GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    ​La tecnologia amica del processo: dall’eredità dell’emergenza pandemica ai sistemi di giustizia predittiva

    La tecnologia amica del processo: dall’eredità dell’emergenza pandemica ai sistemi di giustizia predittiva

    di Roberto Natoli e Pierluigi Vigneri[1] 

    Sommario: 1. Premessa - 2. L’eredità non dannosa di alcune misure dettate dall’emergenza pandemica - 3. L’intelligenza artificiale e le sue possibili applicazioni nel sistema giustizia - 4. I troppi compiti dei neoassunti addetti all’Ufficio del processo - 5. Verso la giustizia predittiva.

    1. Premessa

    L’introduzione del processo civile telematico[2], pur inizialmente accolta da comprensibili preoccupazioni, rappresenta il primo passo verso soluzioni di più efficiente e rapida gestione del contenzioso affidate alla tecnologia. Il tema è nell’agenda del legislatore europeo da più di dieci anni. Il Consiglio d’Europa, fin dal 2009, ha infatti emanato più Piani d’azione pluriennali in materia di giustizia elettronica europea[3]. Col primo Piano d'azione (quinquennio 2009-2013), ha definito le funzioni essenziali della «giustizia elettronica europea»: l'accesso alle informazioni nel settore della giustizia, la smaterializzazione delle procedure, la comunicazione tra autorità giudiziarie mediante, ad esempio, videoconferenze o reti elettroniche sicure[4]. Nel Piano per il quinquennio successivo queste funzioni sono state meglio specificate, ad esempio individuando strumenti per eliminare la presenza fisica delle parti nei procedimenti stragiudiziali transfrontalieri e sostituirla con collegamenti da remoto[5]. Con l’ultimo Piano d’azione (quinquennio 2019-2023) è comparso, per la prima volta, il riferimento all’intelligenza artificiale (IA) come strumento per migliorare il trattamento dei dati e la reperibilità delle informazioni e si è chiarito che quest’obiettivo può essere raggiunto non solo attraverso il “controllo” dei vocabolari[6], ma anche attraverso software che migliorano la qualità dei programmi di riconoscimento vocale e che consentono la trascrizione automatica di un discorso orale in forma scritta ai fini del suo utilizzo in procedimenti giudiziari[7].

    Nel contesto dell’applicazione sempre più diffusa della tecnologia al processo, le innegabili opportunità che essa consente si sono manifestate con forza con l’emergenza pandemica. In Italia, ad esempio, alcune soluzioni emergenziali - pur introdotte col dichiarato intento di limitare i contatti sociali - si sono mostrate così efficienti da suggerirne una applicazione generalizzata anche ad emergenza conclusa. I tempi sono dunque maturi per interrogarsi su come e quanto la tecnologia, anche sotto forma di intelligenza artificiale, possa concorrere al raggiungimento dello storico obiettivo di una giustizia più rapida e più efficiente, senza perdere in qualità del giudizio, cioè senza obliterarne la naturale “umanità”[8]. Le positive innovazioni sperimentate nell’emergenza hanno infatti ingenerato una fiducia, probabilmente definitiva, nell’applicazione massiva della tecnologia al sistema giustizia, portando tutti gli operatori a toccare con mano quanto un suo uso intelligente e ben governato possa essere un ausilio e non un intralcio al buon funzionamento del processo.

    2. L’eredità non dannosa di alcune misure dettate dall’emergenza pandemica

    Negli ultimi anni, molte riforme dichiaratamente intese a ridurre i tempi di durata dei processi civili ne hanno spesso soltanto ritardato l’inizio o ne hanno addirittura aumentato la complessità, per esempio moltiplicando il numero delle questioni “di rito”, così rendendo inevitabilmente più lunghi i tempi di redazione. Si allude, ovviamente, all’eccessiva fiducia riposta nei sistemi obbligatori di A.D.R., i quali, a distanza di più di dieci anni dalla loro introduzione generalizzata per un cospicuo gruppo di materie (quelle previste dall’art. 5 del d. lgs. 28/2010), non hanno dato la prova di sé che ci si attendeva e hanno anzi alimentato evitabilissimi contenziosi giudiziali (si pensi, ad esempio, al problema di chi sia tenuto a introdurre la mediazione obbligatoria in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, giunto fino alle sezioni unite[9]). Queste soluzioni stragiudiziali, cui pure il PNRR continua a dedicare fin troppa fiducia[10], presuppongo però un’idea errata – o, almeno, non perfettamente centrata – delle cause dell’eccessivo carico di contenzioso che certamente rappresenta un problema ormai datato del sistema italiano.

    La litigiosità non consegue al processo ma lo precede. E trova altrove le sue ragioni. Il processo è un mezzo e come tale va trattato, magari destinando i tanti sforzi periodicamente dedicati a scriverne e riscriverne le regole, a scrivere migliori regole di diritto sostanziale: più chiare e non contraddittorie.

    Tanto premesso, è del tutto evidente che, se il tasso di litigiosità dei consociati (input) è trattato come una variabile indipendente, la riduzione dei tempi delle decisioni (output) dipenderà, anzitutto, dall’aumento dei mezzi, umani e no, destinati alla produzione dell’output.

    Quindi: o si aumenta il numero dei decidenti o si migliorano i mezzi necessari alla decisione. Come si diceva, la strada prescelta dal legislatore italiana sembra essere sostanzialmente la seconda. È vero che negli ultimi anni si è assistito a un robusto reclutamento di magistrati ordinari, ma la gran parte delle risorse finanziarie provenienti dal Next Generation Fund all’Italia (191,5 miliardi) e destinate dal PNRR[11] alla Giustizia (2,827 miliardi) non servono ad aumentarne ulteriormente il numero, ma a finanziare le due linee complementari di intervento[12] dell’Ufficio per il processo (e, in generale, del capitale umano) e della digitalizzazione.

    In questo contributo ci occuperemo dunque di come organizzare al meglio il capitale umano e i mezzi tecnologici affinché gli investimenti fatti nell’uno e nell’altro fattore produttivo non si risolvano soltanto in un fatuo intervento di facciata sul problema contingente, ancorché vetusto, dell’eccessivo numero di cause ultratriennali.

    Rispetto a questo tema il punto di partenza è certamente il processo civile telematico. L’idea che ha animanto il P.C.T. è stata la dematerializzazione delle produzioni e lo sviluppo di soluzioni utili a rendere più rapide le decisioni. Da qui, ad esempio, l’importanza nella redazione degli atti processuali di un formato che ne consentisse la rapida copia (il c.d. pdf nativo). Da qui un sistema incentrato sulla gestione dei fascicoli processuali, sulla conservazione degli stessi in supporti durevoli e sulla rapidità della gestione dei documenti medesimi: cioè un sistema innegabilmente produttivo di risparmi sia per le parti, sia per i decidenti, i quali, dalla loro postazione telematica, possono depositare e accedere direttamente a tutti gli atti processuali e visualizzarli a video.

    Il passaggio successivo, consentito proprio dall’entrata a regime del processo civile telematico, è stato offerto dalla riforma silenziosa avvenuta durante il periodo emergenziale attraverso al c.d. gestione telematica delle udienze.

    Il primo mezzo adottato per evitare il contatto fisico tra le parti del giudizio e il paventato rischio di contagio è stato la partecipazione tramite collegamento audio visivo, cioè un mezzo che, sia pur senza la presenza fisica delle parti, ha comunque “mimato” l’udienza in presenza, perché ha comunque consentito la presenza contestuale e il contraddittorio in udienza. Nonostante questa mimesi, si è trattato comunque di un sistema che ha apportato benefici, forse minimi, ma comunque apprezzabili: si pensi, ad esempio, alla possibilità di condividere il verbale d’udienza o alla possibilità di evitare accavallamenti di voci tramite un uso accorto della funzione “attiva/disattiva microfono” da parte del giudice. Si tratta, come si vede, di vantaggi ancora ulteriori e diversi rispetto all’intuitivo guadagno offerto dalla riduzione (anzi, dall’azzeramento) del tempo necessario per raggiungere le aule d’udienza.

    Il secondo mezzo adottato durante l’emergenza, cioè la sostituzione della trattazione in presenza con la c.d. udienza cartolare, è un’innovazione ancor più importante: con l’eccezione di talune attività (tipicamente, l’escussione di testimoni o informatori), si è infatti compreso che, se adeguatamente messa a punto con accorgimenti che non sacrificano il diritto al contraddittorio (ad es. col deposito di note scritte e di note scritte di replica prima dell’udienza),  la gran parte delle udienze dei giudizi civili si può efficacemente svolgere in forma “cartolare”. Un simile ribaltamento di prospettiva, se generalizzato (cioè se istituzionalizzato anche al termine dello stato di emergenza) consente ai giudici di abbattere tempi sostanzialmente morti (si pensi, per citare il caso più eclatante, alle prime udienze in grado d’appello, che si risolvono nel 99% dei casi in cui un sibilo rivolto dagli avvocati al cancelliere per ribadire un inconferente obbligo di “insistenza” nelle conclusioni già rassegnate in atti), per reimpiegarli nello studio dei fascicoli e nella redazione delle decisioni.

    Anche intuitivamente, generalizzando soluzioni emergenziali i tempi del processo possono ridursi riducendo i tempi (inutili) di svolgimento delle udienze o, ancor più banalmente, i tempi di spostamento da casa (dove buona parte dei giudici italiani studiano e scrivono) all’ufficio.

    Mettere a frutto la miglior eredità dell’emergenza è dunque un obiettivo che il legislatore dovrebbe avere ben chiaro, tanto più perché sostanzialmente a costo zero.

    3. L’intelligenza artificiale e le sue possibili applicazioni nel sistema giustizia

    La tecnologia, però, può essere applicata al processo civile in modo più pervasivo di quanto fin qui sperimentato portando a regime il P.C.T. e sfruttandone, come accaduto durante l’emergenza pandemica, alcune inesplorate possibilità.

    Tralasciando una serie di possibili applicazioni dei sistemi di I.A. ovviamente incompatibili con il sistema costituzionale come la redazione automatica delle decisioni – sulla cui incostituzionalità non mette neppure conto dilungarsi – l’intelligenza artificiale può essere utilmente sperimentata in una serie di attività che qui di seguito elenchiamo in ordine di crescente rassomiglianza alle attività tipicamente umane:

    a) come strumento di  “anonimizzazione” dei dati sensibili;

    b) come strumento di catalogazione dei documenti;

    c) come strumento di gestione ed esecuzione di attività semplici e preliminari;

    d) come strumento di creazione delle massime;

    e) come strumento di previsione dell’esito di una futura lite.

    Procedendo per esemplificazioni di esperienze già sperimentate, in Italia o altrove, osserviamo che:

    a) l’eliminazione dei dati sensibili dalle decisioni è oggetto di un avanzato progetto coordinato dal Ministero della Giustizia finlandese (ANOPPI)[13];

    b) sempre in Finlandia alla catalogazione dei documenti (che è qualcosa di più della mera attività di raccolta di contenuti simili) è già è operativo il sistema TUOMAS, che consente alle parti di trasmettere i propri documenti mediante una piattaforma (SANTRA), lasciando poi che il sistema si occupi della catalogazione, della gestione dei termini di decadenza e dell’elaborazione della ricostruzione del fatto, in modo da consentire al giudice una più veloce stesura del provvedimento finale[14];

    c) per la gestione informatizzata delle informazioni giudiziarie è stato sperimentato in Estonia il sistema KIS (Court Information System), che consente l’assegnazione ottimale delle cause ai giudici (in relazione al carico già sopportato dal singolo decidente e all’importanza assegnata dall’algoritmo alla controversia); il trattamento automatico delle e-mail; la generazione automatica di documenti modificabili da parte dell’utente (trattasi di veri e propri modelli di atti processuali)[15];

    d) per la massimizzazione dei provvedimenti giudiziari, in Italia già da decenni esiste il Centro elettronico di documentazione (CED) della Corte suprema di Cassazione, nato proprio per offrire degli operatori del diritto archivi di giurisprudenza e di legislazione: proprio a partire dall'organizzazione automatizzata delle massime della Cassazione – e avvalendosi delle tecnologie di information retrieval – il CED ha realizzato il sistema Italgiure-Find che attualmente gestisce una raccolta di oltre 35 milioni di documenti costantemente aggiornati, tra cui testi legislativi, sentenze e Gazzette Ufficiali reperibili dal 1860 in poi. Italgiure è un esempio di sistema di Intelligenza Artificiale per la ricerca di informazioni giuridiche di contenuto concettuale e non meramente semantico[16]. Il thesaurus di Italgiure consente infatti una ricerca indicizzata, cioè non limitata alla ricorrenza di un lemma, ma capace di identificare corrispondenze logiche tra strutture concettuali (c.d. semi)[17]

    4. I troppi compiti dei neoassunti addetti all’Ufficio del processo

    Giunti a questo stadio del ragionamento, è possibile trarre qualche utile indicazione per il prossimo futuro individuando, in particolare, gli ambiti entro i quali le cospicue risorse destinate al settore della giustizia dal PNRR possono essere usate in modo efficiente, cioè creando infrastrutture che, anche quando l’attuale e straordinario afflusso di denaro cesserà, consentiranno comunque una più fluida gestione del “traffico” giudiziario.

    I finanziamenti del PNRR, come detto, servono ad alimentare il processo di transizione digitale, cioè un processo che, come lo stesso termine “transizione” indica, è per definizione temporaneo. Ciò che davvero importa è cosa resterà alla fine della transizione. In quest’ottica non possiamo non denunziare una sorta di strabismo del legislatore, il cui sguardo non sembra rivolto verso l’orizzonte della fine della transizione e del mondo nuovo che verrà, ma appare fisso verso l’obiettivo immediato dello “smaltimento” delle pendenze ultratriennali. Se la nostra impressione è corretta, ne segue che l’immissione, tramite il recente reclutamento, di tanti addetti all’Ufficio del Processo, con contratti a tempo determinato (e per di più assai breve), è poco più di una trovata utile a reperire la forza lavoro necessaria per un’operazione che, già nel poco edificante termine che ne designa lo scopo (lo “smaltimento”), è vista come un lavoro sporco, ma che qualcuno deve pur fare.

    Senza essersi posto il preliminare problema logistico (dove alloggiarli?); senza aver adeguatamente riflettuto sul tempo necessario ai giudici per formarli (inevitabilmente sottratto allo studio dei fascicoli e alla redazione delle decisioni); senza considerare tutto ciò, il Ministero vorrebbe infatti delegare ai neoassunti addetti all’Ufficio del processo i seguenti compiti[18]:

    -  la verifica della completezza del fascicolo, l'accertamento della regolare costituzione delle parti, il controllo delle notifiche, il rispetto dei termini, l’individuazione dei difensori nominati e altro;

    - lo studio dei fascicoli, finalizzato a predisporre schede informative per ciascuna causa;

    - il supporto alla stesura di bozze di provvedimenti semplici;

    - il controllo della pendenza di istanze o richieste e la loro gestione;

    - l’organizzazione delle udienze e del ruolo di ciascun giudice, con segnalazione dei fascicoli che presentino caratteri di trattazione prioritaria;

    - l’approfondimento delle questioni giurisprudenziali e dottrinali implicate dalla controversia;

    - la ricostruzione del contesto normativo;

    - la massimazione dei provvedimenti, finalizzata alla emersione di indirizzi giurisprudenziali locali;

    - il supporto ai processi di digitalizzazione e di innovazione organizzativa dell’ufficio e il pedissequo monitoraggio dei risultati.

    È rimasta dunque inascoltata la perplessità di chi ha autorevolmente denunziato[19] la mancanza di «un vero approccio innovativo, che muova dalle ragioni della sostanziale inattuazione dell'istituto, facendosi leva su tirocinanti e risorse esterne (che espongono l'ufficio giudiziario a relazioni pericolose col territorio) e scegliendo il supporto al magistrato come chiave di intervento»[20].

    Purtuttavia, proprio grazie all’immissione temporanea dei neoassunti addetti all’Ufficio per il processo, e limitandosi al contenzioso civile, ci si attende, nel giro di pochi anni, l'abbattimento del 90% delle controversie che hanno superato i limiti di ragionevole durata del processo in tutti i gradi di giudizio, nonché la riduzione complessiva del 40% della durata dei procedimenti civili; per di più prevedendo, quale target intermedio, l'abbattimento, entro la fine del 2024, dell’arretrato civile del 65% in primo grado e del 55% in grado di appello.

    Individuato il traguardo, occorre scegliere il percorso. Al riguardo ci permettiamo di osservare che quello scelto dal legislatore italiano non sembra il migliore. O, quanto meno, che troppi sono i compiti che ci si attende dagli addetti all’Ufficio del Processo, per essere tutti efficacemente assolti. Bisognerebbe, invece, concentrarsi solo sui compiti che, se svolti bene, possono apportare benefici duraturi al “sistema giustizia”.

    Occorre infatti non dimenticare che i denari del PNRR servono a garantire un futuro migliore alle nuove generazioni di cittadini europei (sulle quali graverà il debito peraltro contratto per restituire la gran parte dei finanziamenti stanziati dal Next Generation EU). Se l’abbattimento dell’arretrato ultratrienneale è certamente un obiettivo di medio periodo che merita di essere perseguito, bisogna però avere lo sguardo lungo e lavorare perché il risultato auspicato si consolidi. Bisogna, insomma, cambiare la “viabilità” della giustizia, modificandone le infrastrutture: altrimenti il traffico, solo contingentemente ridotto, sarà destinato inesorabilmente a reintensificarsi.

    5. Verso la giustizia predittiva

    A questo stadio del ragionamento possiamo soffermarci sulla giustizia “predittiva”[21], cioè sull’ultimo punto – la lett. e) – dell’elenco contenuto al § 3, volutamente non ancora trattato: cioè sull’uso della tecnologia come strumento di previsione dell’esito di una futura lite, tale da consentire agli operatori economici, prima di portare la controversia in giudizio, di verificarne con ragionevole grado di approssimazione il probabile esito. Un tale obiettivo, che è nell’agenda di buona parte dei Paesi occidentali, in Italia sembra tra l’altro rispondere anche all’esigenza, ripetutamente manifestata[22], di maggior attrazione degli investimenti stranieri, ostacolati non soltanto dall’irragionevole durata dei giudizi, quanto dalla loro tendenziale imprevedibilità.

    Se queste due asserzioni rispondono al vero, si intuisce quale, tra i tanti compiti immaginati dal Ministero, possa essere assolto dagli addetti all’Ufficio del processo per generare effetti benefici e durevoli sul sistema: in un quadro che sullo sfondo vede un ruolo sempre più esteso dell’intelligenza artificiale anche nel sistema giudiziario, pensiamo soprattutto al supporto ai processi di digitalizzazione e di innovazione organizzativa dell’ufficio e al pedissequo monitoraggio dei risultati. L’Ufficio del processo – in sinergia con la consulenza preliminare delle Università, a loro volta riccamente finanziate dal PON 2014-20[23] – può infatti agevolare e fluidificare l’opera di immissione massiva degli input nel sistema (cioè di dati scomposti in modo così granulare da tendere all’aderenza più perfetta – quasi sartoriale – tra il caso nuovo e il caso già deciso), e controllare poi la rispondenza degli output.

    Gli addetti all’Ufficio del Processo, tutti laureati in giurisprudenza ma di nessuna esperienza giudiziaria, potrebbero contribuire ad alimentare una banca dati di provvedimenti, soprattutto di merito, che, in prospettiva, possa consentire a chiunque di “interrogare” i dati raccolti e trarne possibili esiti di decisione.

    È chiaro che, per raggiungere un simile esito – che non è quello della macchina che decide, come detto incostituzionale – occorre educare la macchina a educarsi, fino a farla procedere in sempre più totale autonomia. La prima cosa da fare è immettere i dati giusti nel sistema. Per confidare nelle capacità dell’intelligenza artificiale, occorre anzitutto l’intelligenza umana.

    Per raggiungere lo scopo della predittività, bisogna ragionare in modo diverso dal passato. Chiunque abbia esperienza del giudizio, sa che la massima non correlata al fatto concreto dice assai poco. Non a caso è molto spesso mentitoria. Per costruire un sistema di giustizia predittiva occorre prima costruire un giacimento di fatti concreti, più che di massime. Il discorso meriterebbe ben altro respiro, ma un esempio può agevolarne la comprensione.

    Si pensi alla clausola generale della buona fede. Chiunque, oggi, compulsi una qualsiasi banca dati, più o meno “logica”, che proceda per lemmi o per semi, alla domanda su quando sia violata la buona fede troverà sempre una risposta aperta, inidonea a dare indicazioni operative per la soluzione del caso concreto. Digitando su Italgiureweb, nel campo “concetti”, il sintagma “buona fede”, spunta tra le prime la seguente massima recente, tratta da Cass. 20 dicembre 2021, n. 40829: «Le clausole che, quale quella "quando possibile" o simile, individuano il momento dell'adempimento con carattere meramente indicativo, pur non integrando gli estremi di un termine essenziale, ex art. 1457 c.c., solo apparentemente lasciano all'obbligato un amplissimo margine di discrezionalità, quanto alla scelta del concreto momento in cui adempiere, dovendosi a tal fine dare rilievo, mediante il ricorso all'interpretazione secondo buona fede, alle circostanze - quale la possibilità, più o meno prossima, che il debitore superi alcune difficoltà - cui le parti abbiano fatto implicito riferimento. In tal caso, pertanto, non è configurabile un'obbligazione senza termine o con termine rimesso alla volontà del debitore, né può escludersi l'inadempimento di quest'ultimo, allorché non esegua la propria prestazione entro un lasso di tempo che, in relazione all'oggetto ed alla natura del contratto, il giudice ritenga congruo».

    Si tratta certamente di una massima che può risultare utile per spiegare agli studenti di primo anno, alle prese con l’apprendimento delle Istituzioni di diritto privato, che la buona fede implica sempre una valutazione giudiziale delle circostanze del caso concreto. Non meno certamente, è però una massima inidonea a fornire indicazioni operative a chi voglia prevedere l’esito di una possibile lite, perché, come si vede, non dà risposta alla domanda per cui la banca dati è interrogata: quando, in relazione all'oggetto ed alla natura del contratto, può dirsi congruo il lasso di tempo entro il quale il debitore deve adempiere la prestazione dedotta in obbligazione?

    A questa domanda, consultando le banche dati attuali (anche quelle che consentono la ricerca per semi), l’avvocato che voglia consigliare al cliente se fare o no causa non trova risposta. Ma neppure il giudice cui la lite sarà sottoposta, consultando le medesime banche dati, troverà un precedente che lo possa agevolare nel decidere e nello scrivere la decisione.

    Come in un gioco di specchi, sia l’avvocato sia il magistrato torneranno sempre al punto di partenza: quando, secondo buona fede, il tempo dell’adempimento è congruo, in relazione all'oggetto ed alla natura del contratto?

    Un sistema che li aiuti entrambi non dovrebbe ammassare le massime ma classificarle logicamente, evidenziando le peculiarità delle fattispecie concrete. Siccome le massime sono tratte per definizione da casi l’uno diverso dall’altro (poiché, per tornare all’esempio, ogni contratto ha un suo oggetto e una sua natura), un sistema intelligente di classificazione dovrebbe censire i precedenti in ragione non tanto del principio di diritto, che spesso si risolve in una norma giurisprudenziale non meno generale e astratta di quella interpretata e comunque suscettiva a sua volta di interpretazione, ma in ragione degli elementi di fatto del caso oggetto di giudizio. Solo così si possono ottenere risposte granulari a domande granulari.

    Leggendo per esteso la sentenza da cui è tratta la massima più su richiamata, si scopre che il caso oggetto del giudizio di legittimità riguardava un altro problema. Il giudizio traeva origine da un contratto preliminare di permuta intercorso fra una persona fisica e una società immobiliare, avente ad oggetto la cessione di un terreno a fronte della realizzazione di una palazzina con boxes, cinque dei quali da trasferire al cedente, garantito da una fideiussione per il caso di inadempimento dell’obbligazione assunta. Interrogata su questo caso, la Cassazione ha ritenuto che, anche se le obbligazioni contrattuali non hanno un termine certo, non è possibile ritenere sempre obbligato il fideiussore, in ispregio al termine semestrale previsto, nell’interesse del garante, dall’art. 1957 c.c. Come si vede, la vicenda oggetto del concreto giudizio di legittimità non dà alcuna risposta al problema della congruità, secondo buona fede, del termine congruo per adempiere, occupandosi invece della diversa questione dell’onere del creditore garantito da fideiussione di agire prontamente nei confronti del debitore per preservare intatta la garanzia fideiussoria.

    Perché la macchina restituisca massime (o interi provvedimenti) puntuali, che possano adattarsi sartorialmente al caso che sollecita l’interrogazione, occorre dunque una particolare intelligenza, che consenta di cogliere le peculiarità del caso concreto e “taggarle” in modo corretto. A quel punto si può cominciare a istruire il sistema, affinché questo, munito della sua “intelligenza”, proceda da sé a “taggare” correttamente le decisioni, ancorandole ai casi concreti. Come sempre accade quando si istruisce qualcuno (o qualcosa), occorre però del tempo per valutare l’esito dell’apprendimento: nel nostro caso, visto che parliamo di macchine, occorre del tempo per correggerne i “bachi”.

    Questa correzione è un’attività anzitutto umana, non soltanto complessa ma specialistica, nel senso che dev’essere compiuta da esperti del settore: cioè non dagli ingegneri ai quali è chiesto di costruire la macchina, ma dai giuristi che devono guidarla. Tuttavia, i sistemi di intelligenza artificiale sono muniti di capacità di autoapprendimento. Pertanto, nel corso del tempo, le attività di correzione umana potranno diradarsi. Tali attività, se ben compiute nella fase iniziale, daranno frutti negli anni e nei decenni a venire, perché, adeguatamente istruita e corretta, la macchina un giorno saprà camminare senza conducente.

    Non sembra utopistico immaginare che allo sviluppo di sistemi “driverless” possa condurre la sinergica attività di Università e addetti all’Ufficio del Processo. Quando sarà raggiunto quello stadio, si potrà immaginare non solo un uso dell’intelligenza artificiale per definire alcune eccezioni processuali (come l’incapacità di agire di un minore o di un interdetto o del rappresentante di società, associazioni, fondazioni, etc., quando tale qualità risulti direttamente da pubblici registri), ma anche – come pure è stato immaginato[24] – che un robot predittivo possa avere un ruolo fattivo nelle decisioni di inammissibilità in appello, ex art. 348-bis, c. 1, c.p.c., e in Cassazione, ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c., poiché in entrambi i casi (e con particolare evidenza nel secondo) l’inammissibilità è una conseguenza della coerenza del provvedimento impugnato con la «giurisprudenza della Corte»[25]. Si potrà pure immaginare un uso dell’intelligenza artificiale nelle controversie che implicano quantificazioni, come quelle in materia di risarcimento del danno o di quantificazione degli assegni di mantenimento per la prole. Per la quantificazione degli assegni di mantenimento esistono già oggi software, pur molto grezzi, cui chiunque può accedere e in grado di determinare il quantum in esito all’inserimento di poche informazioni[26]. Questi software, però, non spiegano come opera l’algoritmo che quantifica e, soprattutto, processano un numero molto limitato di dati, senza alcun riferimento a precedenti in materia. In futuro, non è difficile immaginare software che restituiscano quantificazioni più attendibili, perché alimentati da un maggior numero di informazioni, di cui sia trasparente la c.d. black box, cioè il meccanismo che governa l’algoritmo che opera il calcolo, e che facciano riferimento ad analoghi precedenti. È forse superfluo osservare che la macchina non potrà mai vincolare il decidente: la cui attività valutativa, per di più, incide su interessi non patrimoniali indisponibili dalle parti come il best interest of the child. Nondimeno, la macchina potrà fornire – alle parti ancor prima che al giudice – un punto di partenza “oggettivo” per personalizzare il quantum. E, anche intuitivamente, già la possibilità di conoscere il punto di partenza dal quale muoverà il giudice per giungere alla decisione, rappresenta un elemento di facilitazione al raggiungimento di soluzioni stragiudiziali.

    Se gli ingenti investimenti finanziari attuali consentiranno di sviluppare sistemi di giustizia predittiva, i frutti prodotti saranno duraturi, perché la predittività incide doppiamente sul saldo dei flussi giudiziari. Da un lato, può far diminuire il flusso in entrata (input), disincentivando le parti dall’intraprendere contenziosi il cui esito infausto è già prevedibile. Dall’altro, può rendere più scorrevole il flusso in uscita (output), perché, fornendo al decidente schemi di decisione tratti da precedenti davvero conformi, rende più rapida la stesura dei provvedimenti.

    In ogni caso, il decidente non sarà tenuto ad adeguarsi allo schema di decisione restituito dal sistema: sia perché ciò significherebbe introdurre nell’ordinamento il principio del precedente vincolante; sia perché il giudice è sempre autore del cambiamento e artefice, attraverso l’interpretazione, della diuturna evoluzione dell’ordinamento giuridico, altrimenti destinato a sclerotizzarsi e perdere il contatto con la realtà. Eppure, anche nel caso di scostamento dal precedente, lo schema di decisione restituito dalla macchina non smette di assolvere a importanti funzioni, perché per un verso potrebbe giustificare un onere di motivazione rafforzata del provvedimento che si discosta dal modello di decisione “pre-detto” dal sistema; per altro verso potrebbe giustificare un’automatica applicazione della regola della compensazione delle spese di lite, ex art. 92, c. 2, c.p.c.

      

    [1] Sebbene frutto di un pensiero comune, i §§ 1 e 2 sono da attribuire a Pierluigi Vigneri; i §§ 3, 4 e 5 sono da attribuire a Roberto Natoli.

    [2] Il cui fondamento normativo si rintraccia nell’art. 4 d.l. 29 dicembre 2009, n. 193 (convertito, con modificazioni, nella l. 22 febbraio 2010, n. 24) ove si previde che «con uno o più decreti del Ministro della Giustizia (...) adottati, ai sensi dell’art. 17, comma 3 ̊, della legge 23 agosto 1988, n. 400» venissero individuate «le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni». In questa delega di funzioni potevano isolarsi due principali criteri direttivi: 1) l’adozione della disciplina tecnica del p.c.t. veniva demandata al potere di decretazione del Ministro della Giustizia, secondo il paradigma procedimentale dei regolamenti (ministeriali) contemplati dall’art. 17, comma 3 ̊, l. 23 agosto 1988, n. 400; 2) la cornice normativa entro la quale tale disciplina doveva collocarsi era quella del Codice della amministrazione digitale e, in particolare, quella delle prescrizioni generali dettate con riferimento al documento informatico ed alle firme elettroniche. Questa disciplina è oggi dettata dal decreto del Ministero della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44, che costituisce la base giuridica su cui poggia il complessivo impianto del processo telematico, ove si stabiliscono i dettami minimi per la trasmissione degli atti e documenti informatici all’interno del processo, per la consultazione delle informazioni relative ai singoli procedimenti sul c.d. dominio giustizia, per l’effettuazione dei pagamenti telematici del contributo unificato e degli altri diritti e spese dei procedimenti. Tale disciplina è stata poi arricchita dal d.l. n. 179/2012 (convertito, con modificazioni, nella l. 17 dicembre 2012, n. 221), dalla l. n. 228/2012 e infine dal d.l. n. 90/2014 (convertito con modificazioni dalla l. 11 agosto 2014, n. 114). Sul punto v. G.G. Poli, il sistema delle fonti del processo civile telematico, in Riv. dir. proc., 2016, p. 1201 ss.

    [3] Piano d’azione pluriennale 2009-2013 in materia di giustizia elettronica europea, (2009/C 75/01), Piano d’azione pluriennale 2014-2018 in materia di giustizia elettronica europea (2014/C 182/02); Piano d’azione 2019-2023 in materia di giustizia elettronica europea (2019/C 96/05).

    [4] Piano d’azione pluriennale 2009-2013, cit., 3.

    [5] Piano d’azione pluriennale 2014-2018, cit., 4.

    [6] Cioè un elenco di termini utilizzati per indicizzare il contenuto e agevolare il reperimento delle informazioni. Tali vocabolari sono noti con l’acronimo di ELI (European Legislation Identifier) o ECLI (European Case Law Identifier).

    [7] In quest’ottica il progetto è di incoraggiare l’uso di VocBench, cioè di una «piattaforma multilingue per la gestione collaborativa del thesaurus» (v. in https://ec.europa.eu/isa2/solutions/vocbench3_en); definire lo strumento di indicizzazione noto come EuroVoc, cioè il «thesaurus multilingue e multidisciplinare dell’UE», comprendente parole chiave, organizzate in 21 settori e 127 sottosettori, a descrizione del contenuto dei documenti in EUR-Lex (cfr. https://eur-lex.europa.eu/browse/eurovoc.html?locale=it); arricchire LegiVoc, cioè una banca dati terminologica progettata per facilitare la comprensione da parte degli Stati membri delle leggi dell’Unione europea e fornire un sistema terminologico interoperabile da utilizzare nei progetti relativi all’accesso alle leggi degli Stati membri dell’UE e agli scambi di informazioni tra le reti europee di cooperazione giuridica o giudiziaria (cfr. https://legivoc.org/).

    [8] L. Breggia, Prevedibilità, predittività e umanità nella soluzione dei conflitti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2019, p. 395 ss.

    [9] Cass., sez. un., 18 settembre 2020, n. 19596, in Corr. giur., 2021, p. 559, con nota di M. Stella, L’onere di mediazione grava sul creditore opposto: non un caso di overruling.

    [10] M. Delia, Le ADR nei moduli organizzativi del processo civile e nella programmazione del PNRR, in https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/le-adr-nei-moduli-organizzativi-del-processo-civile-e-nella-programmazione-del-pnrr

    [11] Il quale ascrive la riforma del sistema giudiziario alle riforme "orizzontali" e "di contesto": l’obiettivo generale della riduzione dei tempi dei giudizi si inserisce infatti in due delle sei missioni attorno a cui si raggruppano i progetti: la missione 1 (Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo) e la missione 2 (Rivoluzione verde e transizione ecologica).

    [12] https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_30.page#

    [13] Finnish Project on the Anonymization of Court Judgments with Language Technology and Machine Learning Apps: v. in https://www.coe.int/en/web/freedom-expression/finnish-project-on-the-anonymization-of-court-judgments-with-language-technology-and-machine-learning-apps

    Il sistema, grazie al software del quale è dotato, individua e contrassegna automaticamente le espressioni che identificano la stessa persona ed è in grado di renderne anonimi i riferimenti: il programma presenta una proposta all’utente completamente modificabile e consente, in aggiunta, la ricerca intelligente di documenti e il collegamento con testi affini.

    [14] Cfr. Kujanen K., E-services in the courts in Finland. Presentation at the seminar on law and informatics 2004 in Berne, in https://rechtsinformatik.ch/wp-content/uploads/2004/06/kujanen.pdf

    [15]https://www.rik.ee/sites/www.rik.ee/files/elfinder/article_files/RIK_e_Court_Information_System%2B3mm_bleed.pdf

    [16] Si tratta dunque di un sistema più avanzato di quello basico fondata sulla rapida individuazione della ricorrenza di parole chiave in un documento (per intenderci, la funzione “cerca” presente in qualsiasi software di videoscrittura o di lettura di documenti informatici). I sistemi per la ricerca concettuale di informazioni giuridiche sono, invece, funzionali al reperimento di informazioni in base al loro contenuto concettuale o informativo. Sul punto v. S. Crisci, Intelligenza artificiale ed etica dell’algoritmo, in Foro amm., 2018, p. 10.

    [17] Italgiure consente di individuare “semi” di linguaggio: ma il “seme” implica un’operazione logica, poiché contiene un insieme di termini tecnici concettualmente affini. Intuitivamente, una ricerca per semi dà risultati più apprezzabili di una mera ricerca testuale per lemmi.

    [18] https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_9_2_2.page?previsiousPage=mg_2_9_2

    [19] Nelle proposte delle commissioni istituite dal Ministro Cartabia e presiedute dal Prof. Luiso per la giustizia civile, dal Presidente Emerito della Corte Costituzionale Lattanzi per la giustizia penale, dal Prof. Luciani per l’ordinamento giudiziario e dal Presidente della Corte d’Appello di Brescia Castelli per la magistratura onoraria.

    [20] M.G. Civinini, Il "nuovo ufficio per il processo" tra riforma della giustizia e PNRR. Che sia la volta buona!, in https://www.questionegiustizia.it/data/doc/2984/civinini-riv-upp-qg-26345.pdf

    [21] Sul tema, E. Battelli, Giustizia predittiva, decisione robotica e ruolo del giudice, in Giust. civ., 2020, 2, 280.

    [22] S. Comi – M. Grasseni – L. Resmini, La giustizia efficiente porta investimenti stranieri, in lavoce.info, 31.8.2021, https://www.lavoce.info/archives/89301/la-giustizia-efficiente-porta-investimenti-esteri/

    [23] Ad esempio, il progetto proposto dagli Atenei pubblici di Sicilia e Sardegna, intitolato “Giustizia Smart: Strumenti e modelli per ottimizzare il lavoro dei giudici – JustSmart” e finanziato con oltre 8 milioni di euro (https://www.unipa.it/dipartimenti/di.gi./progetti/just-smart/), è articolato in sei distinti punti: 1. elaborazione di un modello operativo dell’UPP (Ufficio per il processo) presso gli Uffici Giudiziari coinvolti, che consenta azioni efficaci di smaltimento dell’arretrato ed efficiente gestione dei flussi; 2. rilevazione quali-quantitativa dell’arretrato esistente e dall’analisi delle modalità operative seguite presso gli UPP istituiti; 3. disaggregazione dati e diversificazione analisi in funzione delle dimensioni degli Uffici Giudiziari e della distinzione tra Tribunali/Corti di Appello; 4. contributo a creazione banca dati merito (coordinamento progetto CSM); 5. progettazione dei provvedimenti per Sezioni o macrotemi/sperimentazione di modelli di intelligenza artificiale che fungano da ausilio al singolo decisore; 6. messa a punto di sistemi complementari agli applicativi.  Big Data, Machine Learning, text analysis e feature extraction come strumenti di ausilio in fase di: a) assegnazione per materia in fase di incardinamento; b) tempo «attraversamento» fascicolo; c) disamina preliminare del singolo fascicolo e redazione della minuta di provvedimento secondo modelli tipizzati.

    [24] A. Di Porto, Avvocato-robot nel «nostro stare decisis». Verso una consulenza legale «difensiva», in A. Carleo (a cura di), Decisione robotica, Bologna, 2019, p. 242 s.

    [25] Rispetto al giudizio in Cassazione il sistema di ricerca Italgiureweb, inserendo il lemma “certalex” nel campo di ricerca “Intero testo” della scheda “Ricerca sintetica”, già consente di estrarre le massime che contengono i principi individuati come consolidati ex art. 360-bis, n. 1, c.p.c.: v. http://www.italgiure.giustizia.it/informativaIWEB/Civile.htm

    [26] v., ad es., https://www.remidafamiglia.com/

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