GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Un colpo d’ala per una moderna affidabile giustizia tributaria  di Claudio Consolo

    Un colpo d’ala per una moderna affidabile giustizia tributaria.

    di Claudio Consolo

    Sommario: 1. Uno sguardo d’assieme sui lavori della Commissione della Cananea - 2. Le ragioni della divisione - 3. Una proposta alternativa - 3.1  Salvaguardare e rivitalizzare il giudizio di legittimità - 3.2 Fondere innovazione e continuità per la giurisdizione di merito: l’impiego delle sezioni specializzate imprese quali giudici di appello.

    1. Uno sguardo d’assieme sui lavori della Commissione della Cananea

    Con la pubblicazione della relazione finale si conclude il primo momento di studio e di riflessione pro futuro della commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria.

    In un forte clima di pulsioni ed esigenze riformatrici, che interessa tutti i principali plessi giurisdizionali, incardinare e sviluppare un discorso orientato alla crescita nella razionalizzazione anche della giustizia tributaria, volto a superarne i principali elementi di stallo spesso forieri, peraltro, di un grave vulnus qualitativo nella tutela ivi apprestata, risulta quanto mai necessario e ineludibile. Ciò è pacifico, pur fra vivaci dissensi programmatici, tanto più vero se osservato all’interno dell’attuale contesto di interventi straordinari, nazionali e sovranazionali, apprestati per risvegliare il tessuto economico e produttivo, ancora tramortito dal forte shock subito. Ripresa e resilienza non possono che passare attraverso la definizione di un ordinamento giuridico idoneo a supportarle, in modo quasi funzionale e che non le sia più d’ostacolo, come negli ultimi lustri accaduto per vari gravosi versi. La concreta efficacia di una giustizia tributaria - che sia intimamente tale – assume rilievo primario per la realizzazione dei targets di rilancio prefissati in questa fase di rinascita.

    Senza ulteriori indugi, pertanto, è necessario salutare con pubblica riconoscenza il lavoro svolto della commissione Della Cananea, meticoloso e positivo soprattutto se commisurato agli esiti cui esso ha condotto.

    Questo pregevole lavoro, tuttavia, si è caratterizzato per una forte polarizzazione delle soluzioni proposte al suo interno, con l’emersione ormai notoria di due filoni già prima facie inconciliabili, proprio in merito alla concezione prodromica che si ha della giustizia tributaria e, in special modo, dei giudici che sono chiamati ad amministrarla.

    Da una parte, infatti, la prima proposta “tiene fermo il tratto saliente della normativa vigente, cioè la configurazione della magistratura tributaria come onoraria, pur introducendo il requisito della laurea magistrale in giurisprudenza o in economia o al titolo di dottore di ricerca in materie giuridico-aziendali per quanti non appartengono alla magistratura ordinaria, amministrativa o contabile[1]. Questa scelta è la mediata conseguenza di una lettura assai rigida delle disposizioni costituzionali rilevanti in materia, che era emersa inizialmente nei lavori della Commissione, in forza della quale non sarebbe stato possibile nemmeno modificare in meglio gli attuali meccanismi di reclutamento dei giudici tributari. La Costituzione non prevede espressamente una compiuta ed autosufficiente giurisdizione tributaria, dunque non consente la creazione di un nuovo giudice speciale in aggiunta a quelli esistenti (amministrativo, contabile, militare). Specularmente, sulla base di tali considerazioni, non sarebbe possibile immettere nella Corte di Cassazione esperti esterni alla magistratura ordinaria al di fuori dei limitati casi previsti. “Da tutto ciò deriva che va tenuta ferma la natura onoraria della magistratura tributaria” a monte della consueta fase di cassazione. Di conseguenza, l’azione di riforma dovrà orientarsi - e limitarsi – ad introdurre alcuni correttivi, senza stravolgere, di fatto, l’attuale configurazione sistematica.

    Dall’altra parte, la seconda soluzione prospettata è assai più radicale ed ambiziosa, con alcuni tratti tuttavia non realistici ed in prospettiva asfittici.

    Essa si basa su una lettura più elastica dei portati della Costituzione, suffragata in parte dalle più importanti pronunce della Corte Costituzionale in materia, secondo cui non sarebbe preclusa a prescindere qualsiasi tipo di modificazione nella configurazione e nel funzionamento delle commissioni tributarie. “Discende da ciò la possibilità d’istituire una magistratura tributaria assunta per concorso”. Con lampanti, benefiche, conseguenze ne discenderebbero: “il consolidamento della vocazione specialistica della giurisdizione tributaria, estesa all’intero corpo di magistrati, non al solo secondo grado; il venir meno della disparità tra i giudici tributari provenienti – rispettivamente – dalle varie magistrature e dalle professioni; l’apporto che un personale di magistratura più specializzato può fornire alla sezione tributaria della Corte di Cassazione”. In questo quadro, solo la competenza per le liti minori, di valore fino a 3.000 euro, sarebbe ricondotta ad un giudice onorario monocratico, non togato, una sorta di giudice di pace tributario.

    Riassumendo le proposte sul campo: a) da una parte, si suggerisce un leggero lifting delle commissioni tributarie le quali, tuttavia, rimarrebbero di fatto come sono, specialmente nel primo grado, da mantenere quasi totalmente invariato. Il processo resterebbe articolato in due gradi di giudizio, a livello provinciale e regionale, il secondo dei quali subirebbe una piccola modifica, consistente nell’istituzione di una sezione specializzata competente per le liti di un determinato e consistente valore, ma pur sempre presso le attuali CTR; b) la seconda valorizza il principio di specializzazione e si spinge fino all’istituzione di un giudice speciale – i tribunali tributari e le corti d’appello tributarie - e al rafforzamento - in realtà non facile e dal tenore un poco illuminista - sia del meccanismo di reclutamento, sia della scelta da parte di quanti intendano ricoprire gli uffici della giurisdizione tributaria. L’accesso è fondato su un pubblico concorso, riservato ai laureati in giurisprudenza e – entro certi limiti quantitativi e a determinate condizioni – ai giudici tributari in servizio. “In sostanza, i giudici tributari non sarebbero più giudici onorari, ma professionali e a tempo pieno”. Quelli che sono già magistrati potrebbero optare per il travaso, e quindi realisticamente, per la parte preponderante, rimanerne del tutto esclusi, salva solo la ricongiunzione.

    2. Le ragioni della divisione

    Le ragioni giustificatrici di queste due antipodiche soluzioni sono ampiamente intuibili e note ai più, ma forse non è ancora emerso quanto la seconda finirebbe con il forgiarsi in termini non meramente specialistici quanto indesiderabilmente appartati e poco dialogici con il complessivo judicial process nazionale (e, per vederne solo un minimo aspetto rivelatore, con la disciplina costituzionale della Consulta). Si darebbe vita ad un repentino e forse non poi qualificatissimo corpo di neofiti giudiziali, fatalmente financo in appello.

    Per quanto riguarda la prima – meno radicale - soluzione, i suoi sostenitori osservano con una certa qual saviezza che “il perimetro della discrezionalità del legislatore nel riordino della giurisdizione tributaria, che rientra tra quelle preesistenti all’entrata in vigore della Carta Costituzionale e conservate ai sensi della VI disposizione transitoria, è ben definito dall’ordinanza 23 aprile 1998, n. 144 della Consulta, in base alla quale i due limiti invalicabili per non infrangere il principio di tendenziale unità della giurisdizione sul quale si fonda il nostro ordinamento (e non far ritenere nuovo il giudice tributario in modo tale da ravvisarsi un diverso giudice speciale) sono rispettati ove non vengano snaturati “né il sistema di estrazione dei giudici, né la giurisdizione nell’ambito delle controversie tributarie”. In relazione al primo profilo, quello cioè del sistema di estrazione dei giudici, la Consulta ha ritenuto legittimi gli interventi legislativi migliorativi “dal punto di vista dei requisiti di idoneità e di qualificazione professionale e delle incompatibilità”. Al contrario, questa parte della Commissione ritiene che la tesi sostenuta dalla restante parte della stessa, ossia la costituzione d’abord di un giudice professionale specializzato, correrebbe di certo il rischio di snaturare il sistema di estrazione dei giudici, il loro statuto sistematico stesso, e, pertanto, richiederebbe un intervento legislativo di rango costituzionale, oggi impensabile. Per quanto riguarda gli obiettivi, invece, che si vorrebbero conseguire, soprattutto ad esempio con l’istituzione della sezione specializzata presso la CTR, elemento di maggiore innovazione – su cui prestare attenzione per i motivi che meglio si comprenderanno infra nel prosieguo -, vi è certamente e lodevolmente quello di “migliorare la qualità del prodotto giurisdizionale che eventualmente dovrà essere esaminato dalla Corte di legittimità, che come noto si trova in uno stato di profonda sofferenza per l’enorme mole della pendenza tributaria certamente in larga misura determinata da decisioni di merito spesso scarsamente motivate e di scadente livello sul piano dell’elaborazione giuridica”.

    Quanto invece alla seconda proposta, essa muove dal presupposto secondo cui “la prima e principale riforma dell’ordinamento della giustizia tributaria debba riguardare l’inquadramento dei giudici. Dal 2013 ad oggi sono stati presentati 9 disegni di legge al Senato e 8 alla Camera aventi ad oggetto tale riforma e in tutti si prevede che il giudice tributario debba essere un giudice professionale a tempo pieno (dei 17 disegni di legge 14 accolgono la medesima soluzione qui proposta, mentre i restanti 3 prevedono la devoluzione della materia tributaria ad altre giurisdizioni esistenti). In effetti, che la giustizia tributaria sia tuttora affidata ad un giudice onorario appare anacronistico retaggio della primigenia natura di contenzioso amministrativo del processo, pienamente e definitivamente superata quasi 50 anni fa con il pieno riconoscimento del carattere giurisdizionale della funzione svolta dai giudici tributari (cfr. Corte cost. n. 287/1974)”. In quest’ottica, la giustizia tributaria e il sottostante ramo del diritto risulta invero mortificata da un metodo di reclutamento non mediante apposito concorso, dalla natura onoraria dell’incarico e dalla struttura e dal ridotto ammontare dei compensi erogati ai giudici delle attuali commissioni. La soluzione di riforma in ipotesi, con la realizzazione del Tribunale Tributario e della Corte d’Appello Tributaria, non violerebbe in alcun modo il ben noto limite dell’art. 102, primo comma Cost. del divieto di istituzione di nuovi giudici speciali. “Anche in ragione del fatto che la proposta accentua il carattere giurisdizionale degli organi giudicanti, influendo positivamente sull’indipendenza, terzietà e preparazione professionale del giudice”.

    L’inconciliabilità delle due soluzioni emerse dai lavori della Commissione, peraltro, non riguarda solo la scelta attinente ai primi due gradi di merito e in generale al ruolo e alle modalità di selezione del giudice tributario, ma riecheggia fino all’ultimo grado del giudizio, involgendo anche le soluzioni da fornire per riformare il giudizio di legittimità della Suprema Corte in materia tributaria.

    Per i primi è sufficiente, dopotutto, lasciare la Corte di Cassazione così com’è, magari assegnando alla sezione tributaria un maggior numero di magistrati del Massimario, previa valutazione del CSM, ma al solo fine di fronteggiare l’immane arretrato in cui è impantanata detta Sezione. Magari anche con utilizzo dei pensionati (futuri o forse anche passati) fino ai 75 anni di età, sinonimo ormai di piena funzionalità mentale e accresciuta preziosa esperienza. Qui emerge la proposta di inserire anche in materia tributaria, condividendo la soluzione prospettata dalla Commissione Luiso per la riforma del processo civile, del rinvio pregiudiziale interpretativo (ruling), ossia un meccanismo che assicuri un tempestivo intervento della Corte di Cassazione, coerente con il ruolo di jus dicere proprio del giudice di legittimità orientato all’armonico sviluppo del diritto nell’ordinamento, in materie o su normative nuove sulle quali non si è ancora pronunciata la giurisprudenza di legittimità, al fine di prevenire la proliferazione del contenzioso[2]. Si legge nella relazione illustrativa: “un'interpretazione autorevole e sistematica della Corte resa con tempestività, in poco tempo ed in concomitanza alle prime pronunzie della giurisprudenza di merito, può svolgere un ruolo deflattivo significativo, prevenendo la moltiplicazione dei conflitti e con essa la formazione di contrastanti orientamenti territoriali. Nella materia del diritto tributario, peraltro, l’esigenza di assicurare una tempestiva interpretazione uniforme è particolarmente avvertita per due ordini di ragioni: il continuo succedersi di norme di nuova introduzione, rispetto alle quali il giudice del merito non ha un indirizzo interpretativo di legittimità cui fare riferimento e la serialità dell’applicazione delle norme che si riflette sulla serialità del contenzioso”.

    Anche in riferimento al giudizio di legittimità, i fautori della riforma più radicale, auspicano un totale superamento delle forme e delle strutture come fino ad ora concepite, proponendo per legge, con una disciplina autonoma, l’istituzione di una sezione ordinaria specializzata tributaria. Accordo che manca, tra le varie anime della Commissione, finanche sul rinvio pregiudiziale per saltum, fortemente osteggiato da Cesare Glendi – sostenitore dall’esterno di una riforma maggiormente incisiva - il quale, senza troppi giri di parole, la definisce una proposta stravagante, basata su un macroscopico errore direzionale che si “appalesa tecnicamente “infelice ed eversiva” a livello di sistema ordinamentale”[3]: con questo salto “(mortale?)” dai giudici tributari di merito direttamente al vertice della Suprema Corte, infatti, piuttosto che ridurre l’eccessivo carico di lavoro in ultimo grado si rischia di aggravarlo.

    3. Una proposta alternativa

    Abbiamo fin qui ricapitolato, con chiose, evocato indirettamente i già tanti e pregevoli saggi, ma ora per essere concisi e chiari ecco la nostra differente propensione, espressa nella apposita audizione (e da implementare, se mai le arridesse qualche fortuna  di consenso di fondo, in altra sede): le due  proposte sul campo, per quanto lucide e a tratti anche meritevoli di condivisione su più punti, risultano eccessivamente, diametralmente, opposte tra loro e non immaginano una via non già di mediazione ma di composizione. Si fronteggiano a cori duofonici battenti con esposizione ad un grave rischio da sventare ad ogni costo: la radicale diversità delle soluzioni prospettare e la loro inconciliabilità potrebbe rischiare, in ipotesi, di scoraggiare il legislatore da un intervento quanto mai necessario, come evidenziato in apertura.

    Con la consapevolezza di non poter far cadere nel vuoto questo necessario tentativo di riforma, magari a causa dell’impossibilità di trovare sintesi tra le due diverse contrapposte formulazioni viste supra, è necessario compiere un colpo d’ala di superamento in avanti con fantasia ricostruttiva. Si badi bene, non si tratta di proporre un artificioso compromesso al ribasso di mediazione tra le prospettate soluzioni della Commissione; ma del tentativo - pensando alle potenzialità per l’appello delle sezioni imprese collegiali presenti nei più importanti tribunali, portatrici di modernità interdisciplinare e grande competenza sul diritto dell’economia - di cogliere questo spirito innovatore del momento e cristallizzarlo in concreto, intimo, non “appartante” miglioramento di cui la giustizia tributaria possa godere e giovarsi tenendo fermo che radici e tronco del diritto tributario e dei suoi rami e fonde mutevoli si ancorano al diritto amministrativo e a quello privato, con una forte coloratura di diritto giustiziale materiale da cui muovevano i suoi indiscussi Patres.

    Inoltre e correlatamente Natura non facit saltum e per questo motivo, di diffidenza per mutazioni artificiali, sarà preliminarmente doveroso tener conto che qualsiasi tipo di soluzione prospettata per la riforma in oggetto deve valutare attentamente le tempistiche necessarie ad attuarla, i periodi transitori e la loro durata, dunque, in buona sostanza, fare i conti con la realtà.

    La previsione di stravolgimenti radicali oltre a non essere del tutto proporzionata, e sul punto si tornerà fra breve, non risulta allo stato opportuna per diverse ragioni. La più importante è senza dubbio la massima di esperienza che deve guidare ogni processo innovatore secondo cui non v’è riforma migliore di quella realmente possibile: auspicare la nascita di nuovi plessi giurisdizionali senza tradizione ed integralmente con neofiti, come sopra evidenziato, costituirebbe un salto nel buio che rischierebbe, per l’appunto, di far naufragare ogni nobile proclama rifondativo di rinnovamento qualitativo. Altra ragione attiene alle tempistiche di durata delle cd. soluzioni transitorie che, tanto più impegnative quanto più è grande lo stravolgimento operato, rischiano di protrarsi a tal punto nella loro provvisorietà da diventare soluzioni ordinarie e sopperire, di fatto, una riforma che nel frattempo è diventata irrealizzabile. Ma vi è di più. Istituire il Tribunale tributario, ma più ancora la omonima Corte di appello, è inopportuno soprattutto perché non proporzionale, come sopra accennato, all’obiettivo prefissato, comunque raggiungibile con un progetto alternativo di riforma, meno dispendioso e sicuramente più facilmente realizzabile con i talenti sperimentati e collaudati già in parte all’opera, che si disperderebbero in massima parte.

    3.1  Salvaguardare e rivitalizzare il giudizio di legittimità

    Innanzitutto, il punto fermo da cui muovere è quello di non rimettere minimamente in discussione il giudizio di legittimità di terzo grado come attualmente strutturato. Si deve evitare, di converso, di agire per legge sulla sezione tributaria della Corte di Cassazione[4], istituendone una speciale, magari annebbiati da un fuorviante parallelismo con l’esperienza della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione la quale, è bene sempre ricordare, rientrava nel più ampio disegno riformista dell’introduzione ex novo della giustizia del lavoro del 1973, e che ad ogni modo toccava pochissimo la relativa sezione della Suprema Corte.

    Un tale disegno rischierebbe di specializzare eccessivamente la sezione tributaria della Cassazione, allontanandola dalle altre sezioni della Corte, mentre a ben vedere essa si avvantaggia non poco del fatto di essere in collegamento con altre sezioni, in quanto erede legittima della Sezione Prima, che si è occupata a lungo e bene di diritto tributario e di processo tributario, dalla cui esperienza, specialmente di diritto civile e di diritto processuale civile, proveniva peraltro, per tacere di altri e fare un solo nome, il primo presidente della Sezione Tributaria, nonché vero ispiratore e organizzatore della stessa, Michele Cantillo (assai solido processualista, dalla cui penna originò la durevole soluzione del grande dibattito fra art. 18 St. Lav. e art. 336 c.p.c.).

    Recidere il legame con le altre sezioni della Cassazione produrrebbe la nefasta conseguenza di rendere il diritto tributario non tanto una materia con proiezione specialistica, come si vorrebbe, piuttosto un compartimento stagno insensibile a quelle necessarie e positive connessioni osmotiche di cui si nutre tutta la scienza pratica del diritto.

    Il diritto tributario, infatti, non può essere considerato in alcun modo campo di elettiva esclusività di pochi iperfocalizzati, né tanto meno, bisognerà pur riconoscerlo, autosufficiente rispetto invece alla necessità di un background giuridico più vasto e soprattutto da ciascuno già sperimentato (Glendi pure, a tacer di molti altri, non ne è riprova?). In modo quasi banale, la corretta applicazione di una norma tributaria ad un determinato negozio giuridico di cui si compone un’operazione complessa e multi-strutturata passa inevitabilmente dalla sussunzione e qualificazione da operare a monte, per la quale è inevitabile essere muniti di adeguati strumenti privatistici; il controllo sulla P.A., pur in assenza per solito di discrezionalità e del classicamente inteso interesse legittimo, invoca una cornice anche amministrativistica. Il discorso solo esemplificativo acquisisce ulteriore vigore se si pensa, ad esempio, all’abuso del diritto in materia tributaria: per evitare incoerenti digressioni, è sufficiente mettere in luce che la sostanza economica di un’operazione, la cui prova è richiesta dal dettato normativo, non può essere definizione solo economicistica e specialistica ma deve essere costantemente raffrontata all’esperienza giuridica  di tutte le altre branche del diritto con il suo motore nella autonomia contrattuale dei privati, imprese o cittadini.

    Tornando al caso che ci occupa, il giudizio di legittimità come strutturato attualmente non è la causa dei problemi quanto piuttosto, a valle di tutto, la vittima[5].

    Il proliferare di decisioni qualitativamente inaccettabili nei primi due gradi del giudizio di merito - per tacere delle brame condonizie di varia fattura e mascheratura - alimenta la necessità del costante esperimento del riscorso per cassazione e rende la giustizia tributaria uno dei settori con il più elevato numero di sentenze cassate. Dunque, la Cassazione tutt’al più va difesa dall’assedio cui è sottoposta, non introitata in nuovo sistema isolante. 

    3.2 Fondere innovazione e continuità per la giurisdizione di merito: l’impiego delle sezioni specializzate imprese quali giudici di appello

    Per evitare quindi che sia la Corte di Cassazione a dover troppo spesso (come richiama il Pres. Pietro Curzio) “mettere giustizia” dove altri invece hanno fallito, bisogna intervenire sulle fasi ad essa precedenti e dunque soprattutto e prioritariamente ed in profondità sul fondamentale giudizio di secondo grado. Questo è il Kernpunkt da mettere a fuoco ben di più.

    Il secondo grado del giudizio tributario è infatti secondo me, e spero di non rimanere a lungo in ciò isolato, il cardine su cui farà congruamente leva l’intero disegno riformatore.

    Per farlo è necessario, semplicemente, riconoscere la competenza a decidere in materia tributaria ad una - e per fortuna in gran parte esiste già, con una storia breve ma di successo e quindi con un sentimento innervante - sezione collegiale specializzata presso l’Autorità giudiziaria ordinaria, coerente ed omogenea in relazione all’epilogo disegnato dall’art. 111 Cost. Dunque, non una sezione speciale, di nuova costituzione e in quanto tale difficile da realizzare in tempi brevi. Basterebbe invece investire di tale funzione di giudice d’appello tributario la Sezione specializzata Imprese, già dotata del giusto know how in materia societaria e commerciale in genere, al cui interno c’è senza dubbio forte capacità di approfondimento specialistico e che potrebbe essa stessa trarre giovamento da tale nuova attribuzione di una materia comunque affine, per molti versi, al mondo giuridico dell’impresa, per diventare una realtà competitiva sul piano europeo e il retroterra ideale, ed addirittura rinvigorente e talora compensativo, rispetto alla stessa Cassazione. La premessa per una nomofilachia tributaria maggiormente partecipativa, vicina inoltre sempre al mondo del fare impresa e più latamente della produzione di ricchezza in senso ampio.

    Peraltro, già oggi la competenza delle sezioni specializzate si estende alle cause ed ai procedimenti che presentano ragioni di connessione con le materie assegnate alla cognizione del Tribunale delle Imprese, così come specificate all'art. 3, comma 1 e 2, del D.lgs. 27 giugno 2003, n. 168. La soluzione qui avanzata, pertanto, non rischia di snaturare, anche se certo farà progredire ed allargare, il ruolo dell’attuale Tribunale delle Imprese il quale, come visto, ha già una forte vocazione di approfondimento specialistico basato anche sulle eventuali interconnessioni con la materia trattata. E non v’è dubbio che quello tributario sia un fenomeno che si lega fortemente, e spesso si pone perfino a valle, rispetto alle questioni giuridiche precedentemente trattate e risolte.

    Com’è noto, l'art. 2 del D. Lgs. 27 giugno 2003, n. 168, così come sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. b), del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, stabilisce che i Giudici che compongono le sezioni specializzate imprese debbano essere scelti tra i magistrati dotati di specifiche competenze, con conseguente affermazione di un alto livello di specializzazione, qualità quanto mai necessaria anche in materia tributaria. Con la competenza delle sezioni imprese, ovviamente potenziate nella loro struttura – pur sempre già esistente e non da organizzare da zero, al pari di quello che un tempo dicevasi spirito di corpo – sarà possibile conseguire quell’incremento qualitativo, deciso ed omogeneo rispetto al terzo grado, necessario alle decisioni in materia tributaria per evitare che confluiscano quasi tutte, indistintamente, direttamente in Cassazione ove dei loro indirizzi si terrà ben poco conto, con largo e peculiarissimo utilizzo, ad evitare troppi rinvii in un contesto disomogeneo, della cassazione sostitutiva di merito ex art. 384 c.p.c.. Insomma, o cambia il senso del secondo grado (mia proposta) o cambia quello del giudizio di cassazione (proposta cara a molti cari e sapienti amici, che mi rimproverano invero non da oggi la massima di vita culturale: Amicus Plato - nulla di meno, con il viso michelangiolesco - sed…).

    In altri termini, la magis Amica percepita come odierna Verità applicativa e di indirizzo ci induce a fare riflettere ognuno sul come soluzioni di tal guisa renderebbero il secondo grado di giudizio tributario  ben di più di quell’agognato filtro necessario a ridurre un indiscriminato abbruttente confluire di tutte le controversie dal primo grado fino alla Cassazione, iter che a quel punto acquisirebbe di fatto la conformazione di un imbuto con incedere qualitativo che via via si restringe nel percorso che conduce le liti dalle conciliazioni al primo giudizio e poi se del caso ad un appello anticipatorio e funzionale rispetto all’ultimo grado di giudizio, ma debitamente attento al fatto, ed in special modo al fatto economico, complesso.

    In aggiunta, attribuire la competenza di giudice d’appello tributario ad una sezione dell’autorità giudiziaria ordinaria rappresenta, anche figuratamente, quel percorso che incanala la lite tributaria da un processo inizialmente celebrato nelle riformande e decentrate Commissioni Tributarie tout court, a poco a poco, verso una vera specializzazione non settoriale.

    La soluzione qui prospettata avrebbe considerevoli conseguenze positive.

    Innanzitutto, una volta raggiunto l’adeguato standard qualitativo necessario nel giudizio e avendo già proceduto ad un radicale, ma pur sempre possibile, restyling della giustizia tributaria in secondo grado, non sarebbe più nemmeno così tanto necessario rivoluzionare il primo grado di giudizio. Lo si potrebbe lasciare, in sostanza al part time, salvo ovviamente dei correttivi sulla selezione dei giudici di maggior valore ed esperienza ritraibili dal vecchio secondo grado, i quali, a questo punto, potrebbero ben rimanere ad impiego “a scavalco” ma ben collaudati.

    Peraltro, questa conformazione ben si coniuga con un ruolo che deve essere finanche rafforzato per altri versi in capo al giudice di primo grado che è quello di conciliazione e di poter formulare una proposta transattiva. Con il dichiarato intento deflattivo di ridurre ulteriormente le cause che proseguono fino al secondo grado, dopo aver già posto l’argine suddetto al loro indistinto approdo in Cassazione.

    Dall’attribuzione della competenza di giudice d’appello alla sezione imprese, poi, deriverebbe la possibilità di riorganizzare e rinvigorire le Commissioni Tributarie Provinciali, sfruttando le migliori energie e risorse liberate delle vecchie Commissioni Tributarie Regionali. E ancora, anche l’organo di autogoverno dei magistrati tributari, il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, avendo ridotto l’area della sua competenza, potrebbe rivolgere il proprio lavoro e tutta l’attenzione necessaria alle sole CTP.

    Un’ultima necessaria considerazione, ex multis but not least.

    Il nuovo ruolo della Sezione imprese come giudice d’appello tributario non risponde solo ad esigenze di mera riorganizzazione materiale e logistica della macchina della giustizia.

    In realtà, la principale motivazione di questa opzione è determinata da una forte concezione teorica e giuridica che riguarda il processo tributario.

    A differenza di com’è magari nato nella sua fase speciale semigiurisdizionale, e anche di come s’è sviluppato nel tempo pur dopo il fatidico 1972, il giudizio tributario non può più da gran tempo essere inteso come un mero giudizio caducatorio puro e semplice in cui il giudice tributario è chiamato solo a decidere se annullare o se non annullare un atto impugnato[6].

    La consapevolezza – e aggiungerei, il recente interesse che tale questione continua a destare[7] – che trattasi piuttosto di un giudizio di tipo particolare poiché in sintesi costitutivo-sostitutivo discende soprattutto dalla giurisprudenza, saggia e quanto mai condivisibile, della Suprema Corte che ormai non ha più dubbi al riguardo[8].

    La scelta di avvicinare sempre più la giustizia tributaria all’archetipo non tanto della giustizia civile ma di quella Ordinaria, alle sue regole e, come si auspica in queste pagine, anche alle sue strutture sia oggettuali sia organiche, varrà ad emancipare il processo tributario dalla concezione che se ne aveva di semplice giudizio d’annullamento, la quale è ormai superata anche in relazione al giudizio amministrativo, ormai disancorato dalla figura degli interessi solo oppositivi. E di riconoscergli quella di giudizio volto alla fissazione del dovuto nell’ambito di un complesso rapporto giuridico tributario che in esso è riflesso attraverso lo spettro selettivo delle causae petendi del ricorso del contribuente[9].

    Anche in questa prospettiva, la funzione di giudice d’appello alla sezione specializzata presso l’A.g.o. garantirà un’uniformità di giudizio tra quelli di primo grado, magari ancora fermi ad una visione obsoleta e superata di mero annullamento, e la risposta che il ricorrente vedrà darsi in Cassazione, dove si è ben consci, a ragione, della natura anche sostitutiva del processo tributario, pur nella insostenibilità anche in sede giudiziale degli stilemi antichi della obbligazione tributaria[10].

     

    [1] Relazione Finale – Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria – Ministero dell’economia e delle finanze e Ministero della Giustizia, 30 giugno 2021, p. 16.

    [2] Si veda sul punto l’interessante contributo di L. SALVATO, Verso la riforma del processo tributario: il “rinvio pregiudiziale” ed il ricorso del P.G. nell’interesse della legge, in Giustizia insieme, 2021, (https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-tributario/1867-verso-la-riforma-del-processo-tributario-il-rinvio-pregiudiziale-ed-il-ricorso-del-p-g-nell-interesse-della-legge), dove l’A. osserva i presupposti di tale intervento, ossia che “la durata dei giudizi e la loro stessa proliferazione, anche con riguardo al numero delle impugnazioni, è prodotta anche dalle incertezze causate da una normativa alluvionale, spesso non razionalmente inserita in un ordinamento oramai privo di organicità, di non facile ricostruzione (in particolare, nella materia tributaria), alla base di interpretazioni divergenti e di orientamenti contrastanti, soprattutto in mancanza di pronunce della Corte di cassazione. Garantire il tempestivo intervento nomofilattico della Corte di legittimità potrebbe contribuire ad ovviare a detto inconveniente”.

    [3] Per questa ed altre serrate critiche al rinvio pregiudiziale proposto dalla Commissione si vd. C. GLENDI, Riforma della giustizia tributaria: così non va!, IPSOA, 2021 (https://www.ipsoa.it/documents/fisco/contenzioso-tributario/quotidiano/2021/07/17/riforma-giustizia-tributaria-non-va). Per l’A. tale rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione produrrebbe soltanto un traumatico allontanamento per le parti dal proprio giudice naturale di merito.

    [4] Si veda quanto proposto da C. GLENDI, La “speciale” specialità della giurisdizione tributaria, 2021, 423 dove si auspica un forte intervento, assai innovatore, sulla sezione tributaria della S.C. “onde meglio rimarcarne la relativa maggiore autonomia intersezionale, disegnandone, quindi, la ristrutturazione compositiva con la predeterminazione normativa di un numero fisso e stabile di membri, dislocati in cinque o sei sezioni, ognuna delle quali dotata di proprio presidente, con scelte di carica tutte rigorosamente improntate a criteri di capacità organizzativa e di conoscenza della materia, ratione competentiae, insomma, con la previsione altresì, sempre legislativamente regolata, di un’adunanza plenaria supersezionale, formata da tutti i presidenti delle sottosezioni o da un loro componente all’uopo formalmente delegato (per i soli casi di oggettiva impossibilità di presenza da parte del presidente titolare), quale focus istituzionale stabilmente incardinato, con al vertice lo stesso presidente della Sezione tributaria, per la responsabile formazione di una costantemente monitorata, comunque aggiornata e accurata nomofilachia tributaria di alto livello, riservata, invece, pur sempre alle Sezioni Unite, così come ora esistenti, magari meglio funzionalmente disciplinate, ogni decisione sui conflitti intergiurisdizionali. Con l’aggiunta, infine, di una pur contenuta semplificazione unificata del rito per la trattazione e la decisione delle controversie tributarie, tenuto conto della loro serialità e specificità pure sul piano formale”.

    [5] Per una condivisibile panoramica delle ragioni di tale stallo e, più in generale, dei più rilevanti problemi che affliggono la giustizia tributaria si vd. A. MARCHESELLI, Aspettando Godot. Note minime e minoritarie a margine della proposta di riforma della Giustizia tributaria, in Giustizia insieme (https://www.giustiziainsieme.it).

    [6] Il riferimento è alla teoria cd. costitutiva, per lungo tempo seguita e condivisa ma invero da qualche anno, pare, passata in secondo piano a fronte della sempre crescente complessità del fenomeno fiscale, Cfr. C. GLENDI, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984; F. TESAURO, Manuale del processo tributario, Torino, 2009; M. BASILAVECCHIA, Funzione impositiva e forme di tutela. Lezioni sul processo tributario, Torino, 2018; ID., Giudice tributario e atto impositivo in Rivista trimestrale di diritto tributario, 2012, fascicolo 4, 1067 ss.

    [7] Cfr. il più recente contributo in materia di oggetto e natura del processo tributario di M. AGOSTINELLI, La duplice natura costitutiva del processo tributario, in Giurisprudenza Italiana, 2021, 5, 1091 e ss., dove il giovane Autore riaffaccia una soluzione di evoluzione tra le contrapposte tesi dottrinali nella quale risalta la funzione non solo costitutiva d’annullamento della sentenza tributaria, ma soprattutto quella costitutivo-sostitutiva del singolo capo decisorio specie estimativo del dovuto, oggetto della cognizione giudiziale come delineato dalle stringenti causae petendi del ricorso del contribuente.

    [8] Si vd. a commento di Cass. Civ., Sez. Un., 16 giugno 2006, n. 13916, E. MANZON, I limiti oggettivi del giudicato tributario nell’ottica del «giusto processo»: lo swing-over della Cassazione, in Corriere Giuridico, 12, 2016, 1701 e ss., il quale A., peraltro giudice estensore della stessa pronuncia, afferma nella nota 32 a p. 1706: “la sentenza è ampiamente “debitrice” delle tesi di Russo e di Fransoni sul giudicato tributario sostanziale. Appare peraltro a tal fine preferibile la costruzione teorica della fattispecie tributaria ricavabile dalla “fusione” tra gli approdi teorici della c.d. “scuola romana” e le recenti riflessioni di C. Consolo (Cfr. Fantozzi, Diritto tributario, cit., 198-199; Consolo, Processo ed accertamento, cit., 1045; Consolo-D’Ascola, Giudicato tributario, cit., 473, 483-483). È infatti più chiaramente percepibile e contornata l’idea che, strutturalmente e funzionalmente, il tributo consista in un “rapporto giuridico pubblicistico di contribuzione”, anche “complesso” e “di durata”, c.d. “rapporto di cornice”, che deriva direttamente dal presupposto (fatto-indice della capacità contributiva), quale normativamente configurato; che poi si concretizza secondo i relativi moduli attuativi pure normativamente predeterminati, secondo uno schema “a gradini” (eventuali, nel modulo ormai generalizzato della c.d. “autotassazione”: dichiarazione «accertamento «sentenza). Talché ogni “gradino” (sentenza compresa) è, nel procedimento attuativo standard (per intendersi, quello delle imposte reddituali e dell’IVA), pur eventualmente, collegato a quello successivo, ma tutti sono “pregiudizialmente dipendenti” dal “rapporto di cornice”. I cui elementi di base dunque, ove non mutino, se rientrano nell’area oggettiva di un giudicato, non possono essere ridiscussi”.

    [9] Per un’ampia analisi non solo del profilo processuale tributario ma anche delle vicende sostanziali si rinvia a C. CONSOLO, Appendice giuridico-sistematica su natura e oggetto del processo tributario (in generale e nella nuova disciplina dell'abuso del diritto), in Abuso del diritto e novità sul processo tributario, a cura di GLENDI – CONSOLO - CONTRINO, 2016, Milano, 323 ss.; CONSOLO, Della inammissibilità di una integrazione o rettifica della motivazione dell’accertamento in sede giudiziale e dei correlati limiti ai poteri istruttori del giudice tributario, in Rassegna tributaria, 1986, vol. I, 135 e successivamente pubblicato in CONSOLO, Dal contenzioso al processo tributario, Studi e casi, 1992, Milano; CONSOLO, Limiti alla rinnovazione della imposizione dopo e alla stregua del giudicato di annullamento del primo avviso di accertamento. (Un soffio di aria nuova nella giurisprudenza sull' oggetto del processo tributario), in Dal contenzioso al processo tributario, cit., 223 e ss..

    [10] Come ormai emerso da anni in dottrina, sull’inadeguatezza della figura di una monolitica obbligazione tributaria, per una ricostruzione delle diverse posizioni si v. F. PAPARELLA, Le situazioni giuridiche soggettive e le loro vicende in A. FANTOZZI (a cura di), Diritto Tributario, Torino, 2012, 478 e ss.: “la questione principale e più discussa attiene alla possibilità di riferirsi ad un’unica situazione soggettiva passiva di fondo, relativa al presupposto, quale modello di riferimento a cui correlare la pluralità di fattispecie della riscossione e del rimborso”.

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