GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Le indagini preliminari nel progetto di legge delega della Commissione Lattanzi - art. 3, lett. a), c), d), e), e-bis),  e-ter), e-quater), h), l), l-bis), l-ter), l-quater) di Roberta Aprati

    Le indagini preliminari nel progetto di legge delega della Commissione Lattanzi - art. 3, lett. a), c), d), e), e-bis),  e-ter), e-quater), h), l), l-bis), l-ter), l-quater) 

    di Roberta Aprati*

    Sommario: 1. Premessa – 2. Il sindacato sull’iscrizione della notizia di reato – 3. I termini per indagare e per esercitare l’azione penale – 4. I criteri di priorità – 5. La regola decisoria per l’archiviazione.

    1. Premessa

    Al fine di diminuire la durata complessiva del processo, la Commissione Lattanzi interviene chirurgicamente anche sulle indagini preliminari, cercando di semplificare i meccanismi processuali e – nel contempo – di risolvere le criticità più vistose della fase preliminare del processo.

    I temi elettivi di intervento sono stati, e dovevano necessariamente essere: l’iscrizione della notizia di reato, i termini di durata delle indagini e di esercizio dell’azione penale, i criteri di priorità e l’archiviazione.

    Si tratta di temi diversi, ma strettamente connessi l’uno all’altro, perché legati tutti dal problema dell’impossibilità in qualche modo “oggettiva” di gestire l’enorme massa di notizie di reato che arrivano alle procure. Ed è noto come, per governare la fisiologica emergenza gestionale, si sono stabilizzate una serie di prassi non virtuali:  

    - quella di non iscrivere il nominativo dell’indagato nel relativo registro per lucrare tempi investigativi nei procedimenti relativi ai reati “più importanti” e, di contro, iscrivere immediatamente il nominativo dell’indagato, senza indagare né prima né dopo l’iscrizione, nei procedimenti relativi ai reati “meno importanti”;

    - quella di esercitare l’azione penale per tutti i reati “importanti” e, nel contempo, di chiedere l’archiviazione per tenuità del fatto per tutti i reati “non importanti” (praticamente in massa), in ambo i casi senza valutare troppo a fondo la sostenibilità dell’accusa;

    - quella, in fine, di scegliere in base a valutazioni discrezionali dei singoli pubblici ministeri o degli uffici (in base al progetto organizzativo) “l’importanza” dei reati.

    In questo caos la proposta della Commissione Lattanzi tenta di mettere ordine.  

    2. Il sindacato sull’iscrizione della notizia di reato

    La prima proposta coglie nel segno: introdurre ciò che da anni si reclama da parte dell’avvocatura e della dottrina, ovverosia il sindacato sulla data di iscrizione del procedimento e dell’indagato nei relativi registri.

    Sul punto va subito evidenziato che il sindacato viene concepito come una sorta di controllo/sanzione su un’inadempienza del p.m. Ma qui, invero, si poteva essere più coraggiosi, e arrivare a considerare la retrodatazione come una situazione fisiologica. Vediamo perché.

    In via generale per costruire il sindacato era necessario individuare i parametri decisori, il procedimento di accertamento e, infine, la sanzione.

    In merito ai parametri decisori, la prima esigenza è quello di fornire la nozione di notizia di reato, tanto soggettiva, quanto oggettiva, ed infatti il progetto di legge delega lo prevede. A tal fine il vero problema che si porrà sarà quello di decidere se per iscrivere occorrerà o meno una soglia probatoria della notizia di reato.

    Franco Cordero avrebbe detto: “è questione clinica che dunque non va codificata”. Ma purtroppo il Professore non c’è più.

    La relazione di accompagnamento al testo di legge delega invece - riprendendo un’importante sentenza delle Sezioni unite - propone, ma solo in relazione alla notizia di reato soggettiva, la presenza di “indizi specifici”, da intendere come qualcosa di più dei “meri sospetti” e qualcosa in meno rispetto “a sufficienti o gravi indizi”.

    Si tratta di un parametro incerto, ma che rientra già nella concettualistica processuale: vuol dire qualcosa per i processualisti. La Corte di cassazione ha da tempo elaborato la nozione di persona sostanzialmente indagata, in tema di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da chi non doveva essere sentito come persona informata dei fatti (art. 63 comma 2 c.p.p.).

    Per la notizia di reato oggettiva il problema è invece meno sondato, e per certi versi più spinoso, perché si allaccia alla possibilità di svolgere una pre-indagine.

    Come è noto, ad oggi la c.d. pre-inchiesta preliminare è consentita solo per ricercare le notizie di reato. Se anche per iscrivere la notizia di reato contro ignoti sarà necessaria una soglia probatoria, si dovrà di conseguenza legittimare e autorizzare una sorta di pre-indagine preliminare. Quest’ultima dunque non riguarderà più soltanto gli atti non costituenti notizia di reato, così come siamo abituati a concepirli, ma anche atti che fino a ieri consideravamo notizie di reato vere e proprie.  In pratica il confine fra le due nozioni si sposterà.

    Ovviamente la regola fondamentale dovrà rimanere quella – oggi implicita – del divieto di inserire i risultati della pre-inchiesta nel fascicolo delle indagini, in quanto dovranno essere confinati nel c.d. fascicolo degli atti non costituenti notizia di reato. La mera previsione della inutilizzabilità sarebbe infatti insufficiente, perché nessun recupero probatorio dovrebbe essere consentito.

    E il destino di tali nuove pre-notizie di reato, qualora non arrivassero alla soglia probatoria richiesta, sarebbe quello della c.d. cestinazione, ovvero della archiviazione gerarchica.

    Ebbene, se è opzione naturale, nel sistema concepito nell’ ’89, considerare le notizie di reato come informazioni “nude”, ovverosia non supportate da dati probatori di conferma, perché l’obiettivo era quello di eliminare la prassi della pre-inchiesta della polizia giudiziaria, destinata poi a confluire nel rapporto di polizia, è necessario oggi fare i conti con la realtà. E in un sistema al collasso non dovrebbe sembrare così peregrina la possibilità di “cestinare” informazioni che non hanno raggiunto un certo standard probatorio minimo.

    La proposta inserita nel disegno di legge delega, prevede poi che l’inadempimento relativo all’iscrizione sia “ingiustificato e inescusabile”.

    In tal modo l’ordine di retrodatare l’iscrizione viene costruito su tre fattori (che richiamano assai la struttura del reato): la presenza di un fatto, l’assenza di una causa di giustificazione, la mancanza di una causa di esclusione della colpevolezza.

    Il primo requisito – il fatto – consisterà negli “specifici indizi” a carico della persona poi indagata, emersi precedentemente alla data in cui è avvenuta l’iscrizione soggettiva. Si richiederà quindi la comparazione fra gli atti investigativi compiuti, perché occorrerà ricostruire lo sviluppo investigativo, al fine di individuare il momento di passaggio fra il mero sospetto e gli indizi specifici.

    Il secondo requisito, invece, farà sì che la retrodatazione non potrà essere ordinata per la presenza di altri interessi contrapposti tutelati da parte dell’ordinamento, come, ad esempio, la necessità di mantenere ancora riservata l’indagine dal punto di vista soggettivo perché in corso operazioni sotto copertura.

    Il terzo requisito, invece, determinerà che l’ordine di iscrizione debba configurarsi come esigibile; si pensi, per esempio, al caso in cui si stiano svolgendo inchieste particolarmente complesse, con pluralità di persone coinvolte, così che, se a posteriori è possibile con chiarezza individuare il passaggio fra il sospetto e l’indizio, a priori tale operazione risulta impraticabile.

    Vista la complessità degli accertamenti richiesti, si potrebbe allora ipotizzare che andranno individuati degli “indici sintomatici” dell’inadempimento ingiustificato e inescusabile. E considerare “indice sintomatico elettivo” la “carenza di motivazione” negli atti investigativi che richiedono un provvedimento (del giudice o del p.m.).

    Diventerà allora quanto mai necessario, per esempio, spiegare nella richiesta di intercettazioni del p.m. – così come nel provvedimento autorizzativo del g.i.p. – le ragioni per cui si è deciso di intercettare una certa persona non iscritta nel registro: così che la presenza di una motivazione completa permetterà al giudice di valutare la doverosità o meno dell’adempimento; mentre una totale assenza di indicazioni sul tema configurerà l’indice sintomatico elettivo del “ritardo ingiustificato ed inequivocabile” richiesto dalla proposta di legge delega.

    In merito al procedimento accertativo del ritardo dell’adempimento, la proposta di legge delega sembrerebbe mirare a costruire un nuovo contesto processuale di intervento del g.i.p. La previsione di un termine decadenziale per far valere la questione (che inizia a decorrere dal momento del deposito degli atti investigativi da cui si può dedurre il ritardo) è un indice della necessità di aggiungere un inedito incidente nel corso delle indagini, quello per ottenere la retrodatazione dei relativi termini.

    Me se inseriamo nuovi adempimenti, anche se nel contempo ne togliamo altri (come ad esempio dimezziamo gli incidenti finalizzati ad ottenere la proroga delle indagini), il bilancio complessivo della fase investigativa rimarrà invariato: è invece necessario concentrare il più possibile le attività processuali.

    Sarebbe allora preferibile che la questione possa essere sollevata in tutti i contesti in cui il giudice debba già intervenire, per prendere una decisione su di una base probatoria. In tal modo la decadenza potrebbe essere prevista ad imitazione del regime delle nullità: al primo contesto processuale in cui l’atto presumibilmente tardivo concorrerà ad una qualunque decisione.

    Se invece si volesse a tutti i costi creare un incidente specifico, questo dovrebbe essere allora unico e collocato non già dopo il deposito di un singolo atto investigativo, ma piuttosto dopo che siano depositati tutti gli atti di indagine o gran parte di essi. Il ritardo nell’iscrizione soggettiva presuppone una comparazione degli atti investigativi compiuti, è un rapporto di relazione fra la sequenza delle attività: di per sé un singolo atto non ci può dire molto se non è comparato con quelli precedenti.

    Infine, in merito alla sanzione, dal testo del progetto emerge come si voglia inserire un primo caso di inutilizzabilità non eccepibile e non rilevabile in ogni stato e grado del processo. Vengono infatti previsti dei termini decadenziali, sebbene diversi: per il giudice la fine delle indagini, fino a quando non entra in scena il g.u.p.; per le parti un termine che inizia a decorrere della conoscenza dell’atto da cui dipende la retrodatazione.

    Ma in tale contesto, il dubbio più rilevante è se si voglia o meno costruire la questione, una volta sollevata, come preclusa. Sollevato l’incidente entro i termini, è opportuno consentire la riproposizione della medesima questione non accolta: prima nel procedimento cautelare, dopo nel giudizio e, dopo ancora, nei relativi giudizi impugnatori?

    Se tale facoltà fosse inibita, ci troveremmo di fronte ad un primo caso codificato di preclusione di una sanzione processuale. Francesco Jacoviello da vari anni propone che l’inutilizzabilità debba essere costruita come sanzione processuale preclusiva nei rapporti fra giudizio cautelare e giudizio di merito. Tuttavia l’effetto preclusivo viene condizionato alla circostanza che la prima pronuncia sull’inutilizzabilità sia stata oggetto di controllo da parte del giudice delle impugnazioni, o comunque ci sia stata la possibilità di un siffatto controllo. Ed in tal caso manca una previsione del genere.

    Ebbene, il sistema che si vuole costruire sembra girare tutto intorno a condotte abusive dei pubblici ministeri che si vogliono stroncare. Forse invece si poteva cambiare prospettiva e concepire la retrodatazione come situazione fisiologica e non già patologica.

    Se non c’è una particolare esigenza di tutelare la vittima, si potrebbe valutare la possibilità di consentire al p.m. di non iscrivere il nominativo dell’indagato nel momento in cui emergano indizi specifici, ma di aspettare ancora.

    Ma tale facoltà va ovviamente controbilanciata:

    - in primo luogo, con il dovere del p.m. di individuare di sua iniziativa – e con lealtà - la data esatta di emersione degli specifici indizi e retrodatare l’iscrizione in occasione di una richiesta cautelare o, in mancanza di una siffatta istanza, alla chiusura delle indagini preliminari;

    - in secondo luogo, con la facoltà delle parti interessate, qualora il p.m. non vi abbia provveduto di sua iniziativa, di sollecitare l’incidente sulla retrodatazione – sempre a pena di decadenza - nel procedimento cautelare o, in mancanza di una siffatta parentesi, in udienza preliminare;

    - infine, con la possibilità per il giudice – nei medesimi contesti - di sollevare d’ufficio la questione.

    Si consentirebbe così di ottenere comunque la dichiarazione di inutilizzabilità degli atti eventualmente compiuti fuori termine, sindacabile poi dal giudice dell’impugnazione con effetti preclusivi.

    In tal modo laddove gli indizi iniziali non sfociassero in qualcosa di più sostanziale, si potrà chiedere l’archiviazione contro ignoti, e lasciare così la persona inizialmente monitorata come persona mai entrata nel circuito penale.

    Nel bilanciamento fra i contrapposti interessi, mentre si sono valorizzati quello del pubblico ministero di aspettare e capire meglio prima di iscrivere e quello dell’indagato al rispetto dei termini, non si è dato particolarmente risalto a quello – di qualunque persona - di non essere iscritta inutilmente.  

    3. I termini per indagare e per esercitare l’azione penale

    In via generale il progetto di riforma ricalibra i tempi delle indagini preliminari modulandoli per fasce di reati, e, nel contempo, introduce degli inediti termini – distinti per fasce di reato e per complessità delle indagini – per le determinazioni relative all’esercizio dell’azione penale. Viene così confermata la necessità di distinguere i tempi dell’indagine da quelli dei provvedimenti conclusivi delle stesse.

    La logica di sistema è quella di consentire una seria ponderazione sul destino del procedimento una volta che si è conclusa l’indagine preliminare.

    In verità, il problema principale è quello di risolvere una delle criticità più vistose della fase investigativa: l’impossibilità a livello gestionale di far coincidere la conclusione delle indagini con la formulazione delle relative richieste. Sicché si è trasformato in fisiologico ciò che appariva come patologico.

    La stasi del procedimento, dunque, se non può più essere infinita, non può però comportare la decadenza dall’esercizio dell’azione penale. Si è dunque configurato un sistema attraverso cui il giudice impone forzatamente l’adempimento, sul presupposto implicito che l’intervento del procuratore generale non sia risultato strumento utile nella prassi.

    Il meccanismo processuale potrebbe essere costruito attraverso una messa in mora. Di fronte all’inerzia del p.m., d’ufficio o su sollecitazione della parte interessata, il giudice assegna un termine per depositare gli atti (se l’inerzia è precedente all’avviso di conclusione delle indagini preliminari) e per determinarsi.

    Se fosse così, nulla di anomalo da segnalare: siffatti provvedimenti rappresentano qualcosa di meno rispetto gli ordini, rispettivamente, di indagare, di formulare l’imputazione o di iscrivere. Nessuna confusione di ruoli fra p.m. e g.i.p.: qui il giudice non entra nel merito delle scelte riservate al p.m.

    Ma volendo si potrebbe anche immaginare qualcosa di più, introducendo un meccanismo maggiormente acceleratorio: non tanto la messa in mora del p.m., quanto piuttosto la convocazione d’ufficio dell’udienza di archiviazione. Nel contempo, però, andrebbe prevista la possibilità per il p.m. di evitarla, formulando l’imputazione prima della data di convocazione dell’udienza di archiviazione.

    In merito alla modulazione dei tempi investigativi, vale la pena distinguere le riflessioni per le diverse fasce di reato.

    Per i reati minori, invero, la riforma appare non decisiva.

    Per tali fattispecie è prassi che non siano svolte le indagini ed i termini vengano già concepiti come organizzativi, ovverosia come termini per determinarsi.  Invero in molte procure (sulla base del progetto organizzativo ex art. 7 comma 2 circolare C.S.M. 6 dicembre 2020) per i micro-reati sono stati creati dei gruppi di lavoro. Tali unità organizzative sono investite di una sorta di spoglio delle notizie di reato: sulla base della sola denuncia si valuta se debba essere o meno richiesta l’archiviazione. Tuttavia nella pratica si osserva una peculiare tendenza: ci si determina sempre - quasi in blocco – per l’istanza di archiviazione per tenuità del fatto e, di conseguenza, la verifica della consistenza probatoria viene effettuata solo se l’indagato si oppone. E non è da escludere che tale schema – con le dovute differenze procedimentali - si ri-proporrà per l’archiviazione meritata.

    In ogni caso il lavoro viene organizzato in modo che entro la scadenza dei termini investigativi venga presa una decisione. Ma allora, se si riducono i tempi investigativi e poi si aggiungono i tempi per determinarsi, probabilmente non vi sarà alcuna variazione della tempistica complessiva relativa ai reati minori.

    Per i reati di fascia media e alta, invece, l’aver previsto una solo proroga invece che due, ma sostanzialmente lasciando inalterata la durata complessiva delle indagini, appare scelta assai razionale. La proroga, come è noto, viene sempre concessa, sicché nel merito il meccanismo risulta abbastanza superfluo. Però è essenziale far sì che ad un certo momento si consenta la partecipazione difensiva per i reati a fascia media, soprattutto nei casi in cui non sia stato compiuto alcun atto garantito. Sicché mantenere un momento di contraddittorio rappresenta un ottimo bilanciamento dei contrapposti interessi che vengono qui in rilievo. Del pari, per i reati a fascia alta, l’intervento del g.i.p. ad un certo momento, costituisce comunque una garanzia.  

    4. I criteri di priorità  

    Il progetto di legge delega prevede l’introduzione di criteri di priorità.

    Quanto alla fonte, il legislatore delegato è investito del compito di attribuire al Parlamento la competenza ad emanare una direttiva periodica (tenendo anche conto di una relazione del C.S.M.) contenente l’indicazione di criteri generali; dopodiché saranno gli uffici giudiziari ad individuare gli specifici criteri di priorità. A livello costituzionale la scelta è dovuta: si risolverebbe così definitivamente l’attuale anomalia della fonte dei criteri di priorità (Circolare del CSM 6 dicembre 2020).

    Quanto al contenuto, invece, la delega appare in bianco; parafrasando gli insegnamenti di Paolo Ferrua, si potrebbe affermare che il testo del progetto ribadisce il contenuto dell’art. 112 Cost. In definitiva non si forniscono direttive al legislatore delegato; qualche indicazione appare solo rispetto al documento di competenza degli uffici giudiziari. Ma è pur vero che spetterà al Parlamento l’indicazione dei criteri generali. Sicché a livello di tenuta costituzionale non si profilano problemi.

    Pur in assenza di istruzioni sul contenuto dei criteri di priorità, sul tema un dato può essere subito messo in evidenza.

    I procedimenti a citazione diretta di fronte al giudice monocratico sono - in una percentuale altissima - tutti destinati alla prescrizione (rappresentano fra l’80 e il 90 % dei casi di prescrizione in primo grado) e normalmente la prima udienza dibattimentale è fissata a distanza di 2/3 anni dalla citazione. Il progetto Lattanzi, poi, aumenta il carico di lavoro del monocratico con citazione diretta (sebbene preveda una fase predibattimentale con funzione di filtro in qualche modo sostitutiva dell’udienza preliminare). Ebbene, la prima indicazione da introdurre dovrebbe essere questa: i procedimenti destinati a prescrizione certa devono essere trattati dopo quelli in cui questo rischio non c’è.

    Più in generale i criteri di priorità dovrebbero sempre fondarsi anche su parametri procedurali: reati destinati alla prescrizione, reati con soggetti irreperibili. In pratica accanto a criteri di priorità basati sulla gravità del reato o dell’offesa o basati sulla realtà criminale territoriale, si dovrebbero sempre affiancare criteri di priorità basati su una prognosi di inutilità del processo giustificata da questioni di natura esclusivamente processuale.

    Il progetto di legge delega, poi, indica chiaramente la natura dei criteri di priorità: per l’esercizio dell’azione penale (e non già delle indagini), nonché per la trattazione dei processi.

    Se si adotta un’impostazione formale, rimarrebbe fermo l’obbligo di indagine per tutti i reati e la preferenza riguarderebbe la formulazione dell’imputazione. In pratica il criterio agirebbe solo nella fase di decorrenza dei termini per determinarsi e interesserebbe i procedimenti oggetto di un’indagine preliminare completa.

    Se invece si adotta un’impostazione sostanziale, la priorità dell’azione penale implicherà la priorità delle indagini. Ma se si legittima l’inerzia investigativa, allora si legittima anche la richiesta di archiviazione: si tratta di fatti non verificati, e dunque privi di elementi utili alla condanna.

    Costruiremmo così dei criteri di priorità “deflattivi” e non già “organizzativi”. La priorità sarebbe finalizzata – da subito - all’archiviazione o, addirittura, alla c.d. cestinazione, perché senza il raggiungimento di una soglia probatoria non si configurerebbe l’obbligo di iscrizione.

    Invero qui andrebbe a fondo meditato sul modo in cui possano interagire in maniera razionale la tipologia dei criteri di priorità (per le indagini, per l’esercizio dell’azione penale e poi per la trattazione dei dibattimenti) con il contenuto degli stessi (di merito o di rito). E si dovrebbe immaginare un sistema che differenzi i parametri di riferimento a seconda del momento di intervento: per esempio, prima si indaga con priorità su certe tipologie di reato; poi, a parità di indagini effettuate, si utilizza un diverso criterio (magari di rito) per dare priorità all’azione penale; e poi ancora, a parità di azioni esercitate, viene in rilievo un nuovo criterio (magari di merito ma con contenuto diverso da quello già impiegato) che dia priorità alla trattazione dibattimentale. A tal fine la cooperazione fra uffici giudicanti e requirenti appare un’ottima strategia di pianificazione.  

    5. La regola decisoria per l’archiviazione  

    Dal punto di vista ideologico, l’innovazione più eclatante proposta dalla Commissione Lattanzi è il mutamento della regola di giudizio per l’archiviazione (in tutt’uno con quella della sentenza di non luogo a procedere): quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono tali da determinare la condanna.

    Il tema, tuttavia, non deve essere affrontato teoricamente. Se ci accostiamo al versante della teoria generale del processo, tale criterio decisorio rappresenta la fine del processo accusatorio, la presa d’atto del fallimento di un sistema. In tal modo si nega la valenza epistemica del dibattimento, si ripudia il senso e il significato del principio del contraddittorio nella formazione della prova e si disconosce il valore della “falsificazione dell’ipotesi” come metodo scientifico di ricostruzione dei fatti.

    Piuttosto, la nuova regola di giudizio va analizzata concretamente, e va qualificata come “regola pedagogica”. I processi - oggi come domani - vanno celebrati solo se ci sono le condizioni probatorie per affrontarli.

    Ed è importante ribadirlo, tanto per il giudizio quanto in vista delle impugnazioni. Si esercita l’azione penale (e si cita poi a giudizio) solo se si valuta a fondo che si possa sostenere con successo tutto il processo fino alla sentenza definitiva.

    In conclusione, il nuovo criterio decisorio è un invito forzoso rivolto ai p.m. (oltreché ai giudici dell’archiviazione e dell’udienza preliminare): bisogna cambiare la prassi, le pigre abitudini mentali e attrezzarsi di conseguenza. Quando si affronta una battaglia non bastano le armi, serve anche l’armatura.

    *Professore associato di procedura penale – Università Unitelma-Sapienza 

    Please publish modules in offcanvas position.

    × Progressive Web App | Add to Homescreen

    To install this Web App in your iPhone/iPad press icon. Progressive Web App | Share Button And then Add to Home Screen.

    × Install Web App
    Mobile Phone
    Offline - No Internet Connection

    We use cookies on our website. Some of them are essential for the operation of the site, while others help us to improve this site and the user experience (tracking cookies). You can decide for yourself whether you want to allow cookies or not. Please note that if you reject them, you may not be able to use all the functionalities of the site.