GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Senza politica (europea) saremo oggetto di progetti altrui. Risposta a Lucio Caracciolo sulla missione europea del “Capo dello Stato che verrà”

    Senza politica (europea) saremo oggetto di progetti altrui. Risposta a Lucio Caracciolo sulla missione europea del Capo dello Stato che verrà”

    di Pier virgilio Dastoli, presidente del Movimento Europeo 

    L’Espresso del 2 gennaio 2022 ha dedicato il suo servizio di apertura a dieci lettere al “Capo dello Stato che verrà” con una introduzione di Marco Damilano allo scopo di definire “cosa sia l’interesse nazionale, l’interesse generale e il bene comune”. Fra queste scelte si colloca certamente il ruolo dell’Italia nell’Unione europea, che è stato autorevolmente rappresentato negli ultimi ventidue anni da Carlo Azeglio Ciampi, da Giorgio Napolitano e infine da Sergio Mattarella, tutti e tre convinti – pur provenendo da culture politiche diverse ispirate dal cosmopolitismo liberale, dall’internazionalismo socialista e dall’universalismo popolare – della necessità per l’Italia di realizzare il “sogno europeista”. Le sfide di questi ventidue anni per l’Italia e per l’Europa hanno rafforzato e reso più urgente la realizzazione di questo sogno. Considerando la centralità della dimensione europea e condividendo l’opinione di Marco Damilano sulla necessità della costruzione di un “nuovo ruolo dell’Europa” ci saremmo aspettati che fra le lettere ce ne fosse una dedicata solo all’Europa e alla missione che il “Capo dello Stato che verrà” dovrà svolgere – nel rispetto della costituzione repubblicana – per contribuire alla costruzione di un sistema europeo che ancora non c’è o meglio non c’è ancora adeguatamente. Se leggiamo attentamente le dieci lettere che pure hanno un legame con i temi europei come quella di Diarah Kan “perché per essere cittadini non basta essere italiani” o quella di Donatella Di Cesare “una nazione aperta senza muri e barriere” in cui si chiede “un’Italia europea”, sembra che la dimensione europea sia stata affidata a Lucio Caracciolo, autorevole esperto di questione internazionali e fondatore della rivista Limes. Lucio Caracciolo è convinto da tempo del fatto che il “sogno europeista” non solo sia irrealizzabile ma che esso si sia definitivamente disintegrato rendendo dunque per lui necessaria una politica (nazionale o nazionalista) per evitare di essere “oggetto di progetti altrui”. Lucio Caracciolo enumera le tre sfide geopolitiche per l’Italia a cui egli sa bene che solo in parte potrà rispondere il capo dello Stato come garante dell’unità nazionale e del rispetto della costituzione repubblicana a cui appartiene anche l’articolo 11. Le tre sfide riguardano la necessità di una politica fiscale e monetaria espansiva, le divisioni nell’Europa e le frontiere marittime con il Nordafrica. Secondo Lucio Caracciolo la risposta a queste tre sfide potrà venire solo da “una iniziativa di governo per dotarci di uno Stato vero”. Lucio Caracciolo finge di ignorare che la principale - anche se non unica - risposta a queste tre sfide e ad altre sfide europee e internazionali potrà venire da una sovranità europea condivisa e non dalla somma di apparenti sovranità nazionali e da uno stato federale (e cioè da un costituzionalismo multilivello). Questa organizzazione statuale sui generis dovrebbe essere dotata di una capacità fiscale autonoma dagli Stati membri per garantire investimenti strutturali europei, di un insieme di principi e valori rispettati nell’Europa occidentale e nell’Europa centrale in modo tale da rendere cittadine e cittadini europei eguali davanti a comuni leggi europee, di una politica estera e di sicurezza comune (a partire dal Mediterraneo) per dare a tutta l’Unione europea la necessaria e urgente autonomia strategica nel contesto della competizione fra Usa, Cina e Russia. Lucio Caracciolo avrebbe dovuto concludere la sua lettera affermando che la disintegrazione che appaga la sua visione di un mondo abitato solo da Stati-nazione riguarda l’illusione - apparentemente europeista - di chi ha ritenuto e ritiene ancora che sia possibile rispondere alle crescenti sfide geopolitiche con il metodo del gradualismo funzionalista o peggio con il metodo confederale. L’europeismo è diventato poi negli ultimi mesi una Armata Brancaleone a cui aderiscono non solo coloro che in buona fede hanno creduto all’automatismo dell’ingranaggio comunitario inventato dai  “padri fondatori” ma anche i sovranisti rappresentati in Italia da Giorgia Meloni e Matteo Salvini – separati in casa ma sdoganati in Europa da chi cerca il loro voto per il “Capo dello Stato che verrà” – che vorrebbero far regredire la Comunità verso un sistema confederale non osando più fare il tifo pubblicamente per l’uscita dall’euro o dall’Unione europea. A ottanta anni dal Manifesto di Ventotene la realtà delle sfide del ventunesimo secolo non ha invece disintegrato l’idea di una sovranità condivisa all’interno di un sistema federale ma anzi l’ha consolidata e resa più urgente. “Il/la presidente che vorremmo” – come è stato scritto in un appello elaborato da sedici centri che si ispirano alle culture politiche dei padri costituenti [1] - dovrebbe garantire con un approccio evolutivo l’impegno dell’Italia europea in una Unione sempre più stretta perché solo con politiche, regole, principi, strumenti e istituzioni sovranazionali non saremo “oggetto di progetti altrui”.

    [1] www.c3dem.it

     

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