GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Il silenzioso ribaltamento “etico” nel processo di riforma della fiscalità internazionale: spunti a margine dell’accordo OCSE dell’8 ottobre 2021 di Francesco Pepe

    Il silenzioso ribaltamento “etico” nel processo di riforma della fiscalità internazionale: spunti a margine dell’accordo OCSE dell’8 ottobre 2021

    di Francesco Pepe*

    Sommario: 1. Premessa: l’inaspettata accelerazione nello sviluppo del progetto BEPS: l’accordo politico sui “due pilastri” dell’8 ottobre 2021. – 2. Le esigenze alla base dell’accordo: garantire alle market-jurisdictions il diritto di tassare imprese multinazionali ivi operanti indipendentemente da una presenza “fisica” nel territorio (Pillar One) ed assicurare una loro tassazione minima “globale” (Pillar Two). – 3. (segue): limiti e criticità dell’attuale accordo. – 4. Le cause “storiche” dell’accordo: la necessità “strategica” di reperire ingente gettito nella post-pandemia. – 5. Il ribaltamento “etico” sotteso ai nuovi moduli impositivi: il diritto internazionale tributario da argine al potere impositivo statale a “strumento di potenza” delle nazioni.    

    1. Premessa: l’inaspettata accelerazione nello sviluppo del progetto BEPS: l’accordo politico sui “due pilastri” dell’8 ottobre 2021

    Se osservassimo la “cronologia” del processo di riforma della fiscalità internazionale che, da quasi 15 anni, si sta svolgendo sotto l’egida dell’OCSE (cd. progetto BEPS: Base Erosion and Profit Shifting), noteremmo subito una sua incredibile accelerazione a partire dalla fine del 2020 e, soprattutto, nel corso del 2021[1]. Incredibile perché – nonostante gli sforzi compiuti negli ultimi dieci anni da parte dell’OCSE– fino a poco tempo fa i più ritenevano pressoché impossibile giungere ad un accordo su larga scala[2], salvo mutare radicalmente approccio al problema[3]. Troppe infatti le differenze tra sistemi, troppe le divergenze tra interessi nazionali, troppi gli aspetti tecnici apparentemente “di dettaglio”, ma che in realtà sottendevano un enorme impatto geopolitico, dunque fortemente conflittuali.

    Eppure, tra luglio ed ottobre 2021, complice una inaspettata apertura degli Stati Uniti[4], ben 136 Paesi (compresi gli Stati membri dell’UE) hanno prestato adesione (per ora solo in termini politici) alla proposta di modifica delle regole della fiscalità “a due pilastri” (Two-Pillars); proposta avanzata ad inizio 2019, affinata nel corso del 2020 e resa più nitida nel recentissimo accordo dell’8 ottobre 2021[5]. È interessante osservare in cosa consista tale proposta e, soprattutto, perché proprio ora essa ha trovato un tale inaspettato riscontro internazionale.  

    2. Le esigenze alla base dell’accordo: garantire alle market-jurisdictions il diritto di tassare imprese multinazionali ivi operanti indipendentemente da una presenza “fisica” nel territorio (Pillar One) ed assicurare una loro tassazione minima “globale” (Pillar Two)  

    Le esigenze che essa intende soddisfare sono note. In primo luogo, superare il tradizionale criterio dell’ancoraggio “fisico” dell’impresa al territorio di uno Stato (attraverso la residenza fiscale o la “stabile organizzazione”) per la tassazione dei profitti ivi prodotti, criterio da decenni consacrato in pressoché tutti i sistemi nazionali e nei trattati bilaterali contro le doppie imposizioni, ma non più adeguato in un’economia “digitalizzata”[6]. La “de-materializzazione” di molti beni e servizi consente infatti alle imprese di “de-territorializzarsi”, di operare cioè su più mercati, acquisendo da essi ampie quote di fatturato, senza alcuna necessità di collocare in loco proprie strutture; ciò che – de iure condito – impedisce agli “Stati-mercato” (market jurisdictions) di operare una qualche imposizione sui profitti ivi realizzati[7]. La proposta OCSE (oggi accolta) intende assicurare proprio a questi Paesi il diritto di tassare (in tutto o in parte) tali flussi di ricchezza, slegando il prelievo da una presenza “reale” dell’impresa nel proprio territorio. È questo l’oggetto specifico del cd. Pillar One, che ha trovato traduzione tecnica in una ideale suddivisione del “profitto globale” annuo dei gruppi multinazionali interessati[8] in varie quote, alcune delle quali sottoposte – ex se o a determinate condizioni – a tassazione nelle market-jurisdictions. Più esattamente, espunto l’ordinario margine di redditività (presuntivamente fissato al 10% del fatturato), il profitto residuale (residual profit) è poi ulteriormente suddiviso in due quote (del 25% e del 75%), la prima delle quali (Amount A) ripartita tra le diverse market-jurisdictions in proporzione al fatturato conseguito in ciascuna di esse; la seconda (Amount B) assegnata alla residence-jurisdiction o alla market-jurisdiction in base ai consueti criteri di territorialità (residenza fiscale, stabile organizzazione)[9].

    La proposta e l’accordo dell’ottobre 2021 non si limitano però solo a questo. Accanto a tale aspetto – che attiene al “come” tassare le imprese multinazionali (soprattutto, ma non solo) “digitali” – essa stabilisce “quanto” tassare tali soggetti. In sede internazionale ed europea, infatti, altra spinosa questione (invero, più politica che tecnica) riguarda la cd. “concorrenza fiscale internazionale”: quella “corsa al ribasso” del prelievo domestico teso ad accaparrare investimenti e residenti (o, se si preferisce, capitali e capitalisti…)[10]. Contro tale fenomeno – esacerbato oltremodo dalla digitalizzazione dell’economia, dagli effetti perversi sul piano dell’equità fiscale, della sostenibilità del welfare state, quindi della “giustizia sociale”[11] – l’OCSE propone – in sostituzione delle eventuali digital taxes esistenti (che verrebbero infatti abrogate) – una “tassazione minima globale” (Global Minimum Tax: GMT) dei profitti conseguiti dalle multinazionali, sui quali si vuole far gravare comunque un prelievo (minimo) del 15%[12].

    È questo l’oggetto del cd. Pillar Two, che assegnerebbe ad ogni Stato il diritto (dovere?) di applicare sui flussi reddituali “trans-nazionali” un sorta di sovra-tassazione interna a carattere “reattivo-compensativo”, solo cioè ove sul medesimo flusso lo Stato estero applicasse un’imposizione interna inferiore al 15%, e nella misura strettamente necessaria a compensare tale deficit. È evidente come, in tal modo, da un lato, verrebbero di fatto vanificate tutte quelle politiche nazionali di “captazione” fiscale attuate mediante prelievi inferiori alla soglia del 15%; dall’altro, ed in conseguenza di ciò, gli Stati sarebbero indotti ad allineare (quanto meno) a tale livello minimo l’imposizione domestica, ridimensionando di molto il fenomeno della “concorrenza fiscale internazionale”.  

    3. (segue): limiti e criticità dell’attuale accordo

    Su tali proposte occorre però essere chiari: siamo ancora in una fase embrionale di sviluppo. Certamente, sapere che su tali linee di fondo vi sia un consenso diffuso è un enorme passo in avanti, specie se si ha a mente il perdurante “stallo” del decennio precedente. Tuttavia – come si suol dire e come specialmente avviene nel mondo del diritto – “è nei dettagli che il diavolo nasconde la propria coda”. C’è infatti una larga serie di punti ancora irrisolti, vari aspetti di carattere “tecnico” ancora da definire, ma sui quali si gioca la capacità della proposta non solo di superare lo stadio dell’accordo politico (soft law) e divenire atto giuridico vincolante (hard law), ma anche – ove approvata – di realizzare davvero i propri ambiziosi obiettivi[13].

    Ad esempio, il riferimento alla sola “aliquota” nella configurazione del “minimo” imposto dalla GMT è – intuitivamente – in sé non significativo ed anzi ingannevole in presenza di meccanismi nazionali di calcolo delle basi imponibili tra loro divergenti. Per funzionare, una simile riforma imporrebbe cioè la fissazione di una qualche regola che renda omogenei tali basi a livello internazionale, o – in alternativa – che fornisca un criterio adeguato a raffrontare i livelli effettivi dei vari (e pur diversi) sistemi di tassazione domestica. Anche l’ipotesi di aggancio al consolidato civilistico (determinato secondo i principi contabili internazionali IAS/IFRS) non priva il tema di complessità, attesa l’ineliminabile presenza in ogni sistema impositivo di norme fiscali volte a stabilire (per ragioni di semplificazione, di cautela, di agevolazione, finanche di mero gettito) “variazioni” dell’imponibile rispetto al risultato contabile (cd. timing/permanent differences)[14]; o di norme finalizzare a definire i termini di “trasmissione” delle perdite tra periodi di imposta ai soli fini tributari (losscarry forward o carry back). Senza contare i rischi di doppia imposizione che verrebbero a crearsi dal combinato operare dei due “Pillars”, ben evidenziati in sede di analisi economico-finanziaria[15].

    Si tratta, in tutta evidenza, di questioni – sì – “tecniche”, ma che incidono in “aree” regolative a forte conflittualità politica e che, quando le si dovrà affrontare concretamente, potrebbero paralizzare il processo di riforma[16], o innescare – in sede di negoziazione – “rappresaglie” di vario genere, come già avvenuto in passato, specie nelle relazioni tra USA e UE[17].  

    4. Le cause “storiche” dell’accordo: la necessità “strategica” di reperire ingente gettito nella post-pandemia

    Ciò su cui – con un po’ meno incertezza – può invece farsi una riflessione riguarda le cause “storiche” del mutamento di approccio di buona parte della comunità internazionale e che ha trovato “epifania” nel recente accordo di ottobre 2021. Sebbene siano vari i fattori che hanno concorso a ciò, tuttavia è dato ravvisare in essi un “minimo comune denominatore”: la necessità degli Stati nazionali di reperire ingente gettito (potrebbe dirsi) “a qualunque costo”!

    Una necessità sorta con la crisi finanziaria ed economica di inizio XXI secolo (prima quella statunitense dei sub-prime del 2009-2011, poi quella europea del debito sovrano del 2010-2011), ma amplificatasi oltremodo con la crisi da Covid-19, la quale ha assegnato a questa esigenza un rilievo non più solo “interno” (per la sostenibilità del welfare nazionale), ma anche “esterno” o – come forse più correttamente si dovrebbe dire – “strategico”. Come altrove osservato[18], in tale contesto l’acquisizione di risorse finanziarie finisce infatti per assumere la fattezza di “bisogno geo-politico fondamentale”, di priorità che ogni Stato deve soddisfare per “restare in piedi”, economicamente e politicamente, all’interno della comunità internazionale. Mostrarsi pagatori solvibili agli occhi dei mercati finanziari, nonché – per gli Stati membri dell’UE, coinvolti nel più grande piano di prestiti ed investimenti dalla fine del secondo dopoguerra (Next GenerationEU) – delle stesse istituzioni europee, rappresenterà nei prossimi anni un fattore determinante nella definizione del proprio “ruolo” e del proprio “potere negoziale” su scala europea e mondiale. E qui sta il punto.

    Apparendo impensabile e contraddittoria l’idea di ottenere più gettito mediante un incremento della tassazione domestica su imprese, lavoratori e famiglie (l’immane sforzo finanziario serve a garantire la “ripresa” proprio di tali soggetti!), l’unica via politicamente praticabile è subito apparsa quella di una tassazione dei gruppi multinazionali, specie “digitali” (MNEs). La coscienza di come queste imprese non solo abbiano retto meglio la crisi Covid-19, ma a volte ne abbiano anche tratto ulteriore profitto, non poteva che far ravvisare proprio in esse il target fiscale (domestico ed internazionale) preferito.

    Ed è esattamente in questa prospettiva che, dall’altro lato dell’Atlantico, si è posta anche la nuova amministrazione statunitense a guida Biden[19], la quale (contrariamente a quanto avvenuto sotto la presidenza Trump) ha infatti deciso non solo di modificare radicalmente ed in tal senso il proprio ordinamento fiscale interno, ma anche di sposare la proposta OCSE di riforma della tassazione internazionale a “due pilastri”, sbloccandone di fatto l’approvazione a livello internazionale[20]. Al di là dei dettagli “tecnici” della prefigurata riforma statunitense (che qui non possono essere trattati)[21], gli aspetti interessanti di questa inversione di rotta “globale”, a sommesso avviso di chi scrive, sono soprattutto due.  

    5. Il ribaltamento “etico” sotteso ai nuovi moduli impositivi: il diritto internazionale tributario da argine al potere impositivo statale a “strumento di potenza” delle nazioni

    In primo luogo, potrebbe sostenersi che un simile approdo “politico” – oltre ad essere “nell’aria” da tempo (come confermato dal progetto BEPS e dai vari recenti tentativi nazionali di introdurre digital taxes) – rappresenta in qualche modo il (prevedibile?) frutto dell’ultimo stadio evolutivo del capitalismo di fine ‘900. Così come quest’ultimo, cullato per anni nel chiuso dello Stato, è via via cresciuto, si è emancipato dallo Stato e, globalizzandosi, ne ha eroso grandemente il potere[22]; analogamente, le MNEs (che di tale processo sono la plastica rappresentazione), una volta cresciute a dismisura nel mercato “globale” per ricchezza e potere (anche politico)[23], non potevano che divenire – prima o poi, agli occhi degli Stati – le “prede più ambite”, da cui trarre risorse finanziarie[24].

    In secondo luogo, nel tentativo di “cacciare” tali prede, si adottano (e si accettano!) moduli impositivi sempre più spesso slegati dai tradizionali indici di capacità economica (patrimonio, reddito, consumo): ci si affida ad indici “lordi” di ricchezza (fatturato), ad elementi in sé “non economici” (come nelle digital taxes: dati trasmessi o scaricati, interazioni con un sito web, numero di utenti “attivi”, ecc…), a formule di quantificazione/imputazione di quote di profitto del tutto arbitrarie e probabilmente definite in funzione della sola bruta “fattibilità politica” (come gli Amount A ed Amount B sopra menzionati)[25]. Il che – si osservi – potrebbe interpretarsi come il sintomo (esteriore e superficiale) di un (silenzioso e sommerso, ma) radicale e progressivo ribaltamento della struttura “etica” dell’imposizione.

    Il diritto internazionale tributario ha sempre funzionato prioritariamente come criterio di limitazione (e coordinamento) del (naturale ed originario) potere impositivo statale[26], in un certo senso ribadendo – seppur a livello sovra-statale e per finalità connesse allo sviluppo del commercio internazionale – la funzione “propria” del diritto in quanto tale e del diritto tributario in particolare: di strumento a tutela della libertà dei “governati” rispetto alla volontà ed al potere dei “governanti”. In tal senso, le costituzioni fiscali, evocando principi e concetti come “consenso all’imposta”, “capacità contributiva”, “ragionevolezza” e “congruità” dei presupposti, esprimevano essenzialmente degli argini al potere impositivo, tesi ad evitare che i governanti, nell’esercizio di quest’ultimo, potessero esercitare pretese vessatorie o “inumane” nei confronti dei governati[27]. Ciò tuttavia è avvenuto perché – fino ad oggi, in genere – il contribuente è sempre stato (implicitamente) apprezzato come parte debole del rapporto tributario, come quel soggetto che – in quanto “passivo”, esposto alla soggezione dell’autorità fiscale – appariva bisognoso di “tutela” e di “protezione”.

    Il fatto è che questo presupposto “etico” oggi ha perduto la sua solidità, quanto meno in relazione ad una peculiare cerchia di contribuenti, ossia quelli operanti in una dimensione trans-nazionale. Che le MNEs non possano più apprezzarsi come “parti deboli” del proprio rapporto fiscale con i singoli Stati è evidente; anzi, che esse – per capacità di definire artificialmente il proprio prelievo (tax arbitrage) ovvero di evitarne sostanzialmente il peso (tax avoidance)[28] – oggi ne siano la “parte forte” è sotto gli occhi di tutti. La debolezza è cioè dello Stato e, di riflesso, dei suoi cittadini, privati di rilevanti quote di gettito, dunque di servizi pubblici (più) efficienti e di welfare (più) adeguato. Da qui si comprende l’intento non di arginare, ma di rafforzare verso tali soggetti il potere impositivo statale, andando (pragmaticamente) anche ben oltre gli schemi di tassazione consueti.

    L’accordo dell’8 ottobre scorso sembra muoversi questa linea, la quale – ove dovesse trovare in futuro consacrazione in accordi formali, giuridicamente vincolanti – potrebbe creare un nuovo terreno “culturale” su cui implementare, anche nell’ambito della tassazione domestica, nuove tecniche di imposizione, eventualmente rispondenti a criteri maggiormente “pragmatici”, più di efficienza che di equità. Questa circostanza – nella misura in cui dovesse portare il legislatore nazionale ad allontanarsi troppo dai consueti canoni della politica fiscale – potrebbe tuttavia generare nuove spinose questioni di carattere sociale, politico e giuridico, di rilievo anche costituzionale, sul cui esito e sui cui rischi – come la Storia insegna[29] – nessuno può fare previsioni di sorta.

     

     

    *Associato di Diritto tributario – Università degli Studi di Sassari

    [1] Per una sintesi delle finalità e delle tappe di sviluppo di tale progetto, cfr. https://www.oecd.org/tax/beps/.

    [2] Tra i tanti, T. Di Tanno, La difficile arte di tassare le imprese digitali, in lavoce.info, 3 novembre 2020, https://www.lavoce.info/archives/70345/la-difficile-arte-di-tassare-le-imprese-digitali/.

    [3] In tal senso, sia consentito il rinvio a F. Pepe, Dal diritto tributario alla diplomazia fiscale. Prospettive di regolazione giuridica delle relazioni fiscali internazionali, Milano, 2020, spec. 159 ss.

    [4] T. Di Tanno, S. Giannini, Tasse sulle multinazionali: uno spiraglio dall’America, in lavoce.info, 13 aprile 2021, https://www.lavoce.info/archives/73561/tassazione-delle-multinazionali-uno-spiraglio-dallamerica/.

    [5] OECD-G/20 BEPS Project, Statement on a Two-Pillar Solution to Address the Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy, 8 october 2021, https://www.oecd.org/tax/beps/statement-on-a-two-pillar-solution-to-address-the-tax-challenges-arising-from-the-digitalisation-of-the-economy-october-2021.htm.

    [6] T. Di Tanno, 2023, cambia la tassazione delle multinazionali, in lavoce.info, 12 ottobre 2021, https://www.lavoce.info/archives/90194/2023-cambia-la-tassazione-delle-multinazionali/.

    [7] Sul punto, ex multis, S. Cipollina, I redditi “nomadi” delle società multinazionali nell’economia globalizzata, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2014, I, 27 ss.; L. Carpentieri, La crisi del binomio diritto-territorio e la tassazione delle imprese multinazionali, in Riv. dir. trib., 2018, I, 383.

    [8] Quelli con volume di affari superiore a 20 miliardi di euro e con profitti superiori al 10% del fatturato, indipendentemente dal settore di attività, salve alcune esclusioni.

    [9] Su queste criticità irrisolte, T. Di Tanno, S. Giannini, Tasse sulle multinazionali: uno spiraglio dall’America, cit.; T. Di Tanno, 2023, cambia la tassazione delle multinazionali, cit.

    [10] Sul tema, si veda, specialmente, T. Dagan, International Tax policy. Between Competition and Cooperation, Cambridge, 2018.

    [11] Su cui, specialmente, F. Gallo, Potestà normativa di imposizione, mercato e giustizia sociale, in Giur. comm., 2018, I, 371; G. Melis, Evasione ed elusione fiscale internazionale e finanziamento dei diritti sociali: recenti trends e prospettive, in Rass. Trib., 2014, 1283; A. Perrone, Tax competition e giustizia sociale nell’Unione europea, Milano, 2019.

    [12] Sul tema, cfr. J. Becker, J. Englisch, Implementing an international effective minimum tax in the EU (June 23, 2021), https://ssrn.com/abstract=3892160.

    [13] In tal senso, sebbene in relazione al precedente accordo del G-/ di giugno 2021, F. Gastaldi, M.G. Pazienza, A. Zanardi, Tassazione delle multinazionali: il sentiero stretto dell’OCSE, in lavoce.info, 6 luglio 2021, https://www.lavoce.info/archives/88357/tassazione-delle-multinazionali-il-sentiero-stretto-dellocse/.

    [14] Su cui T. Di Tanno, S. Giannini, op. cit.

    [15] Su cui F. Gastaldi, M.G. Pazienza, A. Zanardi, op. cit.

    [16] Su questo rischio, seppur in relazione all’accordo del G-7 di giugno 2021, cfr. Y. Brauner, The Return of the Phoenix? The G-7 Countries’ Agreement on a 15% Minimum Tax, in Intertax, vol. 49, issue 10, 2021, 750 ss., spec. 752.

    [17] M. Greggi, Usa-Ue: partita a scacchi sulle tasse sulle imprese, in lavoce.info, 2 settembre 2016, https://www.lavoce.info/archives/42637/usa-ue-partita-a-scacchi-sul-fisco/.  

    [18] Sia consentito il rinvio a F. Pepe, L’emergenza Covid-19 nell’Unione europea: verso una solidarietà tributaria “strategica”?, in Riv. dir. trib. suppl. online, 30 aprile 2020, https://www.rivistadirittotributario.it/2020/04/30/lemergenza-covid-19-nellunione-europea-verso-solidarieta-tributaria-strategica/

    [19] U.S. Department of the Treasury, The Made In America Tax Plan, April 2021, https://home.treasury.gov/system/files/136/MadeInAmericaTaxPlan_Report.pdf.

    [20] Sul punto, L. Carpentieri, La proposta fiscale dell’Amministrazione Biden e l’ambizione di cambiare le regole del gioco: sarà davvero il tramonto del profit shifting delle multinazionali?, in Riv. dir. trib. suppl. online, 14 maggio 2021, https://www.rivistadirittotributario.it/2021/05/14/la-proposta-fiscale-dellamministrazione-biden-e-lambizione-di-cambiare-le-regole-del-gioco-sara-davvero-il-tramonto-del-profit-shifting-delle-multinazionali/.

    [21] Sui quali si rinvia a R. Succio, Note minime di sintesi su alcuni aspetti tributari dell’American Jobs Plan, in Riv. dir. trib. suppl. online, 4 ottobre 2021, https://www.rivistadirittotributario.it/2021/10/04/note-minime-di-sintesi-su-alcuni-aspetti-tributari-dellamerican-jobs-plan/.

    [22] C. Galli, Sovranità, Bologna, 2019, 109.

    [23] Sul punto, anche per riferimenti, C. Focarelli, Economia globale e diritto internazionale, Bologna, 2016, 243-245.

    [24] Su questi aspetti, per più approfondite osservazioni, sia consentito rinviare a F. Pepe, Dal diritto tributario alla diplomazia fiscale, cit., 157.

    [25] F. Pepe, op. ult. cit., 151 ss.

    [26] A. Fantozzi, K. Vogel, Doppia imposizione internazionale, in Dig. IV, disc. civ., sez. comm., vol. V, Torino, 1990, 190.

    [27] W. Schön, Taxation and Democracy, in Tax Law Review, Vol. 72, 2018, https://ssrn.com/abstract=3267279.

    [28] Su queste pratiche, ex multis P. Pistone, La pianificazione fiscale aggressiva e le categorie concettuali del diritto tributario globale, in F. Amatucci, R. Cordeiro Guerra (a cura di), L’evasione e l’elusione fiscale in ambito nazionale e internazionale, Canterano, 2016, 275 ss.

    [29] C. Adams, For Good and Evil. L’influsso della tassazione nella storia dell’umanità, trad. it. a cura di C. Ruffini, Macerata, 2016 (ed. orig. 2001).

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