GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    M. Serio “Dire il diritto nel XXI secolo” di G. Canzio: il coerente pensiero di un giurista sublimatosi nella giurisdizione

    “Dire il diritto nel XXI secolo” (2022) di Giovanni Canzio: il coerente pensiero di un giurista sublimatosi nella giurisdizione

    di Mario Serio

    1. Una ricchissima raccolta di scritti elaborati lungo una traiettoria ultraventennale da un Primo Presidente emerito della Corte di Cassazione che rechi l'introduzione di un Presidente emerito della Corte Costituzionale è già di per sé motivo di interesse e di induzione alla lettura per chi coltivi la letteratura giuridica più recente.

    E non solo per le menzionate qualità soggettive, che pur costituiscono sicuro indice di affidabilità. È il titolo stesso, che lascia intendere che il tempo presente implichi un modo originale e degno di esplorazione dello “ius dicere” e, quindi, di esercitare la responsabilità giurisdizionale e di osservarla dall'esterno in forma critica, a consigliare di intraprendere la via dell'indagine curiosa e piena di attese intorno al  volume del Presidente Giovanni Canzio. In esso sono rappresentati, ripercorsi, approfonditi, spiegati itinerari di pensiero cui hanno corrisposto esperienze di amministrazione della Giustizia collimanti  con la dimensione teorica illustrata in un costante gioco di vicendevoli influenze che, per la loro armonia, impediscono di proclamare-ciò che probabilmente l'Autore non desidererebbe - la supremazia delle une o dell'altra, tanto coordinato essendone l'intreccio.

    Le circostanziate e partecipi parole introduttive del Presidente Giorgio Lattanzi aprono lo scenario della lettura con l'autorevole avvertimento che un filo rosso lega tra loro i vari saggi pubblicati nel libro. Ed esso viene felicemente ravvisato nell'unitario, per quanto articolato, discorso sulla giurisdizione, sia sul suo modo di attuarla ,sia sulla maniera di concepirla dal punto di vista speculativo. È proprio dall'attività di “dire diritto”, infatti, che Lattanzi lascia derivare l'odierna formazione dell'ordinamento giuridico che si realizza mediante l'interpretazione e l'applicazione giurisprudenziale. Ma il Prefatore ha un'idea precisa sulla strada che questa duplice attività deve imboccare per giungere al proprio approdo finale: è quella che si snoda attraverso quel qualificato esercizio professionale e culturale al tempo stesso che assume le nobili, talvolta arcigne, sembianze della nomofilachia, più esattamente della “nuova” nomofilachia, quella, cioè, che traluce dal densissimo e concretamente attuato progetto intellettuale cui ha ispirato il proprio impegno professionale l'Autore nei lunghi anni trascorsi nello svolgimento di funzioni giudiziarie di legittimità, nell'ultimo biennio di carriera (2016-2017 ) alla presidenza della Suprema Corte.

    Non può certo stupire l'enfatico rilevo attribuito nell'introduzione all'amministrazione della Giustizia in sede di legittimità: si tratta, infatti, di un dato che ha brillantemente accomunato Lattanzi e Canzio, forgiandone la forma mentale ed indirizzandola verso la ricerca dei metodi e dei mezzi più proficui per assicurare che la funzione ordinatrice della giurisprudenza di legittimità serva meglio gli interessi dello Stato di diritto e della collettività che in esso vive.

    2. Sulla scia del necessario riammodernamento del tradizionale apparato che presiede al momento del “dire il diritto”, si colloca introduttivamente lo stesso Autore, desideroso di allinearlo al progresso scientifico ed ai conseguenti sviluppi tecnologici.

    3. Tratteggiare in energica sintesi le linee portanti del prezioso volume impone di prendere le mosse dalla sua premessa di fondo, ossia dai 4 punti di svolta nello “ius dicere” del XXI secolo quali sono stato acutamente individuati dall'Autore: a ciascuno di essi fa riscontro nell'esposizione una particolare declinazione dell'attività che dà il titolo al libro. Essi possono così condensarsi. In primo luogo è netta e ben giustificata la preminenza accordata all'ormai acquisito riconoscimento dei principii racchiusi nella Costituzione negli argomenti delle parti processuali e dei Giudici nelle loro pronunce, ossia nell'intero tessuto del “legal reasoning”.In secondo luogo una visione aggiornata della giurisdizione non può che portare a constatare l'”irruzione” nell'ordinamento interno e nel diritto vivente nazionale dei principii del diritto europeo. Strettamente connesso a quest'ultimo punto si rivela il successivo, consistente nel tributo corrisposto al benefico apporto che al modello culturale tradizionale si mostrano sempre in maggior misura capaci di apportare le culture “altre”, in virtù della sfida  rinnovatrice in esse insite. Ed infine, lo sguardo si allunga verso un'area in cui si concentrano aspetti di politica giudiziaria ed innovazione  della sensibilità sociale ,vale a dire quella utilizzata per la costruzione del territorio tipico e dello statuto disciplinare delle fattispecie associative di stampo criminale .

    Nel dedicarsi diffusamente a ciascuna di queste “svolte” l'Autore adotta costantemente due capisaldi dalla composita natura, storico-esperienziale e di profonda convinzione teorico-professionale: da un canto, si pone la dura considerazione di realtà effettuale secondo cui, avendo il cosiddetto postmoderno (appropriata espressione appartenente anche all'elevato lessico di Paolo Grossi)  reso difficile il rapporto tra le categorie concettuali del tempo e la funzione di giustizia, si afferma la necessità del rinnovamento metodologico della formazione professionale dei giuristi. D'altro canto, si avverte l'esigenza che, nella pregevole ricostruzione del modello costituzionale della Magistratura e dell'Avvocatura, rapportabile alla stagione della “nuova” nomofilachia ,per le ragioni e nei modi  che di seguito verranno illustrati, prendano ampiamente campo. Perché la concezione del ruolo del giurista di questo secolo che l'Autore nutre trova perfetta ed appagante risoluzione nella diuturna interpretazione dei compiti affidati al grado più alto di giurisdizione.

    4. Fissati i contorni spaziali ed i presupposti culturali della propria protratta opera Giovanni Canzio procede speditamente e fedelmente da essi affrontando di volta in volta temi che, al di là delle apparenze, è agevole classificare quali loro congrue diramazioni concettuali.

    Alla luce di questo elemento aggregante è ben possibile proseguire in questa presentazione assecondando il criterio della trattazione ripartita di singoli argomenti, cui non osta la natura variegata, essendo garantita l'uniformità del pensiero dalla loro piena pertinenza al disegno complessivo.

    5. Il volume, sempre attento ad immergere tutte le riflessioni nelle salutari acque della Costituzione, avvolge con apprezzabilissima apertura mentale  in un'unica trama di fedeltà ad essa la funzione giudiziaria e  quella difensiva, considerandole epifenomeni dell'unitaria aspirazione sociale ed individuale  alla Giustizia.

    In questo quadro di bilanciamenti funzionali e di pari dignità professionale, inizia a far capolino, sin dalle pagine iniziali, il ruolo redimente e costitutivo della nomofilachia intesa quale valore fondante e ragione identitaria dello “ius dicere” riservato alla Corte di Cassazione, su cui a più riprese ed insistentemente l'ampio lavoro torna. Si scorge, infatti, nel diritto vivente, quale approda e viene consacrato nelle aule di giustizia, l'ingrediente centrale della vicenda giurisdizionale, quella dimensione esperenziale in continua evoluzione ed alla ricerca del miglior adeguamento allo spirito del tempo ed alle esigenze del caso concreto che spinge l'Autore a dire che, in tale prospettiva evolutiva, “al giudice non è vietato andare oltre ,ma contro la lettera della legge”.

    Il riferimento alla vita del diritto quale viene vissuta e filtrata nel giudizio (secondo una visione sostanzialmente Sattiana del processo come teatro di inveramento totale ed immancabile del diritto soggettivo) consente a Canzio una quanto mai fruttuosa incursione nel perimetro del diritto giurisprudenziale considerato nel suo aspetto più smagliante, quello della sua perpetuazione tendenziale in virtù della socialmente e professionalmente accettata idea della rilevanza del formante (adesso a parlare è la lingua di Rodolfo Sacco) precedenziale. Esso, infatti, “svolge un ruolo di guida nell'interpretazione uniforme del diritto e di tendenziale sintesi coerenziale nella formazione del diritto vivente”.

    6. Sotto un duplice punto di vista l'evocazione della continuità dell'opera giurisprudenziale esibisce la propria importanza nell'economia della raccolta di saggi. Dapprima, perché si candida a diventare valido indice probatorio della ariosa propensione dell'Autore verso il campo della comparazione giuridica ,tanto nel suo elemento dottrinario quanto in quello giudiziario. Ripetuti ed appropriati sono i richiami, né acritici né supini, a culture giuridiche straniere per esaltarne la funzione commisuratrice (nell'ottica della nozione di comparazione donata da Gino Gorla) dell'adeguatezza delle soluzioni interne nonché quella di stimolo alla promozione di ragionate linee evolutive. Particolarmente pregevole è proprio la disponibilità intellettuale dell'Autore a valicare i confini nazionali e ad aprire le porte della conoscenza all'introiezione di nuove e differenti maniere di strutturare ed elaborare le categorie giuridiche, determinandone la ricaduta nella quotidianità del fenomeno giuridico interno.

    L'altro punto di vista, la vera stella polare che illumina l'intera opera, riflette la perspicua identificazione del molteplice ruolo assolto dalla nomofilachia, intesa in senso sia verticale (ascendente) sia orizzontale (con conseguente valorizzazione della partecipazione al processo formativo del diritto vivente dei Giudici di merito) e secondo un moderno orientamento cui ha contribuito anche la Corte Costituzionale (ad esempio con le sentenze 230 del 2012 e 25 del 2019) in tema di (ir)rilevanza del mutamento giurisprudenziale sul giudicato.

    7. Il tempo è così maturo per pervenire alla questione focale della risposta legislativa - ovviamente suscettibile, come si sta per dire, di avvalersi dell'integrazione giurisprudenziale - alle sollecitazioni che la postmodernità sollecita in materia di discorso giuridico. E così l'attenzione viene meditatamente rivolta al significato ed agli effetti dell'art.65 del R.D.12 del 1941 circa lo scopo istitutivo della Corte di Cassazione in quanto garante (in sostanziale continuità con la tradizione Napoleonica) dell'esatta osservanza, dell'uniforme interpretazione e dell'unità del diritto oggettivo nazionale. Pluralità di scopi nell'attività della Corte regolatrice il cui spazio applicativo è destinato ad espandersi in misura direttamente proporzionale alla pluralità e complessità che la postmodernità, quale proiezione della poliedricità, pluralità, ricchezza delle vicende umane, postula, reclamando acconce risposte ordinamentali in senso ampio.

    In questi interstizi di difficile governo si inserisce la promettente e benefica intuizione di Canzio che, segnalando la crisi della fattispecie come rappresentata dal pensiero classico Weberiano, addita l'approccio nomofilattico, generato dalla centralità del diritto di formazione giurisprudenziale quale via di uscita dalla temuta involuzione nichilista e porta di accesso al dinamismo di teoria e di prassi che consente al giurista di liberarsi dai lacci della complessità e della incalcolabilità (concettualmente simmetrica ad imponderabilità, imprevedibilità, incertezza) del diritto. Degna del massimo rilievo è la conclusione raggiunta dall'Autore che testualmente scrive che: “la nomofilachia è uno strumento essenziale del diritto giurisprudenziale postmoderno e sventa il pericolo del solipsismo giudiziario”.

    8. Nell'ordito concettuale che caratterizza i numerosi saggi occupa logicamente e conseguenzialmente un posto preminente la questione dei criteri argomentativi e valutativi da applicare nel giudizio al materiale probatorio offerto al Giudice, specialmente nel campo penale. Anche questo profilo è studiato in relazione alla complessità della postmodernità ed al suo bisogno di regolazione alla stregua concorrente degli esiti del progresso scientifico, seppur sempre coordinato, come si vedrà, con un telaio di razionalità argomentativa. Probabilmente è questo il settore tematico in cui l'ardore intellettuale e la passione professionale del Presidente Canzio, artefice e narratore di una fondamentale stagione giudiziaria, forniscono la prova più consistente ed indicano soluzioni ed obiettivi a pieno titolo classificabili tra quelli che più nettamente caratterizzano la civiltà giuridica. Ed infatti, sul terreno della prova che possa condurre ad un giudizio maturo, giusto, socialmente accettabile  e sulle connotazioni estrinseche ed intrinseche da esigere da essa il pensiero dell'Autore si muove con scioltezza, autorevolezza, saggia ponderazione. Intravedendo nel processo uno scopo retrospettivo di fatti spesso ammantati dalla nebbia della distanza temporale (non a caso si ricorre nel testo all'espressione, mutuata dalla tradizione culturale dei sistemi processuali di  common law, “lost facts”), consegue la necessità che se ne disvelino effetti e fenomenologia in chiave autoriale mediante “procedure cognitive di valenza probabilistica”, alla stregua di criteri di verosimiglianza (di grande pregio il richiamo al pensiero aristotelico sulla rilevanza della verosimiglianza nell'andamento dell'argomentazione giudiziale), corrispondenza, maggior o minor grado di probabilità, etc. Perché in ciò risiede il rovello, vera cifra morale dell'opera, dell'Autore: che la decisione non si risolva nella semplice affermazione dell'arbitrio del Giudice o nell'astratta ed incontrollabile postulazione “secundum conscientiam”,ma che lasci trasparire un percorso di verità articolato secondo il rigoroso schema del ragionamento probatorio. Questo a propria volta va alimentato, nel modello processuale di tipo accusatorio, dal “metodo avversativo della confutazione”. Logica, precisione, aderenza al dato di realtà, ausilio proveniente dal mondo scientifico e tecnologico, attento vaglio delle ragioni in contesa, opzione finale decisioria quale coerente risultanza della combinazione di questi fattori di giudizio formano per Canzio l'antidoto meglio sperimentato per prevenire l'arbitrio o anche la sola eccentricità della decisione. È una vera fede quella che il Giudice Canzio mostra di nutrire per l'idea che l'atto di Giustizia consegua, in esito al complesso procedimento appena descritto, un risultato di “corrispondenza” alla verità. Del resto, il volume si preoccupa scrupolosamente di descrivere i solidi argini atti a scongiurare possibili derive della struttura probabilistica del giudizio, lucidamente individuandoli in altrettanti presidii di matrice costituzionale: la presunzione di non colpevolezza, il principio del contraddittorio, l'obbligo di motivazione. Sperimentazione, questa della capacità della Costituzione di fungere da polo di orientamento concreto nelle vicende giudiziarie: va riconosciuto all'Autore il merito di essersi reso promotore di un così promettente e rassicurante messaggio.

    A completare il piano del saldo metodo di giudizio concorrono con sicura decisività il principio ormai codificato dell'affermazione di responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio e la formula che predica l'esigenza che la formula definitoria del processo si fondi su un'ipotesi capace di resistere, secondo gli  indici qualitativi e quantitativi delle informazioni di cui si nutre, alla controipotesi.

    Questo era, ed è, il contesto ideologico e di somma raffinatezza culturale in cui vide la luce la celebre pronuncia delle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione 30328 del 2002,ormai nota come Franzese, ispirata al sacrosanto criterio che la sentenza debba saper soddisfare un “alto grado di credibilità razionale”. Criterio al quale non può certamente dirsi estranea l'adozione di un sistema di “multifattorialità della spiegazione causale” (quale quello utilizzato dalla stessa Corte di Cassazione nella sentenza 38388 del 2012 in tema di responsabilità medica)  o l'acquisizione dei dati provenienti dal processo scientifico (come propugnato dalla Corte EDU nel caso del 2006 Touli c. Turchia). L'agile padronanza dello strumento epistemologico offerto dalla comparazione giuridica viene convincentemente testimoniata dall'insistito riferimento al “trial by probabilities” quale paradigma indiziario  tipico dei sistemi processuali anglosassoni. La rivisitazione delle strutture delle categorie del diritto penale classico ed il loro riorientamento, ai fini della loro adeguata ricostruzione, verso la concretezza del fatto, costituisce il più rilevante esito di rimodellamento del pensiero giuridico in senso processuale scaturente dalla sentenza Franzese: al pari dell'adesione ad una nozione di causalità dispiegata nel senso della individuazione dei fattori che hanno contribuito alla verificazione naturalistica di un concreto accadimento destinato ad assumere la forma dell'evento giuridicamente rilevante. Nella doviziosa illustrazione di una concezione causalistica poggiante sul complesso degli elementi, fattori e criteri prima indicati il volume procede con speditezza e linearità.

    Di grande utilità in termini di edificazione di uno statuto delle condizioni necessarie e sufficienti in prospettiva di affermazione della  responsabilità per colpa sanitaria sono le fitte pagine che spaziano dall'area penale a quella civile, attraverso anche la giurisprudenza costituzionale ed i molto significativi interventi del legislatore (leggi Balduzzi del 2012 e Gelli-Bianco del 2017) per sottolineare la distanza valutativa tra le due aree, in gran parte dovuta alla piena introiezione da parte della prima di esse degli indici valutativi propri della sentenza Franzese e di quella successiva, sempre delle Sezioni Unite penali nel caso Mariotti (8770/2018), tesa a ribadire la permanente centralità dell'approccio interpretativo derivante dai metodi selettivi di responsabilità offerti dall'art.2236 c.c. con riguardo a prestazioni implicanti la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.

    9. La modernità dell'architettura della raccolta ,sempre ben calibrata secondo un ordito unitario, viene sottolineata dall'attenzione riservata all'attualissima materia vertente su “linguaggio e comunicazione”. Essa muove dalla ferma, e comunemente accettata, definizione del provvedimento giudiziario come forma di agire comunicativo, che ne prescrive, onde ricavarne legittimazione sociale e democratica, “sintesi, precisione e chiarezza”, certamente facilitate da prassi, come quella presente nell'esperienza della Supreme Court del Regno Unito, consistenti nella pubblicazione, antecedente o coeva al deposito della sentenza in forma completa, di sintesi esplicative del relativo contenuto.

    10. Ampio e puntuale è il risalto motivatamente attribuito al tema della legislazione e della giurisprudenza riguardante la mafia ed altre associazioni criminali.

    Non è possibile fornire una descrizione approfondita dei singoli passaggi nei quali si snoda l'intero esame: occorre, pertanto, limitarsi a coglierne i momenti, né pochi né trascurabili, maggiormente idonei a lasciar affiorare la delicata trama concettuale.

    Essa trae origine dalla considerazione della somma difficoltà della “formazione di coerenti orientamenti giurisprudenziali su contesto e prove del fenomeno associativo”.

    Di particolare utilità anche sul piano della comprensione storica è la narrazione delle sequenze cronologiche degli indirizzi giurisprudenziali, sorti sin dal 1970, concentratisi sul tema della responsabilità degli associati in relazione alla commissione dei reati-fine. La disamina procede con l'andarivieni proprio del moto pendolare, sottolineando progressioni e regressioni dei modelli di ragionamento giudiziario (nel quale si innesta quello peculiare applicato nella stagione delle azioni delittuose delle Brigate rosse), il cui compendio problematico può così esporsi: se ed in quale misura occorra, ai fini dell'affermazione della responsabilità dei singoli associati ed in particolare di coloro che rivestono ruoli di preminenza e direzione, la prova positiva dello specifico mandato emesso dai capi volta per volta rispetto ai reati-fine. Il libro si sofferma sul travaglio che promana dagli orientamenti succedutisi nel tempo, ad alcuni dei quali affermatisi nel quarto di secolo terminato nel 1995 si addebita il difetto di essere incorsi in “gravi cadute semplificatorie”.

    Un'utile, perfino dirimente, linea di indirizzo viene scorta nel dialogo tra le corti nazionali (inizialmente annoverato, come già ricordato, tra i “punti di svolta” del “dire diritto” oggetto dell'opera) e le prassi applicative: l'esito di questo processo vien fatto consistere nella nascita di un “principium cooperationis” mirato all'armoniosa formazione di un comune formante giurisprudenziale di matrice europea, agevolato dai protocolli d'intesa (con annesso memorandum) e d'accordo stipulati dalla Corte di Cassazione tra il 2015 ed il 2017 rispettivamente con la Corte EDU e con  quella di Giustizia dell'Unione Europea. Per effetto di  tale contaminazione viene certamente incoraggiata la tensione, nell'ambito della giustizia penale internazionale, verso una configurazione di un processo giusto e spedito (“a fair and expeditious trial”). L'Autore non ignora affatto che questa visione cooperativa possa comportare il rischio di un deperimento delle radici storiche domestiche: Egli lo esorcizza alla luce della massima di saggezza che vuole che “la tradizione non consista nel conservare le ceneri ma nel mantenere viva la fiamma”. Esemplificativa di questa ricalibrata mentalità è la nota sentenza europea afferente al caso Dorigo - che portò alla dichiarazione di ineseguibilità di una sentenza penale italiana di condanna - in cui fu riscontrata una violazione dei principii in materia di giusto processo professati dall'art. 6 CEDU, poi trasposti nell'art.111 della Costituzione, a cagione della mancata audizione dei testimoni indicati dalla difesa.

    11. Lungo e probante è l'elenco delle epifanie nell'esperienza giuridica italiana degli influssi dei dialoghi a plurimi livelli sovranazionali che hanno inciso su settori della vita nazionale in cui più marcata è apparsa l'esigenza di difendere ed attuare valori volti a preservare sempre la dignità della vita e della persona umana: dalla responsabilità per crimini di guerra, alla tutela degli individui vulnerabili, dalla tutela delle vittime della criminalità organizzata agli ordini di protezione di natura civile. Proprio nel punto in cui lo sguardo del volume è più orientato verso la dimensione dell'avvenire, cooperativo ed insofferente ai recinti nazionali, l'Autore avverte la seduttività dell'impulso a volgere lo sguardo all'indietro, verso la storia della Giustizia celebrata nel mondo della Grecia antica, ripensato nell'attualità attraverso la riedizione del processo ad Eracle e della fosca vicenda di Edipo re ed Antigone.

    12. Non poteva sfuggire alla sensibilità etica ed intellettuale dell'Autore la rievocazione del tristo periodo della legislazione fascista antiebraica ed il successivo riscatto attuato (in virtù di fondamentali pronunce del 1998 e del 2015 della Corte dei Conti) dallo Stato italiano mediante la rivalutazione a doverosi fini indennitari degli atti di persecuzione razziale commessi in pregiudizio dell'infanzia ebraica e la costituzione con DPCM del 16 giugno 2020 di un gruppo tecnico di lavoro per la ricognizione della definizione di antisemitismo. In questa atmosfera di redenzione e riconoscimento ed accollo di debito morale universale vengono debitamente apprezzate le iniziative dell'International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA). In questo frangente l'Autore non si sottrae alla non incontroversa riflessione sulla compatibilità con l'intero spirito della costituzione dell'uso del termine “razza”, opportunamente ricondotto al significato ristretto di memoria degli orrori del passato, che non può che essere mantenuta per evitarne la sciagurata reiterazione.

    13. La parte finale del volume è dedicata ai numerosi progetti di riforma, in via di costante e dinamica evoluzione, in materia di Giustizia. Ma non è al momento contingente che la conclusione riassuntivamente guarda, ma alla definizione da valere per il futuro del paradigma dell'attività giurisdizionale nella sua funzione costitutiva del diritto vivente. Esso postula ai fini della sua progressiva formazione, nelle parole delle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione nella sentenza 18288 del 2010, “la mediazione accertativa della giurisprudenza, nel senso che deve riconoscersi ai Giudici un margine di discrezionalità che comporta una componente limitatamente creativa dell'interpretazione, la quale, senza varcare la linea di rottura col dato positivo ed evadere da questo, assume un ruolo centrale nella precisazione del contenuto e della latitudine applicativa della norma ed assolve sostanzialmente una funzione integrativa della medesima”. L'Autore spiega a tal proposito che “la struttura necessariamente generica della norma è integrata e riempita di contenuto dall'attività concretizzatrice della giurisprudenza”.

    Questo programma ideale, che pone l'attività giurisprudenziale in funzione di democratico completamento interpretativo-integrativo a fini applicativi della norma di origine legislativa, è, tuttavia, immancabilmente imbevuto del presupposto giustificativo della essenzialità di questa funzione che si rivela incentrato sul nobile riferimento individuale alla figura del Giudice, da cui si pretende la “libertà da vincoli e condizionamenti che non siano la legge, la ragione, l'etica del limite”.

    14. La frase da ultimo riportata, e tratta dall'intervista pubblicata su Giustizia Insieme che chiude il volume ,riassume non soltanto la vivida inclinazione culturale dell'Autore: essa ne esprime anche il modo in cui ha inteso assolvere nella lunga e lodata carriera il proprio impegno professionale. E questo, non a seguito di piatta  ed autoreferenziale affezione alla condizione di Magistrato e di esaltazione del relativo stato giuridico incurante di manifestazioni della realtà talvolta deludenti. Al contrario, in quelle alte parole si realizza la sublimazione più genuina ed ammirevole della funzione dello “ius dicere”,sinonimo e prodotto di una incomprimibile libertà intellettuale, non soggetta a condizionamenti imposti dall'esterno, che, tuttavia, deve rifuggire anche dai subliminali vincoli autoimposti attraverso la via obliqua della schiavitù dettata da appartenenze cogenti ed esigenti. Del resto, la più efficace polizza di copertura da siffatti pericoli è garantita dalla vastità degli orizzonti culturali cui l'Autore abitua il lettore. Orizzonti scanditi dalla meticolosa, coscienziosa, instancabile, imparziale ricerca della via verso la Verità processualmente esigibile mediante il ragionamento probatorio sgombro da pregiudizi, preconcetti, dannose pre-comprensioni. L'apertura verso esperienze giuridiche “altre”, esercitata in forma di collaudo critico dei relativi frutti, denuncia con non minore grado di persuasività quanto intensamente sia sentito dall'Autore il dovere di liberarsi dal rifugio che alla eventuale  indolenza giudiziaria potrebbe dare l'acquiescenza ad uno stato immoto ed invariabile dell'attività interpretativa ed il timoroso rifiuto del suo adeguamento alle mutate condizioni della vita, del sentire, delle aspirazioni umane. Né il ripetuto ed appassionato affidamento riposto nella funzione nomofilattica equivale mai per l'Autore a rinuncia alla revisione, all'aggiornamento, al ripensamento di posizioni consolidate, laddove le circostanze, la concretizzazione, nella cornice decisoria della singola fattispecie, del principio o della regola ricevuti ciò suggerisca od implichi. Che la direzione e la nozione dell'impegno giudiziale sia per Giovanni Canzio si esplichino nel senso dell'apertura e dell'affrancamento dalla morsa della passiva adesione al criterio della calcolabilità delle future decisioni (da reputare valore da promuovere e  non strettoia impediente) è provato, “oltre ogni ragionevole dubbio”, dalla adibizione dei diversi formanti provenienti da sistemi giuridici stranieri ad implicito metro di valutazione della  congruità delle possibili soluzioni interne rispetto alla fattispecie sottoposta al vaglio giudiziale. Non è, pertanto, casuale che ricorra in molteplici punti dell'esposizione il riferimento al dinamismo proprio del fenomeno giuridico declinato nelle sue plurime espressioni.

    Scrivere “ex post facto”, ossia immedesimandosi ,come ha egregiamente fatto l'Autore nel corposo ed omogeneo volume qui recensito, in riflessioni ed atteggiamenti intellettuali già sperimentati nel corso della ormai conclusa attività giurisdizionale, imprime il sigillo della coerenza esemplare ad una vita spesa al servizio della Giustizia e ad una sua incarnazione ravvivata da umanità, severità metodologica, autonomia di giudizio, avversione ai soffocanti e sterili luoghi comuni.

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