GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    L’opera-continente di Pasolini e gli pseudo-intellettuali di oggi. Intervista di Andrea Apollonio a Roberto Chiesi

    L’opera-continente di Pasolini e gli pseudo-intellettuali di oggi

    Intervista di Andrea Apollonio a Roberto Chiesi 

    Roberto Chiesi è uno dei più profondi e autorevoli conoscitori dell’opera pasoliniana, non solo per essere da molti anni il responsabile del Centro Studi – Archivio Pasolini della Cineteca di Bologna (assoluto punto di riferimento per gli studiosi del Poeta), ma anche per aver cercato, nelle vesti di critico letterario, tracce del genio pasoliniano nell’odierno scenario artistico. Giustizia Insieme l’ha intervistato.

    A cento anni dalla nascita, come viene percepito Pier Paolo Pasolini oggi?

    Viene percepito in molti modi: in generale come l'artista che ha saputo comprendere e descrivere in anticipo come saremmo diventati, come un artista di dimensione rinascimentale e come l'intellettuale che ha pagato con la vita le sue idee.

    I giovani come reagiscono alle opere di Pasolini?

    Devo dire che rimango spesso impressionato dalle reazioni dei giovani lettori o spettatori di Pasolini, nel senso che spesso sono colpiti nel profondo dalle sue parole e dalle sue immagini. Riesce ancora a parlare molto alle loro coscienze, a stimolarli, a suscitare delle reazioni, a metterli in crisi nel senso più positivo del termine. È probabile che molti ragazzi scoprano in Pasolini un antidoto alla mediocrità contemporanea, alla malafede di tanti pseudo-intellettuali di oggi, alla loro aggressività priva di qualsiasi senso, alla loro dialettica che è intesa soltanto ad aggiudicarsi al miglior compratore. Sono in vendita, mentre Pasolini non lo era.

    Molti temi che Pasolini aveva lanciato e rilanciato nella sua opera artistica - il rispetto della diversità, l'affermazione degli orientamenti sessuali, l'emancipazione femminile - sono oggi patrimonio comune. Ma secondo lei il modo con cui vengono trattati, è il modo con cui Pasolini avrebbe voluto venissero trattati?

    Per la verità ho molti dubbi che oggi il rispetto della diversità sia veramente un bene comune. Anzi credo che sia in atto e non soltanto riguardo a questo, una pericolosa regressione, accompagnata da una reviviscenza del peggior moralismo, spesso travestito da progressismo. Per questo credo che Pasolini avrebbe detestato il nostro presente e avrebbe odiato, in particolare, la confusione indifferenziata di destra e di quel che resta della sinistra in molte, troppe questioni. Il fenomeno che ha portato all'attuale confusione, peraltro, inizia proprio negli anni Settanta e viene denunciato da Pasolini che subito ne coglie la pericolosità. Quando si smarriscono le differenze, si perde anche l'identità.

    Nonostanti i tanti studi apparsi su Pasolini e Sciascia, è forse ancora in ombra il rapporto tra queste due figure di intellettuali. Cosa se ne può dire, oggi?

    Non è in ombra: è appena uscito un corposo volume edito dal Centro Studi Pasolini di Casarsa e da Marsilio su Pasolini e Sciascia. Provavano entrambi un senso di profondo sdegno, di rabbia nei confronti della corruzione della classe politica e delle sue collusioni con la criminalità organizzata. Uno sdegno e una rabbia che si traducevano nella tensione a decifrare come funzionava questa degenerata classe politica e quali fossero gli effetti nefasti della sua azione.

    È noto che Pasolini ha messo in luce le contraddizioni della modernità, in Italia e altrove - pensiamo alle sue riflessioni svolte in terra di Israele. Ma non ha potuto vedere gli abissali effetti della rivoluzione tecnologica e la conseguente "modernità virtuale", che tutti noi oggi viviamo. È un azzardo, ma giocando di fantasia: cosa avrebbe detto Pasolini di tutto questo?

    Pasolini amava la fisicità della vita quindi avrebbe disprezzato la virtualità, l'avrebbe analizzata ma penso che l'avrebbe combattuta in tutto e per tutto come una sottocultura che aliena l'individuo dalla realtà delle cose. Il che, probabilmente, non gli avrebbe impedito di usarla, a modo suo, magari contro se stessa.

    L’opera pasoliniana è stata segnata, soprattutto nell'ultimo periodo, da taluni eccessi artistici, parte di un discorso organico e carico di significato del poeta. E allora, a distanza di oltre quarant’anni, come vanno interpretati gli eccessi delle sue ultime opere, quali quelli che si scorgono nel suo ultimo film “Salò o le 120 giornate di Sodoma”?

    Per la verità il gusto della provocazione e dell'eccesso agiva anche prima di Salò in Pasolini, si pensi alle tragedie della metà degli anni '60, Orgia e Affabulazione. Certo con l'ultimo film questa tendenza si radicalizza e il senso di questo intensificarsi della provocazione risiede, secondo me, nella rabbia e nella delusione che viveva nei confronti del presente e nella necessità che avvertiva di aggredirlo e quindi di aggredire gli spettatori mettendoli a disagio. Ma non si trattava di provocazioni gratuite: Salò è un film di grande complessità e uno dei suoi modelli di riferimento è l'Inferno di Dante. La violenza espressiva è solo uno strato dell'opera, sotto al quale si cela una macchina metaforica di grande complessità.

    Pasolini ha avuto una tortuosa evoluzione artistica, spaziando dalla poesia degli esordi, alla narrativa, passando dalla saggistica e approdando alla cinematografia, che sembrava essere diventato il suo principale porto espressivo. Secondo lei è possibile dire in che modo si sarebbe ancora sviluppato il suo percorso artistico?

    Impossibile. Ma dato che ha quasi sempre praticato varie forme d'arte contemporaneamente, si può presumere che avrebbe continuato a farlo.

    E, specularmente, come sarebbe cambiata e come si sarebbe evoluta la cultura italiana se Pasolini non fosse stato barbaramente ucciso a poco più di cinquant'anni?

    L'unica cosa che si può dire è che il suo degrado sarebbe stato più lento e problematico, proprio per la presenza critica e vitale del pensiero pasoliniano.

    Quale è l'eredità più grande del poeta; e, sopratutto, chi ha raccolto la sua eredità? Se l'ha raccolta qualcuno...

    Non credo nessuno. Ma in compenso esistono tanti artisti importanti che si sono “nutriti” dell'opera e del pensiero di Pasolini senza diventare degli epigoni, per fortuna. Per quanto riguarda il cinema, pensiamo a Matteo Garrone, che non si può assolutamente definire un imitatore di Pasolini ma ha un suo stile e un suo modo di raccontare, con delle interessanti e autonome analogie rispetto al cinema pasoliniano. Pensiamo anche a film italiani come Su Re (2012) di Giovanni Columbu, un'originale interpretazione della Passione di Cristo, il notevole Agadah (2017) di Alberto Rondalli, che si ispira a Potocki ma ricorda a tratti la sensualità favolosa del Fiore delle Mille e una notte, e i recenti Re Granchio di Matteo Zoppis e Alessio Rigo de Righi, e Piccolo corpo di Laura Samani.

    Da ultimo: cosa rappresenta per lei la figura di Pier Paolo Pasolini?

    Per me rappresenta una figura chiave per comprendere alcuni fenomeni nodali che hanno segnato la vita del Paese negli ultimi 50-60 anni e, di per sé, l'autore di un'opera-continente di importanza fondamentale, dove la poesia, la narrativa, il cinema, la saggistica, il teatro hanno raggiunto risultati geniali e di eccezionale spessore.

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