GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Ampliamento della giurisdizione oggettiva e nuovi limiti del giudicato dopo la sentenza della Corte di Giustizia UE del 17 maggio 2022 (cause riunite C-693/19 e C-831/19)

    Ampliamento della giurisdizione oggettiva e nuovi limiti del giudicato dopo la sentenza della Corte di Giustizia UE del 17 maggio 2022 (cause riunite C-693/19 e C-831/19)

    di Paolo Spaziani 

    Sommario: 1. La sentenza della Corte di Giustizia UE del 17 maggio 2022 (cause riunite C-693/19 e C-831/19) e la vis expansiva dei dicta in essa contenuti. - 2. L’attuazione futura della pronuncia della Corte di Giustizia UE e i riflessi sulla natura e la disciplina dell’azione dichiarativa delle nullità di protezione. - 3. Le modalità di attuazione delle statuizioni della Corte di Giustizia UE alle procedure pendenti fondate su titoli esecutivi definitivi non contenenti l’esame espresso della questione della nullità. - 4. Sul rilievo costituzionale del giudicato. - 5. Dicta europei, fondamento del giudicato e distonia sistematica del giudicato c.d. implicito. - 6. Limiti oggettivi del giudicato, pregiudizialità logica espressa e l’esercizio dell’azione di nullità contrattuale di protezione come modalità di attuazione del diritto europeo.

    1. La sentenza della Corte di Giustizia UE del 17 maggio 2022 (cause riunite C-693/19 e C-831/19) e la vis espansiva dei dicta in essa contenuti.

    La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 17 maggio 2022 (cause riunite C-693/19 e C-831/19), emessa insieme ad altre pronunce sul medesimo tema della speciale protezione attribuita ai consumatori dal diritto dell’Unione,  ha stabilito, tra l’altro, che l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, ostano ad una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa - per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità - successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole.

    Al par. 65 della motivazione, questa sentenza rileva che «una normativa nazionale secondo la quale un esame d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali si considera avvenuto e coperto dall’autorità di cosa giudicata anche in assenza di qualsiasi motivazione in tal senso contenuta in un atto quale un decreto ingiuntivo può, tenuto conto della natura e dell’importanza dell’interesse pubblico sotteso alla tutela che la direttiva 93/13 conferisce ai consumatori, privare del suo contenuto l’obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali».

    L’esigenza di effettività della tutela del consumatore, realizzata dal diritto comunitario, avuto riguardo all’interesse superindividuale oggetto di tale protezione, implica l’attribuzione al giudice nazionale, non solo del potere, ma anche del dovere di esaminare, pure in difetto di domanda di parte, l’eventuale carattere abusivo della clausola contrattuale; e questo dovere può ritenersi adempiuto solo se nel provvedimento giurisdizionale è contenuta specifica motivazione al riguardo.

    La lettura di questo paragrafo della motivazione consente di intuire la vis expansiva dei dicta contenuti in questa e nelle altre pronunce del giudice comunitario: la questione non involge soltanto la disciplina del consumatore ma tutte le norme imperative poste a tutela della libertà negoziale delle partes debiliores e, dunque, tutte le nullità di protezione; inoltre, la portata dei principi affermati dalla Corte di Giustizia non è circoscritta al decreto ingiuntivo non opposto ma si estende a qualsiasi titolo esecutivo giudiziale passato in giudicato, in primo luogo alla sentenza, con riguardo alle statuizioni inespresse in esso implicitamente contenute che si pongono in rapporto di pregiudizialità rispetto alla statuizione principale resa sul diritto azionato in giudizio.

    Lasciando da parte ogni considerazione sulle implicazioni delle pronunce del giudice europeo in ordine alla natura e ai caratteri sostanziali della disciplina sovranazionale di tutela del consumatore, sotto il profilo strettamente processuale il riferimento al dovere del giudice evoca la necessità di ritenere, se non del tutto disapplicati, almeno recessivi, in subiecta materia, i noti principi che regolano l’ordinario procedimento di cognizione, quali l’impulso di parte e il principio dispositivo in senso materiale, nonché, verosimilmente, per conseguenza, anche il principio dispositivo in senso formale. Per altro verso, l’evidenziazione che le norme imperative violate a danno del consumatore tendono alla tutela (anche) di un interesse pubblico, induce a ritenere che la domanda sia strumentale all’accertamento di un diritto indisponibile o, se si vuole, non pienamente disponibile, in quanto compromesso con un interesse generale: il che, implica, anche sotto questo profilo, un necessario inquinamento officioso ed inquisitorio del relativo procedimento. Infine, la necessità della motivazione espressa postula che sulla questione dell’abusività della clausola venga debitamente suscitato il contraddittorio: ciò che, per la verità, lungi dall’apparire destabilizzante, sembra del tutto connaturato al nostro sistema, atteso che l’obbligo del giudice di motivare l’accoglimento o il rigetto della domanda è sempre stato previsto nella nostra Costituzione (art. 111, già secondo comma, ora sesto) mentre quello di suscitare il contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio (cui segue, evidentemente, il dovere di motivazione esplicita) è stato introdotto ormai da diversi anni nel nostro codice di procedura civile (art.101, secondo comma, c.p.c., aggiunto dalla legge n. 69 del 2009), colmando un vulnus al diritto di difesa cui già la giurisprudenza aveva cercato di porre rimedio (cfr., già, Cass. 21 novembre 2001, n. 14637).

    2. L’attuazione futura della pronuncia della Corte di Giustizia UE e i riflessi sulla natura e la disciplina dell’azione dichiarativa delle nullità di protezione.

    In prospettiva futura, l’esigenza di attuare i dicta della Corte di Giustizia comporta la necessità di riconsiderare, sotto il profilo processuale, la natura e la disciplina dell’azione dichiarativa della nullità contrattuale, con specifico riferimento alle nullità di protezione, derivanti dalla violazione di norme finalizzate alla tutela di un interesse superindividuale.

    Sul piano sistematico, l’operazione non dovrebbe essere particolarmente dolorosa poiché la nostra dottrina classica ha, già da epoca ormai risalente, denunciato l’esistenza, nel nostro ordinamento, di una categoria di processi in cui l’accertamento giudiziale non ha per oggetto (soltanto) il diritto soggettivo della parte, ma il dovere del giudice di provvedere al verificarsi di specifiche fattispecie previste dalla legge.

    Si tratta di quei processi che Enrico Allorio denominò processi a contenuto oggettivo, ponendo in evidenza come essi non tendono alla tutela di una situazione soggettiva privata, ma piuttosto alla realizzazione di un interesse superiore e indisponibile, contrapponendosi così ai processi vertenti su diritti o stati personali (E. Allorio, L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giudiziale, in Problemi di diritto, I, Milano, 1957, 116 ss.).

    Nell’ambito di questa categoria di procedimenti sono stati di volta in volta ricondotti processi eterogenei (quello di interdizione, diretto ad attuare l’interesse pubblico alla protezione dell’incapace: Vignolo, Principio inquisitorio e impulso d’ufficio nel procedimento di interdizione, in Riv. dir. civ., 1975, I,  339, 341; la querela di falso, diretta ad attuare l’interesse pubblico all’eliminazione dal commercio giuridico dei documenti falsi: V. Denti, Querela di falso, NDI, 1967, 658 ss.; la dichiarazione di assenza e morte presunta, tendente ad attuare l’interesse pubblico alla conservazione e chiarificazione dei rapporti giuridici: F. Carpi, L’efficacia ultra partes della sentenza civile, Milano, 1974, 63 ss.; la dichiarazione di adottabilità, tendente ad attuare l’interesse pubblico a fornire una famiglia sostitutiva al minore abbandonato: C.M.Bianca, Diritto civile, II, La famiglia - Le successioni, Milano, 1989, 312; il processo fallimento, diretto ad attuare l’interesse pubblico alla liquidazione delle imprese in crisi: G.A. Micheli,  Il processo di fallimento nel quadro della tutela giurisdizionale dei diritti, in Riv. dir. civ., 1961, I, 6), nei quali, tuttavia, la presenza di un interesse superiore, alla cui realizzazione è funzionale la pronuncia del giudice, implica la comune operatività, pur in vario modo, del principio dell’impulso d’ufficio, del principio inquisitorio in senso materiale e del principio inquisitorio in senso formale.

    La dottrina che ha approfondito lo studio di questi processi (F. Tommaseo, I processi a contenuto oggettivo, in Riv. dir. civ., 1988, I, 495 ss., 695 ss.) ha rilevato come, mentre l’assunzione del carattere officioso si traduce in modalità differenti di impulso processuale (dal mero allargamento della categoria dei legittimati, all’attribuzione del diritto di azione al pubblico ministero, sino alla configurazione - in casi limite, ormai quasi del tutto superati - di modelli di processo officioso puro), invero la tendenziale disapplicazione del criterio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (in favore del principio inquisitorio materiale) e del criterio della disponibilità delle prove (in favore del principio inquisitorio formale) si traduce in un effetto comunemente riscontrabile di tendenziale sottrazione alle parti sia della disponibilità dell’oggetto del processo sia della disponibilità della tutela giurisdizionale.

    Tenendo conto della esistenza, nel nostro sistema processuale, di questa peculiare categoria di procedimenti e dell’altrettanto peculiare loro disciplina, è lecito chiedersi, alla luce delle sentenze del giudice dell’Unione Europea - che costituiscono fonti del diritto europeo, direttamente applicabile nell’ordinamento interno -  se nell’ambito di essa possa essere ricondotta l’azione finalizzata alla declaratoria delle nullità contrattuali di protezione.

    La questione non è nuova poiché la dottrina si è già domandata se i giudizi per la dichiarazione di nullità del contratto (e anche del matrimonio) costituiscano espressione di giurisdizione oggettiva.

    Sulla tesi positiva - che trovava conforto nel dato normativo che non limita alla parte la legittimazione all’impugnativa, ma la estende a tutti coloro che vi abbiano interesse (art.117 c.c.; art.1421 c.c.); e che da tale dato traeva l’implicazione che il provvedimento giudiziale dichiarativo della nullità non è invocato a tutela del diritto di un singolo, ma per la realizzazione di un interesse pubblicistico, consistente nell’attuazione dell’ordinamento (F. Carpi, cit., 68 ss.) - è prevalsa la tesi negativa, fondata sul rilievo che l’allargamento della sfera dei legittimati non tocca la natura di processi su diritti che deve pur sempre riconoscersi ai giudizi di nullità del matrimonio e del contratto, atteso che chi esercita l’azione di nullità chiede al giudice una sentenza di accertamento, che dichiari l’insussistenza dei diritti che troverebbero la loro fonte nel negozio ritenuto nullo (F. Tommaseo, cit., 509).

    Questa tesi potrebbe, peraltro, essere rimeditata alla luce della disciplina eurounitaria, con specifico riferimento al giudizio dichiarativo delle nullità di protezione, in cui al diritto soggettivo della parte si affianca (e probabilmente si sovrappone, divenendo l’interesse protetto in via preminente dal procedimento) un interesse generale di carattere superindividuale.

    D’altra parte, per un verso, la riconducibilità del giudizio di nullità contrattuale di protezione alla giurisdizione oggettiva non contrasta con la (ma anzi potrebbe trovare specifica conferma nella) monumentale ricostruzione della disciplina sostanziale di tale istituto, operata nelle storiche pronunce delle Sezioni Unite della Suprema Corte di cassazione (Cass., Sez. Un., 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243); per altro verso, la vis expansiva di tale categoria della giurisdizione, in funzione delle esigenze di tutela di interessi superindividuali che possono assumere rilevanza nel contesto sociale, è stata autorevolmente rimarcata dalla nostra dottrina classica (L. Montesano, Sull’efficacia, sulla revoca e sui sindacati contenziosi dei provvedimenti non contenziosi dei giudici civili, in Riv. dir. civ., 1986, I, 596).

    Ove si avesse riguardo al carattere oggettivo del procedimento vertente alla dichiarazione delle nullità negoziali di protezione, dovrebbe dunque ritenersi che la relativa questione possa essere sollevata (anche, doverosamente, d’ufficio) nel processo, tutte le volte in cui, pur non costituendo oggetto diretto della domanda, assuma tuttavia rilevanza pregiudiziale, in funzione della statuizione sul diritto azionato.

    Oltre che nei casi di pregiudizialità, la questione della nullità della clausola negoziale, potrebbe/dovrebbe essere sollevata anche nelle ulteriori ipotesi di connessione oggettiva con la domanda principale proposta, pur in difetto dei presupposti di volta in volta richiesti (ad es. dagli artt. 35 e 36 c.p.c.) e salve le implicazioni che il rilievo della questione possa avere in ordine alla modificazione della competenza del giudice.

    Deve invece escludersi che il giudice possa/debba sollevare la questione persino nei casi in cui essa presenti, rispetto alla domanda principale, una connessione meramente soggettiva, per essere la controversia vertente su un diverso rapporto giuridico intercorrente tra le stesse parti. L’esigenza di tutela dell’interesse pubblico alla protezione della pars debilior, infatti, si traduce nella limitazione della disponibilità dell’oggetto del processo e della tutela giurisdizionale, ma non esige - né consente - l’integrale sostituzione del giudice alla parte che resti inerte nell’esercizio dei suoi diritti soggettivi. In tale prospettiva, la stessa Corte UE rimarca (par. 58 della motivazione della sentenza resa nelle cause riunite C-693/19 e C-831/19) che la tutela del consumatore non è assoluta e non può essere somministrata dal giudice in spregio ai principi fondamentali del sistema processuale.

    In tutti i casi in cui sussiste il potere-dovere del giudice di esaminare la questione di nullità, la statuizione su di essa deve essere espressamente motivata, in quanto, attraverso la motivazione, il giudice rende conto dei risultati del contraddittorio che necessariamente deve essere suscitato sulla questione di rilievo superindividuale.

    Ove, però, la questione della validità del rapporto contrattuale non venga evocata da alcuna delle parti e il giudice ometta di procedere ad un esame d’ufficio dell’eventuale nullità della clausola, non si determina alcuna invalidità dell’accertamento condotto sul diritto azionato in giudizio.

    Ciò, anche nell’ipotesi in cui la connessione tra la questione della nullità e la domanda formulata in giudizio si qualifichi come connessione per pregiudizialità.

    In tal caso, questo accertamento, implicitamente compiuto, resterà un mero accertamento incidentale, senza l’idoneità a passare in giudicato.

    3. Le modalità di attuazione delle statuizioni della Corte di Giustizia UE alle procedure pendenti fondate su titoli esecutivi definitivi non contenenti l’esame espresso della questione della nullità.

    I dicta della Corte di Giustizia non valgono solo per il futuro ma anche per il passato, giacché il dovere di esaminare d’ufficio la questione della validità o invalidità del contratto, non già precedentemente esaminata, si pone in capo al giudice anche in pendenza del processo esecutivo, iniziato sulla base di un titolo che ha accertato, con efficacia di giudicato, un diritto che trova fondamento nel rapporto contrattuale e che, pertanto, ne presuppone necessariamente l’esistenza e la validità, da reputarsi a sua volta pregiudizialmente, ancorché implicitamente, accertata con il medesimo provvedimento divenuto cosa giudicata.

    Sotto questo specifico profilo, le statuizioni del giudice comunitario sembrerebbero avere una portata dirompente, poiché, nel momento in cui pongono la necessità di condurre l’espresso esame, nel rispetto del contraddittorio e dell’obbligo di motivazione, anche di questioni che sono state già, sia pur implicitamente, risolte, sembrerebbero non tenere conto del fatto che quell’accertamento è ormai incontrovertibile, per avere acquisito l’autorità di cosa giudicata.

    Potrebbe dunque maturarsi l’opinione che i dicta del giudice europeo, mentre, da un lato, attribuiscono una tutela eccessiva al diritto di difesa della pars debilior (riconoscendole il diritto ad un contraddittorio tardivo su una questione che avrebbe potuto sollevare precedentemente, durante il processo di cognizione finalizzato alla formazione del titolo esecutivo), dall’altro lato, recano un vulnus al diritto difesa dell’altra parte, la quale perderebbe il bene della vita acquisito attraverso il medesimo procedimento di cognizione, costituito dall’incontrovertibilità dell’accertamento giurisdizionale del suo diritto.

    4. Sul rilievo costituzionale del giudicato.

    La premessa logica necessaria di tale opinione sta nel ritenere che l’istituto del giudicato trovi fondamento, non già esclusivamente nelle norme del codice civile (art.2909 c.c.) e del codice di procedura civile (art.324 c.p.c.), bensì, al pari del contraddittorio, nella norma costituzionale che riconosce la difesa come diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento (art.24, secondo comma, Cost.).

    In questa prospettiva, dunque, si potrebbe persino pensare che i dicta della Corte di Giustizia, nel vulnerare il giudicato, finiscano per porsi in contrasto con un istituto che costituisce espressione dei principi costituzionali fondamentali e delle norme costituzionali che tutelano i diritti inviolabili della persona, i quali non solo non recedono dinanzi alla c.d. preminenza del diritto sovranazionale - ivi compreso quello eurounitario - ma operano invece come controlimiti all’ingresso delle norme dell’Unione Europea, legittimando il giudice nazionale a sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma di autorizzazione alla ratifica e di esecuzione dei Trattati, per la sola parte in cui essa consente l’ingresso di regole sovranazionali incompatibili con gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale.

    In contrario, può, peraltro, osservarsi che la qualificazione della cosa giudicata quale espressione del diritto costituzionale di difesa non trova conferma né nelle teorizzazioni dottrinali dell’istituto né nelle, ormai definitive (e per vero anche piuttosto risalenti), acquisizioni della giurisprudenza costituzionale.

    Sia le une che le altre, infatti, in contrasto con una autorevole ma risalente tesi (E. Allorio, Saggio polemico sulla «giurisdizione» volontaria, in Trim., 1948, 487 ss.), tendono ad escludere il giudicato dai requisiti essenziali qualificanti l’attività giurisdizionale, sul rilievo che provvedimenti di schietta giurisdizione contenziosa, destinati ad incidere su diritti soggettivi, possono essere legittimamente assunti anche nell’ambito del procedimento camerale di cui agli artt. 737-742 bis c.p.c., sempre che vengano rispettate le garanzie fondamentali della difesa e del contraddittorio, stante, in ogni caso, la possibilità di proporre ricorso straordinario per cassazione (art.111, settimo comma, Cost.) contro tutti i provvedimenti decisori e definitivi  (in tal senso, cfr., già, F. Cipriani, Procedimento camerale e diritto alla difesa, in Riv. dir. proc., 1974, 195, e V. Colesanti, Principio del contraddittorio e procedimenti speciali, in Riv. dir. proc., 1975, 585; v., inoltre, Corte Cost. 10 luglio 1975 n.202 e Cass., Sez. Un., 9 aprile 1984 n.2255).

    Oltre a ribadire che l’idoneità al giudicato non rappresenta un carattere indefettibile del provvedimento giurisdizionale (in tal senso, già G. Chiovenda, Principi di diritto processuale civile, Napoli, 1923, 759, secondo cui «dal concetto dell’ufficio del giudice deriva necessariamente soltanto che la sentenza debba potersi mandare ad esecuzione, ma non che debba tenersi in futuro come norma immutabile del caso deciso»), la dottrina ha anche precisato che «da nessun precetto costituzionale discende come attributo dell’esercizio della funzione giurisdizionale la immutabilità degli effetti delle decisioni giudiziali, come è delineata dall’art.2909 c.c.» (così V. Denti, La giurisdizione volontaria rivisitata, in Trim., 1987, 326); il che risulta evidente se si pensa che la nostra Costituzione prescrive bensì che la funzione giurisdizionale venga esercitata da organi imparziali e indipendenti (artt.101, secondo comma; 104, primo comma; 106, primo comma; 107,  primo comma; 108, secondo comma), che venga garantito l’esercizio del diritto di difesa (art.24, secondo comma) e che i provvedimenti giurisdizionali siano adeguatamente motivati (art.111, sesto comma); ma non prevede affatto che essi debbano necessariamente assumere l’incontrovertibilità propria della cosa giudicata.

    5. Dicta europei, fondamento del giudicato e distonia sistematica del giudicato c.d. implicito.

    A prescindere dalla sussistenza o meno di una “copertura” costituzionale dell’istituto del giudicato, sembrerebbe, poi, comunque eccessiva la tesi volta a ritenere che tale istituto sarebbe stato messo in sofferenza, o addirittura posto nel nulla, dalle pronunce della Corte di Giustizia.

    Queste pronunce, infatti, non ripudiano affatto il concetto del giudicato e la sua utilità, quale istituto che trova fondamento nell’esigenza di assicurare la certezza dei rapporti giuridici, ma richiamano l’attenzione sulla altrettanto rilevante esigenza che - per lo meno nelle ipotesi in cui il provvedimento giudiziale tende alla protezione (anche) di interessi superindividuali, oltre che alla tutela di diritti soggettivi privati - la formazione del giudicato postuli un accertamento espresso e motivato, maturato a seguito dell’esercizio, ad opera delle parti, del diritto fondamentale al contraddittorio (diritto, quest’ultimo, senz’altro di matrice costituzionale e, dunque, non comprimibile).

    L’esigenza, espressa dalle pronunce della Corte di Giustizia, che la formazione del giudicato nelle fattispecie di rilevanza pubblicistica, sia condizionata da un accertamento espresso e motivato, non contrasta con il fondamento tradizionale dell’istituto, il quale presuppone, sul piano sostanziale, in funzione dell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici (art.2909 c.c.), che non venga proposta più volte la stessa domanda (principio del ne bis in idem) e, sul piano formale, in funzione dell’esigenza che l’accertamento giudiziale sia il più possibile immune da errori (art.324 c.p.c.), che non vengano proposte domande diverse nei due gradi di giudizio (principio del doppio grado di giurisdizione).

    La postulazione dell’accertamento espresso e motivato, fondato sull’esperimento del contraddittorio, è perfettamente in linea con il richiamato duplice fondamento del giudicato, giacché, invece, il mero accertamento implicito nuoce sia alle esigenze di certezza che a quelle di correttezza della decisione.

    In tale prospettiva potrebbe ritenersi, per un verso, che il giudicato e il contraddittorio non vadano più riguardati come due istituti distinti, ma come un unico composito istituto, dal momento che la formazione del giudicato, almeno nelle decisioni di rilevanza superindividuale, presuppone il previo esperimento del contraddittorio; per altro verso,  che ciò che sembra contrastare con il sistema processuale, non è il dictum della Corte di Giustizia, ma il concetto stesso di giudicato implicito, quale prodotto di una decisione non assunta in contraddittorio.

    Del resto, ciò è stato già eloquentemente stigmatizzato da accorta dottrina, la quale ha lanciato la seguente provocazione: «se è fatto divieto al giudice di decidere in modo espresso una questione pure rilevabile ex officio, senza sottoporla prima al contraddittorio delle parti, come si può convenire sulla ammissibilità nella stessa identica situazione di una decisione implicita?» (così A. Panzarola, Contro il cosiddetto giudicato implicito, in Judicium, 2019, p.315).

    6. Limiti oggettivi del giudicato, pregiudizialità logica espressa e l’esercizio dell’azione di nullità contrattuale di protezione come modalità di attuazione del diritto europeo.

    L’attuazione dei dicta contenuti delle pronunce della Corte di Giustizia - che costituiscono, lo si ripete, norme di diritto europeo direttamente applicabili nell’ordinamento interno - determinando, con riguardo alle questioni di nullità di protezione, un restringimento del perimetro dei limiti oggettivi del giudicato, impone al giudice (pure in sede esecutiva) di rilevare anche officiosamente la nullità contrattuale e legittima la parte interessata a proporre la relativa azione se la questione non è stata espressamente esaminata, ma non a paralizzare l’esecuzione.

    Dovrebbe, infatti, escludersi che, nell’ipotesi di soluzione implicita della questione (quale si verifica soprattutto nel caso - che ha determinato la pronuncia del giudice europeo - in cui l’accertamento del diritto principale è stato effettuato con decreto ingiuntivo non opposto, ma può ricorrere anche nell’ambito di un accertamento effettuato con sentenza), la parte esecutata possa far valere l’eventuale nullità del contratto, donde è sorta la sua obbligazione, attraverso il rimedio dell’opposizione all’esecuzione di cui all’art.615 c.p.c.; così come, nel caso specifico del decreto ingiuntivo non opposto, dovrebbe escludersi la possibilità di esperire rimedi tardivi (ad es. quello di cui all’art.650 c.p.c.), quando non ne ricorrano gli specifici presupposti.

    Piuttosto, dovrebbe prendersi atto, da un lato, che al giudice dell’esecuzione è sottratta ogni ingerenza sul titolo giudiziale; dall’altro, che il decreto ingiuntivo non opposto messo in esecuzione (ma la considerazione vale anche per la sentenza non impugnata) è ormai passato in giudicato e non è aggredibile con gli ordinari mezzi di gravame.

    Peraltro, la disciplina generale della connessione per pregiudizialità prevede che le questioni pregiudiziali siano risolte in via meramente incidentale, in difetto di una disposizione di legge o di un’esplicita domanda di una delle parti dalle quali derivi la necessità di deciderle con efficacia di giudicato (art.34 c.p.c.).

    Di questa regola - la cui letterale osservanza comporterebbe un notevole restringimento del perimetro oggettivo del giudicato - è prevalsa nel diritto processuale vivente un’interpretazione restrittiva: la sua operatività viene infatti limitata alla c.d. pregiudizialità tecnica, escludendosene l’applicazione alla c.d. pregiudizialità logica, che ricorre allorché l’accertamento dell’esistenza, della validità e della natura di un rapporto giuridico costituisce il presupposto di un diritto (così, ad es., l’accertamento dell’illegittimità di un licenziamento e del conseguente diritto del lavoratore alla tutela reintegratoria o risarcitoria, presuppone l’accertamento dell’esistenza e del rapporto di lavoro subordinato; l’accertamento del diritto del locatore ad ottenere dal conduttore il pagamento di una o più mensilità del canone, presuppone l’accertamento dell’esistenza e della validità del rapporto di locazione).

    Ne discende che tutte le volte che per decidere sulla domanda avente ad oggetto l’accertamento di un diritto, venga risolta anche la questione logicamente pregiudiziale relativa all’esistenza, validità e natura giuridica del rapporto che ne costituisce il presupposto (c.d. nesso di pregiudizialità logica), il giudicato costituito dalla sentenza di accertamento del diritto si estende anche alla questione pregiudiziale, che non può più essere messa in discussione in successivi processi.

    L’attuazione dei dicta della Corte di giustizia impone una applicazione dell’art.34 c.p.c. più aderente al suo disposto testuale, rendendo necessaria, ai fini del passaggio in giudicato dell’accertamento della validità del contratto, allorché venga dedotta la violazione di una norma imperativa di protezione, l’espressa e motivata statuizione del giudice, previo esperimento del contraddittorio delle parti, eventualmente suscitato ex officio.

    Viene così ad enuclearsi, tra le due categorie della pregiudizialità tecnica (in cui la questione pregiudiziale è decisa incidenter tantum) e della pregiudizialità logica (in cui la questione pregiudiziale è decisa con efficacia di giudicato), una terza categoria di pregiudizialità: la pregiudizialità logica espressa. Essa appartiene, concettualmente, alla pregiudizialità logica, ma produce gli effetti della pregiudizialità tecnica se non viene suscitato il contraddittorio sulla questione.

    In altre parole, la questione di nullità, avente un rilievo pubblicistico e superindividuale, sarà decisa con efficacia di giudicato soltanto nel contraddittorio delle parti e con statuizione espressa e motivata; sarà, invece, decisa in via meramente incidentale, allorché la decisione sull’esistenza e validità del contratto sia implicitamente desumibile dall’accertamento del diritto azionato con la domanda principale.

    In tale ultima ipotesi, il titolo contenente l’accertamento del diritto potrà ugualmente essere messo in esecuzione, ma la parte interessata, pur esecutata - ed eventualmente proprio in seguito al rilievo del giudice dell’esecuzione - potrà esercitare autonomamente, dinanzi al giudice competente, l’azione di nullità contrattuale, quale azione di giurisdizione oggettiva destinata all’accertamento di una questione non coperta da giudicato.

    Se l’azione di nullità verrà esercitata in pendenza del processo esecutivo, esso sarà sospeso, ai sensi dell’art.623 c.p.c.; se invece l’esercizio dell’azione, in sé imprescrittibile, sopravverrà alla conclusione del procedimento esecutivo, residuerà, per la parte che ottenga la declaratoria di nullità, la sola tutela risarcitoria, restando da risolvere (particolarmente, ai fini della prescrizione) il problema se la responsabilità della controparte vada inquadrata nell’ambito della responsabilità contrattuale o - come classicamente si suole ritenere nell’ipotesi di stipulazione di contratto invalido - in quello della responsabilità extracontrattuale di tipo precontrattuale.

    In definitiva, in analogia con tutte le ipotesi in cui il titolo posto in esecuzione contiene accertamenti incidentali su connesse questioni tecnicamente pregiudiziali (si pensi, ad es., alla domanda di nullità del contratto, proposta dopo che è stato messo in esecuzione il titolo che ne dichiara la risoluzione: Cass. 5 dicembre 2002, n. 17313), l’attuazione dei dicta della Corte di Giustizia, anche nelle procedure esecutive pendenti in cui la questione del carattere abusivo delle clausole contrattuali non ha formato oggetto di espresso esame (questione legata alla domanda principale da un nesso di pregiudizialità logica espressa), si risolverà, non già nella paralisi dell’esecuzione, ma nella possibilità di introdurre una autonomo processo di cognizione, dinanzi al giudice ordinariamente competente, per la decisione di una questione non coperta da giudicato.

    User Rating: 5 / 5

    Please publish modules in offcanvas position.

    × Progressive Web App | Add to Homescreen

    To install this Web App in your iPhone/iPad press icon. Progressive Web App | Share Button And then Add to Home Screen.

    × Install Web App
    Mobile Phone
    Offline - No Internet Connection

    We use cookies on our website. Some of them are essential for the operation of the site, while others help us to improve this site and the user experience (tracking cookies). You can decide for yourself whether you want to allow cookies or not. Please note that if you reject them, you may not be able to use all the functionalities of the site.