GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Tutela del contraddittorio e pregiudizio effettivo

    Tutela del contraddittorio e pregiudizio effettivo

    di Paolo Biavati

    Sommario: 1. La sentenza n. 36596 del 25 novembre 2021 delle Sezioni unite. – 2. Una riaffermazione esemplare del principio del contraddittorio. – 3. Il pregiudizio effettivo. – 4. Ancora il pregiudizio effettivo: relativizzato, ma non eliminato. – 5. La lettura dell’art. 360-bis c.p.c. n. 2. – 6. Una composizione da trovare.

    1. La sentenza n. 36596 del 25 novembre 2021 delle Sezioni unite

    Con la sentenza n. 36596 del 25 novembre 2021 le Sezioni unite intervengono a comporre un contrasto interpretativo sorto da tempo fra le sezioni semplici in tema di tutela del contraddittorio e pregiudizio effettivo. Si tratta di una decisione di indubbio rilievo, non solo per il suo esito, ma anche per i passaggi motivazionali con cui è stata costruita.

    Conviene partire dal caso concreto, in sé molto semplice. Un attore cita in giudizio tre convenuti per ottenere una pronuncia costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c. nonché il risarcimento dei danni e vince in primo grado, sia pure conseguendo una liquidazione del danno inferiore a quella auspicata. Il medesimo attore e uno dei convenuti impugnano e la Corte d’appello di Roma conferma sostanzialmente la decisione del Tribunale, ma escludendo il convenuto appellante dall’obbligo risarcitorio.

    Accade, però, che il giudice di secondo grado deliberi la decisione in camera di consiglio alcuni giorni prima della scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica.

    L’attore ed appellante principale, ancora insoddisfatto per l’entità della pronuncia risarcitoria, ricorre in Cassazione, in base a quattro distinti motivi, il primo dei quali consiste nella dedotta nullità della sentenza di appello, per essere stata decisa prima del deposito di tutti gli scritti difensivi finali.

    Si è posta, quindi, la questione, se sia sufficiente per conseguire la cassazione della sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 4, c.p.c., la violazione della regola processuale, ovvero se al ricorrente incomba l’onere di dimostrare quale pregiudizio egli abbia effettivamente subito a motivo dell’omessa presa in esame della sua memoria di replica.

    Le Sezioni unite ripercorrono i due opposti orientamenti delle sezioni semplici e giungono ad enunciare un principio di diritto, che mi sembra opportuno riportare integralmente: “la parte che proponga l’impugnazione della sentenza d’appello deducendo la nullità della medesima per non aver avuto la possibilità di esporre le proprie difese conclusive ovvero per replicare alla comparsa conclusionale avversaria non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia; la violazione determinata dall’avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sé la nullità della sentenza per impedimento frapposto ai difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, al quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all’atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo”.

    2. Una riaffermazione esemplare del principio del contraddittorio

    Troppe volte, nella mia esperienza di avvocato, mi sono sentito chiedere da colleghi e clienti, se il giudice avrebbe poi realmente letto le carte di causa. Certo, usualmente gli atti vengono letti con cura, ma la Corte d’appello di Roma non è davvero il primo giudice che decide senza avere letto tutto: soltanto che, nel caso di specie, l’omissione della lettura delle repliche (e, probabilmente, la molto rapida lettura delle comparse conclusionali, depositate pochi giorni prima) è risultata per tabulas.

    Le Sezioni unite hanno rimarcato, in modo limpido, la necessità di rispettare il principio del contraddittorio. Audiatur et altera pars: completamente e fino in fondo. Nei diversi schemi procedimentali, il confronto fra le parti può svolgersi in modo più o meno articolato, ma, all’interno di un dato procedimento, a ciascuna parte deve essere assicurata la possibilità di esaurire tutte le proprie facoltà difensive. Se ciò non avviene, il contraddittorio è violato.

    Credo che la sentenza in commento sia uno dei migliori apprezzamenti del ruolo e dell’attività del difensore nel processo, che non può essere compressa per reali o presunte esigenze di celerità. In una fase storica in cui sembra che il fattore tempo acquisti un rilevo centrale nel processo civile, fino quasi a scapito della giustizia della pronuncia, la linearità delle Sezioni unite è un significativo monito a tutti gli organi giudiziari e un richiamo non superfluo al legislatore della riforma.     

    Non si può davvero che aderire al principio di diritto enunciato[1].

    3. Il pregiudizio effettivo

    Al di là dell’esito, l’arresto delle Sezioni unite solleva, nel suo impianto motivazionale, diversi problemi che meritano attenzione.

    Il primo è il ruolo del pregiudizio effettivo subito dall’impugnante nel sistema dei gravami.

    L’orientamento giurisprudenziale da cui le Sezioni unite hanno preso le distanze è in realtà un orientamento crescente. Ad esempio, pochi mesi prima, un’ordinanza della seconda sezione della Cassazione ribadiva che l’art. 360, comma 1°, n. 4, c.p.c. non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza dell’error in procedendo[2].

    Annoto che qui si gioca una partita decisiva sul senso del processo e delle sue regole[3]. Lo scopo della sentenza, scrivono le Sezioni unite[4], “è sì quello di realizzare il diritto sostanziale, ma sempre nel rispetto delle regole e dei principi del processo giurisdizionale”. Certo, occorre decidere i casi secondo giustizia e verità, ma il metodo è quello dialettico del contraddittorio, da intendersi non come faticoso e disturbante peso per un giudice che potrebbe benissimo fare da solo, ma come via necessaria per valorizzare fino in fondo gli apporti dei contendenti.

    La legge pone precisi percorsi che conducono alla decisione: anzi, il rischio è che talora si opti per soluzioni troppo destrutturate, quando questi percorsi sono lasciati all’eccessiva discrezionalità del giudice. Ora, la violazione dei “diritti processuali essenziali” costituisce un pregiudizio in sé, lesivo delle facoltà defensionali, e non richiede “l’individuazione di un pregiudizio “altro” (id est, un pregiudizio effettivo ulteriore) da porre a fondamento della sanzione di nullità”[5].

    Portando il tema del pregiudizio effettivo alle sue estreme conseguenze, si giungerebbe all’azzeramento delle regole processuali, che diventerebbero una sorta di cammino consigliato, ma dal quale il giudice si potrebbe sempre discostare, visto che la valutazione della correttezza o meno della sua attività si misurerebbe, in definitiva, solo sul merito.

    4. Ancora il pregiudizio effettivo: relativizzato, ma non eliminato

    Con tutto questo, il tema del pregiudizio effettivo non può essere archiviato in modo sbrigativo[6].

    È debole il punto di motivazione in cui le Sezioni unite precisano che la legge processuale italiana non vi fa riferimento, mentre ciò accade, ad esempio, nell’ordinamento francese[7]. È debole perché dimostra che in altri sistemi, non certo privi di garanzie, fra i diritti processuali e l’effettività del pregiudizio si è trovato un equilibrio.

    Non viene preso in esame, ad esempio, l’art. 58 dello statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, laddove si precisa che l’impugnazione dinanzi alla Corte delle pronunce del Tribunale è proponibile per motivi relativi a vizi della procedura, recanti pregiudizio agli interessi della parte ricorrente[8]. Le regole processuali dell’Unione non costituiscono un modello per i sistemi nazionali, ma ne sono uno specchio: raccolgono, cioè, i frutti di sensibilità diffuse, seppure non unanimi, all’interno dei Paesi membri[9].

    In definitiva, l’argomento qui usato dalle Sezioni unite si ritorce contro il ragionamento sviluppato in altre parti della motivazione. Non è vero che qualunque vizio procedurale della decisione ne comporta nullità perché le regole sono intangibili: la soluzione italiana è tale (così sembra di poter arguire) soltanto perché manca una norma che stabilisca qualcosa di diverso. Ma la norma che oggi manca potrebbe domani darsi (così come attualmente si dà altrove).

    Del resto, le Sezioni unite si pongono su questa linea anche quando ricordano, dopo l’enunciazione del principio di diritto, che di fronte alle sentenze di primo grado il problema si atteggia in modo diverso. La motivazione anche qui è lineare e ineccepibile: la conversione delle nullità in mezzi di gravame e la regola posta dall’art. 354 c.p.c., per cui il giudice d’appello, pur rilevata la nullità, decide nel merito, portano alla pacifica conseguenza che la parte non può limitarsi a impugnare la sentenza unicamente per vizi procedurali (diversi, ovviamente, da quelli dell’art. 353 c.p.c.), ma deve attaccare anche le statuizioni di merito[10]. E del tutto logicamente, esse precisano che, se il caso dell’omesso esame della replica si fosse posto dinanzi a un giudice di primo grado e la corte d’appello, senza rilevare la nullità, avesse poi deciso nel merito, un ipotetico ricorso per cassazione contro la pronuncia di secondo grado, fondato sul vizio processuale non rilevato, sarebbe stato inammissibile per difetto di interesse[11].

    È forse il caso di aggiungere che la legge di delega di riforma del processo civile, al comma 8°, lettera o) del comma unico, impegna il legislatore delegato a riformulare gli artt. 353 e 354 c.p.c., riducendo le ipotesi di rimessione in primo grado ai soli casi di violazione del contraddittorio. Ne segue che, in sede di appello, lo spazio per impugnazioni soltanto sul rito si riduce ulteriormente.

    Mi sembra, allora, che sia difficile espungere il tema del pregiudizio effettivo dal nostro sistema, ma che si tratti soltanto di relativizzarlo, in rapporto alle non identiche disposizioni che governano le impugnazioni di merito e quella di legittimità. Chi propone appello deducendo al contempo un motivo procedurale e un motivo sostanziale, viene implicitamente a dire che il vizio denunciato con il primo motivo ha avuto conseguenze (causando quindi un pregiudizio effettivo) perché ha trainato l’errore denunciato con il secondo.

    In realtà, a ben guardare, le Sezioni unite non escludono né il punto dell’interesse ad impugnare, né quello del pregiudizio effettivo. Vengono a dire, piuttosto, che il principio del contraddittorio è così fondamentale ed essenziale, che ogni violazione delle regole che lo concretizzano suppone un pregiudizio in re ipsa, collocandosi sulla stessa linea del legislatore della riforma. Ma ciò che vale per il contraddittorio, non è detto valga per ogni altro caso in cui il giudice, anche in sede di appello, si discosti dalle regole del processo[12].

    Mi pare, insomma, leggendo la sentenza in controluce, si possa distinguere fra un nucleo duro di regole che attengono al cuore del processo (come il rispetto del contraddittorio e l’imparzialità del giudice) e la cui lesione si riverbera sempre e comunque sulla decisione, e altre regole, dalla cui violazione può discendere o no, a seconda dei casi, un pregiudizio al diritto di difesa: e la linea di demarcazione fra i due gruppi di ipotesi non si identifica con la comminatoria o no di nullità assoluta dell’atto.   

    A margine del ragionamento, non sarebbe inutile riflettere sull’utilità degli scritti defensionali finali nell’ambito di un mezzo di impugnazione chiuso, come l’attuale appello civile. Non penso affatto che debbano essere eliminati, ma certamente andrebbero esplorate modalità per renderli più produttivi ai fini di un efficace confronto fra le parti. Nella svista della Corte territoriale romana, può avere giocato l’abitudine a vedere presentati e ripresentati sempre gli stessi temi.

    5. La lettura dell’art. 360-bis c.p.c. n. 2

    È anche molto interessante il passaggio motivazionale in cui le Sezioni unite ritengono di rafforzare la loro scelta fra le due diverse ipotesi interpretative basandosi sull’art. 360-bis, n. 2, c.p.c.

    La lettura di questa controversa norma divide la dottrina. Alcuni (fra cui chi scrive) la vedono, nella logica del filtro, come uno step di controllo ulteriore rispetto ai cinque motivi dell’art. 360, comma 1°: così come il n. 1 rende inammissibile limita la proponibilità del ricorso in cassazione nei casi in cui la lamentata violazione di diritto non si ponga in contrasto con un orientamento giurisprudenziale consolidato, il n. 2 compie il medesimo percorso nei casi in cui il vizio procedurale lamentato non assurga al livello di violazione delle regole del giusto processo[13].

    Altri autori reputano invece che l’art. 360-bis, n. 2 costituisca un insieme aperto di situazioni, che vengono a tutelare il giusto processo anche laddove non vi sia un’espressa sanzione di nullità e che, pertanto, si aggiunga ai casi coperti dall’art. 360, comma 1°, n. 4[14].

    Le Sezioni unite optano per questa seconda interpretazione e se ne avvalgono per rafforzare la tesi della nullità della sentenza deliberata prima del decorso dei termini per le difese finali, benché le specifiche norme (per l’appello, l’art. 352 c.p.c.) non la dispongano in modo espresso.  

    Ora, a me pare che la nullità della pronuncia della Corte d’appello nel caso di specie discenda pianamente dalla violazione del contraddittorio e quindi degli art. 24, comma 2° e 111, comma 2°, cost. e che, pertanto, il richiamo all’art. 360-bis, n. 2, c.p.c. sia ininfluente rispetto alla soluzione correttamente offerta dalla pronuncia in commento. Invece, è interessante collegare la tesi delle Sezioni unite (di cui prendo atto per l’autorevolezza della fonte, ma che non mi convince) alla questione del pregiudizio effettivo: e anche qui, mi sembra di scorgere una contraddizione.

    Immaginare l’art. 360-bis, n. 2, come una clausola aperta che allarga gli spazi di ricorribilità in Cassazione delle sentenze significa dire che si può impugnare per nullità anche oltre i casi esplicitamente regolati dalla legge. Ma allora, per stabilire il discrimine fra i vizi che possono essere oggetto di ricorso e quali no, ci si deve appoggiare su qualche dato esterno, che realizza in concreto il depotenziamento del diritto di difesa. Possiamo non chiamarlo pregiudizio effettivo, se la parola non piace, ma si tratterebbe comunque di un elemento che va oltre il dato letterale della norma.

    6. Una composizione da trovare

    Quando, nelle pronunce della Cassazione allineate all’orientamento smentito dalle Sezioni unite, si legge il riferimento alla “astratta regolarità dell’attività giudiziaria”, viene immediato osservare che le regole non sono un’astrazione. Le regole processuali sono la sostanza della difesa e il loro rispetto è sostanza del giudizio. Per questo la sentenza n. 36596 del 2021 è un punto fermo di notevole importanza.   

    Tuttavia, il tema del collegamento delle regole con il merito della causa, espresso da concetti come l’interesse a impugnare e il pregiudizio effettivo, non può essere messo all’angolo. Lo si deve invece tenere presente, sia pure declinandolo in rapporto alle norme positive e non assumendolo come un ipotetico principio che quelle norme supera e travolge.

    È giusto non estremizzare[15] il principio di ragionevole durata, che, peraltro, non è solo un principio, ma ha una precisa forza normativa, di rilievo costituzionale. Non si può, nello stesso tempo, chiudere gli occhi di fronte ad una domanda, culturale e sociale, di effettività e di impiego razionale delle energie giudiziarie, che sono una risorsa finita e non moltiplicabile.

    Sarebbe fin troppo facile chiedersi se la Corte d’appello di Roma, letta la nota replica, avrebbe cambiato idea oppure no. I giudici hanno sbagliato e, per così dire, devono – correttamente – rifare il compito. Però, una causa già decisa ritorna ad essere trattata, spostando indietro di almeno un paio di anni le lancette della giustizia. Le Sezioni unite hanno pienamente ragione, ma le parti dovranno sopportare altre spese e attendere ancora.     

    Non so se le sezioni semplici si atterranno pacificamente al principio di diritto enunciato o se, in qualche modo, cercheranno altre strade per fare emergere il pregiudizio effettivo anche oltre i confini tracciati dalla decisione in commento. Certo, una composizione dovrà essere trovata. Una strada, come accennato, potrebbe essere quella di distinguere fra regole che concernono i “diritti processuali essenziali” (a cominciare da quelle che presidiano il contraddittorio) e regole di altro profilo. La sentenza delle Sezioni unite è una roccia solida, ma, con le parole del mitico Lucio Battisti dei miei anni giovanili, “come può uno scoglio arginare il mare ?“.  

     

    [1] Pienamente adesivo il commento di CAPPONI, Buone notizie dalle Sezioni unite sulle nullità processuali (e sul rapporto tra norme e principi), in www.giustiziainsieme, 2021.

    [2] Cass,. II, ord. 14 luglio 2021, n. 20067, in Guida al diritto, 2021, n. 34, p. 59. Nel caso di specie, era stata omessa la fissazione dell’udienza di discussione orale, pur ritualmente chiesta dalla parte. Del tutto analogamente Cass., I, ord., 6 settembre 2021, n. 24002, in Guida al diritto, n. 42, p. 77.

    [3] Citare contributi sul punto vorrebbe dire richiamare l’intera produzione scientifica dei processualcivilisti. Mi sia consentito richiamare, in omaggio al Maestro recentemente scomparso, il notissimo (ma non sempre correttamente compreso) saggio di CHIARLONI, Questioni rilevabili d’ufficio, diritto di difesa e “formalismo delle garanzie”, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1987, p. 569 ss.

    [4] Punto XV della sentenza commentata.

    [5] Punto VIII della sentenza commentata

    [6] Il tema è fortemente sviluppato dalla giurisprudenza, ma ancora avversato dalla dottrina maggioritaria. Si veda, di recente, per un’ampia disamina, svolta su posizioni tradizionali, la monografia di DONZELLI, Pregiudizio effettivo e nullità degli atti processuali, Napoli, 2020.

    [7] Punto IX della sentenza commentata. Il richiamo è all’art. 114 del nouveau code de procédure civile, sui cui v. CADIET, JEULAND, Droit judiciaire privé, Parigi, 2016, p. 450.

    [8] Per un ampio esame della giurisprudenza della Corte di giustizia sul punto, v. NAÔMÉ, sub. Art. 58 Statuto, in CONDINANZI, AMALFITANO, IANNUCCELLI, Le regole del processo dinanzi al giudice dell’Unione europea, Napoli, 2017, p. 296 ss.

    [9] Mi permetto di richiamare un mio scritto, ormai risalente, che affrontava espressamente questo punto: Processo comunitario e formazione di un processo comune europeo (le regole in materia di prove), in Rivista di diritto processuale, 1994, p.769 ss.

    [10] Sulla valorizzazione dell’art. 354 c.p.c. e sul potere-dovere del giudice di appello di decidere nel merito, si veda, in una fattispecie diversa, la recentissima Cass., S.u, 26 gennaio 2022, n. 2258.

    [11] Punto XVIII della sentenza commentata. Sul tema, v. SALVANESCHI, L’interesse ad impugnare, Milano, 1990. Ci si potrebbe chiedere se il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite valga anche quando la Cassazione è giudice del merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2°, c.p.c.

    [12] Ovviamente, la difficoltà sta nel collocare correttamente le regole, con il rischio di soluzioni arbitrarie. È ciò che si è discusso fino da quando il tema del giusto processo è entrato in Costituzione. Sul punto, v. per tutti TROCKER, Il nuovo art. 111 della Costituzione e il “giusto processo” in materia civile: profili generali, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 2001, p. 398 ss. Più di recente, si legga l’importante contributo di PANZAROLA, Alla ricerca dei substantialia processus, in Rivista di diritto processuale, 2015, p. 680 ss.

    [13] Ho espresso questo avviso in Argomenti di diritto processuale civile, 5° ed., Bologna, 2020, p. 517.

    SASSANI (La Cassazione, in Diritto processuale civile, diretto da DITTRICH, II, Milano, 2019, p. 2734 ss.) rileva che la lettura restrittiva è conforme alla volontà del legislatore, anche se “pone non pochi problemi”.

    CAVALLARO (Forma e contenuto della decisione, in Acierno, Curzio, Giusti, La Cassazione civile, 3° ed., Bari, 2020, p. 432 ss.) esprime l’avviso che tutte le violazioni denunciabili ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 4, c.p.c., comportino una violazione delle regole del giusto processo (in apparenza, svuotando quindi il filtro di ogni efficacia), ma aggiunge poi “che il significato della disposizione è quello di imporre alla parte che denuncia un error in procedendo l’onere di illustrarne la decisività, ossia che quell’errore abbia inciso sul contenuto della decisione e abbia arrecato un effettivo pregiudizio al suo diritto di difesa”.   

    [14] In questo senso, v. LUISO, Diritto processuale civile, II, 10° ed., Milano, 2019, p. 447. Vi sono poi letture intermedie e più articolate, come quella di CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, 3° ed., Padova, 2012, p. 346.

    [15] Così la pronuncia in commento, punto X.

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