GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    L’impatto della pandemia sul sistema giudiziario inglese: spunti di riflessione per la riforma della giustizia civile in Italia

    L’impatto della pandemia sul sistema giudiziario inglese: spunti di riflessione per la riforma della giustizia civile in Italia

    Nota a Financial Conduct Authority (Appellant) v Arch Insurance (UK) Ltd and others (Respondents), Judgement by UK Supreme Court on 15 January 2021

    di Antonio Grumetto

    Based on a recent ruling by the UK Supreme Court, the article analyses how the loss of profit policy market works while elaborates some proposals for developments of Italian civil proceedings before courts that could simplify and speed up decision-making processes in commercial sectors affecting interests of tens of thousands of people thus promoting economic recovery after the COVID-19 pandemic.

    Sommario: 1. L’equilibrio fra contenimento della pandemia e ripresa economica - 2. La decisione della Suprema Corte inglese del 15 gennaio 2021 - 2.1. Le clausole LOP (Loss of profit) - 2.2. Le caratteristiche del procedimento dinanzi alla Suprema Corte. La legittimazione straordinaria per la risoluzione di questioni giuridiche. - 2.2.1. (segue) La procedura accelerata - 2.3 Le questioni controverse - 2.3.1. Clausole sul rischio assicurato. - 2.3.2. Impossibilità di accedere ai locali dell’azienda nelle clausole ibride. - 2.3.3. Nesso di causalità - 2.3.4. Trend clauses - 3. Conclusione  

    1. L’equilibrio fra contenimento della pandemia e ripresa economica

    Non vi sono dubbi sul fatto che l’attuale emergenza sanitaria causata dalla pandemia da COVID-19 rappresenti la causa non solo di una grave crisi sanitaria, con i suoi risvolti drammatici in termini di perdita di vite umane causata dal contagio, ma anche la ragione di una altrettanto drammatica crisi economica i cui effetti non tarderanno a manifestarsi in tutta la loro ampiezza tanto sul mercato del lavoro quanto sul tessuto produttivo del nostro Paese.

    La necessità di contemperare l’esigenza, da un lato, di contenere il diffondersi della pandemia e, dall’altro, di limitare al massimo i danni per l’economia nazionale, già così duramente provata da anni di recessione economica alle spalle, è non a caso alla base delle misure economiche prese dal Governo in favore, in particolare, delle imprese in occasione dei vari provvedimenti assunti dall’Esecutivo per limitare la circolazione delle persone sul territorio nazionale e di conseguenza la diffusione del virus[1].

    Se, però, la crisi sanitaria sembra vedere una luce in fondo al tunnel grazie alla approvazione dei primi vaccini contro il contagio da COVID-19 e alla loro somministrazione alle categorie di persone più vulnerabili o più esposte al contagio, la crisi economica non solo è appena iniziata, ma è destinata a vedere i suoi effetti protrarsi per diversi anni a venire. La speranza di un miglioramento dell’economia italiana per le prossime generazioni di cittadini è rappresentata non solo e non tanto dal programma di finanziamento messo in atto dall’Unione europea attraverso il Recovery Plan, ma soprattutto dalla adozione delle necessarie riforme strutturali del nostro Paese di cui tanto si è parlato negli anni scorsi e che ancora tardano a venire.

    Uno dei settori per i quali è maggiormente sentita l’esigenza di uno rinnovamento è senza dubbio quello della giustizia ed in particolare quello della giustizia civile[2]. La durata dei giudizi, in particolare di quelli civili, e la variabilità degli orientamenti giurisprudenziali rappresentano un costo troppo alto per l’economia italiana e scoraggiano gli operatori stranieri dall’investire in Italia.

    Basti pensare alla disciplina processuale di recente introdotta per le controversie civili originate dagli effetti della pandemia da COVID-19. Mentre in Italia, al fine di alleggerire il peso che la conflittualità originata dalla pandemia inevitabilmente riverserà sul sistema giudiziario, è stato introdotto un nuovo caso di mediazione obbligatoria per alcune controversie in materia contrattuale[3], altri paesi sembrano avere una marcia in più per affrontare quella che potrebbe rivelarsi una nuova causa dell’emergenza giudiziaria nel nostro Paese.  

    2. La decisione della Suprema Corte inglese del 15 gennaio 2021

    La decisione di recente pubblicata dalla Suprema Corte del Regno Unito ne è un esempio.

    In poco più di 9 mesi dai primi provvedimenti assunti dal Governo inglese a seguito dello scoppio della pandemia da COVID-19, gli operatori economici inglesi hanno avuto a disposizione una decisione della massima Autorità giudiziaria del Regno Unito su una questione di enorme impatto per l’economia dei paesi che lo compongono e con effetti vincolanti per tutti i giudici che compongono il sistema giudiziario.

    L’importanza della decisione è dichiarata nelle stesse premesse della sentenza della Suprema Corte, in cui si evidenziano le differenze tra il sistema giudiziario italiano e quello anglosassone in termini di rapidità ed efficienza.

    La controversia è stata promossa dalla FCA (Financial Conduct Autority) nei confronti di otto tra le maggiori compagnie inglesi di assicurazioni, operanti in particolare nel ramo dell’assicurazione contro le perdite da interruzione dell’attività di impresa.

    La decisione ha riguardato le principali questioni di interpretazione delle clausole contenute nelle polizze relative agli effetti indiretti causati dalla pandemia sulle imprese .  

    2.1. Le clausole LOP (Loss of profit)

    Per comprendere il significato di questo tipo di garanzia, occorre dire che quando un’azienda viene colpita da un evento che ne danneggia il patrimonio, oltre ai danni diretti (la perdita totale o parziale di uno dei beni dell’azienda, per esempio a causa di un incendio) si possono riscontrare anche grosse perdite economiche, derivanti dall’impossibilità di svolgere la normale attività produttiva. L’interruzione o riduzione dell’esercizio comporta effetti devastanti per l’azienda.

    Il fermo dell’attività può comportare effetti di varia natura: quelli di tipo “transitorio”, che riguardano la riduzione del volume d’affari e del relativo profitto lordo, l’aumento dei costi di esercizio, ovvero di lavorazione dei beni prodotti e di acquisizione dei beni da trasformare o commercializzare; quelli “permanenti”, che comportano la perdita di quote di mercato; quelli “contingenti”, che si verificano in occasione di esborsi per multe o penali contrattuali. Si tratta di una tipologia di danno che colpisce non solo i singoli beni ma l’azienda nel suo complesso, e le conseguenze economiche che ne derivano possono assumere, rispetto al danno diretto, dimensioni molto più rilevanti e talvolta anche drammatiche per la vita dell’azienda.

    Da tempo, pertanto, il mercato delle assicurazioni ha pensato ad un’adeguata copertura assicurativa in grado di ripristinare la situazione finanziaria antecedente al sinistro.

    La prima tipologia di copertura, attualmente in uso, è chiamata clausola di Indennità aggiuntiva, risale alla fine del ‘700 e vede l’assicuratore impegnato a riconoscere una determinata percentuale aggiuntiva fissa rispetto al danno materiale.

    Tale forma è caratterizzata da semplicità di calcolo e velocità nel processo di indennizzo, ma la percentuale fissa, qualora dovessero sopraggiungere sinistri gravi, potrebbe rivelarsi un fattore di penalizzazione per l’assicurato.

    La Garanzia diaria è una tipologia di copertura che venne introdotta successivamente, e prevede il rimborso di un determinato indennizzo per ogni giorno di inattività aziendale, calcolato in base alla durata del fermo.

    La clausola Selling price, al posto di far pagare l’equivalente del prezzo di costo, obbliga a pagare quello di vendita dei prodotti finiti, ed è vantaggiosa per il fatto che il prezzo di vendita include la quota di tutti i costi aziendali e l’utile. Può essere applicata solo nel caso vengano danneggiati dei prodotti già venduti, quindi in caso di fermo dovuto a danni a fabbricati o macchinari non ha alcuna utilità.

    Ma la forma di copertura oggi più utilizzata è quella a Margine di Contribuzione, MdC, nata nel 1994 per rimediare ai limiti della garanzia LOP (Loss Of Profit).

    La formula Loss of Profit, detta LOP, ovvero di perdita di profitto lordo, venne introdotta in Inghilterra nel 1899. Essa copre la perdita di profitto lordo, oltre alle spese supplementari ( al netto del risparmi di spesa). La MdC, invece, assicura contro la perdita del “margine di contribuzione” (vale a dire la somma fra utili e costi fissi, che si ottiene sottraendo dal fatturato i costi variabili che sono appunto quei costi che non si sostengono con il fermo della azienda) e le spese supplementari sostenute dall’assicurato per limitare tale perdita. I vantaggi di questa ultima formula risiedono nella velocità di indennizzo e semplicità.

    Al di là dei tecnicismi contabili delle varie formule, la loro diffusione in Europa è molto variegata.

    In Italia, tuttavia, tale formula assicurativa non è molto diffusa perché, oltre ad essere ancora poco conosciuta, viene probabilmente etichettata come troppo costosa e complessa. Probabilmente la durata dei giudizi civili e la variabilità degli esiti giudiziari hanno un peso non secondario nell’ostacolare l’espansione di questo tipo di polizza tra gli imprenditori italiani: l’idea di dover attendere anni prima di poter ottenere l’indennizzo per le perdite subite, magari dopo costose e defatiganti battaglie giudiziarie, può scoraggiare i potenziali acquirenti dal ricorrere a questa copertura.

    Proprio applicando tali istituti e in conformità allo spirito degli stessi, invece, il sistema giudiziario inglese ha risposto allo sconvolgimento causato dalla pandemia da COVID-19 con una decisione rapida, vincolante e di facile implementazione.  

    2.2. Le caratteristiche del procedimento dinanzi alla Suprema Corte. La legittimazione straordinaria per la risoluzione di questioni giuridiche

    Con la sentenza del 15 gennaio scorso la Suprema Corte ha esaminato un significativo campione di polizze proposte dalle compagnie di assicurazioni che hanno partecipato al giudizio e l’esito del giudizio, reso in tempi record, è suscettibile di influenzare l’applicazione tra le parti contraenti di qualcosa come 700 tipi di polizza in aggiunta a quelle espressamente considerate, offerti sul mercato da più di 60 compagnie di assicurazioni e di riguardare circa 370.000 soggetti assicurati.

    Non c’è bisogno di ulteriori commenti per capire l’importanza di tale decisione per il mercato anglosassone delle imprese, specie in un momento così delicato come quello della conclusione dei negoziati sulla Brexit. Gli operatori del settore, da un lato imprenditori assicurati e dall’altro imprese di assicurazione, hanno ora un chiaro e definitivo indirizzo giurisprudenziale da applicare per quantificare le perdite subite dalle attività imprenditoriali a causa delle misure adottate dai Governi inglese e di altri Stati per i quali la decisione della Suprema Corte inglese è vincolante. Si tratterà ora solo di applicare i paletti fissati dalla decisione ai vari casi di perdite subite per l’interruzione dell’attività economica, attraverso un giudizio di fatto di cui pure la decisione fornisce i parametri. E c’è da aspettarsi che nessuno, né gli assicurati né gli assicuratori, penserà di ridiscutere i termini della questione dinanzi ad un giudice, affrontando i notevoli costi imposti dal sistema giudiziario anglosassone e andando incontro all’effetto vincolante delle decisioni della Suprema Corte proprie dei sistemi di common law.  In questa situazione, le imprese possono contare su un sistema di regole chiaro e vincolante per avanzare le loro richieste di indennizzo alle assicurazioni, recuperando così, almeno in parte, la liquidità persa a causa delle forzate interruzioni dell’attività economica imposte dai provvedimenti restrittivi adottati dal Governo.  

    Certo, alcune delle caratteristiche del sistema anglosassone non sono esportabili nei paesi di civil law come il nostro.

    A cominciare dall’effetto vincolante delle decisioni della Suprema Corte, la cui applicazione in Italia trova un ostacolo nel principio della soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.) e nella c.d. primazia del diritto euro-unitario con il connesso obbligo di sottoporre alla Corte di giustizia le questioni di interpretazione della relativa disciplina (art. 267 TFUE).

    Ma altre sembrano mutuabili senza particolare sforzo ed in parte già operanti nel nostro ordinamento processuale.

    Ad esempio, ciò che ha reso possibile concentrare le questioni interpretative delle clausole assicurative LOP in un unico giudizio è stata la legittimazione della FCA a sottoporre ai giudici inglesi un test case senza bisogno dell’esistenza di una specifica disputa tra le parti e quando si tratta di questioni di particolare importanza per le quali è richiesto con urgenza un indirizzo autorevole e rilevante.

    Per quanto sia una Autorità di regolazione e non un organismo rappresentativo degli operatori del settore, la FCA è legittimata a promuovere tali giudizi nell’interesse dei consumatori. Si tratta di giudizi per i quali le parti devono accordarsi sulle questioni da proporre al giudice attraverso quello che si chiama Accordo quadro e deve trattarsi di questioni di generale importanza per le quali il modo di sottoporle ai giudici deve essere previamente concordato tra le parti. I fatti controversi devono poi essere pacifici: nel caso di specie l’Accordo quadro conclusosi tra le parti è intervenuto sia sull’ambito delle misure adottate dai vari Governi del Regno Unito per fronteggiare la crisi sanitaria sia sui testi delle polizze da sottoporre al giudizio. Inoltre, è previsto che il giudizio, di regola, non dia luogo a condanna alle spese.

    Perché, dunque, non attribuire una tale legittimazione anche all’ Autorità italiana per la concorrenza ed il mercato? [4] Si tratterebbe perciò di introdurre un procedimento finalizzato ad ottenere rapidamente dalla Corte di cassazione una advisory opinion su questioni di particolare rilevanza per l’economia nazionale e con l’efficacia data dalla autorevolezza della pronuncia. Sarebbe di certo una modalità di risoluzione anticipata di questioni giuridiche di particolare importanza, potenzialmente rilevanti per interi settori economici e limitata alle questioni di diritto e quindi non appesantita dalla necessità di risolvere aspetti di fatto o inerenti al quantum tipici delle controversie promosse dal titolare del diritto.

    Già ci sono casi di Autorità di regolazione legittimate ad agire in giudizio nell’interesse dell’applicazione obiettiva del diritto e come espressione del potere di vigilanza e/o regolazione del settore. Basti pensare che nell’ambito delle attuali prerogative attribuite dalla legge all’AGCM vi è anche la legittimazione ad agire ex art 21-bis L. n. 287/90, con particolare riferimento all’impugnazione di regolamenti, atti amministrativi generali e provvedimenti emanati da qualsiasi amministrazione (comprese altre autorità indipendenti), laddove questi risultino contrari alle disposizioni della normativa antitrust. O alla possibilità per l’ANAC di impugnare i bandi, gli altri atti generali e i provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (art. 211 del Codice appalti)[5]. Ma mentre per le controversie dinanzi al giudice amministrativo la legittimazione di soggetti metaindividuali a tutela di un interesse collettivo è un fenomeno frequente in quanto legato alla natura spesso indivisibile e generale del ben giuridico oggetto del provvedimento amministrativo, nel campo della giurisdizione ordinaria la tutela degli interessi collettivi si presenta spesso come una somma della tutela degli interessi individuali lesi da comportamenti altrui[6].

    Perché possa ammettersi una legittimazione a proporre azioni finalizzate, non a prevenire o riparare una lesione, ma ad acquisire una interpretazione di atti giuridici, è, perciò, necessaria una previsione normativa che riconosca ad un soggetto giuridico il potere di agire in giudizio nell’interesse del diritto obiettivo e non a tutela di una situazione soggettiva, ancorché collettiva, o di una somma di interessi individuali. E questo soggetto non può che essere un soggetto pubblico perché non si tratta di proteggere interessi collettivi, omogenei o addirittura diffusi, quanto quello di assicurare la corretta applicazione del diritto in ipotesi astratte.

    E’ ovvio che la decisione della Corte di cassazione non potrebbe vincolare gli altri giudici e ciò in virtù dell’art. 101 della Costituzione e della soggezione del giudice soltanto alla legge. Tuttavia, il sistema già prevede ipotesi di efficacia rafforzata di decisioni assunte da organi di ultima istanza della giurisdizione ordinaria e di quella amministrativa.

    L’art. 64 del T.U. n. 165 del 2001 prevede che quando il giudice non intenda conformarsi ad una decisione della Corte di cassazione già intervenuta su una questione rilevante per il giudizio, è tenuto ad attivare il meccanismo previsto dalla medesima disposizione per giungere, eventualmente, ad una nuova decisione della Corte di cassazione. L’art. 99 del codice del processo amministrativo prevede che la sezione del Consiglio di Stato cui è assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dall'Adunanza plenaria, rimette a quest'ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso. Ovviamente, tale meccanismo non può pregiudicare il funzionamento del sistema del rinvio pregiudiziale di cui all’art. 267 del TFUE[7] e tuttavia, quando si sia fuori da questioni di interpretazione ed applicazione del diritto eurounitario, un sistema di efficacia rafforzata del precedente, che non precluda una rimeditazione della questione purché motivata da valide ragioni, mi sembrerebbe compatibile con l’art. 101 della Costituzione.  

    2.2.1. (segue) La procedura accelerata

    La decisione del 15.1.2021 della Suprema Corte ha, inoltre, concluso un giudizio durato appena 7 mesi (l’Accordo quadro tra le parti è del 1 giugno 2020 e il processo è iniziato il 9 giugno 2020) ed è stata emessa a seguito di un ricorso per saltum (in inglese leapfrog): dopo una prima decisione della corte di primo grado (in composizione non monocratica) formata da due giudici inseriti nell’elenco dei giudici specializzati in materia di servizi finanziari (Financial list), di cui uno della Court of Appeal e uno della High Court, la causa è approdata subito presso la Suprema Corte. Quest’ultima ha tenuto 4 udienze (tra il 16 novembre ed il 20 novembre 2020) e ha depositato la sentenza in data 15.1.2021.

    Sia la sentenza di primo grado che quella della Suprema Corte affrontano in maniera approfondita e con costante riferimento ai precedenti giurisprudenziali le varie questioni sottoposte dalle parti. E’ sufficiente menzionare che la sentenza di primo grado consta di 580 paragrafi mentre quella della Suprema Corte di 326 paragrafi.  

    2.3. Le questioni controverse

    Le questioni trattate erano poi di estrema importanza e delicatezza.

    Ne accenniamo qualcuna, lasciando ai più curiosi il piacere (e, in qualche caso, la difficoltà connessa alla astrattezza delle problematiche interpretative) di leggere la decisione della Suprema Corte.

    2.3.1. Clausole sul rischio assicurato.

    La Corte Suprema ha preso in considerazione la formulazione della clausola in una polizza RSA ("RSA 3") come esemplare. Questa clausola (come molte altre formulazioni) copre le perdite da interruzione dell'attività derivanti da qualsiasi evento di una “malattia notificabile” [8] entro un raggio geografico specificato (tipicamente 25 miglia) dai locali assicurati.

    Il Collegio di primo grado ha interpretato la clausola nel senso che essa assicura copertura per le perdite per interruzione dell'attività derivanti da COVID-19 (che è stata resa una malattia soggetta a obbligo di denuncia il 5 marzo 2020) a condizione che l’assicurato dimostri l’esistenza di un caso della malattia entro il raggio geografico (di regola 25 miglia).

    La Suprema Corte ha dato, invece, ragione agli assicuratori che:

    (i) ogni caso di malattia subita da una persona a causa di COVID-19 è un "evento" separato ai fini della polizza;

    (ii) la clausola copre solo le perdite per interruzione dell'attività derivanti da casi di malattia che si verificano nel raggio.  

    2.3.2. Impossibilità di accedere ai locali dell’azienda nelle clausole ibride

    Le clausole di impossibilità all'accesso e le clausole ibride[9] specificano una serie di requisiti che devono essere tutti soddisfatti prima che l'assicuratore sia tenuto a pagare.

    Alcune clausole si applicano solo quando ci sono "restrizioni imposte" da un'autorità pubblica in seguito al verificarsi di una malattia notificabile.

    Il primo collegio aveva ritenuto che questo requisito è rappresentato solo da una misura espressa in termini obbligatori che abbia forza di legge.

    La Corte Suprema ha respinto questa interpretazione come troppo ristretta e ha ritenuto che un'istruzione data da un'autorità pubblica (come il famoso “stay at home”) può equivalere a una "restrizione imposta" se, in base al modo e ai termini con cui è formulata, è da ritenere o è ragionevole ritenere (tenuto conto delle conoscenze di una persona media) che la sua osservanza sia obbligatoria indipendentemente dall’esercizio di poteri espressamente previsti.

    La Corte Suprema non si pronuncia sul se singole misure soddisfino questo test, ma indica che l'argomento è più forte in relazione ad alcune misure generali, come certe istruzioni in termini obbligatori del Primo Ministro relative alla chiusura dei locali commerciali del 21 e del 26 marzo 2020,  e meno in relazione ad esortazioni o consigli relativi al distanziamento sociale e allo “stay at home”.

    In qualche caso, poi, le clausole prevedevano la copertura solo quando la perdita di interruzione dell'attività fosse causata dall' “impossibilità di utilizzare" i locali assicurati da parte dell'assicurato. Il primo collegio aveva sostenuto che questo significasse incapacità completa e non solo parziale di utilizzare i locali. La Corte Suprema ritiene, invece, che questo requisito possa essere soddisfatto sia quando un assicurato non è in grado di utilizzare i locali per una parte soltanto della sua attività commerciale[10] sia quando la sua intera attività commerciale è impedita dalla chiusura o dalle restrizioni imposte soltanto su alcuni locali della sua azienda perché gli altri locali dell’azienda, ancorché agibili, non sono idonei a svolgere l’attività commerciale in modo autonomo. In altri termini ciò che conta è l’incidenza sulla attività commerciale e non l’incidenza sui locali in sé.  

    2.3.3. Nesso di causalità

    La questione del nesso di causalità è una delle più interessanti della decisione per le sue somiglianze con le discussioni dottrinali che si registrano sul tema della causalità in Italia.

    In sintesi, si può dire che la Suprema Corte ritiene:

    (i)come causa delle perdite finanziarie dell’assicurato ogni episodio di COVID-19 verificatosi all’interno dell’area geografica indicata dalla clausola della polizza (di regola 25 miglia dai locali aziendali);

    (ii) nell’interpretare la nozione di pericolo assicurato e le clausole che escludono alcuni rischi, non rilevano cause sopravvenute rispetto a tale causa “prossima” che non siano anomali o abnormi[11];

    (iii)ogni caso di COVID-19 verificatosi nell’area geografica indicata dalla polizza come pericolo assicurato anche se le misure del Governo che hanno determinato la chiusura dei locali aziendali sono state prese in considerazione del fenomeno della pandemia nel suo complesso; in altri termini, cause concorrenti (vale a dire, altri casi di COVID-19 verificatisi all’esterno dell’area geografica indicata dalla polizza) pur avendo concorso a determinare le chiusure dei locali aziendali,  costituendo un rischio non escluso dalla polizza, nemmeno escludono la garanzia;

    (iv)non applicabile il giudizio controfattuale basato sulla dottrina del “but for” test; le compagnie di assicurazione avevano cercato di sostenere che il nesso di causalità era escluso dal ragionamento controfattuale, dato che le misure restrittive sarebbero state prese ugualmente anche a prescindere (but for) dal caso di COVID-19 che fa scattare la garanzia. La Suprema Corte ha respinto la tesi delle assicurazioni ricordando che un limite del giudizio controfattuale è dato dalla ipotesi delle cause indipendenti tra di loro che sono ciascuna in grado di determinare l’evento: in questi casi l’applicazione del giudizio controfattuale porterebbe a negare l’efficacia causale di ognuna delle cause[12];

    (v)non applicabile il criterio, suggerito dalle assicurazioni, secondo cui il rapporto causale sarebbe escluso qualora i rischi non assicurati (precisamente i casi di COVID-19 verificatisi fuori dell’area geografica richiamata nella polizza) avessero avuto una incidenza maggiore rispetto a quelli verificatisi nell’area geografica (weighing approach)[13].  

    2.3.4. Trend clauses

    Solo le clausole inserite nelle polizze che stabiliscono i criteri per l’indennizzo. Il metodo standard utilizzato nell'assicurazione contro l'interruzione dell'attività per quantificare la somma pagabile ai sensi della polizza prende un periodo commerciale precedente a fini comparativi. Nella maggior parte delle formulazioni questo è l'anno civile che precede l'operazione del danno assicurato. Dal fatturato dell'azienda in questo periodo si ricavano  "fatturato standard" o "entrate standard". Questa cifra viene poi confrontata con il fatturato o le entrate effettive durante il periodo d'indennizzo. I risultati dell'attività nel periodo di confronto sono anche utilizzati per ricavare una percentuale del fatturato che rappresenta l'utile lordo. Il tasso di profitto lordo viene poi applicato alla riduzione del fatturato per calcolare la perdita recuperabile. L’indennizzo compre anche l'aumento del costo del lavoro durante il periodo di indennizzo.

    Secondo la Suprema Corte questo meccanismo di indennizzo deve essere applicato tenendo conto soltanto delle circostanze, diverse da quelle legate alla pandemia da COVID-19, che avrebbero riguardato l’attività imprenditoriale assicurata se la pandemia non si fosse verificata. Ciò al fine di evitare che il meccanismo applicato per calcolare l’indennizzo finisca per vanificare l’interpretazione data dalla Suprema Corte alla definizione del rischio assicurato, in relazione al quale, come si è visto, sono state giudicate irrilevanti le cause legate alla pandemia concorrenti rispetto al rischio assicurato (i casi di COVID-19 verificatisi fuori dall’area geografica indicata nella polizza).  

    3. Conclusioni

    Come si può vedere dal panorama delle questioni affrontate dalla Suprema Corte inglese, si è trattato di affrontare anche temi generali da tempo conosciuti anche nel nostro ordinamento, quali il nesso di causalità, la rilevanza delle sopravvenienze e l’ambito delle conseguenze dannose indennizzabili. Si tratta di temi sui quali la giurisprudenza e la dottrina italiana si sono da tempo esercitate con risultati altamente pregevoli e che non hanno nulla da invidiare a quelli raggiunti dalle Corti supreme e dagli studiosi di altri paesi. E se la necessità di una pronuncia della Corte di cassazione italiana sulle clausole delle polizze LOP non si rende necessaria per la scarsa diffusione di tale forma assicurativa, non è difficile immaginare che l’esigenza di certezza giuridica possa sorgere in relazione ad altri settori colpiti dal carattere diffusivo degli effetti della pandemia. Si pensi ad esempio alla problematica della riconduzione del contratto ad equità attraverso la rinegoziazione delle clausole quando la sua esecuzione, così come programmata dalle parti, sia stata impedita dal sopravvenire di misure restrittive legate al confinamento imposto dal Governo. Non richiederebbero i concetti di forza maggiore, di impossibilità sopravvenuta, di factum principis e della loro incidenza sul regolamento negoziale che venisse introdotta una forma di azione come quella esistente nell’ordinamento inglese? Un autorevole e rapido pronunciamento della Corte di cassazione[14] su questioni interpretative astratte non contribuirebbe ad orientare le decisioni delle corti inferiori nella risoluzione delle controversie proposte dinanzi ad esse o addirittura a prevenirne la proposizione?

     

    [1] In particolare, si vedano l’art. 25 del DL 19/05/2020, n. 34, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 17 luglio 2020, n. 77; nonché gli artt. 1, 1bis, 1 ter del DL 28.10.2020 n. 137 conv. in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 18 dicembre 2020, n. 176 in cui sono confluite le misure di sostegno alle imprese di cui al Decreto Ristori 1, bis ter e quater. Uno studio ragionato di tali misure di sostegno alle imprese è contenuto nel Focus n. 3 del 23 dicembre 2020 dell’Ufficio parlamentare di Bilancio reperibile all’indirizzo https://www.upbilancio.it/focus-tematico-n-3-23-dicembre-2020/

    [2] Già la Raccomandazione n. 2 del Consiglio europeo per il 2019 - riprendendo sostanzialmente quanto già previsto nelle omologhe Raccomandazioni per il 2017 e 2018 - invitava l'Italia a “ridurre la durata dei processi civili in tutti i gradi di giudizio, facendo rispettare le norme di disciplina procedurale, incluse quelle già prese in considerazione dal legislatore”. In tal senso si sono anche espresse, nella relazione approvata, le Commissioni 5a e 14a del Senato in occasione dell'esame delle Linee guida sul PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), laddove sottolineano che secondo alcuni studi un efficiente sistema giudiziario consentirebbe di recuperare dall’1,3% al 2,5% (da 22 miliardi a 40 miliardi) del PIL, stimolando gli imprenditori, anche esteri, ad investire nel nostro Paese in quanto la tempestività delle decisioni giudiziarie è elemento essenziale per le imprese, per gli investitori e per i consumatori.

    [3] Si tratta del comma 6-ter dell’art. 3 del D.L. 23/02/2020, n. 6 (convertito dalla legge 5 marzo 2020, n. 13) come inserito dall’art. 3 comma 1 quater del D.L 30 aprile 2020 n. 38 (convertito dalla legge 25 giugno 2020, n. 70), il quale recita “Nelle controversie in materia di obbligazioni contrattuali, nelle quali il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto, o comunque disposte durante l'emergenza epidemiologica da COVID-19 sulla base di disposizioni successive, può essere valutato ai sensi del comma 6-bis, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione ai sensi del comma 1-bis dell'articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, costituisce condizione di procedibilità della domanda». A sua volta l’art. 6-bis del medesimo art. 3 del già menzionato DL n. 6 del 2020 stabilisce che “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.

    [4] Il Governo italiano ha presentato il disegno di legge delega sulla riforma della giustizia (Atto Senato N. 1662 http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01141527.pdf), attualmente fermo presso la seconda Commissione (Giustizia) per l’esame in sede referente. Il disegno di legge comprende disposizioni sulla mediazione, sul giudizio di primo grado e di appello nonché sul giudizio di esecuzione, ma non prevede casi di legittimazione straordinaria di Autorità indipendenti a proporre test cause su questioni di diritto.

    [5] Anche le associazioni di categoria sono titolari di una legittimazione ad agire in giudizio per ottenere l’annullamento di atti amministrativi illegittimi: le associazioni individuate in base all'articolo 13 della legge n. 349 del 1986 in materia di ambiente possono, non solo intervenire nei giudizi per danno ambientale ma anche ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti illegittimi. L'art. 4, co. 2, L. 11 novembre 2011, n. 180 riconosce alle associazioni di imprenditori maggiormente rappresentative nei diversi livelli territoriali la legittimazione a impugnare gli atti amministrativi lesivi degli interessi diffusi. Ma in questi casi si tratta di legittimazione ad agire a tutela di un interesse collettivo che è proprio della associazione e non di un interesse generale all’applicazione del diritto obiettivo (Cons. Stato Ad. Plen., 20-02-2020, n. 6).

    [6] Come è noto la legge 12 aprile 2019 n. 31 ha modificato la disciplina della azione di classe contenuta negli artt. 140 e 140 bis del codice del consumo, introducendo nel Codice civile un intero Titolo VII bis del libro IV interamente dedicato ad una azione di classe prevista non più solo a tutela dei consumatori ma di qualsiasi “diritto individuale omogenei”. Si tratta, tuttavia, sempre di una azione generale, a carattere inibitorio o risarcitorio, a tutela di interessi individuali omogenei e non di una azione finalizzata ad ottenere la risoluzione di questioni giuridiche astratte.

    [7] Corte giustizia Unione Europea Grande Sez., 05/04/2016, n. 689/13: “L'art. 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una disposizione di diritto nazionale nei limiti in cui quest'ultima sia interpretata nel senso che, relativamente a una questione vertente sull'interpretazione o sulla validità del diritto dell'Unione, una sezione di un organo giurisdizionale di ultima istanza, qualora non condivida l'orientamento definito da una decisione dell'adunanza plenaria di tale organo, è tenuta a rinviare la questione all'adunanza plenaria e non può pertanto adire la Corte ai fini di una pronuncia in via pregiudiziale”.

    [8] In Inghilterra, Il 5 marzo 2020 tramite una modifica al regolamento sulla protezione della salute (notifica) del 2010 (SI 2010/659) ("il regolamento del 2010") il COVID-19 è stato reso una "malattia soggetta a obbligo di notifica" e la SARS-CoV-2 un "agente causale". Ai sensi dei regolamenti del 2010, un medico generico abilitato ha il dovere di comunicare all'autorità locale se ha ragionevoli motivi per sospettare che un paziente abbia una "malattia soggetta a notifica", definita come una malattia elencata nell'Allegato 1, o un'infezione che presenta o potrebbe presentare un danno significativo alla salute umana. L'autorità locale deve riferire qualsiasi notifica di questo tipo che riceve, tra gli altri, al PHE (Public Healt England) che è una agenzia del Dipartimento della Salute e della Assistenza sociale. L'Allegato 1 ai Regolamenti del 2010 conteneva un elenco di 31 malattie comunicabili prima dell'aggiunta di COVID-19. Il 6 marzo 2020, modifiche simili sono state apportate ai regolamenti sulla protezione della salute in Galles Regolamento 2010 (SI 2010/1546). Il COVID-19 era stato reso una malattia soggetta a notifica in Scozia il 22 febbraio 2020 e in Irlanda del Nord il 29 febbraio 2020. L'11 marzo 2020, l'OMS ha dichiarato la infezione da COVID-19 una pandemia.

    [9] Esempi di queste clausole sono riportati al §96 della decisione (ad es: “loss … resulting from … Prevention of access to the Premises due to the actions or advice of a government or local authority due to an emergency which is likely to endanger life or property” oppure “loss as a result of closure or restrictions placed on the Premises as a result of a notifiable human disease manifesting itself at the Premises or within a radius of 25 miles of the Premises”)

    [10] Si pensi alla attività di ristorazione, che può essere impedita dalle restrizioni imposte al servizio al tavolo mentre po’ essere svolta con il servizio da asporto

    [11] Viene richiamata la controversia Leyland Shipping Ltd contro Norwich Union Fire Insurance Society Ltd [1918] AC 350. Una nave silurata da un sottomarino tedesco fu rimorchiata fino al porto più vicino, ma dovette ancorare nel porto esterno esposto al vento e alle onde. Dopo tre giorni la nave affondò. La nave era assicurata contro i pericoli del mare, ma c'era un'eccezione nella polizza per "tutte le conseguenze delle ostilità o delle operazioni belliche". La House of Lords ha confermato la decisione dei tribunali dei gradi precedenti secondo cui la perdita era stata causata dal siluro, che era una conseguenza delle ostilità, e quindi non era coperta dall'assicurazione.

    [12] Viene citato il caso dei due fuochi appiccati separatamente, ciascuno dei quali in grado di bruciare la casa o delle due pallottole sparate separatamente che colpiscono entrambe mortalmente l’escursionista: in entrambi i casi il giudizio controfattuale porterebbe ad escludere il nesso causale con riferimento ad ognuna delle cause, dato che l’evento si sarebbe verificato lo stesso a prescindere da ciascuna di esse considerata isolatamente.

    [13] La Suprema Corte osserva al riguardo che un tale approccio sarebbe praticabile solo se fosse possibile stabilire la percentuale di efficacia causale dei casi di COVID-19 suddividendola fra quelli verificatisi all’interno e quelli verificatisi all’esterno dell’area geografica considerata da ciascuna polizza.

    [14] Un inquadramento generale delle questioni, assai autorevole ma privo di efficacia vincolante, si può trovare nel contributo di recente fornito dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione con la Relazione n. 56 dedicata alle “Novità normative sostanziali del diritto “emergenziale” anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale” reperibile all’indirizzo https://www.portaledelmassimario.ipzs.it/frontoffice/studiPubblicazioni.do

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