Asra Panahi, un difetto al cuore che si chiama coraggio di Maria Teresa Covatta
Di fronte alle dilaganti e perduranti manifestazioni delle iraniane e degli iraniani scatenata dal brutale assassinio di Mahsa Amini ci si interroga sulla natura di questa protesta e la si compara alle altre che già l’Iran ha conosciuto e vissuto in un passato anche recente.
È una rivolta o è davvero, stavolta, l’inizio di una rivoluzione? E qual è l’elemento di novità rispetto alle altre manifestazioni di malcontento? Sono davvero, stavolta, i diritti umani e la protesta contro la loro costante e proterva violazione ad aver prevalso in modo potente sulle cause delle manifestazioni di protesta del passato, collegate, di volta in volta, alla lotta contro la corruzione, alla crisi alimentare e alla povertà?
Tutte questioni non indifferenti per poter disegnare un quadro realistico di quanto sta accadendo in Iran e alla comprensione di questa immensa crisi, una di più, che sconvolge il nostro Mondo che abbiamo colpevolmente voluto immaginare almeno in parte pacificato e proteso verso gli ambiziosi obiettivi dell’Agenda 2030 che purtroppo ogni giorno di più sembrano essere una chimera.
E sono davvero le donne la vera cifra di questa protesta? Sembrerebbe di si e sarebbe un segnale immenso perché potrebbe significare che il Goal della parità di genere sta diventando pervasivo in tutte le realtà, persino in quei sistemi che lo hanno considerato contrario alla morale, alla famiglia e alla religione: in una parola semplicemente impensabile.
In realtà le donne hanno sempre partecipato. In Iran hanno dato un grande contributo alla Costituzione del 1979 così come in Italia sono state protagoniste per riportare la democrazia nel nostro Paese.
Hanno partecipato ma non sono mai state veramente riconosciute come attrici protagoniste nella costruzione della democrazia. Al più semplici comparse.
E in questo senso quella iraniana potrebbe essere una vera rivoluzione.
L’altra faccia della medaglia, però, sta nel prezzo che le iraniane in particolare stanno pagando. Non si può non interrogarsi di fronte all’orrore che provocano episodi come quello di Asra, la studentessa iraniana picchiata a morte mentre era a scuola perché non ha cantato l’inno per l’Ayatollah.
La Banalità del Male.
Un gruppo di uomini adulti, investiti di un ruolo istituzionalmente riconosciuto di arbitri della moralità, e pertanto autorizzati a tutto, fanno irruzione in un liceo femminile e picchiano a morte una bambina di 16 anni perché non ha cantato la canzone giusta.
Protetti e “giustificati”, ci fanno raccontare che la bambina in questione era gravemente malata di cuore. Come se l’ipotetica - ma inesistente - malattia pregressa potesse mai giustificare la ferocia e il delitto.
Ma soprattutto ignorando che quando la malattia del cuore è il coraggio delle proprie idee la morte è solo la fine del corpo.