GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Soggettività delle persone di età minore e allontanamento forzato dei figli

    Soggettività delle persone di età minore e allontanamento forzato dei figli*

    di Maria Giovanna Ruo** 

    Ringrazio per l’invito all’audizione sul tema “Soggettività dei minori e allontanamento forzato dei figli dal loro precedente contesto relazionale”, affrontato dal gruppo di lavoro coordinato dalle Professoresse Assunta Morresi, Tamar Pitch e Grazia Zuffa, nell’ambito dell’assemblea plenaria del CNB per la giornata del 27 gennaio 2022.

    È un grande onore e una grande responsabilità, di cui sono grata, riferire in questo contesto sulla base dell’esperienza professionale e di studio che ho potuto maturare negli anni di esercizio della professione forense nel settore persone, relazioni familiari e minorenni.

    Ringrazio in particolare il Prof. Lorenzo D’Avack al quale sono legata da gratitudine personale per essere sempre stato Maestro e punto di riferimento;  la Prof.ssa Laura Palazzani, ricordando sempre con piacere i tanti stimoli ricevuti e maturati alla LUMSA, anche in fugaci incontri ma sempre preziosi, e che tanto mi hanno arricchito.

    CAMMINO-Camera Nazionale Avvocati per la persona, le relazioni familiari e i minorenni, che è l’associazione che rappresento e presiedo da circa 20 anni e che ho contribuito a fondare ormai 23 anni fa, nel variegato panorama delle associazioni specialistiche familiaristiche riconosciute dal CNF tra le più rappresentative, ha da sempre scelto come propria cifra la promozione e la tutela dei diritti fondamentali dei soggetti vulnerabili, partendo proprio da quelli delle persone di età minore. Conta attualmente 65 sedi territoriali.

    L’odierna audizione si svolge all’indomani dell’approvazione da parte della Camera in via definitiva della riforma sul processo civile con l. 206/2021 che riguarda anche specificamente, con un intervento ampio, articolato e approfondito, il settore persona, minorenni, famiglie, e che richiamerò quindi spesso, premettendo che in parte si tratta di interventi di legge delega, e bisognerà quindi attendere i decreti legislativi per valutare l’incisività su varie tematiche, in parte invece prevede norme immediatamente efficaci che entreranno in vigore 180 giorni dopo l’entrata in vigore della legge pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 9 dicembre 2021.

    1. Soggettività della persona di età minore, quadro costituzionale, percorso di adeguamento interno: the best interest of the child

    La soggettività giuridica delle persone di età minore potrebbe dirsi scontata: ma se teoricamente e astrattamente è da tempo così, non lo è stato nell’applicazione pratica delle norme e nella tutela dei diritti per il diffuso pregiudizio socio-culturale che i figli fossero -e siano- sostanzialmente sprovvisti di una propria reale e concreta autonoma soggettività, quasi appendici dei genitori e delle famiglie. La normativa codicistica riservava loro tutela sostanzialmente per gli aspetti patrimoniali del patrimonio personale.

    È portato di un lungo percorso, dagli ultimi decenni del secolo scorso, la considerazione delle persone di età minore come soggetti autonomi, titolari di diritti personalissimi la cui tutela può non solo non essere garantita dai genitori (cui è principalmente affidata dal nostro sistema costituzionale ai sensi degli artt. 2, 3, 30, 31 Cost.), ma persino esserne compromessa. I genitori infatti si possono trovare in conflitto di interesse con loro o non essere in grado, anche incolpevolmente e inconsapevolmente, di tutelarli. In tali casi la famiglia non è più la formazione sociale in cui  i loro diritti fondamentali sono attuati e in cui si svolge la loro personalità, ma può divenire il luogo della loro negazione. La casistica è ampia e mi riservo di tornare successivamente su alcune fattispecie che riterrei di segnalare per il loro particolare rilievo.

    Nell’ordinamento interno lo snodo è costituito dalla ratifica della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (l. 176/1991), che pone all’art. 3 il criterio di the best interest of the child come determinante e preminente di giudizio: da quel momento inizia una diversa considerazione delle persone di età minore come dotate di una piena soggettività personale e portatrici di diritti personalissimi la cui tutela viene affidata ai genitori, ma può essere anche da loro indipendente e anzi lo deve essere se da questi compromessa,. Il principio è penetrato sempre più grazie ai plurimi interventi della Consulta che lo hanno reso clausola generale dell’ordinamento.

    Nell’equo bilanciamento degli interessi in gioco, secondo la giurisprudenza anche della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,  nella tutela dei contrapposti diritti dei figli minorenni e dei genitori, deve prevalere la tutela dei primi; tra i diritti delle persone di età minore deve ricevere tutela prioritaria la sua salute, intesa in una prospettiva de futuro come tutela delle migliori condizioni possibili di sviluppo psico-fisico. 

    2. Centralità del diritto alla salute della persona di età minore e condanne CEDU all’Italia in materia minorile

    La salute della persona di età minore va difatti intesa e salvaguardata su un piano dinamico, volto al futuro, per consentire il miglior sviluppo psico-fisico nel concreto, a quella persona di età minore, nella condizione storica, relazionale sociale in cui si trova, eliminando gli ostacoli che vi si frappongono.

    Il sistema demanda prima di tutto ai genitori tale compito: sono ritenuti, sulla scorta delle indicazioni delle scienze mediche e sociali, le persone che meglio possono garantirlo come meglio possono garantire quello alla formazione della sua identità personale e sociale. Rilevante in questa prospettiva anche il sistema delineato dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,, e in particolare del dettato dell’art. 8: in uno Stato democratico, nell’equo bilanciamento degli interessi in gioco, deve prevalere sempre the best interest of the child. In questa prospettiva, incombono allo Stato doveri negativi di non ingerenza nella relazione figli minori-genitori: deve essere rispettata la vita privata e familiare di genitori e figli, nel senso che vivere insieme, godere dell’apporto gli uni degli altri, ne costituisce contenuto essenziale e lo Stato non deve intervenire. Tuttavia se i genitori non sono in grado di garantire il miglior sviluppo psico-fisico dei figli, allora incombe alle Autorità nazionali  invece intervenire celermente e tempestivamente, a tutela del best interest di questi ultimi, anche allontanandoli in casi estremi, in cui non sia possibile altro provvedimento a loro tutela, ma sempre attuando contestualmente interventi volti al potenziamento della genitorialità per il ricongiungimento genitore-figlio, che costituisce traguardo ineliminabile salvo che poi risulti impossibile nella prospettiva prima richiamata.

    Non poche le condanne all’Italia per aver fallito l’obiettivo della tutela nella prospettiva di cui sopra[1]: la maggior parte riguarda  i casi in cui le Autorità nazionali non sono state in grado di salvaguardare il rapporto dei figli minorenni con il genitore non convivente, quando deve essere ripristinato in quanto positivo per quel minore e ostacolato senza ragioni nell’interesse del figlio dall’altro di cui dirò più specificamente infra. L’ago della bilancia è sempre quindi il best interest nel caso concreto: se la relazione con il genitore con il quale il rapporto è ostacolato (e infine rifiutato dal figlio) è considerato positivo per lui, allora deve essere garantito. Se invece tale rapporto è negativo per il figlio minorenne, per questioni varie (ad es. il minore ha subito abusi psicologici, fisici, sessuali o ha assistito  a violenze di vario genere nei confronti dell’altro genitore o di altro familiare -c.d. violenza assistita-), allora tale rapporto non deve essere forzato. Nel sistema delineato dalla giurisprudenza della Corte EDU, anche l’ascolto del minore che rifiuta l’altro genitore deve essere attentamente valutato alla luce delle concrete dinamiche relazionali genitori-figlio, come pure si vedrà infra.

    Non sono mancate condanne al nostro Paese anche in tema di adottabilità, quando sono stati interrotti i rapporti con genitori fragili, la cui genitorialità non era stata correttamente sostenuta e potenziata: l’ultima recentissima, D.M. e N.  c. Italia, ric. 60083/19, sent. 20 gennaio 2022; precedenti sempre nei confronti del nostro Paese sono:  A.I c. Italia, ric. 70896/17, sent. 1 aprile 2021; Jiaoqin Zhou c. Italia, ric. 33773/11, sent. 21.01.2014; S.H. c. Italia, ric. 52557/14, sent. 13.10.2015. Non sono mancare sentenze di condanna in caso di interruzione ingiustificata della relazione nonni/nipoti, la cui relazione con i nipoti non è stata pure immediatamente ripristinata, lasciando consolidare situazioni nelle quali si è in definitiva dissolta: Solarino c. Italia, ric. 76171/13, sent. 09.02.2017; Manuello e Nevi contro Italia, ric. n. 107/10, sent. 20.01.15; Terna c. Italia, ric. 21052/18, sent. 14.01.2021. O condanne nel caso di minori inseriti in altri contesti familiari, senza successiva attenzione alle relazioni ormai consolidate con gli affidatari, lasciandoli soli in un conflitto di lealtà e di appartenenza a diverse famiglie e culture traendone conseguentemente un danno anche grave alla costruzione della propria identità: Barnea e Caldaru c. Italia, ric. 37931/15, sent. 22/06/2017. 

    3. Diritto alla bigenitorialità: gli strumenti di graduazione e affievolimento nell’interesse del minore (principio “elastico”)

    Nel quadro costituzionale e della normativa pattizia, fonte sopraordinata ai sensi dell’art. 117 Cost. così come la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, deve essere ovviamente interpretata la normativa interna (disciplina codicistica e legislazione speciale) e debbono essere orientate  le prassi applicative.

    Ne consegue che anche il principio di bigenitorialità non è un principio assoluto, ma esso stesso relativo in ragione di the best interest of the child perché funzionale al suo miglior sviluppo psico-fisico. Se il paritetico apporto affettivo, relazionale, educativo di entrambi i genitori o di ciascuno di essi è  funzionale alla sua realizzazione, non deve subire limitazioni; se viceversa il rapporto con entrambi i genitori, o anche con uno di essi ,potrebbe recare pregiudizio alla persona di età minore, la normativa offre una serie di strumenti di disciplina della responsabilità genitoriale che possano graduarne l’apporto.

    E, quindi: ancorchè la regola (in funzione della presunzione della necessità di apporto paritetico di entrambi i genitori quando non vi sia convivenza tra gli stessi) sia l’affidamento condiviso a entrambi (che - lo sottolineo - non vuol dire pariteticità di tempi, ma pari apporto nelle decisioni di maggiore interesse e di ordinaria amministrazione), qualora invece l’apporto di uno o di entrambi fosse pregiudizievole, è prevista  legittimamente una progressiva concentrazione della responsabilità genitoriale nel genitore più idoneo alla tutela del figlio minorenne con corrispondente affievolimento dei poteri/doveri dell’altro (affidamento esclusivo o superesclusivo), o persino invece l’attribuzione della responsabilità genitoriale a terzi con limitazione quindi di quella di entrambi i genitori (affidamento a parenti o a terzi oppure, tristemente noto per la sua nebulosità, affidamento ai servizi sociali) fino alla sospensione o ablazione dei medesimi genitori dalla responsabilità. Nei casi estremi, dopo un procedimento volto all’accertamento dello stato di abbandono morale e materiale, sarà dichiarato lo stato di adottabilità ai sensi della l. 184/9183 e la persona di età minore avrà un’altra famiglia adottiva previamente valutata per la sua idoneità a crescerlo e ad esercitare la funzione genitoriale nel di le interesse. La relazione con il genitore il cui comportamento sia pregiudizievole può/deve essere limitata, contenuta, anche rescissa in funzione del migliore sviluppo psico-fisico del figlio minorenne.

    Ne deriva che in ogni caso deve esserci attenzione alla concreta persona di età minore, alla sua storia relazionale e sociale, alle sue necessità psico-fisiche, alla sussistenza di risorse interne da attivarsi nel quadro costituzionale e subcostituzionale sopra pur brevemente e banalmente descritto, nella consapevolezza che il principio di the best inerest è criterio elastico[2], la cui effettiva tutela non tollera banalizzazioni e generalizzazioni, perché ogni persona di età minore è un universo a sè stante. E che quando si tratta di minorenni ci si riferisce a un universo variegato da 0 a 18 anni, con diverse fasce di maturità e di sviluppo che debbono essere considerate con la massima attenta valutazione della situazione personale, relazionale e sociale concreta, sempre nella prospettiva che il primo obiettivo è l’empowerment delle risorse perché incombe alle Autorità il dovere positivo di ricongiungimento figli-genitori, salvo che non sia contrario a the best interest. 

    4. Il contributo di altri saperi all’individuazione di the best interest of the child nel caso concreto e le relative modalità processuali

    Ovviamente, se nella fisiologia dei rapporti familiari tutto funziona, tali principi permeano la quotidianità e non assumono autonomo rilievo giuridico. Ciò succede nella patologia delle relazioni, quando entrano in crisi sia in senso orizzontale (crisi della relazione tra genitori) sia in senso verticale (crisi della relazione genitori e figli)- e la disciplina della responsabilità genitoriale è oggetto di decisione nei relativi giudizi.

    A tale proposito assumono particolare rilevanza le  valutazioni della c.d. idoneità genitoriale da parte di esperti sul piano psicologico-evolutivo, talvolta psichiatrico, purtroppo quasi mai pedagogico. La marginalizzazione della pedagogia provoca che le relazioni siano considerate quasi sempre da una prospettiva patologica e comporta -come conseguenza- che la capacità educativa non venga mai presa in considerazione nella valutazione dell’idoneità genitoriale nelle decisioni relative all’affidamento dei figli minorenni e alla loro tutela nelle situazioni di pregiudizio. Il cha particolare rilievo anche nelle questioni di violenza.

    L’apporto di altri saperi necessari per la corretta valutazione di quale sia il best interest of the child nel caso concreto è nel nostro sistema processuale attuale (quando è nel contesto giudiziario che la tutela del minore è richiesta) assicurato attraverso strumenti diversi a seconda anche della tipologia di giudice procedente:

    1)Relazioni socio-psico-ambientali affidate ai servizi alla persona (operatori sanitari e operatori sociali, in “varia formazione” a causa del Titolo V della costituzione in quanto vi è riserva di legislazione regionale in materia sanitaria ai sensi dell’art. 117 Cost.):  il giudice può demandare ai Servizi indagini socio-psico-ambientali. Vengono svolte al di fuori del contraddittorio e dei diritti di difese delle parti, e risultano quindi incontestabili anche se eventualmente errate: vengono definite in gergo  cd. prova bloccata); talvolta peraltro si è giunti all’attivazione di un giudizio perché i precedenti interventi dei Servizi non hanno funzionato nel sostegno del nucleo familiare fragile e, quindi, le relazioni dei medesimi Servizi risentono di “pregiudizi” in senso proprio. La Riforma processuale di cui alla l. 206/2021 è intervenuta con alcune norme immediatamente efficaci[3], ed altre previste invece nella legge delega[4]

    2) Consulenze Tecniche d’Ufficio: il giudice demanda con un quesito indagini sulla idoneità genitoriale a un esperto psicologo, neuropsichiatra, neuropsichiatra infantile. Le indagini si svolgono in pieno contraddittorio con le Parti rappresentate da un Consulente Tecnico di Parte. La Riforma processuale di cui alla l .206/2021 è intervenuta non solo integrando l’art. 13 disp. att. c.p.c. con la previsione espressa di tali professionalità (prima non contemplate), ma anche integrando l’art. 15 disp. att. c.p.c. con la previsione dei professionali di cui i professionisti debbono essere forniti per avere ingresso nell’albo dei CTU. Altre norme sono invece contenute nella legge delega e riguarderanno metodi e contenuti disposte spesso nei procedimenti relativi a un esercizio non corretto della responsabilità genitoriale. Vi è da segnalare che spesso le CTU sono inutilmente intrusive e ridondanti, affrontano aspetti della vita privata e personale non pertinenti, e si concludono in modo stereotipato e scontato, senza considerazione della particolarità della situazione; e i giudici si appiattiscono sulle CTU, riportando nei provvedimenti spetto automaticamente le conclusioni stereotipate degli elaborati peritali.

    3) Partecipazione degli esperti al collegio giudicante presso il Tribunale per i minorenni: è la modalità che desta più perplessità per l’assoluta incontrollabilità dei criteri di individuazione del best interest che trovano di solito sintetica esposizione nei provvedimenti finali (decreti). Anche su questo punto la Riforma di cui alla l. 206/2021 ha apportato importanti modifiche, che però entreranno in vigore nel 2024, istituendo un giudice unico (Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie) con esperti che integrano il collegio solo in alcune materie (adottabilità, adozione, migrazione).

    5. L’allontanamento extrema ratio e casistica. Il procedimento ex art. 403 c.c.

    L’allontanamento da uno o da entrambi i genitori dovrebbe essere attuato come extrema ratio quando la permanenza con uno o con entrambi i genitori comporterebbe grave e irreparabile pregiudizio per il figlio minorenne. L’allontanamento ovviamente vuol dire anche inserimento della persona di età minore in diverso contesto: o presso altri familiari, o presso una diverso nucleo familiare o presso una casa famigia. Questo è il più frequente, quantomeno in prima battuta. Tale allontanamento-affidamento può essere “consensuale” e cioè concordato con i genitori; o giudiziale, e cioè avvenire per iniziativa della Pubblica Amministrazione o iussu judicis. Mi soffermerò solo su questa seconda tipologia perchè più diffusa e più intrusiva. Sugli affidamenti consensuali aggiungo solo che difficilmente nella prassi sono effettivamente tali, in quanto il suggerimento da parte dei Servizi non lascia spazio all’effettiva volontà delle parti.

    Gli allontanamenti e affidamenti coercitivi,  dovrebbero essere attuati quando il permanere del figlio allontanato con uno o con entrambi i genitori comporterebbe per il primo un pregiudizio grave e irreparabile. L’allontanamento, nella sua prospettiva iniziale, dovrebbe essere sempre temporaneo e divenire definitivo solo se il potenziamento delle capacità genitoriali di colui o di coloro che con il loro comportamento sono pregiudizievoli per il figlio minore fallisca in un tempo congruo e sintonico con lo sviluppo psico-fisico di quest’ultimo.

    Sussistono infatti situazioni emergenziali, in cui vi è necessità di intervento immediato e talvolta temporaneamente rescissivo del rapporto figlio/genitore la cui relazione sia pregiudizivole per il minore. La casistica è ampia: riguarda genitori con problematiche psichiatriche non compensate, con patologie che comportano un disallineamento dalla realtà -depressione, schizofrenia, bipolarismo etc.-; con agiti pregiudizievoli (violenti, o anche omissivi, o anche caratterizzati da ipercuria -ad es. Sindrome di Munchausen per procura; oppure genitori abusanti sul piano sessuale, direttamente o indirettamente (bambini usati o “venduti” per prestazioni sessuali); oppure genitori o parenti che li sfruttano economicamente schiavizzandoli; oppure genitori appartenenti a diverse aree culturali le cui prassi prevedono mutilazioni genitali, e/o matrimoni combinati e precoci con coercizioni delle bambine; oppure ancora  situazioni di estrema povertà educativa, accompagnata da agiti vari (evasione dell’obbligo scolastico in situazioni di estrema precarietà abitativa, igienica, educativa).

    In molti di questi casi, l’intervento di allontanamento deve essere immediato, in quanto i tempi intercorrenti con l’evento che lascia emergere il gravissimo e imminente pregiudizio per il minore debbono essere il più possibile contratti, incrementandosi altrimenti in modo esponenziale (e talvolta fatale) il danno. Sono i casi in cui la Pubblica Amministrazione deve intervenire immediatamente come previsto dall’art.  403 c.c., che però disegnava un’ingerenza della PA nella vita familiare al di fuori del dettato Costituzionale del giusto processo in quanto non prevede l’immediato controllo del giudice.

    La Riforma processuale di cui alla l. 206/2021, pubblicata nella G.U. 9 dicembre 2021, ha integralmente riformato la procedura con norme di immediata applicazione (in realtà entreranno in vigore il 22 giugno p.v.) riportandolo nell’alveo del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. e 6 Conv. EDU, prevedendo che la PA informi nell’immediato del provvedimento di allontanamento assunto il Pubblico Ministero Minorile, che questi revochi il provvedimento infondato eventualmente assunto oppure ricorra al Tribunale per i minorenni per la convalida. Il Presidente provvederà a nominare il curatore speciale del minorenne, alla notifica ai genitori, a fissare un’udienza nella quale il provvedimento di allontanamento sarà convalidato o meno, con l’assunzione di una serie di ulteriori provvedimenti che dovranno essere volti, in caso di convalida, al recupero delle capacità genitoriali e alla formulazione di un progetto in tal senso, in modo da avere come concreto obiettivo il ricongiungimento dei figli allontanati ai genitori.

    In altri casi, invece, l’allontanamento viene disposto a procedimento già avviato, quando dalle risultanze istruttorie emerge che è necessario, dal giudice che dovrebbe aver già consentito l’instaurazione del contraddittorio e l’esercizio del diritto di difesa da parte sia dei genitori sia del figlio minorenne tramite il suo curatore speciale, che dovrebbe essere nominato stante il palese conflitto di interessi con i genitori rappresentanti legali. Il condizionale è d’obbligo a causa della cd. “prassi distorsive” vigenti dinnanzi ai Tribunali per i minorenni, dove le udienze anche istruttorie sono delegate a psicologi privi di adeguata preparazione giuridica. Anche a ciò ha inteso porre rimedio la l. 206/2021, ma con la legge delega, prevedendo che nel nuovo rito agli esperti, che faranno parte del collegio giudicante solo in sede distrettuale e per alcune materie (adozione e adottabilità, per quel che qui rileva), possano essere delegati singoli atti, ma non l’ascolto del minore.

    Quanto alle modalità dell’allontanamento, è evidente che le stesse dovrebbero comunque essere rispettose delle esigenze psicologiche della persona di età minore e dei suoi affetti. Si  ha invece notizia di allontanamenti con l’inganno, senza che il minore sia nemmeno informato: il bambino che entra da una porta per l’ascolto del giudice, ed esce da altra porta in stanza dove ci sono i servizi che lo portano via senza essere preavvertito e senza poter salutare la mamma; il minore che viene prelevato a scuola prima dell’ora di uscita dai servizi e viene portato in casa famiglia, dove reincontrerà la madre dopo giorni e giorni e per un’ora. Per non parlare del famigerato allontanamento di “Cittadella”.

    Modalità brutali, da inquadrarsi come comportamenti  disumani e degradanti di cui all’art. 3 della Convenzione EDU, indegni di uno Stato civile e democratico, che peraltro danno l’idea di come i minorenni continuino a non essere considerate  persone, con la loro dignità, i loro affetti, il loro diritto di libertà anche affettiva, ma troppo spesso oggetto di provvedimenti di pseudo-tutela che prescindono dal rispetto delle più elementari esigenze psicologiche e che comportano un vulnus profondo anche nella relazione fiduciaria con le istituzioni. Con conseguenze gravissime anche in prospettiva. 

    6. Liberi di scegliere: gli allontanamenti dalle famiglie malavitose

    Liberi di scegliere è un programma che tutela minori e donne che si allontanano dalla 'ndrangheta. L'iniziativa è stata avviata dell'ex presidente del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, Roberto Di Bella e trae spunto dall’osservazione che i giovani devianti di cui si doveva occupare la giustizia penale minorile erano sempre figli delle stesse famiglie di ‘ndrangheta’ destinati dalla nascita, senza poter scegliere, a un sistema valoriale aberrante, senza possibilità di sfuggirvi per il fortissimo condizionamento della sottocultura mafiosa imperante nell’ambito familiare.

    Il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria ha cominciato ad allontanarli dalle famiglie e a collocarli in luoghi protetti lontani dal luogo di origine. Le famiglie hanno reagito prima compatte con opposizioni e minacce da parte di tutti i componenti comprese le madri, completamente immerse in un sistema distorto che le vuole schiave e consenzienti, rassegnate a un clima di violenza e paura e a sapere che i loro figli sono destinati al crimine, a morire giovani in scontri a fuoco o a trascorrere la vita in carcere e le loro figlie sono votate a perpetuare tale situazione, perché tentare di sfuggire vuol dire condannarsi a morte: il sistema della malavita organizzata non tollera deroghe per coloro che vi sono nati.

    La situazione si è progressivamente evoluta e si sta ulteriormente modificando. Sono ormai sempre più diffuse le scelte coraggiose di donne e madri che vogliono cambiare campo e ridare ossigeno anche alla loro voglia di libertà, di vita, di dignità. Si ribellano all’obbedienza ai clan per amore dei propri figli, cui vogliono garantire un futuro libero, rifiutando di ritenere quella mafiosa l’unica organizzazione sociale possibile. Donne che hanno deciso di infrangere codici millenari fondati sulla violenza, sulla minaccia e il rispetto timoroso di un ruolo subordinato. Chiedono aiuto per fuggire dalle mafie con i loro figli. Liberi di scegliere è quindi diventato un protocollo di intesa tra Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio, Tribunale per i Minorenni, Procura per i Minorenni e Procura Distrettuale di Reggio Calabria, Procura Nazionale Antimafia e l’Associazione Libera ed è sostenuto dalla Conferenza Episcopale Italiana.  Si propone di aiutare e accogliere donne e minori che vogliono uscire dal circuito mafioso e promuovere una rete di protezione e di sostegno per tutelare e assicurare una concreta alternativa di vita ai minori e alle loro madri. In questi casi talvolta l’allontanamento è solo dei figli dal clan malavitoso; talaltra di madri e figli, in località protette, con la possibilità di ricostruire un’identità sociale e culturale, lontana dagli stereotipi malavitosi.

    7. Liberi di scegliere: i figli minorenni di comunità etniche e culturali con tradizioni coercitive. I casi “Saman”

    Vi sono comunità etniche migrate nel nostro Paese che conservano tradizioni cultural-religiose per le quali la coercizioni nella sfera dell’esercizio dei diritti personalissimi dei figli non solo è tollerata, ma costituisce anzi un dovere socialmente sentito e imposto, da conservarsi e difendersi anche come simbolo di identità. Anche queste sono forme di violenza espressamente considerate dalla Convenzione di Istanbul: matrimoni combinati e precoci, mutilazioni genitali, interruzioni volontarie della gravidanza imposte.

    I giovani che migrano con le loro famiglie nel nostro Paese e che entrano in contatto con la nostra cultura tentano talvolta di ribellarsi alle regole imposte dalla loro comunità di appartenenza, volendosene distanziare: ma non viene lasciata loro libertà di scelta. La cronaca riporta vicende drammatiche, quali quella di Saman, ormai scomparsa da mesi (si sospetta uccisa uccisa dai parenti, poi precipitosamente rientrati nel loro Paese di origine, il Pakistan), dopo  aver rifiutato il matrimonio combinato. Altri casi meno noti riguardano violenze sessuali, fisiche, psicologiche inferte ai figli minorenni: spesso in questi casi non vi sono rilevatori sociali perché bambini e ragazzi sono letteralmente sommersi dalle mura di incomunicabilità del cerchio familiare e sociale anche per le insormontabili barriere linguistiche.

    Questi minorenni non sempre frequentano le scuole e spesso sono segregati a casa. Se femmine, costrette a “servire” padre e altri lavoratori della stessa comunità occupandosi per ore della casa in cui vivono assiepati e dovendo spesso anche soddisfare i loro appetiti sessuali. Quando non sono sfruttati per ore e ore di lavoro (ovviamente nero) in pseudo laboratori insalubri in scantinati delle grandi città o nei campi. Non vi sono molti legami con il nostro mondo sociale, e si tratta di fenomenologie che rimangono spesso sommerse. Ma anche quando questi ragazzi riescono a ribellarsi e a denunciare, la soluzione per proteggerli è allontanarli, interrompendo ogni rapporto con la famiglia di origine, inserendoli in casa famiglia e limitando fortemente la loro libertà personale per evitare che, essendo rintracciati, possano essere vittime di violenza punitiva della loro disobbedienza ai genitori e alle regole della comunità. La limitazione della libertà personale che soffrono, senza nessuna mediazione tra una cultura e l’altra (forse servirebbero nuove figure professionali che potessero integrare conoscenze antropologiche, pedagogiche, psicologiche e sociologiche  con capacità di mediazione culturale che siano veicolo tra una cultura e l’altra), finiscono con lo stritolarli tra i due sistemi valoriali, avvertiti in fondo come illibertari entrambi e incapaci di tutelarli. Hanno anche spesso timore per il momento in cui arriverà la maggiore età, e non saranno più tutelati ed esposti alla vendetta del loro sistema culturale, ma non inseriti nel nostro. Per questi giovani -che risultano essere un numero crescente- non sembra sussistano interventi appropriati e misurati sul loro best interest. In definitiva sono ancora più fragili dei minori stranieri non accompagnati per i quai è previsto quantomeno un sistema di tutela a misura delle loro esigenze dalla c.d.  Legge Zampa (l. 47/2017). Possono finire con essere trattati con psico-farmaci, per tranquillizzarli liberandoli dal senso di paura, impotenza, solitudine.

    8. La sottovalutazione (o pretermissione) della violenza assistita

    Particolare attenzione meritano i casi di violenza assistita, definita dal CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l'Abuso dell'Infanzia) come “il fare esperienza da parte del/la bambino/a di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulti e minori”. Ha effetti gravi dal punto di vista fisico, cognitivo, comportamentale e sulle capacità di socializzazione dei bambini e degli adolescenti[5]. Non si tratta di definizione giuridica, ma esperienziale. E il primo tema è proprio questo.

    La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, adottata a Istanbul nel 2011 ed entrata in vigore il 1 agosto 2014, pur non definendo tale fenomeno, lo considera richiedendo che vengano predisposti servizi di supporto specializzati per le donne vittime di violenza e i loro bambini (art. 22); prevede all’art. 26 che le misure di prevenzione riguardino anche i bambini testimoni di violenza; all’art. 13 richiede campagne di sensibilizzazione. Ma, soprattutto, all’art. 31 obbliga gli Stati parti a prendere in considerazione gli episodi di violenza che abbiano coinvolto minori nel disciplinare affidamento, collocamento e diritto di visita da parte del genitore violento.

    Nonostante ciò, la violenza assistita è fenomeno più che sottovalutato: piuttosto non considerato sia nei procedimenti civili che riguardano la relazione di coppia, spesso nei procedimenti penali promossi dal genitore vittima diretta di violenza, sia nei procedimenti minorili.

    La violenza domestica infatti viene derubricata (e liquidata quasi con insofferenza dai giudici), quasi degradata, a conflittualità di coppia, con conseguenze di vittimizzazione secondaria delle vittime.

    Si tratta invece di fenomeni completamente diversi. Nell’articolo recentemente pubblicato per GiustiziaInsieme[6], Nella Ciardo riporta la scaletta di indici sintomatici identificativi dell’uno o dell’altro fenomeno: “la conflittualità presuppone sempre una situazione interpersonale basata su posizioni di forza (economica, sociale, relazionale, culturale) simmetriche. L’assenza di simmetria determina uno squilibrio di relazione e, quindi, in presenza di violenza non si può parlare di conflitto. Non si può confondere il conflitto con l’azione/reazione personale anche giudiziaria della parte che rivendica tutela e che si trovi in una situazione di squilibrio[7].

    Nei casi procedimenti civili di crisi di coppia con elementi di violenza domestica e di genere, anche con inizio di prova già in atti, in forza di tale errati pregiudizio e banalizzazione, viene così imposto di default al genitore-vittima l’affidamento condiviso, e cioè la condivisione delle scelte con l’altro autore di violenza. Ciò comporta evidentemente vittimizzazione secondaria per il genitore vittima di violenza, costretta a concordare con l’autore le scelte fondamentali per il figlio che sostanzialmente non riescono ad essere assunte, con proliferare poi di ulteriori sub procedimenti quasi per ogni aspetto della vita del figlio - sportiva, di istruzione, ludica, sanitaria - e il proliferare di figure endo ed extraprocessuali: curatore speciale, coordinatore genitoriale, operatori socio-psico-sanitari, educatori) che viene in qualche modo paralizzata. Ma vi sono anche altri aspetti che meritano attenzione. E’ possibile che il figlio minorenne che ha assistito ad atti di violenza, nei confronti del genitore con il quale convive prevalentemente, rifiuti il genitore autore di violenza, o lo tema ed espliciti tale rifiuto nel suo “ascolto” processuale. Ma tutto ciò viene troppo spesso considerato aprioristicamente rifiuto non autentico ma condizionato dal genitore vittima di violenza che, vittimizzato ancora una volta in più,  viene qualificato come “malevolo” o “alienante”, senza particolare attenzione alla storia concreta.

    Al riguardo è necessario richiamare il "Rapporto sulla violenza di genere e domestica nella realtà giudiziaria", approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere nella seduta del 17 giugno 2021 https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/1300287.pdf. Si legge nella Relazione: “…Complessivamente, l’analisi ha evidenziato una sostanziale invisibilità della violenza di genere e domestica nei tribunali civili, nei quali la situazione appare più critica e arretrata rispetto a quella emersa nelle procure. Elementi positivi si affiancano a elementi negativi, ma sono questi ultimi, nel complesso, a pesare di più”.

    Anche di tali situazioni si occupa la l. 206/2021, parte nella delega al Governo, parte nelle norme immediatamente precettive, considerando in particolare il requisito della “comprovata esperienza professionale” nella violenza per l’ingresso nell’albo dei CTU e modificando di conseguenza l’art. 15 delle disp. att. c.p.c. nonchè stabilendo una serie di norme a tutela di vittime di violenza e dei loro figli.

    Tuttavia deve modificarsi l’approccio culturale alla violenza domestica e di genere e in particolare deve essere stigmatizzato lo stereotipo che la mistifica come conflittualità. E’ infatti normale ed aberrante che anche in presenza di inizi di prove sulla violenza, i giudici in sede civile non li considerino, attendendo la condanna penale che sopravviene dopo anni e sottoponendo le vittime di violenza a rapporti continuativi con l’autore di violenza, quaificando anche loro come conflittuali se rifiutano la mediazione o si dichiarano contrarie all’affidamento condiviso (peraltro in coerenza con quanto previsto dalla ricordata Convenzione di Istanbul). E’ aberrrante che dei comportamenti violenti non si tenga conto ai fini dell’idoneità genitoriale che ha come contenuto precipuo il diritto/dovere di educare disciplinato dall’art. 29 della Convenzione ONU sui Diritti del fanciullo: secondo tale norma uno dei contenuti è il rispetto dell’altro genitore. Nonostante ciò non sono a conoscenza di provvedimenti che rimandino a tale contenuto espressamente ravvisando difetto di idoneità genitoriale  sotto il profilo educativo negli autori di violenza. È aberrante che il figlio che rifiuta il genitore violento sia costretto a frequentarlo, senza che il primo abbia effettuato un reale percorso di revvedimento. Ovviamente chiedersi i motivi del triste primato dei femminicidi in Italia di fronte a tali bias giudiziari diventa un inutile esercizio retorico. 

    9. Il rifiuto immotivato dell’altro genitore e il peso da attribuire all’opinione della persona di età minore

    L’Italia ha collezionato un “buon numero” di condanne dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo nei casi in cui il figlio minorenne rifiuti immotivatamente il genitore non convivente. Si tratta di solito di situazioni in cui i genitori hanno stili valoriali, di vita ed educativi profondamente diversi, e il minorenne - sottoposto a un conflitto permanente di lealtà - si allea per fragilità con il genitore con il quale convive il quale da parte sua ritiene l’altro nocivo per il figlio come lo è stato per se stesso. L’obbligo positivo di ricongiungimento che incombe sullo Stato, infatti, non è soddisfatto dalla sola adozione da parte delle Autorità nazionali (giudici, servizi alla persona, altri organismi coinvolti) di misure automatiche e stereotipate che risultino inidonee ad evitare il consolidarsi di una situazione di separazione di fatto irreparabilmente pregiudizievole per la relazione figlio-genitore, generata talvolta anche dall’inosservanza delle decisioni giudiziarie da parte dei servizi alla persona coinvolti nel procedimento. L’inutile decorso del tempo può avere infatti conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il figlio di età minore ed il genitore non convivente lasciando emergere e poi consolidare situazioni di rifiuto che divengono irreparabili. In questo quadro di principi si sono susseguite numerose sentenze. Numerose le condanne all’Italia [8] nelle quali si ripete il refrain che il nostro Paese ha attuato, spesso anche con lentezza e inefficienza, misure stereotipate. In effetti in questi casi i provvedimenti prevedono, circolarmente: affidamento ai servizi sociali con monitoraggio da parte degli stessi, incontri in spazio neutro con il genitore rifiutato, psicoterapia per il figlio “riottoso o riluttante” (che però rimanendo con il genitore che lo condiziona per il resto del tempo non ne consegue benefici), talvolta allontanamento dal genitore convivente e collocamento in una situazione di neutralità in cui il figlio possa riacquistare la libertà affettiva.

    Anche di questi casi si occupa la l. 206/2021, nella legge delega, prevedendo al comma 23, lett. B) (e appare significativo che con tale previsione si aprano i princìpi di delega per l’introduzione del rito) che «il giudice, personalmente, sentito il minore e assunta ogni informazione ritenuta necessaria, accerta con urgenza  le  cause  del  rifiuto  ed assume  i  provvedimenti  nel   superiore   interesse   del   minore, considerando ai fini della determinazione dell'affidamento dei  figli e degli incontri con i figli eventuali episodi di violenza.  In  ogni caso, garantire che gli eventuali incontri tra i genitori e il figlio avvengano, se necessario, con l'accompagnamento dei servizi sociali e non compromettano la sicurezza della vittima».Poiché il figlio minorenne esprime autenticamente sentimenti di rifiuto per il genitore non convivente, il quale però è stato ritenuto adeguato sul piano dell’idoneità genitoriale, motivo per cui le Autorità nazionali debbono ripristinare il rapporto, diventa essenziale comprendere quale peso attribuire alla sua opinione. Ancora una volta, come indica la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sarà l’attenta analisi del caso concreto a indicare nel complesso gioco delle relazioni della triade genitori-figlio, se il rifiuto sia autentico e insuperabile, per caratteristiche del genitore rifiutato, o si debbano trovare rimedi perché invece è una suggestione da cui liberare la persona di età minore per restituirle piena libertà affettiva.

    Concludendo questa riflessione sulla soggettività dei minori e il loro allontanamento dal nucleo familiare, mi sembra che l’attuale situazione nel nostro Paese permetta di fare una distinzione.

    Sul piano generale e astratto, l’elaborazione giurisprudenziale e la produzione normativa, nel riconoscere soggettività piena alle persone di età minore anche nelle dinamiche familiari che possono vedere i loro diritti non rispettati e non tutelati dai genitori, individuano una serie di possibili interventi legittimi, compreso  l’allontanamento che ne costituisce estrema ratio se misura temporanea accompagnata da provvedimenti doverosamente volti al ricongiungimento del figlio con i genitori e al loro sostegno, salvo che l’idoneità di questi si dimostri irrecuperabile anche con tali interventi; la normativa, grazie anche agli interventi di Riforma di cui alla l. 206/2021, si sta adeguando con opportune previsioni per quel che concerne istituti processuali e varie fattispecie.

    Diversa, invece, la situazione sul piano concreto in sede applicativa  Non sempre infatti si rileva una preparazione adeguata di tutti gli addetti ai lavori (operatori socio-sanitari, magistrati, avvocati) per la corretta individuazione degli elementi predittivi che rendano necessario l’allontanamento così come di quelli impeditivi del successivo ricongiungimento nell’interesse della persona di età minore. Non risulta  infrequente che provvedimenti a tutela del diritto fondamentale della persona di età minore al miglior sviluppo psico-fisico non siano assunti; oppure che siano assunti in forza di un’analisi generica e banalizzante, priva di attenzione a quella concreta persona di età minore, alle effettive dinamiche relazionali, alle risorse in essere, superficiale e quindi  errata.

    Mi sembra anche che sia da sottolineare come non sussistano strumenti idonei per le categorie di persone di età minore più vulnerabili, sia per assenza di previsioni normative sia per assenza di adeguata formazione, come ad esempio i minorenni di etnie stranieri che si ribellano al codice d’onore delle loro comunità in contrasto con il nostro stato di diritto

    Ringrazio per l’opportunità offertami di poter portare all’attenzione di codesto Ill.mo Comitato alcune riflessioni e, rimanendo ovviamente disponibile ad ogni eventuale integrazione, invio cordiali saluti.


    * Contributo per i lavori del Comitato Nazionale di Bioetica - Presidenza del Consiglio dei Ministri, 27 gennaio 2022.

    **Avvocato in Roma, Presidente di CAMMINO-Camera Nazionale Avvocati per la persona, le relazioni familiari e i minorenni www.cammino.org

    [1] Mi permetto di rimandare al mio recente scritto su GiustiziaInsieme nel quale ho cercato di ricostruire il quadro delle condanne contro Italia riguardanti la violazione dell’art. 8 Conv. EDU in ambito minorile: “Area persona, relazioni familiari e minorenni: la riforma Cartabia risponde alle necessità di tutela effettiva”.

    [2] Così il Commento del Comitato ONU all’art. 3 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, The right of the child to have his or her best interests taken as a primary consideration, 29 maggio 2013, https://gruppocrc.net/documento/commenti-generali-del-comitato-onu/

    [3] Colmando la lacuna dell’art. 13 disp att. c.p.c. e individuando tra le professionalità l’inserimento anche delle seguenti discipline:“; 7) della neuropsichiatria infantile, della psicologia dell’et  evolutiva e della psicologia giuridica o forense”. Inoltre l’art. 15 sempre delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, disciplina l’iscrizione all’albo dei Consulenti Tecnici, prevedendo i requisiti per le specifiche aree di competenza tecnica. L’art. 1, comma 34 della l. 206/2021 inserisce un secondo comma, riferito alle categorie inserite con il n. 7 del precedente art. 13 (neuropsichiatria infantile, psicologia dell’età  evolutiva e psicologia la speciale competenza tecnica necessaria per essere inseriti

    nell’albo dei CTU, sussista qualora ricorrano, alternativamente o congiuntamente, i seguenti requisiti:

    1) comprovata esperienza professionale in materia di violenza domestica e nei confronti di minori;

    2) possesso di adeguati titoli di specializzazione o approfondimento postuniversitari in psichiatria,

    psicoterapia, psicologia dell’et  evolutiva o psicologia giuridica o forense, purch  iscritti da almeno

    cinque anni nei rispettivi albi professionali;

    3) aver svolto per almeno cinque anni attività clinica con minori presso strutture pubbliche o private”.

    [4] La legge delega se ne occupa:

    - art. 1, comma 23, lett. B: il giudice deve nominare il CTU con provvedimento motivato, indicando gli accertamenti da svolgere; il CTU deve attenersi ai protocolli e alle metodologie consolidate, senza ulteriori indagini

    - Art. 1, comma 23, lett. z) sub dd): sar  prevista un’autonoma regolamentazione della CTU,anche con inserimento nell’albo dei CTU di specifiche competenze;

    - Art. 1, comma 23, lett. z) sub ee): il giudice può  avvalersi di un iscritto all’albo dei CTU per essere coadiuvato  per determinati interventi sul nucleo familiare  per superare i conflitti tra le parti, fornire ausilio per i minori e per la ripresa o il miglioramento delle relazioni genitori/figli;

    - Art. 1, comma 23, lett. z, sub gg), nn. 1 e 2: prevede varie incompatibilità  per i CTU.

    [5] https://www.savethechildren.it/blog-notizie/cos-e-la-violenza-assistita-e-quali-le-conseguenze-sui-bambini

    Impatto sullo sviluppo fisico: il bambino, soprattutto in tenera età, sottoposto a forte stress e violenza psicologica può manifestare deficit nella crescita staturo ponderale e ritardi nello sviluppo psico motorio e deficit visivi.

    Impatto sullo sviluppo cognitivo: l’esposizione alla violenza può danneggiare lo sviluppo neuro cognitivo del bambino con effetti negativi sull’autostima, sulla capacità di empatia e sulle competenze intellettive.

    Impatto sul comportamento: la paura costante, il senso di colpa nel sentirsi in un qualche modo privilegiato di non essere la vittima diretta della violenza, la tristezza e la rabbia dovute al senso d’impotenza e all’incapacità di reagire sono conseguenze che hanno un impatto sul bambino esposto a violenza. Inoltre possono insorgere fenomeni quali l’ansia, una maggiore impulsività, l’alienazione e la difficoltà di concentrazione. Sul lungo periodo tra gli effetti registrati ci sono casi più o meno gravi di depressione, tendenze suicide, disturbi del sonno e disordini nell’alimentazione.

    Impatto sulle capacità di socializzazione: subire violenza assistita influenza le capacità dei più piccoli di stringere e mantenere relazioni sociali.

    Cfr. anche United Nations Children’s Fund, Hidden in Plain Sight: A statistical analysis of violence against children, UNICEF, New York, 2014,

    [6] Sebastiana Ciardo, La violenza sulle donne basasta sul genere: riflessioni-rimedi-prassi condivise. Nuove forme di tutela. GiustiziaInsieme, sabato 22 gennaio 2022, https://www.giustiziainsieme.it/it/attualita-2/2098-la-violenza-sulle-donne-basata-sul-genere-riflessioni-rimedi-prassi-condivise-e-nuove-forme-di-tutela

    [7] Prosegue L’Autrice: “Indici sintomatici di una violenza, che si consuma spesso all’interno del nucleo familiare, sono: gestione tirannica delle risorse economica; ludopatia, alcooldipendenza e tossicodipendenza; assenza di responsabilizzazione e di collaborazione all’interno della famiglia; denigrazione e svilimento nelle scelte familiari; isolamento dal mondo sociale ed affettivo (familiari, amici); gelosia eccessiva; rifiuto alla richiesta di separazione; la persona offesa non si presenta a rendere dichiarazioni anche se citata, dopo avere denunciato

    [8] Piazzi c. Italia, ric. 36168/09, sent. 02/11/2010 ; Lombardo c. Italia, ric. 25704/11, sent. 29.01.2013 ; Bondavalli c. Italia, ric. 35532/12, sent. 17/11/2015 ; Strumia c. Italia, ric. 53377/13, sent. 23.06.2016 : Improta c. Italia, ric. 66396/14, sent. 04.05.2017 ; Santilli c. Italia, ric. 51930/10, sent. 17.12.2013 ; Giorgioni c. Italia, ric. 43299/12, sent. 15.09.2016 : Endrizzi c. Italia, ric. 71660/14, sent. 23.03.2017 ; Luzi c. Italia, ric. 48322/17, sent. 5.12.2019 : A.V. c. Italia: ric. 36936/18, sent. 10.12.2020 . Nell’ultimo anno: R.B. e M. c. Italia, ric. 41382/19, sent. 22.04.2021; A.T. c. Italia, ric. 40910/19, sent. 24.06.2021; T.M. c. Italia, ric. 29786/19, sent. 7.10.2021.

    Please publish modules in offcanvas position.

    × Progressive Web App | Add to Homescreen

    To install this Web App in your iPhone/iPad press icon. Progressive Web App | Share Button And then Add to Home Screen.

    × Install Web App
    Mobile Phone
    Offline - No Internet Connection

    We use cookies on our website. Some of them are essential for the operation of the site, while others help us to improve this site and the user experience (tracking cookies). You can decide for yourself whether you want to allow cookies or not. Please note that if you reject them, you may not be able to use all the functionalities of the site.