GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Giustizia e comunicazione.1) Gianni Canzio Il linguaggio giudiziario e la comunicazione istituzionale

                            Giustizia e comunicazione. 1)

    Giustizia insieme comincia oggi il suo viaggio su Giustizia e comunicazione anticipato dall'editoriale pubblicato il 18 maggio 2021. Il linguaggio giudiziario e la comunicazione istituzionale. Questo il tema che Gianni Canzio, Primo Presidente emerito della Corte di Cassazione, ha affrontato, concludendo le sue raffinate ed al tempo stesso potenti considerazioni con una "proposta" sulla giustizia che si apre al dibattito ed al confronto, interno alle magistrature e soprattutto esterno, coinvolgendo "il ceto dei giuristi e i protagonisti del processo". Di tutto questo gli siamo davvero grati.

    Il linguaggio giudiziario e la comunicazione istituzionale

    di Giovanni Canzio

    Sommario: 1. Una premessa - 2. Le forme del linguaggio giudiziario - 3. Sintesi, chiarezza e precisione -  4. La comunicazione istituzionale - 5. Una proposta.  

    1. Una premessa

    Si assiste spesso a rumorose proteste, suscitate nell’animo delle persone offese e di gran parte della collettività dalla frattura fra l’esito decisorio di un processo e le aspettative, di tipo indennitario o securitario, che si ritengono insoddisfatte. E ciò a prescindere da ogni valutazione di merito circa la correttezza, o non, della soluzione adottata dal giudice. L’ “impopolarità” della deliberazione mette in forse la credibilità e l’autorevolezza della giurisdizione, insieme con la razionalità delle garanzie del “giusto processo”, quanto alla raccolta delle prove nel contraddittorio fra le parti e alle regole logico-giuridiche che presidiano l’operazione valutativa e decisoria e pretendono la giustificazione delle ragioni del provvedimento, a sua volta soggetto al controllo impugnatorio.

    Come, quando e perché cresce il disorientamento delle vittime e dell’opinione pubblica? La risposta, nella sua ben nota e pacifica evidenza, resta drammaticamente inquietante perché investe le modalità di esercizio dell’attività giudiziaria e la deontologia dei magistrati. Il disorientamento, e con esso il moto di ribellione, nasce dalla discrasia fra l’ipotesi di ricostruzione dei fatti formulata dal pubblico ministero nelle indagini preliminari e il pre-giudizio di colpevolezza da subito instaurato attraverso i media, al di fuori quindi del contesto spazio-temporale del processo vero e proprio, da un lato, e le risultanze probatorie della verifica dibattimentale, nel giudizio reale, che inducono in non pochi casi alla falsificazione dell’enunciato di accusa, dall’altro. La decisione, infatti, talora smentisce la fondatezza dell’imputazione e però spesso segue a distanza di tempo, di troppo lungo tempo dalle indagini, già di per sé lunghe.

    È in questa drammatica forbice che s’annida il nucleo del conflitto fra la giustizia “attesa” e il “diritto” applicato. Se poi – come in non rari casi avviene – l’ufficio del pubblico ministero, nella fase dell’inchiesta e al fine di rafforzarne l’attendibilità, intreccia un dialogo diretto con i media, pretendendo di anticipare le cadenze del rito e quasi di ipotecarne l’esito decisorio in palese violazione della presunzione d’innocenza dell’imputato, la morsa della contraddizione spazio-temporale fra il processo mediatico e quello penale è drammaticamente destinata ancor più ad allargarsi.

    È infatti agevole constatare che l’inchiesta, in assenza di pregnanti controlli del giudice per le indagini preliminari, è divenuta l’effettivo baricentro del rito. Da essa sorge - anche per il ricorrente intreccio di relazioni fra uffici di Procura, organi di stampa e media - il rafforzarsi nella collettività del pregiudizio di colpevolezza dell’indagato, il quale viene immediatamente e inesorabilmente colpito dalla “gogna mediatica”. Nello stesso tempo, si assiste al prevalere di  logiche autoreferenziali e corporative, opposte alla linea costituzionale dell’attrazione ordinamentale della figura del pubblico ministero nel sistema e nella cultura della giurisdizione.

    D’altra parte, è innegabile, nel rapporto fra il tempo e la giurisdizione, lo scarto di paradigma rispetto al comune agire quotidiano. Questo appare orientato intorno al “presente continuo[1], al contingente essere e vivere “qui e ora”, “adesso”. L’attività giudiziaria non può, viceversa, essere condizionata da frammentarie emergenze che alimentino l’ansia di deliberare comunque e in fretta, negando il tempo e lo spazio al ragionamento e alla riflessione critica. Dal pensiero “corto” alla sentenza “tweet” o al verdetto immotivato il passo sarebbe breve, ma verrebbero messi in discussione i valori della esclusiva soggezione del giudice alla legge e alla ragione e sarebbe tradita la cultura della giurisdizione.  

    2. Le forme del linguaggio giudiziario

    È fortemente avvertita l’esigenza di un serio cambio di passo nella razionalizzazione delle forme del linguaggio dei provvedimenti giudiziari, nella consapevolezza che i criteri della trasparenza e della comprensibilità hanno ormai assunto la veste di parametri di qualità e di efficacia dell’amministrazione della giustizia.

    Per un verso, ogni provvedimento giudiziario, a ben vedere, si risolve in un «agire comunicativo» del suo autore, essendo diretto, attraverso il tessuto argomentativo della motivazione, a con-vincere il dubbio e persuadere le parti, i difensori e la comunità delle valide ragioni che lo sostengono. Un agire, dunque, tendenzialmente orientato verso un “orizzonte di intesa”, secondo i principi dell’etica del discorso argomentativo (J. HABERMAS) e in funzione del consolidamento della fiducia dei cittadini nella giustizia, della legittimazione democratica e dell’indipendenza della magistratura, dello Stato di diritto.

    Per altro verso, il linguaggio giudiziario è una sorta di metalinguaggio, che, nel decifrare e ricostruire nel presente la complessità e l’opacità di fatti e circostanze appartenenti al passato (lost facts), ha il compito di decodificarne il significante attribuendo ad esso il significato e la qualificazione di rilevanza secondo il diritto[2].

    La potenza descrittiva ed evocativa della parola esige dunque nel giusdicente il buon uso della parola stessa, secondo una specifica professionalità e una peculiare formazione nelle tecniche della scrittura argomentativa (legal writing). Ne consegue che il magistrato, per potere correttamente valutare i fatti e interpretare il diritto, debba essere un uomo di cultura a tutto tondo, non solo giuridica ma anche umanistica e scientifica: un decisore di qualità, libero da vincoli e condizionamenti che non siano la legge, la ragione e l’etica del limite. Non va dimenticato che la “giustizia” ha una dimensione relazionale perché presuppone il compimento di atti di “ingiustizia”, i quali, prima ancora di essere repressi, esigono di essere conosciuti, descritti, comunicati, cioè “narrati”. Sicché, ciò che chiamiamo il senso della giustizia e la cultura della giurisdizione si realizzano anche attraverso l’esplorazione della giustizia nella letteratura, attingendo al bacino di esperienze che, nate dal movimento accademico delle Law Schools americane intitolato Law and Literature, presentano oggi una dimensione sovranazionale. Il confronto con le strutture linguistiche e con la forma retorica ed ermeneutica del testo letterario migliora la capacità espositiva e la crescita etica della persona, agevolando l’acquisizione da parte del giurista di una nuova e più concreta prospettiva della componente umana del diritto all’interno della società[3].  

    3. Sintesi, chiarezza e precisione

    Un modello virtuoso di esposizione delle ragioni del provvedimento giudiziario, che nell’espressione lessicale, grammaticale e sintattica ne renda comprensibile il fondamento, deve ispirarsi ai canoni della sintesi, chiarezza, specificità e precisione nello sviluppo degli argomenti, dettati da varie prescrizioni e raccomandazioni, interne e sovranazionali, sia di soft law che di hard law.

    È sufficiente citare: la Magna Carta dei giudici europei del 17/11/2010 (par. 16) e la Raccomandazione 12/2010 del 17/11/2010 Com. Min. CE (par. 63), per cui la motivazione dei provvedimenti va redatta in un «linguaggio semplice, chiaro e comprensibile»; le delibere del CSM del 5/7/2017 e del 20/6/2018 sulle modalità stilistiche di redazione dei provvedimenti; i decreti del primo Presidente della Corte di cassazione n. 84  e n. 136/2016, sulla motivazione semplificata o sintetica dei provvedimenti; i Protocolli d’intesa fra la Corte di cassazione, il CSM e il CNF, in merito alle regole redazionali degli atti, ispirate a criteri di chiarezza, sinteticità e comprensibilità.

    Il codice del processo amministrativo, art. 3 comma 2, stabilisce a sua volta che «Il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica» e, secondo la Corte di cassazione[4], i doveri di specificità, chiarezza e sinteticità degli atti costituiscono «un principio generale del diritto processuale».

    Possono costituire utili fonti d’ispirazione per l’agire comunicativo del giudice le raccomandazioni per «scrivere bene» suggerite da Italo CALVINO nelle sue “Lezioni americane[5]:

    a) la leggerezza («pensosa») dei concetti, nel senso della sottrazione di peso alla struttura del racconto, così da dissolvere l’opacità e la complessità dei fatti dell’esistenza, attraverso informazioni che li rendano comprensibili, grazie a un tessuto verbale leggero nello stile, nitido, non ridondante, e che evitino, negli stretti limiti dello specialismo necessario, le formule curiali della “antilingua”;

    b) la rapidità[6], nel senso della agilità, focalità e velocità mentale del ragionamento, connotato da concentrazione, sobrietà, economicità ed essenzialità degli argomenti messi a fuoco, ariosità delle cadenze sintattiche e brevità del periodare per coordinate e non per subordinate, senza congestioni e mediante aggiustamenti progressivi;

    c) l’esattezza, in funzione di un disegno dell’opera ben definito e calcolato, incisivo, esemplare per precisione, determinatezza, misura, realizzato sulla base di un ordine geometrico degli argomenti, idoneo a creare una rete di connessione fra la materialità dei fatti e le valutazioni giudiziali, con riguardo ai singoli capi e punti e alle evidenze probatorie e secondo titoli logici di verosimiglianza e probabilità.

    Nell’ottica di tali raccomandazioni, si riconosce che, solo attraverso la loro composizione ordinata e geometrizzante, la forza evocativa e conoscitiva delle parole diventa efficace per la resa del pensiero e dello sviluppo argomentativo della motivazione. Ancora: solo una motivazione rigorosamente costruita con riguardo alla tenuta informativa e logica della decisione può costituire l’effettivo paradigma devolutivo sul quale si posizionano la facoltà di impugnazione delle parti e i poteri di cognizione di quel giudice.

    Va sottolineata la portata del principio di diritto circa il requisito minimo di specificità dell’impugnazione, formulato dalla Corte di cassazione, sia civile che penale, in termini di responsabilizzazione di tutti i protagonisti del processo (giudici, parti, difensori). Si avverte[7] che «tale onere di specificità, a carico dell'impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato». Si pretende cioè che ciascuno esponga con un linguaggio chiaro e preciso gli specifici argomenti – «le ragioni di fatto e di diritto» - a sostegno, prima, della decisione e, poi, del gravame avverso la stessa.  

    4. La comunicazione istituzionale

    La motivazione scritta del provvedimento giudiziario resta lo strumento primario di comunicazione all’esterno dell’azione dei magistrati (art. 111, comma 6, Cost.). E però, si va facendo strada la consapevolezza che sia necessario arricchirne le prestazioni superando le frammentarie esperienze del passato. Si ammette che, nei rapporti con i media, gli utenti e la collettività, la comunicazione istituzionale debba essere corretta, trasparente, tempestiva ed efficace, secondo precise regole metodologiche e di condotta.

    La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, di recente, ha dato un esempio di come un intervento immediato, fuori dal normale dialogo processuale, possa essere utile a ripristinarne il circuito virtuoso. Con il comunicato stampa n. 58/20, diffuso a seguito della sentenza della Corte costituzionale tedesca del 5 maggio 2020, vertente sul programma PSPP della Banca Centrale Europea (BCE), la Corte di Lussemburgo richiama i compiti istituzionali della stessa Corte e dei giudici nazionali[8]

    Le più recenti riflessioni in materia incoraggiano lo sviluppo di un approccio innanzitutto proattivo, rispetto sia a specifici casi che al funzionamento dell’intero sistema di giustizia, così da rendere comprensibili all’esterno il ruolo e l’attività della giurisdizione, le ragioni del suo agire, gli obiettivi, le priorità. Complementare è la comunicazione reattiva, finalizzata a contrastare informazioni errate, false o distorte, che recano pregiudizio alle indagini, ai diritti delle persone coinvolte o all’immagine di imparzialità del magistrato o dell’ufficio.

    Nel quadro di precise indicazioni sovranazionali, dirette ad assicurare che i media abbiano un corretto accesso alle informazioni sull’azione dei pubblici ministeri e dei giudici, secondo modelli e prassi tendenzialmente uniformi, l’elaborazione di principio è assai articolata tra i vari ordinamenti nazionali a livello europeo, pur potendosi individuare una base condivisa di soft law[9].

    Da ultimo, l’ENCJ (European Network of Councils for the Judiciary), nel rapporto “Public Confidence and the Image of Justice - Report 2017-2018”, discusso a Lisbona il 1° giugno 2018, nella prospettiva della comunicazione in ambito giudiziario suggerisce l’adozione di piani d’azione nazionali, verifiche periodiche del livello di fiducia del pubblico, la formazione professionale specifica (per capi degli uffici, giudici, procuratori, personale amministrativo), l’elaborazione di linee-guida sui rapporti tra il giudiziario e i media. In particolare, raccomanda la nomina come “spokeperson” di giudici o procuratori e l’istituzione di uno “specialised department” che impieghi professionisti nella comunicazione sotto la direzione del “press judge/prosecutor”.

    Anche il CSM italiano è intervenuto per tracciare le linee d’indirizzo in questo settore nevralgico, nella convinzione che i valori di trasparenza e comprensibilità della giurisdizione, correttamente interpretati secondo una moderna visione della responsabilità, aumentano la fiducia dei cittadini nella giustizia e nello Stato di diritto, rafforzano l’indipendenza della magistratura e, più in generale, l’autorevolezza delle istituzioni. Con la delibera dell’11 luglio 2018, recante “Linee guida per l’organizzazione degli uffici giudiziari ai fini di una corretta comunicazione istituzionale, il CSM mira ad implementare l’efficacia della performance comunicativa degli uffici giudiziari, in termini di oggettività, chiarezza, comprensibilità e tempestività[10].

    La parte generale della delibera, che muove dai profili organizzativi, si articola a sua volta in sezioni dedicate alle procedure, ai contenuti, agli schemi d’azione e alle tecniche del linguaggio. Fra le cadenze della procedura assume un inedito rilievo la predisposizione da parte dell’organo decidente della notizia di decisione o abstract, contestuale o immediatamente successivo alla deliberazione, consistente nell’illustrazione sintetica, semplice e chiara della decisione e delle ragioni della stessa. Con speciale riguardo al processo penale, tale misura potrebbe essere idonea a ridimensionare la distanza temporale, talora eccessiva, fra la lettura del dispositivo e la pubblicazione della sentenza. L’abstract sembra muoversi nella direzione di limitare gli effetti perversi della deriva del processo mediatico, contribuendo a restringere la forbice fra quel rito (e la “gogna” che ne consegue) e il contesto spazio-temporale del giusto processo.

    Nella cornice generale dei principi, diritti e doveri si avverte che la comunicazione deve essere obiettiva, sia che provenga da tribunali o corti sia che provenga da uffici di procura, poiché anche la presentazione dell’enunciato di accusa, non meno di una decisione giurisdizionale, dev’essere imparziale, equilibrata e misurata. Vanno perciò evitati alcuni atteggiamenti spesso riscontrabili nella prassi: la discriminazione tra giornalisti o testate; la costituzione e il mantenimento di canali informativi privilegiati con esponenti

    dei media; la personalizzazione delle informazioni; l’espressione di opinioni personali e giudizi di valore su persone o eventi.

    La comunicazione deve ispirarsi nella tecnica espositiva a criteri di chiarezza, sinteticità e tempestività e deve avere ad oggetto informazioni di effettivo interesse pubblico. Il catalogo dei doveri elenca, a sua volta: i doveri nei confronti delle persone, fra i quali il rispetto della vita privata, della sicurezza e della dignità dell’imputato e dei suoi familiari, dei testimoni, dei terzi, della vittima e delle persone vulnerabili; i doveri di matrice processuale, fra i quali il rispetto del giusto processo, delle garanzie della difesa e della presunzione di non colpevolezza, la chiarezza nella distinzione di ruoli tra magistratura requirente e giudicante, l’ossequio alla centralità del giudicato, il diritto dell’imputato e delle altre parti di non apprendere dai media quanto dovrebbe essere loro comunicato in via formale, il dovere del pubblico ministero di rispettare le decisioni giudiziarie, contrastandole nelle sedi processuali proprie.

    Con particolare riguardo alla presunzione di non colpevolezza, il Parlamento, con la recentissima approvazione del disegno di legge di delegazione europea, ha infine recepito la direttiva UE 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali.

    Nei Considerando della direttiva, tra l’altro, si afferma che:

    “(16) La presunzione di innocenza sarebbe violata se dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche o decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza presentassero l'indagato o imputato come colpevole fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata. Tali dichiarazioni o decisioni giudiziarie non dovrebbero rispecchiare l'idea che una persona sia colpevole (…).

    (17) Per «dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche» dovrebbe intendersi qualsiasi dichiarazione riconducibile a un reato e proveniente da un'autorità coinvolta nel procedimento penale che ha ad oggetto tale reato, quali le autorità giudiziarie, di polizia e altre autorità preposte all'applicazione della legge, o da un'altra autorità pubblica, quali ministri e altri funzionari pubblici, fermo restando che ciò lascia impregiudicato il diritto nazionale in materia di immunità.

    (18) L'obbligo di non presentare gli indagati o imputati come colpevoli non dovrebbe impedire alle autorità pubbliche di divulgare informazioni sui procedimenti penali, qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all'indagine penale (…). Il ricorso a tali ragioni dovrebbe essere limitato a situazioni in cui ciò sia ragionevole e proporzionato, tenendo conto di tutti gli interessi. In ogni caso, le modalità e il contesto di divulgazione delle informazioni non dovrebbero dare l'impressione della colpevolezza dell'interessato prima che questa sia stata legalmente provata.

    (19) Gli Stati membri dovrebbero adottare le misure necessarie per garantire che, nel fornire informazioni ai media, le autorità pubbliche non presentino gli indagati o imputati come colpevoli, fino a quando la loro colpevolezza non sia stata legalmente provata. A tal fine, gli Stati membri dovrebbero informare le autorità pubbliche dell'importanza di rispettare la presunzione di innocenza nel fornire o divulgare informazioni ai media, fatto salvo il diritto nazionale a tutela della libertà di stampa e dei media.

    (20) Le autorità competenti dovrebbero astenersi dal presentare gli indagati o imputati come colpevoli, in tribunale o in pubblico, attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica, quali manette, gabbie di vetro o di altro tipo e ferri alle gambe (…).”.

    La Corte EDU, d’altra parte, ha ripetutamente avvertito che neppure la rilevanza pubblica del caso può azzerare la tutela della vita privata degli individui e che, nell’ipotesi d’illegittima pubblicazione di informazioni, sussiste un dovere dello Stato di adottare misure per prevenirne il rischio e di condurre efficaci investigazioni per rimediare alla violazione di siffatti doveri.

    Va tuttavia rimarcato che il modello prefigurato dalla citata delibera del CSM, pure in coerenza con le indicazioni provenienti dagli organismi europei, stenta faticosamente a decollare. Ad esso si frappongono ingiustificate resistenze culturali insieme con obiettive difficoltà pratiche di organizzazione dei servizi. Sicché, in assenza di una seria strategia della comunicazione, è dato purtroppo assistere a frequenti episodi di illegittima diffusione di dati sensibili, lesivi della dignità e riservatezza e della presunzione di innocenza della persona, e di persistente violazione del dovere di garantire la tutela dei diritti dei soggetti coinvolti nel procedimento o dei terzi.

    Va infine segnalata - in termini senz’altro positivi - la pregevole delibera sull’uso dei mezzi di comunicazione elettronica e dei social media da parte dei magistrati amministrativi, adottata il 18 marzo 2021 dal Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa, in perfetta coerenza con i codici etici e con le linee di indirizzo dell’ ENCJ, che ne suggeriscono un uso prudente, discreto e sobrio.  

    5. Una proposta

    La magistratura e, più in generale, il ceto dei giuristi e i protagonisti del processo dovrebbero porsi l’obiettivo comune di rovesciare il paradigma concettuale per il quale, nel contrasto fra i tempi lunghi e le soluzioni incerte della giurisdizione e le contrapposte, legittime ansie di legalità dei cittadini e delle vittime, sarebbero le cadenze asfittiche del giudizio a giustificare il privilegio accordato all’ipotesi di accusa e alla gogna mediatica dell’indagato. Sarebbe necessario, viceversa, impegnarsi perché, da un lato, siano adottate adeguate misure legislative e organizzative in funzione della reale efficacia del ‘giusto processo’ vs. il parallelo rito mediatico e, dall’altro, venga promossa la cultura della giurisdizione vs. il populismo giudiziario. Il percorso riformatore si presenta stretto e impervio, ma valori, idee e passione democratica non mancano, né sembra di intravedere all’orizzonte alternative praticabili.

     

    [1] D. RUSHKOFF, Presente continuo. Quando tutto accade ora, Codice Edizioni, 2014.

    [2] N. IRTI, Riconoscersi nella parola, Il Mulino, 2020.

    [3] G. FORTI, Introduzione a Giustizia e Letteratura I-II-III (a cura di Forti-Mazzucato-Visconti), Vita e Pensiero, 2012-2014-2016.

    [4] Sez. un. civ., n. 642/2015 e n. 964/2017; Sez. un. pen., n. 40516/2016 (par. 9).

    [5] I. CALVINO, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Einaudi, 1993.

    [6] G. GALILEI, in Il Saggiatore: “Il discorrere è come il correre non come il portare. Un caval berbero solo correrà più di cento frisòni”.

    [7] In termini, Sez. un. pen., n. 8825/2017. V. anche Sez. un. civ., n. 27199/2017.

    [8] CGUE, comunicato stampa n. 58/20: “In linea generale, si ricorda che, in base a una giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia, una sentenza pronunciata in via pregiudiziale vincola il giudice nazionale per la soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente e che eventuali divergenze tra i giudici degli Stati membri in merito alla validità di atti del genere potrebbero compromettere l’unità dell’ordinamento giuridico dell’Unione e pregiudicare la certezza del diritto; al pari di altre autorità degli Stati membri, i giudici nazionali sono obbligati a garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione e solo in questo modo può essere garantita l’uguaglianza degli Stati membri nell’Unione da essi creata”.

    [9] Raccomandazione Rec (2010)12 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa agli Stati membri, adottata il 17 novembre 2010, par. 19; Magna Carta dei giudici europei approvata il 17 novembre 2010 dal Consiglio consultivo dei giudici europei (CCJE), par. 14.

    [10] G. CANZIO, Un’efficace strategia comunicativa degli uffici giudiziari vs. il processo mediatico, in Dir. pen. proc., 2018, p. 1537 ss.

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