GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    La decisione della Corte costituzionale sul cognome del figlio e il diritto di famiglia mobile. Riflessioni sulla funzione della Corte costituzionale nel sistema di effettività dei diritti

    La decisione della Corte costituzionale sul cognome del figlio e il diritto di famiglia mobile. Riflessioni sulla funzione della Corte costituzionale nel sistema di effettività dei diritti[1]

    di Mirzia Bianca

    Sommario: 1. Premesse - 2. Una questione  di merito - 3. Una questione di metodo  - 4. Riflessioni conclusive anche de jure condendo. 

    1. Premesse

    La decisione della Corte Costituzionale del 31 maggio 2022, n. 131, a ragione è stata definita una sentenza 'storica'[2]. Con questa decisione la Corte Costituzionale  ha finalmente portato a termine un lungo percorso costellato da vari interventi della Corte costituzionale[3], interventi della dottrina[4] e plurimi tentativi del legislatore[5], tra cui un progetto del legislatore della Riforma della filiazione che fu fermato per ragioni finanziarie[6], per eliminare la diseguaglianza derivante dalla attribuzione del cognome al figlio, diseguaglianza disegnata da un complesso di norme, alcune di diritto effettivo, altre derivanti dalla norma scritta, tutte volte alla costruzione di un cittadella inoppugnabile che nel corso del tempo ha sempre assicurato l'attribuzione al figlio del cognome paterno.  E' curioso rilevare che questa regola palesemente discriminatoria ha trovato applicazione nei confronti di tutti i figli (nati nel matrimonio, adottivi, nati fuori del matrimonio), con una patologica applicazione del principio di unicità dello stato di figlio. Per ragioni di sintesi, in luogo di dar conto dei vari passaggi procedurali che emergono facilmente dalla lettura della decisione[7], è utile palesare al lettore quale è il principio di diritto che la Corte applica ai figli nati fuori del matrimonio, ma che estende ai figli adottivi e ai figli nati all'interno del matrimonio. Il principio è che debba attribuirsi al figlio sia il cognome della madre sia il cognome del padre, nell'ordine stabilito dalla coppia. In caso di disaccordo sull'ordine è previsto l'intervento del giudice. Al fine di attribuire il cognome di un solo ramo genitoriale (materno o paterno) è invece necessario l'accordo della coppia.  La soluzione della obbligatorietà del doppio cognome supera l'impianto patriarcale, mentre l'ordine della collocazione dei cognomi è lasciato all'accordo. In luogo dell'accordo, forse sarebbe stato preferibile un criterio oggettivo  come l'ordine alfabetico, come previsto in qualche progetto di legge, anziché lasciare ai genitori una scelta che potrebbe portare a qualche soluzione conflittuale, con il rischio di un intervento discrezionale del giudice. In ogni modo tale principio di diritto è di immediata applicazione ai nuovi nati e ai procedimenti pendenti per l'attribuzione del cognome ed è stato oggetto di una recente circolare del Ministero dell'interno[8]. La decisione è non solo storica ma direi rivoluzionaria perché muta all'improvviso il paradigma culturale, di costume, nonché normativo che ci ha accompagnato per secoli e che ha determinato anche le scelte sull'attribuzione del cognome dei nostri figli. E' vero che la decisione si pone nel solco di un percorso evolutivo segnato da varie decisioni della Corte  Costituzionale e della giurisprudenza  che gradualmente  hanno  smantellato la regola patriarcale e da vari tentativi del legislatore conditi dalla riflessione della dottrina, ma oggi l'interprete ha la sensazione della definitività e quindi dell'inizio di una nuova era. Delle tante riflessioni che questa decisione evoca, vorrei concentrarmi nelle pagine che seguono su due ordini di riflessioni: una riflessione di contenuto e una riflessione di metodo. I due ordini di riflessione sono collegati in quanto la riflessione sul merito nasce ed è anche l'effetto di una scelta di metodo, che contribuisce a definire sempre di più i caratteri del diritto di famiglia e l'evoluzione del sistema, anche grazie al fecondo intervento della Corte Costituzionale. Dedicherò poi alcune riflessioni conclusive all'intervento del legislatore e a quello che sarà il dopo di questa decisione.

    2. Una questione di merito

    Con riferimento alla riflessione di merito, può dirsi che questa decisione porta contestualmente alla distruzione dell'ultima cittadella dell'autorità privata familiare[9] e patriarcale[10] e alla costruzione di una nuova concezione della famiglia, in cui l'unità è il frutto dell'uguaglianza e in cui l'identità del figlio si costruisce sull'eguaglianza dei genitori. L'attribuzione del cognome paterno e quindi il patronimico è stata nella famiglia fondata sul matrimonio una regola talmente radicata nel costume e nelle consuetudini familiari da essere norma  di diritto effettivo[11], implicitamente ricavabile da un complesso di disposizioni.  Nel codice civile del 1865, mentre la regola dell'attribuzione alla moglie del cognome del marito è contenuta nella norma (art. 131) che afferma che “il marito è il capo della famiglia: la moglie segue la condizione civile di lui, ne assume il cognome, ed è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli creda opportuno di fissare la sua residenza”,  l'attribuzione del cognome paterno del figlio non è mai esplicitata, ma è desumibile quale regola implicita da altre norme come quella sul possesso di stato (art. 172) tra i cui fatti volti a provarlo è incluso “che l'individuo abbia sempre portato il cognome del padre che egli pretende di avere”. La posizione autoritaria del marito nei confronti della moglie si desume anche nel rapporto genitori-figli nella definizione della potestà allora solo maritale. Sempre nel codice del 1865 la regola del patronimico trova invece espressione con riferimento ai figli allora chiamati naturali nella regola (art. 185) che “prevede che il figlio naturale assume il nome di famiglia del genitore che lo ha riconosciuto, o quello del padre, se è stato riconosciuto da entrambi i genitori”. Nel codice civile del 1942, si riproduce il medesimo schema normativo, per cui la regola del patronimico trova piena espressione riguardo ai figli nati fuori dal matrimonio con una regola che riproduce sostanzialmente il contenuto di quella del codice del 1865. Con riferimento ai figli nati nel matrimonio, la prevalenza del cognome paterno continua ad essere regola implicita desumibile da un complesso di disposizioni. L'unica novità nei rapporti di coppia si ha con la riforma del 1975 che, in considerazione della avvenuta parificazione della posizione della moglie a quella del marito, introduce il nuovo art. 143-bis del codice civile che prevede che “la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze”. Questa norma, pur nel limitato effetto di prevedere la facoltà di aggiunta al proprio del cognome maritale, evidenzia una sicura emancipazione della donna all'interno della famiglia. Con riferimento al cognome dei figli, invece, nonostante si sia registrata nel corso di ottanta anni dalla emanazione del codice civile una progressiva parificazione delle figure genitoriali e un abbandono di quella che un tempo era denominata patria potestà, con una progressiva rilevanza dei diritti fondamentali del figlio, compreso quello all'identità, la regola del patronimico è rimasta sempre in vigore, nonostante vari tentativi della giurisprudenza e del legislatore di modificarla. Come si è gia accennato, con riferimento alla Riforma della filiazione il progetto di introdurre una nuova regola che prevedesse l'attribuzione del cognome di entrambi i genitori fu fermata dall'allora Ministro dell'economia preoccupato di dover impiegare eccessive risorse finanziarie per la modifica dei codici fiscali.  Questo curioso scollamento tra avanzamento del sistema con l'attuazione del principio costituzionale di uguaglianza e del principio di non discriminazione contenuto nelle Carte internazionali[12] e il mantenimento della prospettiva patriarcale  nella trasmissione del cognome, evidenzia come sia riduttivo e banale limitare la portata del dibattito ad un problema di genere e di uguaglianza tra i componenti della coppia, dato che la progressiva parità tra la donna e il marito non ha portato nel tempo a rimuovere questa regola. Occorre quindi chiedersi se dietro la regola del patronimico ci sia qualcosa di più. Come qualcuno ha detto[13], forse il mantenimento di questa regola è servito a compensare l'incertezza della paternità, rispetto alla regola per cui mater semper certa est.  Quello che è certo è che la rimozione di questa regola assume una portata dirompente non solo in termini giuridici, ma anche in termini culturali. Le origini del patronimico nella Bibbia ebraica e nell'antica Grecia e l'onomastica hanno costruito un sistema di cognomi che è stato costruito anche in base al patronimico e che spesso era lo strumento per assicurare la discendenza da uno stesso casato. Dal nome del Pelide Achille (figlio di Peleo) dell'antica Grecia, l'esperienza di altre popolazioni come la tradizione irlandese e scozzese si caratterizza  per l'anteposizione del suffisso gaelico O' o del suffisso Mac per indicare  la discendenza da una stessa famiglia. Anche molti cognomi italiani sono stati costruiti proprio sulla base del patronimico, come Di Giovanni, Di Matteo, etc.  Inoltre in Italia, fino al XVII secolo, molte persone aggiungevano al proprio cognome quello del nonno o dell'ascendente. Questa secolare tradizione patronimica riservata unilateralmente alla discendenza paterna, salve poche eccezioni in Nord Europa che si caratterizzano per una tradizione matronimica, ha tracciato una prassi culturale in cui il cognome era uno strumento di trasmissione del casato, della discendenza e quindi era uno strumento asservito prevalentemente agli interessi patrimoniali della Grande Famiglia. L'attuale abbandono di questa tradizione culturale porta ad una riconquista della discendenza che non è più intesa, come in passato, in senso patrimoniale, ma declinata in senso non patrimoniale, come espressione della identità della persona e della sua appartenenza alla comunità familiare[14].  Nella decisione che si commenta, dopo un passaggio molto significativo sul valore del nome e del cognome quali strumenti di espressione e della costruzione anche futura della identità, mi hanno colpito alcune parole della motivazione che proprio nella regola patriarcale vedono l'obliterazione della figura femminile e della sua discendenza: “La selezione, fra i dati preesistenti all’attribuzione del cognome, della sola linea parentale paterna, oscura unilateralmente il rapporto genitoriale con la madre. A fronte del riconoscimento contemporaneo del figlio, il segno dell’unione fra i due genitori si traduce nell’invisibilità della donna”. In questo significativo passaggio della motivazione della decisione si coglie la sua portata rivoluzionaria, che non è riducibile semplicisticamente ad una questione di non discriminazione, ma ci proietta in una nuova stagione in cui la nuova dimensione non patrimonialistica della discendenza significa appartenenza ad una comunità di idee, di valori, di sentimenti, che non è giusto riservare ad un solo ramo genitoriale, perché sono  beni comuni del figlio e con esso devono essere condivisi.

    3. Una questione di metodo  

    Come ho già accennato nelle premesse, l'importanza di questa decisione non si coglie solo con riferimento al merito, ma anche al metodo. Il percorso delle decisioni della Corte Costituzionale sul problema dell'attribuzione del cognome paterno evidenzia l'importante funzione della Corte Costituzionale quale organo istituzionale deputato anche al controllo e all'adeguamento della norma giuridica ai cambiamenti della società e del costume, secondo l'applicazione del principio di effettività e della massima ex facto oritur ius[15]. Questa specifica funzione della Corte Costituzionale contribuisce insieme alla dottrina e al legislatore a costruire il diritto di famiglia come un diritto mobile, in quanto la fissità della regola giuridica viene compensata dalle diverse interpretazioni che vengono date nel corso del tempo, in ragione della mobilità della società e del costume[16].  Se si legge il testo delle varie decisioni della Corte costituzionale in materia di attribuzione del cognome del figlio, si nota come, in ragione della diversa regola del costume, le stesse argomentazioni sono state utilizzate in senso difforme.[17] In particolare, con riferimento al principio di unità della famiglia, nel 1988 (decisione n. 176, redattore Luigi Mengoni) si afferma che “la mancata previsione della facoltà per la madre di trasmettere il proprio cognome ai figli legittimi e per questi di assumere anche il cognome materno, non contrasta ne' con l'art. 29 Cost., in quanto viene utilizzata una regola radicata nel costume sociale, come criterio di tutela dell'unita' della famiglia fondata sul matrimonio ne' con l'art. 3 Cost., in riferimento ai figli adottivi, poiche' la preclusione vale anche per questi ultimi, secondo la corretta interpretazione dell'art.27, L. n. 184/1983”. In un'altra decisione della Corte Costituzionale, sempre del 1988 (n. 586, redattore Saja) si legge che “nell'interesse alla conservazione dell'unita` familiare (art. 29 Cost.), il cognome dei figli legittimi deve essere prestabilito fin dal momento dell'atto costitutivo della famiglia, in guisa che a questi sia esteso ope legis e non gia` scelto dai genitori in sede di formazione dell'atto di nascita (come il prenome)”. In una successiva decisione del 2016 (n. 286, redattore Amato), si avverte un decisivo cambiamento di rotta e si legge che “la diversità di trattamento dei coniugi nell'attribuzione del cognome ai figli, in quanto espressione di una superata concezione patriarcale della famiglia e dei rapporti fra coniugi, non è compatibile né con il principio di uguaglianza, né con il principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, poiché la perdurante mortificazione del diritto della madre a che il figlio acquisti anche il suo cognome - lungi dal garantire - contraddice, ora come allora, quella finalità di salvaguardia dell'unità familiare (art. 29, secondo comma, Cost.), individuata quale ratio giustificatrice, in generale, di eventuali deroghe alla parità dei coniugi”. Le medesime argomentazioni sono contenute nelle più recenti decisioni della Corte costituzionale (n. 18 del 2021, Redattore Amato) compresa questa che qui si commenta in cui si si afferma che “l’unità si rafforza nella misura in cui i reciproci rapporti fra i coniugi sono governati dalla solidarietà e dalla parità”.

    La lettura dei  passaggi delle varie decisioni della Corte Costituzionale evidenzia come, a norme giuridiche pressochè invariate, la Corte abbia dato nel tempo diverse interpretazioni, contribuendo a rendere mobile il diritto di famiglia e ad asservirlo alle mutate esigenze della società e del costume.

    4. Riflessioni conclusive anche de jure condendo

    Volendo trarre alcune conclusioni, può dirsi che anche con questa decisione la Corte Costituzionale ha svolto una funzione suppletiva del legislatore e promozionale della legalità costituzionale.  In particolare si apprezza il dinamismo della Corte Costituzionale che non aspetta passivamente l'intervento del legislatore ma, prendendo atto del naufragio delle numerose proposte di riforma legislativa “non può esimersi dal rendere effettiva la legalità costituzionale”[18]. Si apprezza inoltre la funzione di indirizzo del legislatore, in quanto la Corte si fa carico di indicare al legislatore le note più delicate di una futura regolamentazione, che sono il rischio di un effetto moltiplicatore in ragione della successione verticale tra le generazioni e l'esigenza di apprestare regole che consentano di realizzare un risultato uniforme per tutti i figli. La regolamentazione non sarà opera facile in quanto occorrerà trovare un giusto equilibrio tra la conservazione del principio di parità e l'esigenza di assicurare un sistema efficiente che possa dare piena attuazione al principio identitario senza portare a diseconomie di spesa e a complessità eccessive. Adesso la palla spetta al legislatore e l'auspicio è che l'intervento sia tempestivo e  improntato al medesimo equilibrio e alla medesima ragionevolezza che hanno ispirato la Corte Costituzionale in questa bella decisione. 

     

    [1] Dedico anche questo mio scritto a mio Padre, che non aveva dimenticato questa importante questione ma aveva cercato di inserirla nella Riforma della filiazione, tentativo che non trovò la luce per questioni finanziarie.

    [2] V. M. A. IANNICELLI, La scelta del cognome da attribuire al figlio deve poter essere condiviso dai genitori, in Familia, 30 aprile 2022.

    [3] Sui vari interventi della Corte costituzionale, v. M. A. IANNICELLI, Al figlio deve essere attribuito il cognome di entrambi i genitori (salvo diverso loro accordo): la Corte costituzionale anticipa il legislatore, in  Familia, 2022, 375 e ss.

    [4] V. tra gli altri i numerosi contributi di S. TROIANO (in CM. BIANCA (a cura di),  La riforma della filiazione, Padova, 2015; 296 e ss.; in M. BIANCA (a cura di ), The best interest of the child, Roma, 2021, 1412; in U. SALANITRO ( a cura di), Il sistema del diritto di famiglia dopo la stagione delle riforme, Pisa, 2019,  263 e ss.; nota a C. cost. n. 18 del 2021, in Ngcc., 2021, 598 e ss; in Tratt. Zatti, Padova, 2018, 125 e ss. );  G. BALLARANI, in Dir. Fam e pers. 2018, 741 e ss. Vari scritti dedicati a questo tema sono contenuti in  Actualidad Jurídica Iberoamericana, nº 16 bis, junio 2022, Estudioso de derecho privado en homenjae al Profesor Cesare Massimo Bianca, Coordinadores: Mirzia Bianca y José Ramón de Verda y Beamonte e in particolare gli scritti di M. A. IANNICELLI, B. AGOSTINELLI, M. CAVALLARO e V. BARBA.

    [5] Per una accurata analisi dei vari progetti di legge che sono stati presentati in Parlamento, rinvio a M. A. IANNICELLI, Al figlio deve essere attribuito il cognome di entrambi i genitori (salvo diverso loro accordo): la Corte costituzionale anticipa il legislatore, cit.

    [6] L'dea di provvedere ad una regolamentazione del cognome del figlio fu una scelta che si palesò gia nella Commissione Bindi ma che tuttavia fu fermata dall'allora Ministro dell'Economia per la paura di un eccessivo dispendio di spese.

    [7] Per questi rinvio alla bella nota di commento di M. A. IANNICELLI, op ult cit.

    [8] V. al riguardo la Circolare n. 63 del 1° Giugno 2022.

    [9] Sulle autorità private, v. C.M. BIANCA,  Le autorità private, Napoli, 1977 pubblicato in Realtà sociale ed effettività della norma giuridica. Scritti giuridici, vol. I, t. 1, cit., 47 e ss.

    [10] Sulla famiglia patriarcale nel periodo dei codici preunitari, v. le parole di P. UNGARI, Storia del diritto di famiglia in Italia (1796-1975), Bologna, 2002: “....la fissità della famiglia, la continuità attraverso il tempo del suo patrimonio e il conseguente privilegio dei maschi sulle femmine erano altrettanti strumenti di quello sforzo di pietrificazione della società italiana e di irrigidimento programmatico delle sue frontiere di classe che corrispondevano a una tendenza profonda della Restaurazione nostrana, difesa di un mondo agricolo e signorile, di un'antica borghesia patriarcale, di artigianati corporativi cittadini, contro i fermenti dissolventi della nuova etica 'industriale' e liberale”.

    [11] Così viene definita da C.M. BIANCA, Diritto civile 2.1., 6° ed., Milano, 2017,  373.

    [12] Sull'attribuzione del cognome paterno l'Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per violazione del principio di non discriminazione, v. Corte EDU con sent. 7 gennaio 2014, Cusan Fazzo c. Italia (ric. n. 77/07)

    [13] V. E. BELLISARIO, Nomen omen. La fine della regola del patronimico, in Giustiziacivile.com, 4 maggio 2022.

    [14] Per una prospettiva privatistica della discendenza, v. M. A. IANNICELLI, op ult cit.

    [15] V. al riguardo C.M. BIANCA, Ex facto oritur ius, in Riv. dir. civ., 1995, I, 787 ora in Realtà sociale ed effettività della norma giuridica. Scritti giuridici, vol. I, t. 1, cit., 189 e ss. Il tema era stato da Lui trattato già precedentemente nel saggio: Il principio di effettività come fondamento della norma di diritto positivo: un problema di metodo della dottrina privatistica, in Estudios de derecho civil en honor del prof. Castàn Tobenas, vol. II, Pamplona, 61 e ss. e ora in Realtà sociale ed effettività della norma giuridica. Scritti giuridici, vol. I, t. 1, cit., 35 e ss.

    [16] Sia consentito il rinvio alla mia relazione tenutasi al Convegno del CSM tenutosi a Roma nei giorni 20 e  21 giugno 2022 dal titolo Nell'ottantesimo del codice civile. Giurisprudenza e dottrina a confronto. In particolare la mia relazione è stata dedicata al libro I del codice civile, nella parte riguardante i rapporti familiari.  

    [17] Questo approccio metedologico della Corte è evidenziato da N. LIPARI, Elogio della giustizia, Bologna, 2021, con riferimento all'abrogata disposizione sull'adulterio della moglie. 

    [18] Così testualmente in motivazione.

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