GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Processo penale e accertamento della causalità agli effetti civili

    Processo penale e accertamento della causalità agli effetti civili

    di Aniello Nappi

    1. Con la sentenza n. 182 del 2021 la Corte costituzionale, nel dichiarare infondata una questione di legittimità costituzionale dell’art. 578 c.p.p., ha affermato che il giudice dell’impugnazione penale, quando deve pronunciarsi sull’azione civile in presenza di un’estinzione del reato per prescrizione o amnistia, «non accerta la causalità penalistica che lega la condotta (azione od omissione) all'evento in base alla regola dell'”alto grado di probabilità logica” (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 10 luglio-11 settembre 2002, n. 30328). Per l'illecito civile vale, invece, il criterio del "più probabile che non" o della "probabilità prevalente" che consente di ritenere adeguatamente dimostrata (e dunque processualmente provata) una determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi risultati delle prove dichiarative e documentali, appare più probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell'ipotesi contraria (in tal senso è la giurisprudenza a partire da Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 11 gennaio 2008, n. 576, n. 581, n. 582 e n. 584)».

    In realtà non v’è alcun dubbio che lo standard probatorio richiesto nel processo penale per l’accoglimento della domanda del pubblico ministero sia più elevato di quello richiesto nel processo civile per l’accoglimento della domanda dell’attore. Del resto è anche in questa prospettiva che l’art. 193 c.p.p. esclude l’applicazione nel processo penale dei «limiti di prova stabiliti dalle leggi civili, eccettuati quelli che riguardano lo stato di famiglia e di cittadinanza».

    Tuttavia la giurisprudenza civile, inclusa quella evocata dalla Corte costituzionale, è concorde nel senso che anche ai fini della «responsabilità civile aquiliana, il nesso causale è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 c.p., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano - ad una valutazione "ex ante" - del tutto inverosimili» (Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 576, m. 600899, Cass., sez. III, 11 maggio 2009, n. 10741, m. 608391, Cass., sez. III, 8 luglio 2010, n. 16123, m. 613967). Sicché, «fermo restando il diverso regime probatorio tra il processo penale, ove vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio", e quello civile, in cui opera la regola della preponderanza dell'evidenza o "del più probabile che non", lo standard di cd. certezza probabilistica in materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla cd. probabilità quantitativa della frequenza di un evento, che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato, secondo la cd. probabilità logica, nell'ambito degli elementi di conferma, e, nel contempo, nell'esclusione di quelli alternativi, disponibili in relazione al caso concreto» (Cass., sez. L, 3 gennaio 2017, n. 47, m. 642263, Cass., sez. I, 30 giugno 2021, n. 18584, m. 661816).

    Occorre dunque tener ben distinto il problema della dimensione logica della causalità, identica per la responsabilità sia civile sia penale, da quello dei diversi standard probatori richiesti per il suo accertamento: standard che riguardano la prova non solo del fatto causante e del fatto causato, ma anche della cosiddetta legge di copertura, il criterio di inferenza e di giudizio che permette di affermare che fu proprio il supposto fatto causante a produrre il fatto dannoso, l'evento indesiderato.

    Il problema dell’accertamento solo probabilistico, anziché al di là di ogni ragionevole dubbio, può riguardare dunque l'esistenza della legge di copertura, non può riguardare il contenuto e la portata di questa legge, che deve valere sempre in termini di condizionalità necessaria, se si vuole parlare correttamente di causalità, rimanendo fedeli alla evocata teoria condizionalistica.

    Come si è ben chiarito in dottrina, «un enunciato che connette due fatti in termini di probabilità, affermando che l’esistenza dell’uno rende probabile l’esistenza dell’altro, non è equivalente ad un enunciato che connette due fatti affermando che uno è causa dell’altro» (M. TARUFFO, La prova del nesso causale, in Riv. crit. dir. priv., 2006, p. 101 e s.). La teoria condizionalistica, in quanto definizione logica della causalità, spiega appunto qual è l’uso corretto del concetto di causa: un fatto che non sia condizione necessaria di un evento non ne può essere considerato causa; e il rapporto di condizionalità necessaria può essere enunciato solo sulla base di una legge di copertura generale o quasi generale (M. TARUFFO, La prova del nesso causale, in Riv. crit. dir. priv., 2006, p. 101 e s.).

    Nel processo penale l’esistenza della legge di copertura deve essere dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio; nel processo civile può essere ritenuta sufficiente anche la dimostrazione in termini solo probabilistici di una legge di copertura pur sempre formulata in termini generali, perché ad esempio fondata su una teoria scientifica ancora controversa.

    2. Questa conclusione ha importanti conseguenze quando occorra accertare il nesso di causalità ai fini del riconoscimento della responsabilità civile nell’ambito o nel seguito di un processo penale.

    2.1. Nel giudizio penale di primo grado non è possibile scindere l’accertamento della responsabilità civile dall’accertamento della responsabilità penale, perché l’art. 538 c.p.p. prevede che solo quando pronuncia sentenza di condanna il giudice penale può decidere sulla domanda per le restituzioni e per il risarcimento del danno. Quando pronuncia sentenza di assoluzione o di proscioglimento, il giudice penale di primo grado non può riconoscere la responsabilità civile neppure nei casi in cui l’esclusione della responsabilità penale non lo precluderebbe.

    2.2. Secondo l’interpretazione ribadita dalla Corte costituzionale nella stessa sentenza n. 182 del 2021, anche nei giudizi di impugnazione penale promossi ai soli fini civili l’accertamento della responsabilità civile non è scindibile dall’accertamento della responsabilità penale, cui il giudice deve sempre procedere indipendentemente dalla possibile efficacia extrapenale della sentenza di proscioglimento impugnata, perché l'art. 576 c.p.p. non distingue tra le formule di proscioglimento che ammettono l'impugnazione. Infatti, nel prevedere l'impugnazione ai soli effetti civili della sentenza di proscioglimento, l'art. 576 c.p.p esclude certamente la possibilità che la parte civile ottenga in appello una condanna penale in sostituzione del proscioglimento deciso dal giudice di primo grado, ma riconosce la possibilità che la domanda civile venga accolta con una naturale pronuncia di condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno: anche quando il giudice dell’impugnazione debba dichiarare l’estinzione del reato (Cass., sez. III, 18 ottobre 2016, Sdolzini, m. 268894); e anche quando l’estinzione fosse stata dichiarata o confermata con la sentenza impugnata (Cass., sez. un., 28 marzo 2019, Massaria, m. 275953).

    Insomma, secondo quanto prevede l’art. 576 c.p.p., la parte civile è legittimata a impugnare la decisione che ne abbia rigettato le conclusioni, indipendentemente dall’efficacia che quella decisione possa avere nel giudizio civile (C. cost., n. 176/2019). Era con il codice abrogato che, in mancanza di una norma come l’attuale art. 576 c.p.p., la Corte costituzionale aveva riconosciuto alla parte civile il diritto di ricorrere per cassazione a norma dell’art. 111 Cost., se la decisione poteva pregiudicarne la difesa nel giudizio civile. Con il codice vigente l’interesse a impugnare va verificato con riferimento al processo penale in corso, non con riferimento a un eventuale successivo giudizio civile, perché è l’art. 576 c.p.p., non l’art. 111 Cost., a legittimare la parte civile all’impugnazione (NAPPI, Nuova guida al codice di procedura penale, §74.2.4, www.guidanappi.it).

    Sicché l’art. 576 c.p.p. deroga all’art. 538 c.p.p., perché ammette il riconoscimento della responsabilità civile benché non possa essere pronunciata condanna ai fini penali.

    2.3. Analogamente prevede l’art. 578 bis c.p.p. per il caso in cui sia stata «ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell'articolo 240 bis del codice penale e da altre disposizioni di legge o la confisca prevista dall'articolo 322-ter del codice penale». In questi casi infatti «il giudice di appello o la Corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell'imputato». La disposizione si giustifica in ragione del fatto che la confisca in casi particolari è ammessa dall’art. 240 bis e dall’art. 322 ter c.p. solo se vi sia condanna per alcuno dei reati elencati. Sicché l’art. 578 bis c.p.p. rende possibile la conferma in sede di impugnazione della confisca già disposta in primo grado, anche quando l’estinzione del reato precluda la conferma della condanna, ove venga riconosciuta la responsabilità penale dell’imputato.

    Anche in questo caso v’è dunque un accertamento incidentale della responsabilità penale, non finalizzato all’irrogazione di una sanzione penale bensì alla conferma di una misura di sicurezza; come nel caso previsto dall’art. 576 c.p.p., in cui v’è un accertamento incidentale della responsabilità penale finalizzato esclusivamente al riconoscimento della responsabilità civile (C. cost., n. 176/2019, Cass., sez. III, 18 ottobre 2016, Sdolzini, m. 268894).

    2.4. Secondo quanto ha chiarito la Corte costituzionale con la sentenza n. 182 del 2021, invece, nessun accertamento nemmeno incidentale della responsabilità penale è richiesto dall’art. 578 c.p.p., che legittima il giudice dell’impugnazione penale all’accertamento della sola responsabilità civile dell’imputato, quando, investito dell’impugnazione proposta contro una sentenza di condanna in primo grado o in appello, debba dichiarare non doversi procedere ai fini penali per la sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione o per amnistia.

    Sicché anche l’art. 578 c.p.p., come l’art. 576 c.p.p., deroga alla norma dettata per il giudizio di primo grado dall’art. 538 c.p.p., consentendo una pronuncia sull’azione civile pur in mancanza di una pronuncia di condanna agli effetti penali. Ma mentre l’art. 576 c.p.p. esige  un accertamento incidentale della responsabilità penale dell’imputato prosciolto, l’art. 578 c.p.p. esclude qualsiasi accertamento della responsabilità penale dell’imputato già condannato in primo grado.

    Con l’art. 578 c.p.p. v’è dunque una scissione tra accertamento della responsabilità penale e accertamento della responsabilità civile, perché il giudice dell’impugnazione penale potrà pronunciare condanna agli effetti civili anche nel caso in cui la responsabilità penale sarebbe stata da escludere indipendentemente dall’estinzione del reato. Quel che non sarebbe mai stato possibile nel giudizio di primo grado diviene possibile nel giudizio di impugnazione, a fini di economia processuale. Ed è questa scissione del giudizio sulla responsabilità penale dal giudizio sulla responsabilità civile che rende rilevante la differenza degli standard probatori richiesti ai fini dei due diversi giudizi.

    Il giudice dell’impugnazione penale, pur decidendo per il resto secondo le regole del proprio processo, dovrà dunque attenersi allo standard probatorio del processo civile. Se si tratterà del giudice d’appello, si pronuncerà sull’azione civile a norma degli art. 539 e s. c.p.p., accogliendo o rigettando nel merito la domanda della parte civile. Se si tratterà della Corte di cassazione, verificherà se la motivazione in fatto esibita dal giudice del merito sia censurabile a norma degli art. 606 e 609 c.p.p.

    Ciò cui la scissione dei giudizi di responsabilità assegna rilevanza, infatti, è la differenza dei due standard probatori, che attengono ovviamente al giudizio di fatto, sul quale la Corte di cassazione ha un sindacato limitato alla motivazione.

    2.5. L'art. 622 c.p.p. prevede infine che la Corte di cassazione possa disporre l'annullamento con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d'appello non solo quando l'annullamento interessi soltanto le disposizioni o i capi della sentenza riguardanti l'azione civile ma anche quando accolga il ricorso proposto ai soli effetti civili contro una sentenza di proscioglimento. E questa norma, che presuppone la possibilità di una pronuncia d'appello sulla sola domanda civile, non può essere considerata solo un «lapsus normativo», come riteneva il compianto prof. Cordero, nel presupposto che le sentenze di proscioglimento siano impugnabili dalla parte civile solo quando ne subirebbe effetti extrapenali sfavorevoli, come con il codice abrogato. L’art. 622 c.p.p. è del tutto coerente con la previsione dell’art. 576 c.p.p., così come interpretato dalla Corte costituzionale e dalle Sezioni unite della Corte di cassazione.

    L’art. 622 c.p.p. prevede dunque una più radicale separazione del giudizio civile dal giudizio penale, con la conseguenza che la decisione sull’azione civile avverrà non solo sulla base del suo proprio standard probatorio ma anche in conformità alle norme del codice di procedura civile. Se con l’art. 578 c.p.p. l’accertamento della responsabilità civile è pur sempre regolato dalle norme del codice di procedura penale, benché in conformità allo standard probatorio proprio della giudizio civile, con l’art. 622 c.p.p. anche il rito dell’accertamento sarà quello civile.

    È controverso se la sentenza di annullamento ex art. 622 c.p.p. abbia effetti vincolanti nel giudizio civile di rinvio, come afferma talora la giurisprudenza penale (Cass., sez. IV, 17 gennaio 2019, Borsi, m. 275266, Cass., sez. IV, 16 novembre 2018, De Santis, m. 274831), o non ne abbia, come afferma la giurisprudenza civile (Cass., sez. III, 12 giugno 2019, n. 15859, m. 654290, Cass., sez. III, 25 giugno 2019, n. 16916, m. 654433).  Ma questo secondo orientamento, benché non ritenuto implausibile neppure dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 182 del 2021, non è condivisibile.

    Può accadere infatti che l’annullamento ai sensi dell’art. 622 c.p.p. sia disposto perché la Corte di cassazione ha considerato inadeguata la legge di copertura esibita dal giudice penale del merito quale criterio di accertamento della causalità. La censura non riguarderebbe dunque un giudizio di fatto circa l’effettiva esistenza della legge di copertura ma un giudizio di diritto circa l’idoneità della legge di copertura ipotizzata dal giudice penale di merito. Con la conseguenza che il giudice civile di merito non potrebbe affermare, al contrario, che l’ipotizzata legge di copertura sia idonea, così violando lo stesso art. 384 c.p.c.

    Come s’è detto, la giurisprudenza civile ritiene che la dimensione logica della causalità sia identica per la responsabilità civile e per la responsabilità penale, essendo regolata per entrambe le responsabilità dagli art. 40 e 41 c.p.: non si vede perché la sentenza di annullamento per violazione degli art. 40 e 41 c.p. pronunciata ai sensi dell’art. 622 c.p.p. non debba vincolare il giudice civile del rinvio.

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