GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    ​A proposito della bozza Alito: l’aborto è «una grave questione morale» e non un diritto costituzionale

    A proposito della bozza Alito: l’aborto è «una grave questione morale» e non un diritto costituzionale*

    di Giovanna Razzano, Ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico presso l’Università La Sapienza di Roma

                                                                                                                     [Per l’introduzione al tema si rinvia all’Editoriale]

    *Nel pomeriggio del 24 giugno (ora europea) è stata pubblicata la sentenza Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, il cui testo corrisponde puntualmente alla bozza Alito, fatta salva la presenza, in calce, della concurring opinion di Thomas e di quella di Kavanaugh; della concurring opinion in the judgment di Roberts e della dissenting opinion di Breyer, Sotomayor e Kagan. Nel testo della sentenza, inoltre, sono state inserite le risposte alle argomentazioni addotte, nelle rispettive opinions, dai giudici dissenzienti e da Roberts (pagg. 35-39 e pagg. 69-77).

    Sommario: 1. Il trafugamento della bozza Alito e il suo contenuto - 2. Il Quattordicesimo Emendamento non conferisce rango costituzionale a qualsiasi diritto non espresso - 3. La privacy, la differenza fra l’aborto e le altre libertà e la fedeltà al testo - 4. Lo stare decisis, le donne e il paternalismo - 5. La bozza Alito raffigura per certi versi un avvicinamento al modello italiano.

    1. Il trafugamento della bozza Alito e il suo contenuto

    Il trafugamento e la pubblicazione di una bozza riservata concernente un giudizio pendente dinanzi alla Corte Suprema degli Stati Uniti, lo scorso 2 maggio 2022, è un fatto senza precedenti ed è tanto più grave quanto più si consideri la questione sottesa. In gioco c’è, infatti, la questione di costituzionalità di una legge statale in materia di aborto (Mississippi’s Gestational Age Act), la quale, anziché conformarsi alla precedente decisione costituzionale Roe v. Wade del 1973 - la quale ha sancito il diritto costituzionale di abortire fino al sesto mese di gravidanza, vietando ai legislatori statali di limitare questa possibilità[1] - proibisce l’aborto oltre la quindicesima settimana di gestazione, salvo casi di emergenza medica o di grave anomalia fetale.

    Il Presidente della Corte John G. Roberts ha qualificato la fuoriuscita del documento riservato - la draft opinion del Justice Samuel Alito - come un affronto alla Corte stessa, assicurando che non ne pregiudicherà in nessun modo il lavoro; ha ordinato un’inchiesta e ha confermato, inoltre, che l’opinione del giudice costituzionale è autentica, pur se si tratta appunto di una bozza, ossia di un testo che non esprime né una decisione della Corte, né la posizione finale di nessuno dei suoi componenti[2].

    Naturalmente l’episodio è bastato a riaccendere la già focosa discussione sull’aborto[3], che la bozza Alito qualifica sia in apertura, sia conclusivamente, come «una grave questione morale» (a profound moral issue). Una questione - si legge fin dalle prime righe della draft opinion - che divide gli americani fra quanti ritengono che la persona umana abbia inizio con il concepimento, per cui l’aborto pone termine ad una vita innocente; fra quanti ritengono che, invece, una regolazione dell’aborto limiti il diritto delle donne sul proprio corpo e impedisca loro di raggiungere la piena uguaglianza; e fra quanti ritengono che l’aborto debba essere permesso in alcune circostanze e con alcuni limiti, rispetto ai quali si distinguono ulteriori posizioni. Esiste insomma un quadro variegato di opinioni, che si rispecchia, peraltro, negli orientamenti dei rappresentanti politici, come dimostra l’esito della votazione avvenuta al Senato lo scorso 12 maggio 2022, laddove più della metà dei senatori ha rigettato la proposta di legge federale (Women’s Health Protection Act) volta a statuire un ampio diritto di aborto[4].

    Al riguardo, prima di interrogarsi sugli elementi di novità che tutto ciò potrebbe portare al dibattito, anche nel nostro Paese, sembra doveroso considerare i contenuti della draft opinion, che per verità in pochi sembrano aver letto. Il lungo documento (98 pagine, che includono due appendici storiche), infatti, non entra nel merito della «grave questione morale» - ossia non preferisce le posizioni pro life a quelle pro choice, né dichiara incostituzionali le leggi permissive dell’aborto - ma consiste, piuttosto, in un’articolata dissertazione di carattere giuridico nella quale si confuta il fondamento costituzionale del diritto di aborto, affermato dalla sentenza Roe, e si dichiara che, in base alla Costituzione americana, compete piuttosto agli Stati e non alla Corte Suprema disciplinare la materia, trattandosi di scelte politiche che attengono al bilanciamento di interessi, che spettano ai legislatori sulla base del mandato elettorale e delle valutazioni dei cittadini e delle cittadine.

    Le conclusioni che se ne traggono sono fondamentalmente quattro: l’aborto non è un diritto costituzionale fondamentale[5]; la sentenza Roe - come la successiva sentenza Casey - è clamorosamente errata (egregiously wrong) e rappresenta un abuso di potere giudiziale (abuse of judicial authority)[6]; tale precedente giurisprudenziale, pur tenendo conto dei principi dello stare decisis, può e deve essere annullato (overruled)[7]; la competenza, in tema di aborto, torna agli elettori e ai loro rappresentanti (the authority to regulate abortion must be returned to the people and their elected representatives)[8].

    Quanto alla valutazione costituzionale delle norme che i legislatori potranno adottare in materia - in concreto, con riguardo alla legge del Mississippi, oggetto del giudizio - la Supreme Court afferma di non poter sostituire le proprie valutazioni a quelle delle assemblee rappresentative, ma solo di poter accertare, sul piano razionale (rational basis review), se vi siano interessi statali legittimi per legiferare[9], che nel caso risultano essere: il rispetto per la vita prenatale ad ogni livello di sviluppo, la protezione della salute e della sicurezza della madre, l’eliminazione di procedure mediche orribili o barbare, la preservazione dell’integrità della professione medica, la mitigazione del dolore fetale, la prevenzione di discriminazioni sulla base della razza, del sesso o della disabilità. Per la Corte si tratta di interessi che legittimano l’intervento del legislatore statale, per cui la Mississippi’s Gestational Age Act supera il vaglio di costituzionalità[10].

    La draft opinion presenta quindi profili di interesse sia con riguardo alla questione dell’aborto, su cui va registrato un approccio sicuramente diverso dal passato, sia con riguardo al principio democratico e agli stessi principi del costituzionalismo, poiché coinvolge i temi della sovranità popolare, della rappresentanza, della competenza a ponderare interessi confliggenti, dei limiti del potere giudiziale, e di quello dei giudici costituzionali in particolare, in un quadro costituzionale di equilibrio fra diversi poteri. Ove la bozza si traducesse in sentenza, peraltro, si tratterebbe della decisione di una Corte costituzionale di un ordinamento di common law - tra l’altro la Supreme Court of the United States - che, rispetto ad «una grave questione morale», qualifica così erroneo un suo precedente giurisprudenziale, da dover superare lo stare decisis.

    Sembra importante, quindi, esaminare ulteriormente i contenuti della bozza. 

    2. Il Quattordicesimo Emendamento non conferisce rango costituzionale a qualsiasi diritto non espresso  

    Il percorso argomentativo della draft opinion muove dalla constatazione per cui l’aborto, per i primi 185 anni dall’adozione della Costituzione americana, è stato disciplinato dagli Stati americani e dalle rispettive assemblee elettive. Un «processo democratico» che viene troncato nel 1973, quando la sentenza Roe v. Wade della Corte Suprema afferma l’esistenza di un diritto costituzionale di aborto, pone fine alla possibilità degli Stati di legiferare in materia[11] e introduce una dettagliata disciplina basata sui trimestri di gestazione[12]; criterio poi integrato da quello della successiva sentenza Casey, secondo cui nessuna norma deve comportare un ingiusto peso (undue burden) per la donna che intende abortire[13].

    Occorre notare, per inciso, che sul piano processuale le controparti dello Stato del Mississippi - ossia i respondents (Jackson Women Organizations et al.) e il Solicitor General - hanno chiesto alla Corte Suprema di confermare o di annullare Roe e Casey, senza mezze misure[14], poiché non dichiarare incostituzionale la legge del Mississippi che vieta l’aborto oltre la quindicesima settimana di gestazione equivarrebbe comunque ad annullare Roe e Casey[15].

    La bozza Alito sceglie di annullare le due sentenze, demolendo l’impalcatura interpretativa creata dai giudici della sentenza Roe, ossia l’assunto secondo cui il diritto alla privacy includerebbe il diritto di aborto in ragione di alcuni Emendamenti, in particolare del Quattordicesimo[16]. Per la bozza Alito si tratta di un’operazione ermeneutica illegittima. Infatti, né il diritto di aborto, né quello alla privacy sono esplicitamente garantiti dalla Costituzione americana, mentre il Quattordicesimo Emendamento non conferisce un rango costituzionale a qualsiasi diritto non espresso. Tale qualità, infatti, può essere riconosciuta, in base agli standard della stessa giurisprudenza della Corte[17], solo a quei diritti profondamente radicati nella storia e nella tradizione della Nazione, nonché racchiusi nel concetto di libertà ordinata (any such right must be “deeply rooted in this Nation’s history and tradition” and “implicit in the concept of ordered liberty).

    La bozza mostra quindi come, fino alla seconda metà del XX secolo, un diritto costituzionale di aborto fosse del tutto sconosciuto al diritto americano e come, al momento dell’adozione del Quattordicesimo Emendamento, nel 1868, l’aborto fosse, all’opposto, un reato per i tre quarti degli Stati americani[18]. Dall’analisi del common law, emerge poi come l’aborto fosse espressamente punito come crimine da quando fosse percepibile il movimento del bambino nel grembo materno (c.d. quickening), ossia dalla sedicesima/diciottesima settimana[19], mentre, con riguardo alle settimane gestazionali precedenti, fonti dottrinali e giurisprudenziali attestano come fosse comunque considerato una pratica illegittima e non come un diritto. A partire dal XIX secolo, fra l’altro, ogni riferimento al quickening divenne irrilevante, perché il Parlamento britannico, nel 1803, qualificò l’aborto come un crimine in ogni stadio della gravidanza, seguito dalla maggioranza degli Stati americani[20]. Anche in seguito, fra il 1850 e il 1919, quando altri Stati si unirono alla Federazione, l’orientamento prevalente continuò ad essere quello di considerare l’aborto un crimine[21], cosicché, quando fu pronunciata la sentenza Roe, due terzi degli Stati americani punivano chiunque procurasse un aborto, qualsiasi fosse lo stadio di gravidanza, salvo in caso di pericolo di vita per la madre, mentre un terzo lo regolava comunque in maniera più restrittiva della disciplina dettata dalla sentenza stessa[22].

    La conclusione è che l’aborto non è un diritto radicato nella storia americana, come invece affermarono Roe e Casey e vorrebbe, in questa occasione, il Solicitor General[23]. Né è accoglibile, secondo Alito, l’obiezione, pure avanzata da alcuni amici curie (brief for Amici Curiae American Historical Association and Organization of American Historians), secondo cui il divieto di aborto, sancito dalle leggi statali precedenti alla Roe, troverebbe la sua spiegazione non già nella consapevolezza che con esso si uccide la vita di un essere umano, ma in una ragione di politica demografica: il timore che le donne immigrate cattoliche, contrarie a questa pratica, avrebbero avuto più figli delle protestanti, ove a queste ultime fosse stato liberamente permesso l’aborto. Secondo questa teoria, insomma, gli Stati americani avrebbero vietato l’aborto solo per ragioni di opportunità, considerandolo in realtà legittimo, potendosi così avvalorare la tesi che l’aborto sarebbe un diritto radicato nella storia americana[24].

    La draft opinion esclude infine che l’aborto possa dirsi protetto dal XIV Emendamento non solo inteso quale Due Process Clause, ma anche quale Equal Protection Clause, con riguardo, dunque, al tema delle discriminazioni in ragione del sesso. Osserva infatti la bozza che il fatto che la disciplina dell’aborto e le norme volte a prevenirlo riguardino una procedura di cui solo le donne possono avvalersi, non implica un’odiosa discriminazione basata sul sesso, tale da richiedere uno scrutinio specifico sotto questo profilo[25].

    Prima di concludere, la draft opinion chiarisce che l’annullamento delle sentenze Roe e Casey non significa che il Quattordicesimo Emendamento non tuteli in assoluto diritti non menzionati in Costituzione, poiché la decisione attiene solo all’aborto e non ad altri diritti[26]. Si afferma, infine, che la Corte Suprema non ha il potere di decretare che, a causa dei principi dello stare decisis, un precedente errato debba rimanere per sempre esente da una revisione[27]. Tanto più che 26 Stati hanno chiesto alla Supreme Court di annullare Roe e Casey e di restituire la parola ai rappresentanti eletti[28].

    3. La privacy, la differenza fra l’aborto e le altre libertà e la fedeltà al testo

    Nella lunga motivazione possono individuarsi tre filoni argomentativi, tanto più interessanti, quanto più di carattere logico-giuridico.

    Si tratta, in primo luogo, dei punti in cui la bozza Alito si sofferma sul diritto alla privacy o, con le parole della sentenza Casey, sul concetto di libertà come “diritto di individuare il proprio concetto di esistenza, di senso, di universo e di mistero della vita umana” (un’accezione del right to privacy - precisa la bozza Alito - che va distinta da quella consistente nel diritto alla riservatezza dei dati e nel diritto di adottare decisioni personali senza l’interferenza dei pubblici poteri[29]). Al riguardo si osserva che se è vero che c’è la più ampia libertà di pensare e di dire - in merito all’universo, alla vita, etc. - quello che si vuole, tale ampia libertà non si estende anche al piano del fare, perché il concetto giuridico di “libertà ordinata” prevede un bilanciamento fra interessi contrapposti (boundary between competing interests) [30]. L’osservazione è poi utile a concludere che questi interessi possono essere differentemente valutati e che pertanto spetta agli elettori ponderarli[31].

    Si assiste, in tal modo, ad una razionalizzazione e ad una de-ideologizzazione del concetto di privacy; al suo sgonfiamento, in altri termini, che viene compiuto con una punta di spillo, ossia con un ragionamento logico elementare: in un ordinamento giuridico non c’è l’assoluta libertà di fare secondo le proprie opinioni sul mondo e sulla vita, come la prospettiva del diritto del lavoro evidenzia in modo palese[32]. Ove confermato dalla sentenza definitiva, questo passaggio relativo alla privacy, che riconduce le libertà sul campo reale degli interessi di tutti i soggetti coinvolti, nel quadro di un ordinamento giuridico costituzionale, non potrà verosimilmente non avere le sue ricadute in Europa, dove la privacy ha parimenti rappresentato - e rappresenta - il riferimento per l’edificazione di ogni “nuovo diritto”, come mostra la pletora di ricorsi alla Corte di Strasburgo basati sull’art. 8 CEDU, considerato una specie di Grundnorm per tutte le istanze iper-liberali e anti-paternaliste, refrattarie ad ogni “ingerenza” dei pubblici poteri.

    In secondo luogo, la bozza Alito osserva come un conto sono i diritti di libertà che si risolvono in una sfera tutta individuale o consensuale (come sposarsi con chi si vuole, incluso persone dello stesso sesso, ottenere contraccettivi, educare come si crede i propri figli, etc. - tutte libertà citate da Roe e Casey), altro conto è l’aborto. Questa procedura, infatti, a differenza delle altre libertà, implica, a seconda dei punti di vista, la distruzione di una “vita potenziale” o di “un essere umano ancora non nato”, ossia coinvolge un altro essere[33]. Ѐ questo l’elemento che caratterizza la questione morale posta dall’aborto, a prescindere dal fatto che si consideri il feto “vita potenziale” o “essere umano ancora non nato”[34]. Un’osservazione non priva di fondamento razionale, al pari della conseguente qualificazione dell’aborto come «grave questione morale».

    Quanto al terzo filone argomentativo, si tratta di quella che potrebbe definirsi la questione metodologica ed ermeneutica. Afferma la bozza Alito, non senza una punta di ironia, che nel valutare quali libertà rientrino sotto la protezione del Quattordicesimo Emendamento, i giudici costituzionali debbono guardarsi dalla naturale tendenza umana a confondere quello che l’Emendamento effettivamente garantisce con ciò che è invece l’ardente desiderio di ognuno circa la libertà di cui gli americani dovrebbero godere[35]. Traspare qui un chiaro approccio “originalista”, peraltro affine all’ermeneutica elaborata, in ambito europeo, da Emilio Betti, basata su di un metodo scientifico aderente all’oggettività del testo, che esige dall’interprete un’analisi storica e tecnica, senza l’influenza di prevenzioni dottrinarie, nella convinzione che il testo ha una sua verità storica, un significato che l’interprete è tenuto a ricavare e non ad attribuire[36], come pure Hans-Georg Gadamer ebbe a dire[37]. La bozza Alito richiama, sul punto, una dissenting opinion di Justice White, per cui le sentenze che trovano nella Costituzione principi o valori che non possono ragionevolmente essere letti nel testo, usurpano la competenza del popolo[38]. Sullo sfondo si intravede, soprattutto, l’originalismo di Justice Scalia, per il quale la concretizzazione dei valori non spetta al giudice ma al legislatore; compito del giudice, piuttosto, è ricercare il significato della disposizione così come inteso al momento in cui fu adottata dai costituenti o dai legislatori, mentre è precluso al giudice, in base al principio democratico, riscrivere la Carta fondamentale sulla base delle sue opinioni individuali sul giusto e sul vero[39]. Tutte questioni che sono di grande interesse anche dalle nostre parti[40]. Al riguardo occorrerebbe domandarsi, fra l’altro, se quanto sostenuto dalla bozza Alito sulla scorta di importanti precedenti (un diritto non espressamente menzionato dalla Costituzione può riconoscersi come fondamentale ove risulti profondamente radicato nella storia e nella tradizione della Nazione, nonché implicito nel concetto di libertà ordinata) possa assimilarsi alla tesi, autorevolmente sostenuta nell’ambito della dottrina italiana, per cui il carattere fondamentale di un diritto non scritto è attribuibile a quelle consuetudini culturali di riconoscimento che attengono a bisogni elementari dell’uomo, il cui appagamento è condizione di una esistenza libera e dignitosa[41]. Una questione di spessore, che ci si limita qui a delineare, e che merita approfondite riflessioni.

    4. Lo stare decisis, le donne e il paternalismo

    Vanno poi segnalati due aspetti di rilievo, che attengono al processo costituzionale e alla ricaduta della decisione sulla condizione femminile.

    Il primo attiene alla dottrina dello stare decisis[42], cui la bozza Alito riconosce un ruolo considerevole ma non assoluto. Si nota come alcune delle decisioni storicamente più significative della Supreme Court abbiano comportato proprio l’overruling di un consolidato indirizzo giurisprudenziale opposto, come nel caso della segregazione razziale[43] e della riduzione di talune libertà economiche a vantaggio di misure di welfare[44]. Annullare Roe e Casey, per la bozza Alito, è quindi ammissibile in base a cinque ragioni: la grave erroneità; la qualità della loro motivazione (eccezionalmente debole e carente[45]); la difficile applicazione uniforme delle regole imposte (specialmente l’«undue burden» della Casey); il loro effetto dirompente su altre aree del diritto[46]; l’assenza di un concreto affidamento[47].

    Quanto a quest’ultimo aspetto, la bozza Alito, richiamando quanto affermato proprio dalla sentenza Casey, ribadisce che non può esserci un legittimo affidamento per l’aborto, che è un fatto imprevisto (unplanned activity)[48], non pianificato. Con riguardo poi all’affidamento sociale, ossia alle ricadute che una modifica della disciplina dell’aborto potrebbe avere sulla condizione femminile, la relativa ponderazione è un giudizio di natura politica, che spetta come tale agli elettori, alle elettrici e ai loro rappresentanti, ma non ai giudici costituzionali. Le donne americane - osserva la draft opinion - non sono prive di potere politico ed elettorale e potranno contribuire ad influenzare la legislazione. Proprio nello Stato di Mississippi - si osserva - le donne sono la maggioranza dei votanti[49].

    Questo passaggio merita attenzione. Non pare irrilevante, infatti, che la Mississippi’s Gestational Age Act sia stata proposta e sostenuta da parlamentari donne, come rimarca il parere denominato Brief for Women Legislators and the Susan B. Anthony List as Amici Curiae supporting Petitioners[50]. Né è trascurabile il dato per cui le donne americane siano tutt’altro che uniformemente schierate per la libertà di aborto, come emerge da un altro parere amici curiae, il Brief of 240 Women Scholars and Professionals, and Prolife Feminist Organizations in Support of Petitioners. Al contrario, è proprio la presenza delle donne nelle istituzioni rappresentative, mai così alta come negli ultimi anni, che avrebbe influenzato i processi democratici portando in diversi Stati ad una riconsiderazione della disciplina in tema di aborto; anche per questo la Supreme Court dovrebbe rimettere la questione alla competenza delle assemblee elettive, dove le donne sono rappresentate[51]. Inoltre, la sentenza Roe, che si è auto-assegnata la competenza sull’aborto («self-awarded sovereignty over abortion»)[52], sarebbe caratterizzata da un atteggiamento paternalista nei confronti degli Stati della Federazione («driven by that very kind of paternalism»), non consentito dalla Costituzione[53].

    Le donne, insomma, non hanno bisogno della Corte Suprema per difendere diritti e interessi, ma di poter valutare e decidere direttamente nelle sedi appropriate. Notevole è altresì che l’accusa di paternalismo provenga, questa volta, non già da prospettive iper-liberali, ma da donne elette nelle assemblee legislative statali che ritengono abusivo il sigillo posto dalla Corte Suprema, nel 1973, ad una delle possibili regolazioni dell’aborto. Il mondo femminile americano si presenta, quindi, plurale. Emerge che sono state le stesse donne ad aver proposto e supportato, in molti Stati, legislazioni limitative dell’aborto; che esistono movimenti femministi pro-life; che esistono donne che accusano di paternalismo e interventismo creativo Roe e Casey. Interessa, soprattutto, che di queste ultime sentenze venga contestato l’assunto centrale: quello secondo cui alle donne sarebbe necessaria la libertà di aborto per poter competere con gli uomini in ambito lavorativo e in tutti i settori[54]. Tale paradigma, al contrario, non avrebbe giovato alla condizione femminile, perché avrebbe relegato la maternità e l’impegno che richiede in un ambito tutto individuale, in cui portare o meno a termine una gravidanza è un problema della donna; con la conseguenza paradossale di aver favorito una mentalità maschilista, secondo cui il lavoratore ideale è il single, senza figli; prototipo che non richiede da parte degli attori, pubblici o privati, dispendiosi assetti lavorativi adatti alle donne con i figli; le quali - si rileva - continuano tuttora ad esser discriminate se madri[55].

    Si tratta, a mio avviso, di osservazioni di estremo interesse e meritevoli di attenzione, su cui è possibile discutere e confrontarsi, specie nel differente contesto costituzionale italiano. Qui esiste, infatti, un espresso dovere dei pubblici poteri di proteggere la maternità favorendo gli istituti necessari a tale scopo (art. 31, secondo comma), sottolineato dalla Corte costituzionale proprio nella prima sentenza in tema di aborto (n. 27/1975). Né va dimenticato che la stessa l. n. 194/1978, all’art. 1, esordisce affermando che «lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio»[56], mentre esclude che l’aborto possa essere mezzo per il controllo delle nascite. Il tema, pertanto, è il seguente: lo Stato italiano protegge effettivamente la maternità? Le donne sono realmente libere di essere madri? Come interpretare, nella prospettiva femminile, i dati Istat, per cui, a fronte di una fecondità reale in costante calo dal 2010, il numero di figli desiderato resta sempre fermo a due, evidenziando «un significativo scarto tra quanto si desidera e quanto si riesce a realizzare?»[57]

    5. La bozza Alito raffigura per certi versi un avvicinamento al modello italiano

    Nel tirare le fila, va innanzitutto considerato quanto estremo sia il modello americano di aborto fissato da Roe e Casey, del tutto sbilanciato sulla volontà della donna, che può abortire non solo fino al sesto mese di gravidanza, ma anche oltre; all’opposto dell’uniformità che sarebbe dovuta discendere dalle pronunce costituzionali, il vago criterio dell’undue burden della sentenza Casey ha consentito infatti agli Stati di liberalizzare ulteriormente l’accesso, cosicché alcuni, come quello di New York, permettono l’aborto per tutta la gravidanza, sulla base di condizioni alquanto indefinite[58]. Né va dimenticato che la stessa contestata legge del Mississippi, oggetto del giudizio, permette comunque l’aborto fino alla quindicesima settimana di gestazione, ossia oltre le dodici settimane, ossia i 90 giorni indicati dalla legge italiana[59]; la quale, oltretutto, richiede la sussistenza di determinate condizioni e circostanze[60].

    La bozza Alito rappresenta pertanto un avvicinamento della Supreme Court al modello italiano almeno sotto tre profili.

    Il primo attiene alla qualificazione dell’aborto, che per la bozza non è (più) un diritto costituzionale. Infatti, non lo è neppure per l’ordinamento italiano, dove né la legge che lo ha legalizzato, né la Corte costituzionale[61] hanno mai qualificato l’aborto come diritto tout court[62]. La mera liceità di un comportamento, d’altronde, non implica la sua assunzione nel novero dei diritti di libertà costituzionalmente tutelati[63]. Il giudice delle leggi, fin dalla sent. n. 27/1975, ha affermato, piuttosto, l’«obbligo del legislatore di predisporre le cautele necessarie per impedire che l’aborto venga procurato senza seri accertamenti sulla realtà e gravità del danno o pericolo che potrebbe derivare alla madre dal proseguire la gestazione»[64]. E la l. n. 194/1978, da parte sua, prevede misure per prevenire ed evitare l’aborto, indicando che i consultori familiari assistano la donna in stato di gravidanza «contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza» (art. 2, lett. d) e trovino «le possibili soluzioni dei problemi proposti», aiutandola a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza e promuovendo ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna (art. 5, comma 1). Un assetto, questo, che pare coerente con la definizione di aborto come «grave questione morale», piuttosto che come «diritto», la cui nozione non è compatibile con l’impegno dell’ordinamento per prevenirlo, evitarlo e rimuovere le cause che portano a richiederlo. I diritti non si prevengono. Va aggiunto che il medico, ai sensi della legge, può rilasciare il certificato di cui all’art. 5 della legge «sulla base delle circostanze di cui all’art. 4», cosicché non può dirsi che nel nostro ordinamento, a differenza di altri (dove il certificato è rilasciato su semplice richiesta da un impiegato amministrativo)[65], vi sia l’aborto on demand per i primi 90 giorni[66]. Il diritto di abortire si configura, quindi, solo in un secondo momento, una volta ottenuto il certificato, a fronte del quale vi è il dovere da parte delle strutture regionali, pubbliche o convenzionate, di eseguirlo, con il conseguente obbligo del personale sanitario di realizzarlo, salva l’obiezione di coscienza. Quanto a quest’ultima, pare importante sottolineare che, da un lato, trova la sua giustificazione in un diritto costituzionale fondamentale - quello alla vita - e non già in una mera ragione di coscienza individuale o privata[67]; dall’altro, non ha rappresentato[68] né rappresenta[69] un ostacolo all’accesso all’aborto, come si vuole far credere.

    In secondo luogo, la bozza Alito ritiene che sia interesse legittimo degli Stati intervenire, in materia, per ponderare e disciplinare una pluralità di interessi. Di fronte alla volontà della donna, infatti, non c’è più, solo, una “vita potenziale” (la potential life della sentenza Roe), ma anche la protezione della vita prenatale ad ogni livello di sviluppo, l’eliminazione di procedure mediche orribili o barbare[70], la mitigazione del dolore fetale, la preservazione dell’integrità della professione medica. Analogamente la Corte costituzionale italiana, fin dalla sent. n. 27/1975, ha posto in luce una serie di “interessi”: oltre alla vita e alla salute della donna (la sua privacy e la sua libertà di scelta non sono menzionate), vi è infatti la protezione della maternità, nonché «la tutela del concepito», che ha «fondamento costituzionale» ed è da annoverare fra i diritti inviolabili dell’uomo, «sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie»[71]. Inoltre, non è possibile l’abrogazione di quelle parti della l. n. 194/1978 che rappresentano «il livello minimo di tutela necessaria dei diritti costituzionali inviolabili alla vita, alla salute, nonché di tutela necessaria della maternità, dell’infanzia e della gioventù» (sent. 35/1997)[72]. Quanto alla tutela della vita «fin dal suo inizio», tale sentenza ha precisato che si tratta di un diritto da iscriversi tra quelli inviolabili, cioè «tra quei diritti che occupano nell’ordinamento una posizione, per dir così, privilegiata in quanto appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana».

    In terzo luogo, infine, la bozza Alito rimette la questione dell’aborto alla competenza del legislatore, allineandosi, anche sotto questo profilo, all’Italia e alla maggior parte dei Paesi nel mondo, dove l’aborto è disciplinato da leggi e non da sentenze[73].

    Della disciplina italiana, a conclusione di queste note, sembra di dover mettere in luce, in una prospettiva costituzionale, quel nucleo che la Corte, nella sent. n. 35/1997, ha appunto qualificato «a contenuto normativo costituzionalmente vincolato». Interessa, in particolare, quanto previsto dall’art. 5 della l. n. 194/1078, le cui disposizioni si incentrano sul concetto di aiuto alla donna da offrirsi nel momento in cui accede al colloquio di cui ai commi 1 e 2. Si tratta dell’approccio sociale e giuridico al problema dell’aborto, «la cui attuazione - secondo un giudizio ampiamente condiviso - è rimasta insufficiente», come affermava il Comitato Nazionale di Bioetica quasi vent’anni or sono[74]; così come la percettibilità, nel nostro Paese, di un clima positivo, di simpatia e disponibilità solidaristica, verso la gravidanza in atto[75]. Si suggeriva, fra l’altro, «una seria progettazione» delle modalità con cui venga svolto il colloquio con la donna per ciò che attiene all’aiuto sociale, psicologico ed economico, ricercando in concreto, come la legge richiederebbe, «le possibili soluzioni dei problemi e (…) offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto»[76].

    Si tratta di indicazioni tuttora valide, specie a fronte del sempre maggiore ricorso all’aborto farmacologico, sia perché riferibili a quel nucleo costituzionalmente necessario, sia perché le donne rischiano di essere lasciate sempre più sole con i loro problemi e le loro scelte. Del resto, occorre domandarsi, quali diritti e quali libertà verrebbero lesi, ove una donna, a motivo dell’aiuto efficace e concreto delle istituzioni e della società, decidesse, anziché di abortire, di tenere il suo bambino?

    Penso che sia questa la domanda cruciale da cui ripartire per una proficua discussione pubblica sulla «grave questione morale» che l’aborto pone.

     

    [1] La sentenza Roe, dopo aver distinto la gestazione in tre trimestri, ha statuito che, nel primo, gli Stati USA non sono abilitati a disciplinare l’aborto, che rimane nella completa disponibilità del medico e della gestante; nel secondo trimestre, gli Stati possono intervenire con una disciplina funzionale alla salute della donna che abortisce, ma non tutelare il nascituro; nel terzo trimestre, poiché vi sarebbe la vitalità (viability) del feto, ossia la sua possibilità di vita autonoma fuori dall’utero materno, gli Stati possono legittimamente avere interesse anche a tutelare la vita del nascituro. In seguito, la c.d. sentenza Casey (1992) ha poi diffidato gli Stati dall’adottare norme che rappresentino un ingiusto peso (“undue burden”) per una donna che intende esercitare il suo diritto ad ottenere all’aborto.

    [2] Cfr. https://www.supremecourt.gov/publicinfo/press/pressreleases/pr_05-03-22 Singolare appare quindi la risoluzione adottata il 9 giugno scorso dal Parlamento europeo, il quale, dicendosi preoccupato per le conseguenze che una futura sentenza della Supreme Court USA potrebbe avere per i diritti delle donne, incoraggia fortemente il governo degli Stati Uniti a rimuovere tutti gli ostacoli ai servizi di aborto. La risoluzione, infatti, - priva di valore giuridico - non solo si riferisce ad una bozza illegalmente trafugata, riferibile ad una sentenza non pubblicata del tribunale costituzionale di uno Stato esterno alla UE, ma entra nel merito di un ambito - l’aborto - che non è neppure di competenza delle istituzioni comunitarie.

    [3] Al momento la sede della Supreme Court è stata recintata e le autorità pubbliche sono dovute intervenire per proteggere l’incolumità dei giudici costituzionali.

    [4] Per l’approvazione della legge - caldeggiata dai democratici, nonché dal Presidente Biden - occorrevano i voti di 60 senatori, ma il provvedimento ne ha ricevuti solo 49, mentre 51 sono stati i voti contrari (tutti i repubblicani oltre al senatore Dem Joe Manchin).

    [5] Cfr. bozza Alito, p. 65.

    [6] Ivi, pp. 6, 40.

    [7] Ivi, pp. 5, 35, 42, 52, 62, 63, 64, 65.

    [8] Ivi, pp. 2, 6, 34, 40-41, 64, 65, 67.

    [9] Ivi, p. 66: «It must be sustained if there is a rational basis on which the legislature could have thought that it would serve legitimate state interests». La sent. Roe aveva infatti negato l’esistenza di interessi statali legittimi per legiferare (primo trimestre) o li aveva fortemente limitati (nessuna tutela per il nascituro se non dal terzo trimestre di gravidanza).

    [10] Ibidem.

    [11] Al momento della sentenza Roe, 30 Stati vietavano l’aborto in ogni stadio di gravidanza, salvo che in caso di pericolo per la vita della madre (bozza Alito, p. 24).

    [12] Cfr. nota 1.

    [13] Bozza Alito, p. 4.

    [14] Brief for Respondents, p. 43 e 50.

    [15] Bozza Alito, p. 5.

    [16] Ivi, p. 9.

    [17] Ivi, p. 13, dove si citano Washington v. Glucksberg, 521 U. S. 702, 721 (1997) e, in seguito (p. 12 ss.), Timbs v. Indiana, 586 U.S. (2019); McDonald, 561 U. S., at 764; Collins v. Harker Heights, 503 U. S. 115,125 (1992).

    [18] Ivi, p. 5.

    [19] Ivi, p. 16 ss.

    [20] La relativa documentazione nell’Appendice A.

    [21] Ulteriori riferimenti nell’Appendice B.

    [22] Bozza Alito, p. 24.

    [23] Ivi, p. 27, on ulteriori riferimenti.

    [24] Ivi, pp. 28-29.

    [25] Ivi, pp. 10-11. Sarebbe del resto come sostenere che i protocolli di prevenzione del tumore al seno, poiché riguardano le donne, esigono uno stretto scrutinio sotto il profilo della discriminazione in base al sesso.

    [26] Ivi, p. 62.

    [27] Ivi, p. 64.

    [28] Ivi, p. 61.

    [29] Ivi, p. 45.

    [30] Ivi, pp. 30, 45.

    [31] Ivi, pp. 33-34.

    [32] Nella recente giurisprudenza della Corte costituzionale italiana, un ragionamento analogo si rinviene nella sent. n. 141/2019.

    [33] Ѐ interessante ricordare che il Tribunale costituzionale tedesco, nella sentenza del 27 febbraio 1975, considerò il concepito il soggetto debole da tutelare e ritenne impossibile un compromesso fra la sua vita, da un lato, e la libertà della gestante di interrompere la gravidanza, dall’altro, dal momento che l’aborto implica un annientamento della vita del nascituro.

    [34] Ivi, p. 32.

    [35] Ivi, p. 13.

    [36] E. BETTI, Teoria generale dell’interpretazione, II, Milano, 1955, 795-798; ID., L’ermeneutica come metodica generale delle scienze dello spirito, con saggio introduttivo di G. Mura, Roma, 1987, p. 64. Sul canone dell’autonomia dell’oggetto nell’ermeneutica bettiana, G. CRIFÒ, Emilio Betti, In memoriam, Milano, 1968, 298 (estratto da BIDR, 3° serie, vol. IX).

    [37] Cfr. H.G. GADAMER, Verità e metodo (1960), Milano, 1983, 316.

    [38] Bozza Alito, p. 41.

    [39] Cfr., fra i numerosi scritti, A. SCALIA- B.A. GARNER, Reading Law: The Interpretation of Legal Texts, St. Paul, MN, Thomson/West, 2012; interessante pure ID., La mia concezione dei diritti, Intervista di Diletta Tega ad Antonin Scalia, in Quaderni cost., 3/2016, p. 671.

    [40] Ci si limita a segnalare AA.VV, Ricordando Alessandro Pizzorusso. Il pendolo della Corte. Le oscillazioni della Corte costituzionale tra l’anima ‘politica’ e quella ‘giurisdizionale’, a cura di R. ROMBOLI, Torino 2017 e A. RUGGERI, Il futuro dei diritti fondamentali, sei paradossi emergenti in occasione della loro tutela e la ricerca dei modi con cui porvi almeno in parte rimedio, in Consulta online, 1° febbraio 2019, p. 43.

    [41] Fra i numerosi scritti dell’A., cfr. A. RUGGERI, Cosa sono i diritti fondamentali e da chi e come se ne può avere il riconoscimento e la tutela, in Cos’è un diritto fondamentale, a cura di V. BALDINI, Atti del Convegno Annuale del Gruppo di Pisa svoltosi a Cassino il 10-11 giugno 2016, Napoli, 2017, p. 337 ss.

    [42] Bozza Alito, p. 35.

    [43] Brown v. Board of Education.

    [44] West Coast Hotel Co. v. Parrish.

    [45] Bozza Alito, p. 41.

    [46] Ivi, p. 59, dove si afferma, fra l’altro, che le precedenti sentenze della Corte in materia di aborto hanno annacquato il rigore dello standard delle questioni di costituzionalità, i principi della res iudicata, il principio per cui gli Statuti devono essere interpretati in modo da evitare di dichiararne l’incostituzionalità.

    [47] Ivi, p. 39 ss., dove si qualifica gravemente carente la motivazione offerta da Roe e Casey, prive di aggancio al testo, alla storia, ai precedenti e alle fonti sulle quali sono solitamente basate le decisioni costituzionali. Del tutto erronea è poi la ricostruzione del common law in tema di aborto, basata su di una fonte dottrinale screditata. Vengono anche ricordati i quattro argomenti della sentenza Roe: 1) il peso degli interessi coinvolti, 2) la lezione e gli esempi della storia della medicina e del diritto, 3) l’orientamento permissivo del common law, e 4) la domanda proveniente dai problemi della società contemporanea. Destituiti di fondamento il secondo e il terzo argomento, altro non resta che una valutazione di opportunità politica, che non può, come tale, che spettare al legislatore. Si osserva, poi, come il criterio della viability, cruciale nella disciplina trimestrale di Roe, è discutibile non solo perché varia a seconda dei progressi della medicina, del luogo, della salute, sia della madre, sia del feto, anche perché arbitrario (così infatti Corte cost. italiana, sent. n. 35/1997, per la quale tutti i nascituri meritano protezione, non solo quelli capaci di sopravvivere fuori dall’utero). Sono poi molti i giuristi - ricorda poi la bozza Alito - anche pro aborto, che hanno criticato la Roe in quanto priva di fondamento.

    [48] Bozza Alito, p. 59 ss.

    [49] Ivi, p. 61.

    [50] Brief for Women Legislators, p. 18. Per i testi dei vari briefs degli amici curiae (più di 140): https://www.scotusblog.com/2021/11/we-read-all-the-amicus-briefs-in-dobbs-so-you-dont-have-to/

    [51] Brief for Women legislators, cit., p. 13 ss.

    [52] Ivi, p. 21.

    [53] Ivi, p. 17.

    [54] Brief of 240 women scholars and professional, p. 17 ss.

    [55] Ivi, p. 39 ss.

    [56] Corsivo mio.

    [57] ISTAT, Rapporto annuale 2020 sulla situazione del Paese, p. 262.

    [58] Cfr. il Reproductive Health Act, 2019, section 2, art. 25-A, che permette l’aborto oltre il sesto mese non più solo per salvare la vita della madre, ma anche quando il feto non sopravviverebbe fuori dall’utero e l’aborto è necessario per proteggere la vita e la salute della donna («there is an absence of fetal viability, or the abortion is necessary to protect the patient’s life or health»).

    [59] Anche la maggioranza degli Stati europei che ha legalizzato l’aborto restringe notevolmente le condizioni di accesso oltre il primo trimestre di gravidanza.

    [60] Cfr. art. 4 della l. n. 194/1978.

    [61] Cfr. in particolare le sentt. n. 27/1975; 26/1981; 196/1987; 108/1981; 35/1997.

    [62] Lo stesso vale sul piano del diritto internazionale. Come conferma la recente Dichiarazione di Ginevra, del 2020, non vi sono trattati internazionali che sanciscano il diritto di aborto, né il dovere da parte degli Stati di promuoverlo o finanziarlo (tali non sono la Convention on the Elimination of Discrimination against Women, 1979; il Rome Statute of the International Criminal Court, 1998; i c.d. documenti del Cairo e di Beijing). La Corte di Strasburgo, da parte sua, nella sentenza A, B & C v. Ireland del 2010, mai smentita dalle pronunce successive, ha affermato che l’art. 8 CEDU, sul diritto alla privacy (o, meglio, all’autonomia), non può essere interpretato in modo da includere il diritto di aborto. Numerosi sono poi i trattati internazionali che impegnano espressamente gli Stati a proteggere la vita del nascituro (ad es. U.N. Convention on the Rights of the Child, 1989, basata sulla Declaration of the Rights of the Child, 1959; The International Covenant on Civil and Political Rights, 1966; The American Convention on Human Rights, 1969).

    [63] A. BARBERA, La Costituzione della Repubblica italiana, Milano, 2016, p. 157.

    [64] Corsivi miei.

    [65] Cfr. ad es. la legge svedese, l’Abortlag del 1974, secondo cui fino alla diciottesima settimana di gravidanza l’aborto è a semplice richiesta e non occorre verificare la presenza di determinate circostanze.

    [66] Anche se è vero che l’interpretazione della legge (in particolare il modo di intendere il pericolo per la salute psichica) ha portato verso questa configurazione. Sul punto M. OLIVETTI, Diritti fondamentali, II ed., Torino, 2020, p. 494.

    [67] Ne è conferma l’art. 9, comma 5, della stessa l. n. 194/1978, per il quale l’obiezione di medici e ausiliari non è invocabile «quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo».

    [68] Il riferimento è ai ricorsi contro l’Italia intrapresi dalla International Planned Parenthood Federation (nel 2012) e dalla CGIL (nel 2013) dinanzi al Comitato europeo per i diritti sociali (organo del Consiglio d’Europa competente a garantire l’effettività della Carta sociale europea da parte degli Stati aderenti), in quanto l’alto numero di medici obiettori non avrebbe assicurato l’accesso all’aborto. La questione si è conclusa con una risoluzione del Comitato dei ministri, il quale - a fronte delle informazioni fornite dal Ministero della salute, che hanno evidenziato che il numero di non obiettori risulta congruo, anche a livello sub-regionale, rispetto alle Ivg effettuate - ha accolto «gli sviluppi positivi» prendendo dunque atto che l’obiezione non provoca una disfunzione nell’applicazione della legge n. 194 e del 1978 (sul punto si veda la Relaz. al Parlamento del Min. della salute sull’attuazione della l. n. 194/1978, 7 dicembre 2016, p. 57).

    [69] La conferma proviene dalle relazioni al Parlamento presentate dal Ministero, basate su dati e parametri regionali accuratamente individuati e raccolti, che mostrano che «non sembra essere il numero di obiettori di per sé a determinare eventuali criticità nell’accesso alle Ivg ma probabilmente il modo in cui le Strutture Sanitarie si organizzano nell’applicazione della legge 194/78» (relaz. Min. Speranza del giugno 2020). Quanto agli anni precedenti (dati 2018), risulta che il 15% dei ginecologi non obiettori non è assegnato al servizio Ivg; un dato che conferma che la situazione non è critica.

    [70] La Mississippi’s Gestational Age Act osserva infatti come, dopo le 15 settimane di gestazione, le modalità per effettuare l’aborto consistano inevitabilmente in procedure per distruggere il feto che sono “barbare” nonché pericolose per la salute della madre. Peraltro è dal 2003 che gli Stati Uniti hanno bandito l’atroce pratica del partial-birth abortion, rispetto alla quale viene in mente, rispetto all’ordinamento italiano, la l. n. 413/1993, sull’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale, che tutela quanti «si oppongono alla violenza su tutti gli esseri viventi» (art. 1).

    [71] Com’è noto, la medesima sentenza ha altresì ritenuto che non ci sia equivalenza fra il diritto alla vita dell’embrione, «che persona deve ancora diventare», e il diritto «non solo alla vita, ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre».

    [72] Su cui C. CASINI e M.G. GIAMMARINARO, in Bioetica, 5/1997, p. 425.

    [73] Cfr. Center for Reproductive Rights, 2021, https://reproductiverights.org/maps/worlds-abortion-laws/

    [74] Così il CNB, Aiuto alle donne in gravidanza e depressione post-partum, 16 dicembre 2005, p. 9.

    [75] Ibidem.

    [76] Ibidem.

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