l'interrogativo  assume una sua problematicità giuridica e merita oggi una risposta più rigorosa ed esaustiva.

    Partendo, anzitutto, da alcuni spunti dell'autore, il quale fa riferimento a due norme di carattere penale, che vietano di comparire mascherati o comunque travisati in un luogo pubblico: l’art. 85 del Testo Unico di legge sulla pubblica sicurezza (R.D. n. 773 del 18 giugno 1931) e l’art. 5 della L. n. 152 del 22 maggio 1975 (c.d. Legge Reale). Questo, in sintesi, il ragionamento seguito da Rizzo: poiché in particolare l'art. 5 sanziona penalmente l'utilizzo di ogni mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo, e poiché quello da cui origina la pandemia non è "un virus che aleggia libero nell’aria e, d’altronde, ad oggi non ci sono protocolli sanitari che chiariscono come l’uso delle mascherine in luoghi aperti e non affollati sia funzionale a prevenire la diffusione del contagio" (questa, l'opinione dell'autore), indossare la mascherina all'aperto non andrebbe a costituire un "giustificato motivo": facendone discendere la conseguenza che tutti quelli che oggi la indossano potrebbero essere passibili di sanzione penale. Sollevando un ulteriore dubbio di tenuta ordinamentale: "o è avvenuta un’abrogazione implicita degli artt. 5, L. 152/75, e 85 R.D. 773/1931, poiché il loro contenuto è completamente contrastante con i nuovi regolamenti e decreti che impongono di andare in giro mascherati, oppure questi ultimi andrebbero disapplicati in favore delle leggi penali di rango superiore".

    Anche al di là del fatto che, come detto, l'obbligo di indossare le mascherine sia stato recentemente introdotto con un decreto legge (e quindi, ragionando in termini costituzionali: è stato elevato il rango della fonte normativa), e al netto di quelle che appaiono inesattezze sul piano della teoria del reato (es.: una legge penale, anche se di rango superiore, non potrà mai prevalere su un successivo atto normativo relativo alla stessa materia più favorevole o addirittura scriminante; es.: una pena è applicabile al cittadino solo in quanto accessibile e prevedibile, giammai lo sarebbe se fosse l'Autorità - o addirittura lo stesso legislatore - ad imporre la condotta prevista dalla norma penale, acriticamente valutata), oggi appaiono doverose alcune specificazioni.

    Non c'era prima, e non c'è oggi, alcuna situazione di antinomia normativa, di frontale contrasto tra precetti, per cui una norma (precedente o successiva, di grado inferiore o superiore) possa dirsi implicitamente abrogata. In questo senso il lettore va rassicurato: il nostro ordinamento è perfettamente armonico e coerente al suo interno, ieri (con il DPCM) come oggi (con il decreto-legge).

    L'art. 5 della Legge Reale adotta infatti una tecnica normativa talvolta utilizzata nella formulazione dei precetti penali: viene definita una condotta (andare in giro col volto coperto, da caschi o da altro) penalmente rilevante ma si introduce al contempo una clausola scriminante, di salvaguardia in punto di illiceità, che è appunto il "giustificato motivo": questa locuzione, che può apparire ad occhi inesperti una formula di stile, è in realtà il principale elemento normativo della fattispecie penale, perché ne consente - per meglio definire i contorni della condotta - una integrazione eteronoma: dentro o fuori il sistema penale, prima o dopo l'entrata in vigore del reato, con norma di rango primario o secondario è possibile - in questo caso - legittimare l'individuo a "mascherarsi", per ogni ragione che, in virtù di un interesse pubblico (quello a cui ogni norma deve tendere), viene in astratto individuata.

    In questo modo i compilatori della Legge Reale (una legge che peraltro aveva una finalità ben precisa, di tutela della pubblica sicurezza, emanata in un periodo storico in cui mafia, terrorismo e delinquenza comune - "a volto coperto" - rappresentavano il principale rischio di tenuta per il Paese) avevano intelligentemente prospettato una incriminazione che si espande e si riduce a seconda di altre e diverse esigenze che l'ordinamento deve assicurare all'individuo, giustificando talune sue azioni. Il concetto stesso di "giustificazione" esprime non solo la mera non punibilità, ma qualcosa di più: l'assenza di contrasto con l'ordinamento giuridico complessivamente inteso. Cosicché, il fatto che una norma (ieri di rango secondario: il DPCM; oggi di rango primario: il decreto legge) imponga l'utilizzo della mascherina anche all'aperto per chiare esigenze di carattere sanitario non collide in alcun modo con una fattispecie penale dal precetto elastico (che accoglie già, in via preordinata e astratta, diritti, facoltà e obblighi aliunde previsti nell'ordinamento); la quale peraltro, volendola analizzare sotto l'aspetto teleologico, primo vero criterio interpretativo, è stata ideata per contrastare fenomeni che, con il virus Covid19, non hanno nulla a che fare.

    Stesso discorso vale per le esigenze religiose di ciascuno. In questo senso, non appare conferente il richiamo che Rizzo fa, quale termine di confronto del tema trattato, alle problematiche sollevate dall'utilizzo del burqa. Non a caso, alla domanda che egli si pone ("Una donna che va in giro indossando il burqa quale strumento di espressione della sua appartenenza religiosa, può considerarsi “mascherata” ai sensi delle leggi citate e, quindi, sanzionabile penalmente?") seguono riferimenti a pronunce del Consiglio di Stato, verosimilmente compulsato a seguito dell'emanazione di atti amministrativi: segno tangibile che la questione, al di là delle speculazioni che possono farsi in astratto, non ha mai avuto significativi dibattiti nel campo giurisprudenziale penale: e possiamo facilmente immaginarne le ragioni.

    L'oscillazione tra le due possibili soluzioni prospettate  (esser incriminati per aver indossato la mascherina o ritenere abrogata la relativa fattispecie incriminatrice) sconterebbe quindi, a nostro avviso, una fallacia argomentativa che non tiene conto da un lato dei meccanismi dell'incriminazione, in ogni caso conformati sul principio di effettiva rimproverabilità del soggetto agente, e dall'altro del concreto dispiegarsi del fenomeno dell'abrogazione implicita, cui l'ordinamento ricorre solo nell'estrema ipotesi in cui un legislatore strabico disciplini diversamente - in termini speculari e opposti - anche in tempi diversi una stessa materia.

    Per concludere, sempre rassicurando il lettore: l'obbligo di indossare le mascherine all'aperto o in luoghi chiusi aperti al pubblico è non solo (ovviamente) legittimo sotto l'aspetto giuridico, ma neppure importa (ovviamente) alcuna conseguenza penale per chi la osserva: al contrario, potrebbe avere conseguenze penalmente rilevanti disattendere tale obbligo: basti pensare alle responsabilità colpose di contagio - penalmente rilevanti, queste sì - di chi, bizzarramente sostenendo che "il virus non esiste", vada in giro a fare shopping come se nulla fosse, senza adottare alcuna protezione pur essendo infetto, e magari sintomatico; o di chi addirittura sia consapevole di esserlo, con o senza provvedimenti di confinamento a carico. Un obbligo quindi giuridicamente legittimo e, detto per inciso, fondato sotto l'aspetto scientifico, se è vero che questi provvedimenti, ieri e oggi, sono stati adottati di concerto con gli specialisti del relativo campo medico-sanitario.

    Perché poi, in fondo, il diritto si trasforma in un vuoto simulacro senza un bagno nell' "immane concretezza" dei fatti concreti. Io, ad esempio, non so se il virus Covid19 "aleggia libero nell'aria" oppure si trasmetta attraverso un "contatto stretto" con la persona infetta; non so neppure se l'utilizzo prolungato di una mascherina determini o meno effetti dannosi per la salute. So soltanto che mentre scrivo il Presidente del Consiglio dei Ministri sta illustrando le nuove regole anti-contagio (sempre suggerite dalla comunità scientifica nazionale) che sembrano preludere ad un nuovo lock-down, e che comunque avranno ricadute disastrose sull'economia - le ennesime. In questo contesto, il problema (giuridico?) della possibile antinomia tra le norme dell'ordinamento e dell'implicita abrogazione di una legge del 1931 (la cui violazione è sanzionata con l'ammenda massima di mille lire...) e della legge Reale del 1975, una volta ribaditi i principi fondamentali, non assume alcuna rilevanza; ed è comunque lontano dalla realtà che oggi ci circonda.

      

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