GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    L’onere della prova del nesso causale nella responsabilità sanitaria. Le oscillazioni del «pendolo» nel dialogo tra dottrina e giurisprudenza

    L’onere della prova del nesso causale nella responsabilità sanitaria. Le oscillazioni del «pendolo» nel dialogo tra dottrina e giurisprudenza. (*)

    di Emilio Iannello

    Abstract: Il tema dell’onere della prova del nesso di causa nella responsabilità sanitaria è tra i più controversi degli ultimi decenni. La Terza Sezione Civile della Suprema Corte, nell’ambito di un progetto organizzativo diretto a fornire indicazioni nomofilattiche sulle questioni più attuali e dibattute in tema di responsabilità medica e danno alla persona (c.d. Progetto Sanità), sul finire dell’anno scorso ne ha offerto, con le sentenze gemelle nn. 28991-28992 del 2019, una chiave di lettura chiara sulla base di una ricostruzione concettuale che, pur mantenendosi nel solco già tracciato da Cass. n. 18392 del 2017, tiene conto delle serrate critiche mosse dalla dottrina. A poco meno di un anno da quelle pronunce, il contributo propone una sintetica ricognizione dell’itinerario giurisprudenziale e delle posizioni della dottrina, segnalando le persistenti differenze di approccio teorico-dogmatico ma anche i punti di vicinanza, apprezzabili in particolare sul piano della pratica giudiziaria, attraverso la «chiave  di volta» rappresentata dal meccanismo delle prove presuntive.  

    Sommario:1. Premessa. Lo statuto della responsabilità sanitaria prima e dopo le leggi Balduzzi e Gelli- Bianco - 2. Il riparto dell'onere della prova del nesso di causa in ambito di responsabilità medica. Breve itinerario giurisprudenziale (il «pendolo della prova») - 2.1. Prima fase: dagli anni '50 agli anni '70, l'obbligazione del sanitario come obbligazione di mezzi - 2.2. Seconda fase: distinzione tra interventi di facile esecuzione (o di routine) e interventi di difficile esecuzione (o interventi complessi) - 2.3. Terza fase: l'omogeneità delle regole di riparto dell'onere probatorio in materia contrattuale (Cass. S.U. n. 13533 del 2001) - 2.4. Quarta fase: al debitore/danneggiante l'onere di provare la mancanza del nesso di causa, al creditore quello di allegare l'«inadempimento qualificato» (Cass. S.U. n. 577 del 2008) - 3. La quinta stagione dell'onere della prova (Cass. n. 18392/2017 e il doppio ciclo causale) - 4. Le posizioni della dottrina - 5. Le sentenze di San Martino 2019 (Cass. nn. 28991 - 28992 del 2019) - 6. Le reazioni della dottrina - 6.1. Le critiche - 6.2. Le aperture e i possibili punti di contatto - 6.3. Le presunzioni e le inferenze probabilistiche (probabilità statistica o pascaliana vs. probabilità logica o baconiana).  

    1. Premessa. Lo statuto della responsabilità sanitaria prima e dopo le leggi Balduzzi e Gelli-Bianco  

    Il rapporto medico-paziente, per decenni informato a un modello paternalistico, con l’effetto di una sostanziale immunità per i medici ([1]), comincia a porsi in termini diversi tra gli anni ottanta e novanta del secolo scorso, dopo il diffondersi e lo svilupparsi del servizio sanitario nazionale, sulla scia di un ripensamento più generale delle categorie del diritto civile alla luce della Costituzione. 

    Il cittadino, mal curato dal medico pubblico non scelto da lui, si rivolge, per il risarcimento dei danni che riteneva di aver subito, direttamente o in via solidale, alla struttura sanitaria.

    La giurisprudenza opera allora una distinzione tra la responsabilità della struttura e quella del medico.

    La prima è ritenuta responsabilità da inadempimento, ipotizzandosi la conclusione di un contratto d’opera professionale tra paziente ed ente ospedaliero. La responsabilità del medico, dipendente e pagato dalla struttura pubblica, per il danno cagionato da un suo errore diagnostico o terapeutico, viene invece qualificata extracontrattuale con esclusione della colpa lieve nei casi di negligenza o imprudenza ([2]).

    Lungi dal fermarsi qui, l’allontanamento dai vecchi paradigmi porta poi alla svolta segnata da Cass. n. 589 del 1999 ([3]), che afferma il principio, da allora imperante per quasi vent’anni, secondo cui anche la responsabilità del medico dipendente ospedaliero deve considerarsi da inadempimento, non già per l’esistenza di un pregresso rapporto obbligatorio sussistente tra le parti, bensì in virtù di un rapporto di fatto originato dal «contatto sociale» e dal consenso informato sulle cure da eseguire.

    Secondo questo indirizzo, il medico designato dalla struttura sanitaria non può essere considerato come l’autore di un fatto illecito aquiliano, poiché la vicenda non inizia con la violazione del principio alterum non laedere e con il cagionare un danno ingiusto, ma si struttura come rapporto in cui il paziente, quanto meno in punto di fatto, si affida alle cure del medico che ha il dovere di prestargliele in virtù del servizio pubblico sanitario nazionale ([4]).

    Negli anni successivi, il cammino della giurisprudenza verrà scandito da ulteriori tappe di avanzamento del livello di tutela dei diritti coinvolti dall’attività medico-chirurgica ([5]), tanto da giungersi a ipotizzare, da parte di taluno, la creazione di un vero e proprio sottosistema della responsabilità civile ([6]).

    Un tale percorso trova una sua prima tappa d’arresto con l’emanazione della c.d. legge Balduzzi (d.l. 13 settembre 2012, n. 158, conv. con modif. dalla legge 8 novembre 2012, n. 189).

    L’intento di restituire ai sanitari una meno onerosa posizione processuale nel crescente contenzioso non ha avuto, tuttavia, efficace espressione nella norma, a causa della scarsa chiarezza del testo (art. 3), che ha lasciato prevalere una esegesi conservativa del «diritto vivente» ([7]).

    È dunque intervenuta, pochi anni dopo, la legge c.d. Gelli-Bianco (legge 8 marzo 2017, n. 24), entrata in vigore il 1 aprile 2017, il cui art. 7 non lascia più adito a dubbi sull’intento di indirizzare il contenzioso verso un c.d. doppio binario: responsabilità contrattuale delle strutture (ex art. 1218 c.c. per l'inadempimento o l'inesatto adempimento del contratto concluso con il paziente al momento del ricovero; ex art. 1228 c.c. per il danno cagionato dal professionista/ausiliario di cui si sia avvalsa per l'adempimento dell'obbligazione); extracontrattuale del sanitario operante al suo interno, dipendente o meno che sia, salva l’ipotesi che lo faccia sulla base di accordo negoziale con il paziente ([8]).

    I problemi di diritto (in senso lato) intertemporale posti dalla qualificazione operata dal legislatore della responsabilità del medico dipendente in termini di responsabilità extracontrattuale sono stati risolti dalla S.C. nell’ambito del c.d. Progetto Sanità ([9]) da Cass. n. 28994 del 2019 ([10]), che ─ ritenuta la legittimità  della qualificazione giuridica della fattispecie operata direttamente dal legislatore (benché con evidente invasione di un campo proprio della giurisdizione) ─ ha tuttavia affermato il principio secondo cui  «le norme sostanziali contenute nella legge n. 189 del 2012, al pari di quelle di cui alla legge n. 24 del 2017, non hanno portata retroattiva, e non possono applicarsi ai fatti avvenuti in epoca precedente alla loro entrata in vigore, a differenza di quelle che, richiamando gli artt. 138 e 139 codice delle assicurazioni private in punto di liquidazione del danno, sono di immediata applicazione anche ai fatti pregressi» ([11]).

    Le più rilevanti conseguenze operative di tale modello dualistico di responsabilità sono certamente (o dovrebbero essere) ─ oltre al diverso termine prescrizionale ─ quelle relative al diverso riparto dell’onere della prova.

    Al fondo delle descritte oscillazioni intorno alla statuto o agli statuti della responsabilità sanitaria, vi è, infatti, principalmente, il problema del nesso causale (tra condotta della struttura e del personale sanitario e danno lamentato dal paziente) e della relativa prova, con riferimento sia alla distribuzione dei carichi probatori, sia al contenuto degli stessi.

    Problema cruciale, poiché incombe sovente, nel contenzioso, il «rischio della causa ignota», in relazione al quale rilievo decisivo assume, ovviamente, la regola di giudizio da applicare in tema di riparto del relativo onere.

    La qualificazione in termini di responsabilità extracontrattuale della responsabilità del medico lo risolve solo in parte, non solo per la negata applicabilità della nuova qualificazione (normativa) ai fatti pregressi, ma anche e soprattutto perché l’opposta qualificazione, come s’è detto, rimane valida e operante nei confronti della struttura sanitaria, pubblica o privata, ossia del soggetto nei cui confronti, per intuibili motivi, del tutto prevedibilmente si rivolgerà sempre, in via preferenziale e quanto meno in via cumulativa, la pretesa risarcitoria.

    Non a caso il tema forma oggetto di due delle dieci sentenze di San Martino del 2019 (Cass. nn. 28991-28992 del 2019) e può forse considerarsi quello sul quale maggiormente si è concentrata l’attenzione critica della dottrina (a cominciare dalla svolta segnata già un paio d’anni prima dalla sentenza n. 18392 del 2017, delle cui affermazioni di principio quelle più recenti costituiscono, come si vedrà, ripresa e sviluppo). Ciò anche per gli indubbi riflessi che la complessa costruzione dogmatica comporta su di un piano di teoria generale delle obbligazioni.

    Può dirsi, anzi, che il nuovo corso sul tema della giurisprudenza della Terza Sezione Civile della Suprema Corte ha catalizzato l’attenzione della dottrina molto più della singolare opera qualificatoria del legislatore, avendo la prima, per certi versi, sopravanzato il secondo nell’opera di riequilibrio delle posizioni processuali delle parti, a favore della classe medica.

    A quasi un anno dalle sentenze di San Martino 2019 la vicenda merita, dunque, di essere ripercorsa, partendo da un breve excursus degli orientamenti espressi sul tema dalla giurisprudenza degli ultimi settant’anni.  

    2. Il riparto dell’onere della prova del nesso di causa in ambito di responsabilità medica. Breve itinerario giurisprudenziale (il «pendolo della prova»)

    Secondo una attenta analisi dottrinale ([12]) nella evoluzione della giurisprudenza in materia possono distinguersi cinque fasi (o stagioni), «ognuna caratterizzata da regole peculiari elaborate dalla giurisprudenza nel tentativo, non sempre riuscito, di tenere in considerazione le peculiarità di tale settore» ([13]).  

    2.1. Prima fase: dagli anni ’50 agli anni ’70, l’obbligazione del sanitario come obbligazione di mezzi  

    Fino agli anni ’70, l'obbligazione del sanitario (genericamente inteso sia come medico sia come struttura) è considerata obbligazione di mezzi, con conseguente onere del paziente di dimostrare la difettosa esecuzione della prestazione, nonché il nesso eziologico tra la condotta del sanitario e il danno ricevuto (The doctor can do no wrong).

    A partire dagli anni ‘70 l’eccessiva rigidità della classificazione (tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato) fu sempre più avvertita e cominciarono ad emergere, nella giurisprudenza costituzionale e in quella di legittimità, nell'interpretazione dell'art. 2236 cod. civ., le prime distinzioni, nell'ambito della nozione di colpa grave, tra imperizia, negligenza e imprudenza ([14]).  

    2.2. Seconda fase: distinzione tra interventi di facile esecuzione (o di routine) e interventi di difficile esecuzione (o interventi complessi)  

    Cass. n. 6141 del 1978 ([15]) applica per la prima volta la distinzione ─ mantenuta per i successivi trent’anni ─ tra interventi di facile e interventi di difficile esecuzione, come criterio di riparto dell'onere probatorio.

    Nei casi di difficile esecuzione spetta al paziente provare l’errore del medico, attraverso una ricostruzione precisa delle modalità con cui è stata eseguita ogni fase dell'intervento.

    Nell'ipotesi, invece, di interventi di facile esecuzione (o routinari) l’attore deve solo provare il peggioramento delle proprie condizioni di salute (res ipsa loquitur); spetterà in tal caso al sanitario dimostrare che l'esito peggiorativo è stato causato dal sopravvenire di un evento imprevedibile o dalle condizioni fisiche del malato.

    Tale regola ha avuto il pregio di porre un unico criterio di ripartizione dell'onere della prova a fronte di titoli di responsabilità differenti (aquiliana per il medico dipendente e contrattuale per la struttura o il libero professionista).

    Ad uscirne favoriti però sono stati, per la massima parte dei casi, gli attori a scapito dei sanitari convenuti (gravati del c.d. rischio del fatto impeditivo ignoto). Si è detto trattarsi di «un espediente retorico piuttosto maldestro» ([16]), in grado di configurare una responsabilità oggettiva del medico, con conseguente trasformazione dell'obbligazione di quest'ultimo da obbligazioni di mezzi a obbligazioni di risultato.

    Non a caso dagli anni ‘80 in poi cominciò a porsi il problema della deterrenza in ambito sanitario (c.d. medicina difensiva).  

    2.3. Terza fase: l’omogeneità delle regole di riparto dell’onere probatorio in materia contrattuale (Cass. S.U. n. 13533 del 2001)  

    Cass. S.U.. n. 13533 del 2001 ([17]) ─ facendo riferimento ad esigenze di omogeneità, al principio di persistenza del diritto e a quello di vicinanza della prova ─ ha, come noto, stabilito, in materia di responsabilità contrattuale, un'unica regola probatoria, sia nel caso in cui venga proposta domanda di adempimento, di risoluzione o di risarcimento, sia nel caso in cui si agisca per il mancato o l'inesatto adempimento. In tutte queste ipotesi il creditore è solo tenuto a dimostrare esclusivamente la fonte del suo diritto, spettando al debitore la prova di aver adempiuto ([18]).

    Questa sentenza ha dato avvio alla terza stagione.

    Alla luce, infatti, dei principi in essa affermati e della qualificazione in termini contrattuali della responsabilità  della struttura e del medico, tre sentenze della S.C. ─ la n. 9471, la n. 10297 e la n. 11148 del 2004 ([19]) ─ hanno escluso che la distinzione tra interventi di facile e difficile esecuzione potesse costituire valido criterio di riparto dell’onere della prova, ed hanno attribuito: al paziente l’onere di dimostrare l'esistenza del contratto e l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgere di nuove patologie per effetto dell'intervento; all'ente e/o al sanitario quello di provare che la prestazione professionale è stata eseguita diligentemente e che gli esiti peggiorativi sono stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile.

    Le pronunce non chiarirono su chi dovesse gravare la prova del nesso eziologico tra prestazione ed evento dannoso, ma la giurisprudenza immediatamente successiva è stata chiara e univoca nell’affermare che tale onere era a carico del danneggiato ([20]).  

    2.4. Quarta fase: al debitore/danneggiante l’onere di provare la mancanza del nesso di causa, al creditore quello di allegare l’«inadempimento qualificato» (Cass. S.U. n. 577 del 2008)  

    Quest’ultimo approdo (prova a carico del danneggiato del nesso causale tra azione od omissione ed evento dannoso) è stato invece rivisto da Cass. S.U. n. 577 del 2008 ([21]).

    Pur condividendo i principi affermati dalla Terza Sezione nel 2004 e dalla giurisprudenza successiva, le Sezioni Unite se ne discostano in punto di nesso causale, ritenendo che tale prova non debba essere fornita dal paziente-attore. Secondo tale fondamentale arresto, infatti, ai fini del riparto dell'onere probatorio l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato (c.d. inadempimento qualificato), rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante.

    A fondamento di tale principio le Sezioni Unite posero, da un lato, il superamento ─ già sancito da Cass. S.U. n. 15781 del 2005 ([22]) ─ della distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazione di risultato (ritenuta di rilievo solo descrittivo e dagli esiti applicativi incerti e contrastanti proprio sul piano del riparto degli oneri probatori), dall’altro il principio affermato da Cass. S.U. n. 13533 del 2001.

    A quest’ultima si riallacciarono rilevando che, trattandosi di obbligazioni così dette di comportamento, «l’inadempimento rilevante … non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce causa (o concausa) efficiente del danno».

    La dottrina non ha mancato di rilevare gli aspetti rimasti irrisolti dopo tale arresto:

    ─ qual è il contenuto dell'allegazione cui è tenuto l'attore e quale il suo grado di specificità?

    ─ per converso, che contenuto deve avere la prova liberatoria in capo al medico o alla struttura ospedaliera?

    ─ soprattutto a carico di chi resta il rischio della causa ignota?  

    3. La quinta stagione dell’onere della prova (Cass. n. 18392/2017 e il doppio ciclo causale)  

    Si arriva così, nove anni dopo l’arresto di Cass. S.U. n. 577 del 2008, in una temperie ancora caratterizzata dalla ricerca di soluzioni che ponessero gli esercenti la professione sanitaria in una posizione meno gravosa nell’ambito del crescente contenzioso, alla pronuncia di Cass. n. 18392 del 2017 ([23]), che, come s’è anticipato, segna una svolta di rilievo ancora più dirompente di quello che sarà successivamente rappresentato dal modello del doppio binario introdotto dalla legge Gelli-Bianco.

    Con tale pronuncia la S.C., a sezione semplice, compie una raffinata quanto innovativa operazione di sistemazione concettuale, culminata nell’affermazione di principio secondo cui «ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l'inesatto adempimento della prestazione sanitaria, è onere del danneggiato provare il nesso di causalità fra l'aggravamento della situazione patologica (o l'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento) e l'azione o l'omissione dei sanitari, mentre è onere della parte debitrice provare che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l'esatta esecuzione della prestazione; l'onere per la struttura sanitaria di provare l'impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile sorge solo ove il danneggiato abbia provato il nesso di causalità fra la patologia e la condotta dei sanitari».

    Questi, in sintesi, i passaggi argomentativi:

    ─ il nesso causale (tra azione/omissione del medico ed evento di danno) è elemento del fatto costitutivo della pretesa risarcitoria;

    ─ secondo la regola generale (art. 2697 cod. civ.: onus probandi incumbit ei qui dicit) la sua prova incombe sull’attore/danneggiato;

    ─ il principio affermato da Cass. S.U. n. 577 del 2008 solo apparentemente enuncia una regola opposta, in quanto si riferisce in realtà non al nesso causale che lega l’evento di danno all’azione od omissione del sanitario (causa costitutiva del diritto al risarcimento), ma al diverso nesso causale che intercorre tra inadempimento e fatto non imputabile al debitore/sanitario (causa estintiva dell’obbligazione).

    Occorre dunque distinguere due cicli causali:

    ─ il primo riguarda l’evento di danno, è comune ad ogni fattispecie di responsabilità (contrattuale o extracontrattuale) e caratterizza negli stessi termini gli oneri di allegazione e prova del danneggiato («tronco comune» delle azioni di danno)(c.d. causalità costitutiva);

    ─ il secondo è proprio della responsabilità contrattuale e riguarda l’impossibilità di adempiere (per fatto non imputabile al debitore) come causa di estinzione dell’obbligazione, la cui prova è a carico del debitore (c.d. causalità estintiva);

    ─ la dimostrazione di tale causa estintiva passa attraverso la prova della non imputabilità del fatto che ha reso impossibile la prestazione (casus=non culpa) ([24]) e, dunque, della diligenza del debitore, che però, a questo fine, non attiene all’adempimento ma alla «conservazione della possibilità di adempiere»;

    ─ essa va quindi valutata secondo il parametro della diligenza ordinaria (o del buon padre di famiglia: art. 1176, comma primo, cod. civ.), a differenza di quella relativa alla prestazione dedotta in contratto, che va valutata secondo la diligenza professionale (art. 1176, comma secondo, cod. civ.).

    Discende da tali regole che il rischio della causa ignota: a) graverà sul creditore/danneggiato, se riguarda l’evento di danno; b) graverà invece sul debitore/danneggiante, se riguarda la causa esterna imprevedibile e inevitabile che ha reso impossibile l’adempimento.

    Con la ovvia precisazione che il (secondo) ciclo causale, relativo alla possibilità di adempiere, acquista rilievo solo ove risulti dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta del debitore.

    Cass. n. 18392 del 2017  ha segnato la giurisprudenza successiva della Terza Sezione, presto conformatasi al nuovo paradigma ([25]).  

    4. Le posizioni della dottrina  

    È bene anzitutto rilevare che l’orientamento che addossa al creditore l’onere di provare il nesso causale tra danno e inadempimento godeva già di un'autorevole copertura dottrinale ([26]).

    Da questo punto di vista, l’aspetto realmente innovativo della «sentenza Scoditti» ([27]) è rappresentato proprio dalla affermata «non discontinuità» con il principio affermato da Cass. S.U. n. 577 del 2008; affermazione ─ per vero dai più non condivisa ─ cui si giunge attraverso l’inedita teorizzazione del «doppio ciclo causale» (si dice, infatti, che quel principio riguardava il secondo ciclo causale, non dunque la causa costitutiva del diritto al risarcimento, ma la causa impeditiva dell’adempimento).  

    Al riguardo occorre segnalare che una più articolata ─ e, in parte, ammorbidita ─ prospettazione dei principi enunciati da Cass. n. 18392 del 2017 viene, poco tempo dopo, offerta dal suo stesso estensore, in sede «dottrinale» ([28]).

    Come efficacemente sintetizza l’abstract anteposto allo scritto, la tesi ivi sostenuta è che «la l. n. 24 del 2017 impone un adeguamento delle conclusioni cui sono giunte le Sezioni Unite della Corte di cassazione in materia di responsabilità contrattuale del medico. Alla luce dell'acquisita rilevanza delle buone pratiche clinico-assistenziali e delle raccomandazioni previste dalle linee guida deve essere recuperata la distinzione fra obbligazioni di risultato ed obbligazioni di mezzi quale distinzione fra interventi routinari e non routinari».

    Viene in tal senso evocata anche la distinzione tra interesse strumentale (immanente alla prestazione dedotta in obbligazione) e interesse primario (il risultato ultimo che si intende conseguire, che però rimane, come tale, estraneo al perimetro dell’obbligazione).

    Distinzione in concreto non percepibile per le obbligazioni di risultato, ma rilevante per quelle di mezzi.

    «Se l'intervento sanitario non è routinario – prosegue l’abstract – e l'obbligazione è quindi di mezzi, una volta che il medico abbia provato l'esecuzione della prestazione nel rispetto delle leges artis, spetta al paziente provare che l'aggravamento della patologia o l'insorgenza di nuova patologia sono stati determinati da negligenza o imprudenza del medico».

    Si ipotizza, infatti, che in questa tipologia di obbligazioni, una volta che il debitore abbia confutato l'inadempimento contestatogli dal creditore mediante la prova dell'avvenuta osservanza delle regole di perizia, spetti a quest'ultimo di individuare il fattore causale della mancata realizzazione del proprio interesse, ossia del danno: un fattore alternativo alla condotta del debitore ma da questi prevedibile ed evitabile, dunque a lui imputabile a titolo di responsabilità.

    La prova, da parte del debitore, di aver osservato le leges artis, farebbe in altre parole scattare un nuovo ciclo causale (il terzo) questa volta a carico del creditore, tenuto a allegare e dimostrare la causa ignota e la sua prevedibilità da parte del debitore.

    La ricostruzione operata da Cass. n. 18392 del 2017 è favorevolmente commentata da P. SPAZIANI ([29]) che, però, a tal fine, muove, pour cause,  da una netta presa di distanze dal principio affermato da Cass. S.U. n. 13533 del 2001 (in tal senso distinguendosi dalla «sentenza Scoditti» che, invece, quel principio, nella versione resa da Cass. S.U. n. 577 del 2008, affermava essere solo apparentemente disatteso).

    Osserva, infatti, l’A. che «sul piano dogmatico, non appariva pienamente giustificata l’equiparazione di tale regime» (s’intende, quello di riparto dell’onere della prova in  tema  di responsabilità  contrattuale) a quello degli altri rimedi posti a tutela del diritto di credito, atteso che nella domanda di adempimento o di risoluzione del contratto (art. 1453 cod. civ.), diversamente che in quella di risarcimento del danno (art. 1218 cod. civ.), per un verso l’inadempimento non rientra tra i fatti costitutivi della pretesa (costituendo soltanto un presupposto logico della domanda), mentre, per altro verso, l’adempimento si caratterizza come fatto estintivo del diritto di credito e forma pertanto oggetto delle eventuali eccezioni del debitore, rientrando tra i fatti che egli ha l’onere di provare, ai sensi dell’art. 2697, comma secondo, cod. civ..

    Al contrario, nella domanda di risarcimento del danno contrattuale è l’inadempimento ad integrare, insieme al danno e al nesso causale, la vicenda fattuale costitutiva della fattispecie, talché il trasferimento di tale vicenda dalla sfera dell’onere probatorio dell’attore (in cui rientra naturaliter in base all’art. 2697, comma primo, cod. civ.) in quella del convenuto, può trovare giustificazione soltanto nei principi di presunzione di persistenza del diritto e di vicinanza della prova.

    Ma tali principi, mentre possono essere invocati in relazione al fatto di inadempimento (essendo più agevole per il debitore dare la prova positiva del fatto estintivo dell’obbligazione che non, per il creditore, fornire la dimostrazione negativa della sua inesistenza), difficilmente possono trovare applicazione in relazione alla dimostrazione del nesso causale tra quel fatto e il danno che ne è conseguito: tanto il nesso causale “materiale” (intercorrente tra l’inadempimento e l’evento di danno) quanto il nesso causale “giuridico” (intercorrente tra l’evento lesivo e le sue conseguenze pregiudizievoli), integrano infatti elementi egualmente “distanti” da entrambi i soggetti del rapporto obbligatorio, talché non può ipotizzarsi a carico del debitore l’onere di fornire una prova liberatoria rispetto all’assenza del nesso di causa analoga a quella richiestagli in relazione all’esattezza dell’adempimento» ([30])([31]).

    Ben più numerose sono state però le reazioni - più o meno apertamente - critiche ([32]).

    La «sentenza Scoditti» del 2017 è stata, infatti, vista – benché ciò, come detto, sia espressamente in essa negato - come una netta inversione di rotta rispetto a Cass. S.U. n. 577 del 2008 ed un regresso ad una fase, che sembrava abbandonata, di sostanziale favor debitoris con l’effetto, al contempo, di elidere in gran parte, sul piano del riparto degli oneri probatori, la differenza tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale, finendo così con il risultare finanche più sbilanciata in favore delle strutture sanitarie di quanto non intendesse esserlo lo stesso legislatore con la legge n. 24 del 2017 ([33]).  

    Il nocciolo di tali critiche, da un punto di visto strettamente teorico-concettuale, può essere sintetizzato nelle seguenti proposizioni, che converrà tenere presenti in vista della successiva tappa del percorso in esame.

    I) È pacifico che nella responsabilità extracontrattuale il giudizio causale (causalità materiale) è criterio di imputazione oggettiva (del danno), il dolo o la colpa è criterio di imputazione soggettiva.

    Orbene, secondo la «sentenza Scoditti», anche nella responsabilità contrattuale, il giudizio causale è allo stesso modo criterio di imputazione oggettiva, mentre l’inadempimento lo è di imputazione soggettiva.

    Tale asserto è criticato sul rilievo che nella responsabilità contrattuale non vi è spazio per una analoga distinzione tra imputazione oggettiva e soggettiva, poiché ad entrambe presiede l’inadempimento.

    Ciò in quanto l'inadempimento all'obbligazione implica di per sé l'esistenza di un nesso di causalità tra la condotta del debitore (inadempiente) e l'evento lesivo (ossia la lesione dell'interesse del creditore ad acquisire l'utilità proveniente dalla prestazione del debitore).

    Conseguentemente la prova del nesso di causalità (materiale) è contenuta in re ipsa nella prova dell'inadempimento imputabile, restando assorbita in quest'ultima ([34]).

    Tale conclusione poggia sul rilievo (e qui sta probabilmente il vero nodo teorico di fondo) che «nell'obbligazione la responsabilità costituisce uno stadio del medesimo rapporto obbligatorio che, venuta meno o divenuta non più utile in termini oggettivi la prestazione originaria, muta il proprio oggetto nella prestazione di risarcimento del danno, finalizzata ad attuare per equivalente il risultato atteso e a rimuovere il costo dei danni conseguenti all'inadempimento. Il fatto costitutivo in senso proprio della responsabilità consiste, dunque, nell'esistenza del rapporto obbligatorio di cui il vincolo di responsabilità rappresenta un'epifania» ([35]).

    II) Dare la prova del nesso di causa (tra inadempimento ed evento di danno)  significa  dover dimostrare una sequenza concreta di eventi (sino a quello finale, che rappresenta il danno), tra i quali sia possibile istituire (e dimostrare l’esistenza di) nessi di collegamento e/o di derivazione. «Ma come si fa a provare (in concreto) tali nessi se non si sono prima provati (perché non si era tenuti a farlo), nel loro effettivo e specifico svolgimento, i singoli fatti della sequenza (e, in particolare, il fatto che si pone all’origine della sequenza medesima)?» ([36]). In altre parole dimostrare il nesso non richiede anche, prima, la dimostrazione dell’errore, ossia della condotta erronea che ha causato il danno ([37])?

    III) Nel ragionamento si annida uno «slittamento semantico» che ha mutato l'oggetto della prova gravante sul debitore-medico dal fattore causale del danno alternativo all'inadempimento, nel fattore causale che ha reso impossibile la prestazione ([38]).

    Il medico e/o la struttura, però, possono essere chiamati (anzi, sono normalmente chiamati, quando risulti in concreto accertata una loro condotta che sia qualificabile come inadempimento) a dimostrare che l’inadempimento (pur essendosi, in ipotesi, verificato) non ha avuto efficienza causale rispetto all’evento dannoso di cui si discute. A maggior ragione hanno interesse a dimostrare la causa che ha provocato l'evento dannoso, «nonostante la corretta esecuzione della prestazione» (esecuzione che, dunque, non è stata affatto «impedita» da quella causa) ([39]).  

    IV) L’implicazione necessaria tra evento di danno e inadempimento è, in realtà, ritenuta non predicabile anche da quelli tra i citati Autori che maggiormente si sono spesi sul tema nel descritto attuale contesto, ovvero  i professori Giovanni D’AMICO e Fabrizio PIRAINO, con riferimento ad alcune categorie di obbligazioni, che, il primo identifica - sostanzialmente recuperando la distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato (ovvero quella tra interventi routinari e interventi complessi) - in quelle aventi ad oggetto prestazioni mediche difficili (in contrapposizione a quelle «ad alta vincolatività»), il secondo identifica in quelle «con risultato indeterminato» (in contrapposizione a quelle «con risultato determinato»).

    Nondimeno, anche in tal genere di obbligazioni, secondo entrambi, non si giustifica la regola di riparto affermata da Cass. n. 18392 del 2017.

    La convergenza delle critiche si ferma però qui, sviluppando poi i due Autori percorsi argomentativi nettamente diversi.

    IV.1) Secondo il D’AMICO, infatti, nelle obbligazioni di mezzi il debitore oltre a poter dimostrare il fatto non imputabile che ha reso impossibile l’adempimento (art. 1218 cod. civ.), ha anche (e si tratterà, anzi, dell'ipotesi più frequente) la possibilità di provare che, con la propria condotta, egli ha in realtà correttamente adempiuto la prestazione dovuta (risultando quella condotta conforme agli standard di perizia/diligenza richiesti e non essendoci qui un preciso risultato che possa considerarsi «promesso», e non potendosi, pertanto, dal suo mancato avverarsi, trarre alcuna presunzione assoluta di inadempimento).

    Con la conseguenza che, in tal caso, il rischio della mancata individuazione di una «causa alternativa» (prevedibile ed evitabile) che possa spiegare la mancata realizzazione dell'interesse del creditore (una volta escluso che questa «causa» possa essere stata l'inadempimento dell'obbligazione), ricadrebbe sul creditore stesso ([40]).

    IV.2) Diversamente il PIRAINO riconosce bensì «un fondo di verità» sotteso alla distinzione tra obbligazioni «di risultato» e obbligazioni «di mezzi», ma sostiene che esso si esaurisce nell'aver colto la varietà morfologica del contenuto delle obbligazioni, con incidenza sui temi di allegazione e prova, senza poter giustificare una diversificazione delle regole di responsabilità (funzione, dunque, connotativa, non denotativa, del criterio della determinatezza o meno del risultato) ([41]).

    Secondo l’A., in questa tipologia di obbligazioni, la perdita lamentata dal creditore può essere considerata un danno risarcibile soltanto se, a seguito di una valutazione necessariamente a posteriori, si appuri che l'utilità perduta coincide proprio con quella che, nel quadro di un giudizio controfattuale, il creditore avrebbe potuto ottenere qualora il debitore si fosse determinato in maniera diversa nel rispetto dei criteri di esattezza e di correttezza della prestazione. Non basta dunque un sindacato incentrato sulla sola condotta.

    In questa valutazione trova spazio allora una componente eziologica che, però, non si esplica su di un piano concreto, ma su un piano astratto. Occorre, cioè, ricondurre la condotta del debitore sotto una legge scientifica, o statistica, di copertura così da verificare se il tipo di danno lamentato dal creditore corrisponde al novero dei pregiudizi rispetto ai quali quel tipo di condotta si pone come antecedente secondo il modello nomologico-deduttivo. Non è qui in questione la prova dell'esistenza del nesso di causalità, ma la possibilità stessa di qualificare quanto lamentato dal creditore come danno da inadempimento.

    Ciò si traduce nella necessità: a) per il creditore, di allegare (e provare) l'attitudine in astratto della condotta inesatta del debitore a produrre il tipo di pregiudizio lamentato; non è invece necessario che il creditore fornisca elementi per la verifica della causalità individuale; b) per il debitore, di conseguenza, o di sconfessare la legge scientifica o statistica di copertura o di provare l’esistenza, in concreto, di una causa del danno alternativa alla propria condotta (fattore causale esterno che esclude non l’inadempimento, come il fatto non imputabile ex art. 1218 cod. civ., ma l’obbligo di risarcimento).

    La prova del fattore causale alternativo va equiparata sul piano dogmatico alla prova della causa di impossibilità della prestazione non imputabile al debitore sotto il comune segno dell'esonero dalla responsabilità: questa esclude l’inadempimento (art. 1218 cod. civ.); quella esclude il danno come conseguenza della condotta del sanitario (inadempiente o meno che sia).

    IV.3) Sostanzialmente sullo stesso piano (che potremmo definire intermedio) merita di essere qui ricordata altra attenta dottrina ([42]) secondo cui il principio di omogeneità (Cass. S.U. n. 13533 del 2001)  è in realtà neutrale dal  punto di vista ricostruttivo, «perché omogeneo sarebbe anche un sistema che gravasse della prova sempre il creditore» e che, nei fatti, «affrettato» si è rivelato l’abbandono, sulla base di quel principio, da parte della giurisprudenza, della tradizionale dicotomia tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato quale criterio per «differenziare la conformazione dell’onere della prova dell’adempimento» (la cui persistente «vitalità» è testimoniata proprio dalle menzionate nuove proposte classificazioni).

    Illusorio, dunque, secondo l’A., è il beneficio che quel principio arrecherebbe in termini di semplificazione dei criteri di riparto dell’onere della prova, in quanto destinato a infrangersi contro «un’unica e innegabile realtà logico-giuridica: non tutte le prestazioni sono uguali per livello di alea implicita, non tutte le obbligazioni sono uguali per tasso di diligenza efficiente e non tutti i rapporti sono uguali per allocazione intersoggettiva del rischio».

    Per tal motivo, osserva l’A.,  «un regime probatorio forzatamente omogeneo, così rigido da non poter assecondare l'eterogeneità delle fattispecie, è votato all'instabilità, alla crisi e, in ultimo, al rigetto».

    Così come dunque troppo severo si è rivelato il regime probatorio instaurato dalla giurisprudenza dopo Cass. S.U. n. 577 del 2008 per il debitore di prestazione medica, tanto da produrre «una crisi di rigetto, sfociata in progetti legislativi di rigidità uguale e contraria», allo stesso modo, all’opposto, «gravi interrogativi» suscita «la razionalità di un sistema probatorio indifferente – ancora una volta – alla multiforme configurazione degli ambiti di rischio».

    Evidenziata, quindi, la non decisività dei criteri di vicinanza della prova e del brocardo, in cui esso si riflette, «negativa non sunt probanda» (poiché privo di logica giustificazione ove si tratti di provare una proposizione antitetica ad una proposizione affermativa specifica: negativa praegnans probari potest), l’A. osserva che l'onere di allegazione in capo al ceditore/paziente danneggiato può svolgere un'utile, ancorché molto parziale,  funzione delimitativa, onerando il debitore a provare solo il contrario dell'inadempimento o dell'inesattezza allegati dal creditore, anziché il contrario di tutti gli inadempimenti e tutte le inesattezze astrattamente concepibili».

    Resta comunque indispensabile, secondo l’A., che il riparto dell’onere probatorio guardi «prima di ogni altra cosa alla verosimiglianza del fatto e agli ambiti di rischio, ove non voglia scadere in distribuzioni pragmaticamente irrazionali o eticamente orientate».  

    5. Le sentenze di San Martino 2019 (Cass. nn. 28991 – 28992 del 2019)  

    Nell’acceso dibattito di cui si è fatto cenno irrompono le due sentenze gemelle emesse dalla Terza Sezione Civile, per la penna dello stesso estensore della sentenza n. 18392 del 2017, il giorno di San Martino del 2019.

    L’intento – che le accomuna alle altre emesse nello stesso contesto (in tema di responsabilità medica e danno alla persona: c.d. Progetto Sanità) – è quello di affrontare uno dei nodi, come si è visto, più intricati e problematici ed offrirne una chiave di lettura chiara e univoca, in funzione dell’obiettivo di prevedibilità e certezza degli indirizzi giurisprudenziali.

    Con riferimento al tema in esame il risultato è, sostanzialmente, quello del consolidamento del principio affermato dalla sentenza del 2017; esso, però, viene ottenuto alla luce di un più articolato percorso argomentativo diretto a tener conto – e in certa misura anche ad accogliere, apportando qualche «correzione di tiro» – alcuni dei rilievi mossi dalla dottrina.

    Trovano ingresso in tal senso alcuni passaggi argomentativi già svolti da E. SCODITTI in sede dottrinale nel ricordato scritto ([43]); non anche però (ma la fattispecie non ne dava occasione) la parte relativa a quello che qui si è definito «terzo ciclo causale».

    Recita così, fedelmente, la massima di Cass. n. 28991 del 2019 ([44]): «in tema di inadempimento di obbligazioni di diligenza professionale sanitaria, il danno evento consta della lesione non dell'interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l'obbligazione (perseguimento delle leges artis nella cura dell'interesse del creditore) ma del diritto alla salute (interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato); sicché, ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l'inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l'aggravamento della situazione patologica (o l'insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile ed inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione della prestazione».

    Questi in sintesi i passaggi argomentativi delle sentenze «gemelle».

    I) La causalità relativa tanto all'evento pregiudizievole, quanto al danno conseguenziale, è comune ad ogni fattispecie di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale, quale portato della distinzione fra causalità ed imputazione.

    È un collegamento naturalistico fra fatti accertato sulla base delle cognizioni scientifiche del tempo ovvero su basi logico-inferenziali.

    Attiene alla relazione probabilistica (svincolata da ogni riferimento alla prevedibilità soggettiva) tra condotta ed evento di danno (e fra quest'ultimo e le conseguenze risarcibili), da ricostruirsi secondo un criterio di regolarità causale.

    Su un piano diverso si colloca la dimensione soggettiva dell'imputazione. Quest'ultima corrisponde all'effetto giuridico che la norma collega ad un determinato comportamento sulla base di un criterio di valore, che è rappresentato dall'inadempienza nella responsabilità contrattuale e dalla colpa o il dolo in quell'aquiliana (salvo i casi di imputazione oggettiva dell'evento nell'illecito aquiliano: artt. 2049, 2050, 2051 e 2053 c.c.).

    Che la causalità materiale si iscriva a pieno titolo anche nella dimensione della responsabilità contrattuale trova una testuale conferma nell'art. 1227 c.c., comma 1, che disciplina proprio il fenomeno della causalità materiale rispetto al danno evento sotto il profilo del concorso del fatto colposo del creditore.

    Ogni forma di responsabilità è dunque connotata dalla congiunzione di causalità ed imputazione. Su questo tronco comune intervengono le peculiarità della responsabilità contrattuale.

    II) Il tratto distintivo della responsabilità contrattuale risiede nella premessa della relazionalità, da cui la responsabilità conseguente alla violazione di un rapporto obbligatorio. Il danno derivante dall'inadempimento dell'obbligazione non richiede la qualifica dell'ingiustizia, che si rinviene nella responsabilità extracontrattuale, perché la rilevanza dell'interesse leso dall'inadempimento non è affidata alla natura di interesse meritevole di tutela alla stregua dell'ordinamento giuridico, come avviene per il danno ingiusto di cui all'art. 2043 c.c. (cfr. Cass. S.U.. 22 luglio 1999, n. 500), ma alla corrispondenza dell'interesse alla prestazione dedotta in obbligazione (arg. ex art. 1174 c.c.). È la fonte contrattuale dell'obbligazione che conferisce rilevanza giuridica all'interesse regolato.

    III) Se la soddisfazione dell'interesse è affidata alla prestazione che forma oggetto dell'obbligazione vuol dire che la lesione dell'interesse, in cui si concretizza il danno evento, è cagionata dall'inadempimento.

    La causalità materiale, pur teoricamente distinguibile dall'inadempimento per la differenza fra eziologia ed imputazione, non è praticamente separabile dall'inadempimento, perché quest'ultimo corrisponde alla lesione dell'interesse tutelato dal contratto e dunque al danno evento. La causalità acquista qui autonomia di valutazione solo quale causalità giuridica, e dunque quale delimitazione del danno risarcibile.

    L'assorbimento pratico della causalità materiale nell'inadempimento fa sì che tema di prova del creditore resti solo quello della causalità giuridica (oltre che della fonte del diritto di credito), perché, come affermato da Cass. S.U. n. 13533 del 2001, è onere del debitore provare l'adempimento o la causa non imputabile che ha reso impossibile la prestazione (art. 1218 c.c.), mentre l'inadempimento, nel quale è assorbita la causalità materiale, deve essere solo allegato dal creditore. Non c'è quindi un onere di specifica allegazione (e tanto meno di prova) della causalità materiale perché allegare l'inadempimento significa allegare anche nesso di causalità e danno evento.

    Tale forma del rapporto fra causalità materiale e responsabilità contrattuale attiene tuttavia allo schema classico dell'obbligazione di dare o di fare contenuto nel codice civile. Nel diverso territorio del facere professionale la causalità materiale torna a confluire nella dimensione del necessario accertamento della riconducibilità dell'evento alla condotta secondo le regole generali sopra richiamate.

    IV) Se l'interesse corrispondente alla prestazione è solo strumentale all'interesse primario del creditore, causalità ed imputazione per inadempimento tornano a distinguersi anche sul piano funzionale (e non solo su quello strutturale) perché il danno evento consta non della lesione dell'interesse alla cui soddisfazione è preposta l'obbligazione, ma della lesione dell'interesse presupposto a quello contrattualmente regolato.

    La distinzione fra interesse strumentale, affidato alla cura della prestazione oggetto di obbligazione, ed interesse primario emerge nel campo delle obbligazioni di diligenza professionale. La prestazione oggetto dell'obbligazione non è la guarigione dalla malattia o la vittoria della causa, ma il perseguimento delle leges artis nella cura dell'interesse del creditore.

    Il danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica o di insorgenza di nuove patologie attinge non l'interesse affidato all'adempimento della prestazione professionale, ma quello presupposto corrispondente al diritto alla salute.

    Benché guarigione dalla malattia o vittoria della causa non siano dedotte in obbligazione, esse non costituiscono un motivo soggettivo che resti estrinseco rispetto al contratto d'opera professionale, ma sono tipicamente connesse all'interesse regolato perché la possibilità del loro soddisfacimento è condizionata dai mutamenti intermedi nello stato di fatto determinati dalla prestazione professionale. L'interesse corrispondente alla prestazione oggetto di obbligazione ha natura strumentale rispetto ad un interesse primario o presupposto, il quale non ricade nel motivo irrilevante dal punto di vista contrattuale, perché non attiene alla soddisfazione del contingente ed occasionale bisogno soggettivo ma è connesso all'interesse regolato già sul piano della programmazione negoziale e, dunque, del motivo comune rilevante al livello della causa del contratto. Non c'è obbligazione di diligenza professionale del medico o dell'avvocato se non in vista, per entrambe le parti, del risultato della guarigione dalla malattia o della vittoria della causa.

    V) Dato che il danno evento nelle obbligazioni di diligenza professionale riguarda, come si è detto, non l'interesse corrispondente alla prestazione ma l'interesse presupposto, la causalità materiale non è praticamente assorbita dall'inadempimento.

    Quest'ultimo coincide con la lesione dell'interesse strumentale, ma non significa necessariamente lesione dell'interesse presupposto, e dunque allegare l'inadempimento non significa allegare anche il danno evento il quale, per riguardare un interesse ulteriore rispetto a quello perseguito dalla prestazione, non è necessariamente collegabile al mancato rispetto delle leges artis ma potrebbe essere riconducibile ad una causa diversa dall'inadempimento.

    La violazione delle regole della diligenza professionale non ha dunque un'intrinseca attitudine causale alla produzione del danno evento. Aggravamento della situazione patologica o insorgenza di nuove patologie non sono immanenti alla violazione delle leges artis e potrebbero avere una diversa eziologia. Si riespande così, anche sul piano funzionale, la distinzione fra causalità ed imputazione soggettiva sopra delineata.

    Il creditore ha l'onere di allegare la connessione puramente naturalistica fra la lesione della salute, in termini di aggravamento della situazione patologica o insorgenza di nuove patologie, e la condotta del medico e, posto che il danno evento non è immanente all'inadempimento, ha anche l'onere di provare quella connessione, e lo deve fare sul piano meramente naturalistico sia perché la qualifica di inadempienza deve essere da lui solo allegata, ma non provata (appartenendo gli oneri probatori sul punto al debitore), sia perché si tratta del solo profilo della causalità materiale, il quale è indifferente alla qualifica in termini di valore rappresentata dall'inadempimento dell'obbligazione ed attiene esclusivamente al fatto materiale che soggiace a quella qualifica.

    VI) La prova della causalità materiale da parte del creditore può naturalmente essere raggiunta anche mediante presunzione.

    Argomentare diversamente, e cioè sostenere che anche nell'inadempimento dell'obbligazione di diligenza professionale non emerga un problema pratico di causalità materiale e danno evento, vorrebbe dire implicitamente riconoscere che oggetto della prestazione è lo stato di salute in termini di guarigione o impedimento della sopravvenienza dell'aggravamento o di nuove patologie, ma ciò non è perché il parametro per valutare se c'è stato inadempimento dell'obbligazione professionale è fornito dall'art. 1176 c.c., comma 2, il quale determina il contenuto della prestazione in termini di comportamento idoneo per il conseguimento del risultato utile. Per riprendere le parole di un'autorevole dottrina della metà del secolo scorso ([45]), la guarigione o l'impedimento della sopravvenienza dell'aggravamento o di nuove patologie dipendono troppo poco dalla volontà del medico e dalla collaborazione del malato perché possano essere dedotte in obbligazione. Lo stato di salute, come si è detto, integra la causa del contratto, ma l'obbligazione resta di diligenza professionale.

    VII) Una volta che il creditore abbia provato, anche mediante presunzioni, il nesso eziologico fra la condotta del debitore, nella sua materialità, e l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie, sorgono gli oneri probatori del debitore, il quale deve provare o l'adempimento o che l'inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione a lui non imputabile. Emerge così un duplice ciclo causale, l'uno relativo all'evento dannoso, a monte, l'altro relativo all'impossibilità di adempiere, a valle … (da qui in poi le ulteriori considerazioni ribadiscono quanto già affermato da Cass. n. 18392 del 2017).  

    6. Le reazioni della dottrina  

    Pur dando atto della «predisposizione di un più preciso corredo concettuale», ed al contempo degli «arretramenti» ed «aggiustamenti di tiro» compiuti rispetto alla strada tracciata nel 2017, la dottrina rimane, in netta prevalenza, apertamente critica rispetto all’orientamento allora inaugurato dalla Terza Sezione Civile, successivamente più volte ribadito ed ora ulteriormente consacrato dalle sentenze in esame, almeno nelle sue linee concettuali di fondo.

    La quantità e la qualità dei commenti ([46]) – a volte dai toni fin troppo accesi –  testimoniano l’attenzione della dottrina civilistica e l’importanza da essa attribuita a tale scelta, ritenuta segno della volontà di mantenere fermo negli anni a venire l’enunciata regola di riparto dell’onere della prova del nesso causale nella responsabilità sanitaria di matrice contrattuale, ma non per questo, ovviamente, meno discutibile sul piano dogmatico.  

    6.1. Le critiche  

    Temi di critica continuano, naturalmente, ad essere: l’impostazione teorica di fondo, considerata frutto di una indebita commistione di paradigmi propri della responsabilità contrattuale con quelli della responsabilità extracontrattuale; l’attribuzione alla causalità materiale di un rilievo (quello di criterio di imputazione oggettiva) distinto da quello dell’inadempimento (criterio di imputazione soggettiva); l’individuazione di un doppio ciclo causale; l’esito finale dell’attribuzione al creditore/paziente del rischio della causa ignota dell’evento dannoso.

    Con più specifico riferimento alle precisazioni ed ai nuovi argomenti svolti nelle sentenze del 2019, le critiche più acute sul piano teorico si appuntano in particolare:

    a) sul sostanziale recupero, con valenza non solo descrittiva (o connotativa), ma anche dogmatica (o denotativa) ─ dietro l’enucleazione di una categoria di obbligazioni di facere professionale dalle ampie maglie (senza cioè alcuna distinzione tra quelle «ad alta vincolatività» ([47]) o «a risultato predeterminabile» ([48]) e quelle invece che tali non sono) ─ della distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato; tra le prime verrebbero in sostanza annoverate tutte le obbligazioni di facere professionale, sia pure sotto il diverso nome di obbligazioni «di diligenza professionale»;

    b) sul rilievo attribuito (e sulla relativa giustificazione), nelle obbligazioni di facere professionale, ai fini della configurazione del danno evento, all’interesse primario presupposto, distinto da quello, strumentale, contrattualmente regolato;

    c) sull’identificazione, in tal genere di obbligazioni, dell’oggetto della prestazione con il «perseguimento delle leges artis nella cura dell'interesse del creditore».

    Delle prime già si è detto nel dare sommariamente conto del dibattito sviluppatosi dopo la sentenza del 2017.

    Con riferimento al secondo tema si è osservato ([49]) che «il danno da inadempimento può commisurarsi all'interesse al miglioramento dello stato di salute o al contenimento degli effetti della patologia in quanto, e solo in quanto, quest'ultimo, nel singolo caso concreto e all'esito di una valutazione a posteriori che risalga a ritroso la condotta del debitore-medico, risulti dovuto e non già soltanto presupposto» e si è contestato che tale interesse, se in ipotesi esterno al perimetro dell’obbligazione, possa rilevare ai fini predetti «in ragione della valorizzazione fattane dalla causa del contratto».

    A tale argomento (definito «nulla più che un gioco di parole»)([50]) si muove, infatti, una duplice obiezione: a) varrebbe nei confronti della struttura ospedaliera, ma non del medico dipendente poiché, nel nuovo regime, responsabile solo ex lege Aquilia, e risulterebbe pertanto impossibile stabilire a quale parametro commisurare il danno subito dal paziente ([51]); b) non è concepibile un motivo rilevante sul piano della causa, che non si rifletta anche sugli effetti del negozio (ossia, sulla prestazione dovuta)([52]).

    Il terzo rilievo, infine, si sostanzia nella osservazione che «non è corretto ravvisare l’oggetto dell’obbligazione professionale in una qualità della condotta del debitore», e ciò in quanto «il risultato atteso» si identifica sempre in una «utilità ulteriore» rispetto alla condotta ([53]).  

    6.2. Le aperture e i possibili punti di contatto  

    Come s’è già accennato, molti commentatori non mancano tuttavia di sottolineare alcuni passaggi, nelle «sentenze Scoditti» del 2019, dai quali è possibile cogliere il riconoscimento di alcune delle obiezioni mosse alla originaria troppo schematica ricostruzione e l’attenuazione della rigidità della regola che addossa al ceditore la prova del nesso causale.

    Il riferimento è, da un lato, al rilievo dell’«assorbimento pratico della causalità materiale nell'inadempimento», tale da sollevare il creditore dall’onere di specifica allegazione (e tanto meno di prova) della causalità materiale ([54]): «assorbimento» affermato tuttavia (solo) in relazione allo «schema classico dell'obbligazione di dare o di fare contenuto nel codice civile», con esclusione delle obbligazioni di «facere professionale»; dall’altro, all’insistita precisazione circa la possibilità, per il creditore, di assolvere l’onere di provare il nesso causale anche a mezzo di presunzioni ([55]).

    Sotto quest’ultimo profilo si è in particolare rimarcato come, sul piano della prova per presunzioni, avrà agio di operare l’orientamento giurisprudenziale consolidato in tema di negligente tenuta della cartella clinica e potrà, soprattutto, essere recuperata la distinzione tra prestazioni routinarie [o «ad esito vincolato» o «con risultato predeterminabile» ([56])] e prestazioni che implicano la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (le prime autorizzando la presunzione che il mancato conseguimento del risultato in questione appaia come collegato necessariamente ad un inadempimento del debitore)([57]).

    Le distanze, insomma, tra le diverse impostazioni concettuali, pur innegabili sul piano teorico, appaiono destinate a ridursi alquanto negli esiti pratici.

    Partendo da posizioni opposte, l’una e l’altra impostazione si mostrano infatti costrette a venire a patti  con le obiezioni dell’altra e nell’avvicinarsi finiscono con il predicare regole di riparto dell’onere probatorio, a ben vedere, nei fatti, destinate ad avvicinarsi alquanto.  

    6.3. Le presunzioni e le inferenze probabilistiche (probabilità statistica o pascaliana vs. probabilità logica o baconiana)  

    Appare in tal senso degno di nota che, una delle ricostruzioni antitetiche più accuratamente argomentate ([58]), predica anch’essa, nel caso di prestazioni con risultato non predeterminato (o, più precisamente, determinabile solo a posteriori), oneri di allegazione (e prova) per il creditore più pregnanti della mera generica allegazione dell’inadempimento e del danno.

    Si tratta, bensì, come detto, di oneri declinati sul piano della causalità generale o astratta (dell'attitudine, cioè, in astratto, della condotta inesatta del debitore a produrre il tipo di pregiudizio lamentato dal debitore) da verificare in rapporto alle leggi scientifiche o statistiche di copertura (probabilità statistica o pascaliana); non dunque sul piano della causalità individuale o del caso concreto, da verificare alla luce «degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana)» ([59])([60]).

    Ciò non toglie però che in tal modo ─ ossia, anche nell’assolvimento dell’onere di allegazione e prova gravante, secondo la citata dottrina, sul creditore/danneggiato, alla stregua del più lato paradigma pascaliano ─ ci si muova pur sempre sul piano dei criteri che pongono una correlazione, di tipo probabilistico inferenziale, tra due fatti o classi di fatti, sembrando lecito allora domandarsi fino a qual punto, nella pratica, sarà possibile cogliere di volta in volta la differenza ─ che in teoria certamente sussiste  ─  tra un tal genere di attività assertivo-probatoria e quella che le sentenze del 2019 riconoscono, ripetutamente, che il creditore possa compiere per il tramite di presunzioni ([61]).

    Per converso se l’attore/creditore offre la prova per presunzioni predicata dalle sentenze Scoditti del 2019, le regole del processo certo non escludono che il debitore possa offrire la contro-prova atta a falsificare il risultato probabilistico raggiunto con gli elementi di giudizio offerti dal primo. Anche dal lato del debitore, dunque, al di là del diverso schema concettuale utilizzato, non sembra si possano ravvisare così nette differenze nella pratica.

    Può darsi il caso che quel genere di relazione inferenziale predicata dall’attore a fondamento della domanda non regga alla verifica condotta alla luce delle risultanze raccolte ovvero non sia sufficientemente giustificata in relazione alle circostanze del caso concreto. Qui si coglie la differenza tra le due impostazioni dogmatiche. Secondo Cass. nn 28991-28992 del 2019, la domanda andrebbe in tal caso rigettata; secondo l’impostazione contraria la domanda (ove risulti comunque assolto l’onere dell’attore dell’allegazione di un inadempimento eziologicamente connotato sul piano astratto) andrebbe invece accolta ([62]).

    Appare però evidente che, in tal modo, la distanza tra le due impostazioni si trasferisce interamente sul piano della valutazione della relazione probabilistico-inferenziale proposta a supporto degli oneri di allegazione e prova comunque gravanti in capo al creditore/danneggiato.

    E non può non rilevarsi, però, al riguardo, che la conclusione che questa non raggiunga il grado richiesto di conferma probatoria passa necessariamente attraverso la valutazione degli elementi acquisiti; intanto l’uno o l’altro esito potranno essere affermati, in quanto tali elementi (si reputi) emergano (oppure no) dalla attività probatoria delle parti e, dunque, anche da quella del convenuto, oltre che, naturalmente, in primis, dalla consulenza tecnica d’ufficio, perno immancabile in tal genere di contenzioso.

    Nella concreta dinamica processuale finisce, dunque, con il ridursi alquanto (se non svanire del tutto), almeno sul piano pratico, il peso della differenza tra le opzioni dogmatiche di fondo, atteso che, a fronte dell’allegazione da parte dell’attore/danneggiato (che, giova ripetere, è reputata necessaria anche dai sostenitori della impostazione, per così dire, contrattualistica tradizionale), di un inadempimento eziologicamente rilevante (secondo causalità statistica o pascaliana) il convenuto che non voglia correre il rischio di affidarsi alla sola (scivolosa) difesa dell’inidoneità di quella relazione inferenziale a dar prova del nesso di causa, avrà tutto l’interesse (e l’onere) di fornire in giudizio gli elementi di falsificazione, in concreto, di quella inferenza ([63]).

    A ben vedere, viene anche a smarrirsi in gran parte il divario tra l’uno e l’altro statuto di responsabilità in ambito sanitario ─ contrattuale per la struttura, extracontrattuale per il medico ─ non potendosi dubitare che, anche in tale secondo ambito, la prova gravante sull’attore danneggiato possa essere offerta per presunzioni.

    Non può, infine, sfuggire che, così ricostruiti i contenuti dei rispettivi oneri, il «pendolo della prova» torni fatalmente indietro e venga a sovrapporsi, almeno sul piano pratico, al punto già tracciato da Cass. S.U. n. 577 del 2008; questa invero nel predicare, a carico dell’attore danneggiato, un onere di allegazione di un «inadempimento qualificato», altro non indicava se non la necessità di accompagnare l’allegazione dell’inadempimento anche alla allegazione di una relazione inferenziale, sia pure su di un piano astratto, tra questo e il danno patito [l’aggettivo «qualificato» è in sentenza specificato con la alternativa locuzione aggettivale  «(inadempimento) astrattamente efficiente alla produzione del danno»].

    È evidente, in ultima analisi, che tutte le volte almeno in cui quella relazione inferenziale possa ritenersi idonea a sorreggere, sul piano probatorio, il convincimento dell’esistenza di un nesso causale, viene a perdersi, almeno sul piano pratico, ogni differenza tra quella impostazione concettuale e quella predicata dalle sentenze di San Martino della Terza Sezione, trovando in tal senso conferma, dunque, la (da queste) affermata sostanziale continuità di indirizzo ([64]).

    In questi termini sembra allora si possa convenire, in conclusione, con le osservazioni di quella dottrina ([65]) che, nel riconoscere alla Cassazione di avere svolto pregevolmente il suo compito di fissare con la massima chiarezza possibile i principi che, in termini sostanziali e processuali, devono indirizzare il giudice del merito, ricorda che «sarà (soltanto) quest'ultimo a poter accertare, in concreto, le circostanze idonee, grazie alle produzioni delle parti e soprattutto alla c.t.u., a valorizzare e far funzionare il meccanismo processuale della presunzione (anche e in primo luogo in considerazione del carattere della prestazione), che perciò rimane, nelle controversie più spinose e comunque nei casi in cui vi sia il rischio della c.d. "causa ignota" , la vera chiave di volta della decisione».

       

    * Lo scritto rielabora parte del testo di una relazione svolta dall’autore nell’ambito dell’incontro di studio «Il contenzioso in materia di responsabilità medica: le principali problematiche sostanziali e processuali», organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura per i magistrati ordinari in tirocinio nominati con D.M. 12 febbraio 2019 e svoltosi «da remoto», attraverso la piattaforma Microsoft Teams®, il 10 giugno 2020.

    [1] Così G. TRAVAGLINO, La responsabilità contrattuale tra tradizione e innovazione, in Resp. Civ. Prev. 2016, fasc. 1, p. 93 ss. cui si rimanda per alcuni paradigmatici esempi.

    [2] Cass. 13 marzo 1998, n. 2750 in Foro it. 1998, I, c. 3521.

    [3] Cass. 22 gennaio 1999, n. 589 (Pres. Bile – Est. Segreto), in Foro it., 1999, I, 3332, con nota di F. DI CIOMMO e A. LANOTTE; in Danno e resp., 1999, 294, con nota di V. CARBONE; in Corr. Giur., 1999, 441, con nota di A. DI MAJO. Per la teoria del “contatto sociale” v. già, in dottrina, C. CASTRONOVO, Tra contratto e torto. L’obbligazione senza prestazione, in Scritti in onore di Mengoni, I, Milano, 1995, 191 ss.. Per un approccio critico alla teorica del contatto sociale, v. tra gli altri E. NAVARRETTA, L'adempimento dell'obbligazione del fatto altrui e la responsabilità del medico, in Resp. civ. prev., n. 7-8, 2011, 1453 ss., secondo cui è sì innegabile che la pronuncia n. 589 del 1999 abbia corretto il tiro, rifuggendo dal paradigma dell'obbligazione senza prestazione, ma al contempo non è riuscita a dare una qualunque spiegazione «del passaggio dalla dimensione del contatto puramente sociale al piano della rilevanza giuridica».

    [4] Per una analisi del percorso normativo e giurisprudenziale che precede l’emanazione della legge Balduzzi si rimanda a V. CARBONE, La responsabilità del medico pubblico dopo la legge Balduzzi, in Danno resp. 2013, fasc. 4, pp. 378 ss..

    [5]  Oltre al tema del nesso di causa, sul quale si concentra il presente contributo, si pensi alle pronunce in tema di: danno da perdita di chance (Cass. n. 4400 del 2004; Cass. n. 21619 del 2007; Cass. n. 23846 del 2008; Cass. n. 5641 del 2018; v. da ultimo, nell’ambito del c.d. Progetto Sanità della Terza Sezione Civile, su cui appresso si dirà, Cass. n. 28993 del 2019); contratto ad effetti protettivi verso i terzi (Cass. n. 14488 del 2004);  consenso informato (Cass. n. 5444 del 2006; Cass. n. 2847 del 2010; v. da ultimo, nell’ambito del Progetto Sanità, Cass. n. 28985 del 2019); risarcibilità iure proprio della nascita malformata (affermata da Cass. n. 16754 del 2012, ma negata da Cass. S.U. n. 25767 del 2015). Per una sintesi v. G. TRAVAGLINO, op. cit., p. 96.

    [6] R. DE MATTEIS, La responsabilità medica. Un sottosistema della responsabilità civile, Cedam Padova 1995. V. anche U. IZZO, Il tramonto di un «sottosistema» della r.c.: la responsabilità medica nel quadro della recente evoluzione giurisprudenziale, in Danno resp. 2005, fasc. 2, p. 130; E. PALMERINI, Il “sottosistema” della responsabilità da nascita indesiderata e le asimmetrie con il regime della responsabilità medica in generale, in Nuova Giur. Civ. 2011, 5, 10464; U. SALANITRO, Sistema o sottosistema? La responsabilità sanitaria dopo la novella, in Nuova Giur. Civ. 2018, 11, 1676.

    [7] V. Cass. 17 aprile 2014, n. 8940 (Pres. Finocchiaro – Est. Frasca) [«La norma dell'art. 3, comma 1, del d.l. n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla 1. n. 189 del 2012, quando dispone nel primo inciso che «l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve» e, quindi, soggiunge che «in tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile», poiché omette di precisare in che termini si riferisca all'esercente la professione sanitaria e concerne nel suo primo inciso solo la responsabilità penale, comporta che la norma dell'inciso successivo, quando dice che resta comunque fermo l'obbligo di cui all'art. 2043 c.c. dev'essere interpretata, conforme al principio per cui in lege Aquilia et levissima culpa venit, nel senso che il legislatore si è soltanto preoccupato di escludere l'irrilevanza della colpa lieve anche in ambito di responsabilità extracontrattuale civilistica. Deve, viceversa, escludersi che con detto inciso il legislatore abbia inteso esprimere un'opzione a favore di una qualificazione della responsabilità medica necessariamente come responsabilità extracontrattuale»]. In termini convergenti si era già espressa Cass. 19 febbraio 2013, n. 4030 (Pres. Trifone – Est. Petti).

    Nella giurisprudenza di merito v. in tal senso: Trib. Milano, 18 novembre 2014, in www.ilcaso.it; Id.  20 febbraio 2015, in Resp. Civ. Prev. 2015, p. 163, con nota di M. GORGONI; Trib. Arezzo, 14 febbraio 2013, in Danno e resp., 2013, 368; Trib. Cremona, 19 settembre 2013, in www.altalex.com; Id. 1 ottobre 2013, in www.ilcaso.it; Trib. Rovereto, 29 dicembre 2013, in Danno resp., 2013, 378.; Trib. Brindisi, 18 luglio 2014, in www.ilcaso.it.; Trib. Arezzo 14 febbraio 2013, in Danno resp. 2013, 373 ss. con nota di V. CARBONE.

    Contra: Trib. Varese 26 novembre 2012; Trib. Torino, 26 febbraio 2013; in Danno resp. 2013, 373 ss; Trib. Milano, 17 luglio 2014 in Dir. Pen. Contemporaneo; Id. 23 luglio 2014; Id. 2 dicembre 2014; Trib. Caltanissetta, 1 luglio 2013 in Resp. Civ. Prev. 2013, 1988 con nota di C. SCOGNAMIGLIO.

    [8] Tra i commenti alla novella: M. FACCIOLI, La nuova disciplina della responsabilità sanitaria di cui alla legge n. 24 del 2017 (Legge Gelli Bianco): profili civilistici, in Studium Iuris, 2017, 659 ss., 781 ss., in parte sviluppato in ID., La responsabilità civile per difetto di organizzazione delle strutture sanitarie, Pacini, 2018; AA.VV., La responsabilità sanitaria. Commento alla L. 8 marzo 2017, n. 24, a cura di Alpa, Pacini, 2017; R. PUCELLA, È tempo per un ripensamento del rapporto medico paziente?, in Resp. med., 2017, 3 s.; M. FRANZONI, La nuova responsabilità in ambito sanitario, ibidem, 5 ss.; M. GORGONI, La responsabilità in ambito sanitario tra passato e futuro, ibidem, 17 ss.; C. SCOGNAMIGLIO, Il nuovo volto della responsabilità del medico, ibidem, 35 ss.; R. PARDOLESI, Chi (vince e chi) perde nella riforma della responsabilità sanitaria, in Danno e resp., 2017, 261 ss.; G. PONZANELLI, Medical malpratice: la legge Bianco Gelli. Una premessa, ibidem, 268 ss.; A. BARBARISI, L'onere della prova nella responsabilità sanitaria, in Contratti, 2017, 217 ss.; C. GRANELLI, La riforma della disciplina della responsabilità sanitaria: chi vince e chi perde, ibidem, 377 ss.; R. CALVO, La "decontrattualizzazione" della responsabilità sanitaria, in Nuove leggi civ. comm., 2017, 453 ss.; P.G. ALPA, Ars interpretandi e responsabilità sanitaria a seguito della nuova legge Bianco - Gelli, in Contr. e impr., 2017, 728 ss.; C. MASIERI, Novità in tema di responsabilità sanitaria, in Nuova Giur. Civ., 2017, 5, 752 ss.; A. ASTONE, Profili civilistici della responsabilità sanitaria (riflessioni a margine della legge 8 marzo 2017, n. 24), ibidem, 1115 ss.; C. COLOMBO, Profili civilistici della riforma della responsabilità sanitaria, in ODCC, 2017, 299 ss.; V. CARBONE, Legge Gelli: inquadramento normativo e profili generali, in Corr. giur., 2017, 737 ss.; C. SCOGNAMIGLIO, Regole di condotta, modelli di responsabilità e risarcimento del danno nella nuova legge sulla responsabilità sanitaria, ibidem, 740 ss.; C. GRANELLI, Il fenomeno della medicina difensiva e la legge di riforma della responsabilità sanitaria, in Resp. civ. e prev., 2018, 410 ss.; AA.VV., La nuova responsabilità sanitaria dopo la riforma Gelli - Bianco (legge n. 24/2017), a cura di Volpe, Zanichelli, 2018; U. PERFETTI, La responsabilità civile del medico tra legge c.d Gelli e nuova disciplina del consenso informato, in Giust. civ., 2018, 359 ss.; E. MOSCATI, Responsabilità sanitaria e teoria generale delle obbligazioni (note minime sui commi 1 e 3 prima frase, art. 7, L. 8 marzo 2017, n. 24), in Riv. dir. civ., 2018, 829 ss.; B. MARUCCI, La riforma sanitaria Gelli - Bianco. Osservazioni in tema di responsabilità civile, E.S.I., 2018, 115 ss.; AA.VV., La nuova responsabilità medica, a cura di Ruffolo, Giuffrè, 2018.

    [9] Così denominato il progetto organizzativo adottato dal Presidente Titolare della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, e realizzato, in estrema sintesi, attraverso la trattazione in tre udienze tematiche all’inizio di luglio del 2019, di ricorsi prospettanti le questioni di maggior rilievo nomofilattico in tema di responsabilità sanitaria e di danno alla persona, con l’intento di offrire soluzioni interpretative chiare e univoche, in funzione dell’obiettivo di una tendenziale uniformità degli indirizzi giurisprudenziali. Ne è sortita, poi, la pubblicazione di dieci sentenze nella stessa data dell’11 novembre 2019 (dalla n. 28985 alla n. 28994).

    [10] Cass. 11 novembre 2019, n. 28994 (Pres. G. Travaglino – Est. C. Valle), in Resp. Civ. Prev. 2020, p. 169, con nota di C. CONSOLO – S. BARONE,  Responsabilità del medico e regolazione della successione di leggi di qualificazione; in La Nuova Giur. Civ. Comm. 2020, p. 318, con nota di C. SCOGNAMIGLIO, Sulla "irretroattività" della disciplina sostanziale della L. n. 189/2012 e della L. n. 24/2017.

    [11] Per tale ultimo principio v., nell’ambito del medesimo Progetto, funditus, Cass. 11 novembre 2019, n. 28990 (Pres. G. Travaglino – Est. S. Olivieri), in Resp. Civ. Prev. 2020, p. 213, con nota di P. ZIVIZ, A ritroso (prevista l'applicazione retroattiva per le tabelle normative); in La Nuova Giur. Civ. Comm. 2020, p. 318, con nota di C. BOITI, Medical malpractice e applicazione retroattiva del criterio tabellare di liquidazione del danno; in Corr. Giur. 2020, p. 128; in Danno e resp., 2020, 1, 36, con nota di D. AMRAM, La persona, le "forzose rinunce" e l'algebra: qualche considerazione all'indomani delle sentenze di San Martino 2019 (commento, quest’ultimo, concentrato però sul diverso tema, pure affrontato da Cass. n. 28990 del 2019, del c.d. danno differenziale, a sua volta sviluppato dalla numericamente successiva Cass. n. 28996 del 2019, Pres. G. Travaglino – Est. M. Rossetti).

    [12] A. BARBARISI, L’onere della prova nella responsabilità sanitaria, cit., p. 220 ss..

    [13] Così A. BARBARISI, op. loc. cit..

    [14] Cfr. S. BARONE, L’onere della prova nelle controversie in materia di responsabilità sanitaria, in C. CONSOLO (a cura di), Il contenzioso sulla nuova responsabilità sanitaria (prima e durante il processo), Giappichelli Torino 2018, p. 36 (e ivi altri rimandi, nt. 24).

    [15] Cass. 21 dicembre 1978, n. 6141 (Pres. Pedroni – Est. Schermi) in Foro it. 1979, I, c. 4; anche in Arch. civ., 1979, p. 335; Giur. it., 1979, I, p. 953.

    [16] C. CASTRONOVO, Profili della responsabilità medica, in Studi in onore di Pietro Rescigno, Milano, 1998, 124; L. NIVARRA, La responsabilità civile dei professionisti (medici, avvocati, notai): il punto sulla giurisprudenza, in Europa dir. priv., 2000, 518 ss., citati da A. BARBARISI, op. cit., p. 221, nt. 20.

    [17] Cass. S.U. 30 ottobre 2001, n. 13533 (Pres. Vela – Est. Preden) in Foro it., 2002, I, 769 ss., con nota di P. LAGHEZZA, Inadempimenti ed onere della prova: le sezioni unite e la difficile arte del rammendo; in Corr. giur., 2001, 1565 ss., con nota di V. MARICONDA, Inadempimento e onere della prova: le Sezioni Unite compongono un contrasto e ne aprono un altro; in Nuova giur. civ. comm., 2002, 356 ss., con nota di B. MEOLI; in I Contratti, 2002, 118 ss., con nota di U. CARNEVALI, Inadempimento e onere della prova. Cfr. altresì G. VILLA, Onere della prova, inadempimento e criteri di razionalità economica, in Riv. dir. civ., 2002, II, 707 ss.; G. VISINTINI, La Suprema corte interviene a dirimere un contrasto tra massime (in materia di onere probatorio del creditore vittima dell'inadempimento), in Contratto e impr., 2002, 903 ss.; S. MAZZAMUTO, Il mobbing, Milano, 2006, 66 ss.; M. MAGGIOLO, Inadempimento e oneri probatori, in Riv. dir. civ., 2006, fasc. 6, 165 ss.; F. BUSONI, L'onere della prova nella responsabilità del professionista, Milano, 2011, passim, spec. 47 ss. Per una critica della soluzione elaborata dalle sezioni unite cfr. C. CASTRONOVO, Le due specie della responsabilità civile e il problema del concorso, in Europa e dir. privato 2004, p. 115, nt. 105.

    [18] Fatta eccezione per l'inadempimento delle obbligazioni negative, la prova del quale è posta a carico del creditore, sul rilievo che trattasi di fatto positivo ex art. 1222 cod. civ..

    [19] Cass. 19 maggio 2004, n. 9471; Cass. 28 maggio 2004, n. 10297; Cass. 21 giugno 2004, n. 11488, pubblicate in Danno e resp. 2005, 26 ss., con commento di R. DE MATTEIS, La responsabilità medica ad una svolta?; anche in Corr. giur., 2005, p. 33, con nota di A. DI MAJO; Foro it., 2004, I, c. 3328, con nota di A. BITETTO; Giust. civ., 2005, I, p. 2115; Nuova giur. civ. comm., 2005, I, p. 552, con nota di C. PASQUINELLI; Giur. it., 2005, p. 1413, con nota di S. PERUGINI.

    [20] V. Cass. 24 maggio 2006, n. 12362; Cass. 11 novembre 2005, n. 22894; Cass. 19 aprile 2006, n. 9085.

    [21] Cass. 11 gennaio 2008, n. 577 (Pres. Carbone – Est. Segreto), in Danno e resp., 2008, 788 ss., con nota di G. VINCIGUERRA, Nuovi (ma provvisori?) aspetti della controversia medica; in Resp. civ., 397 ss., con nota di R. CALVO, Diritti del paziente, onus probandi e responsabilità della struttura sanitaria; in Nuova giur. civ. comm., 2008, 616 ss., con nota di R. DE MATTEIS, La responsabilità della struttura sanitaria per danno da emotrasfusione; in Danno e resp., 2008, p. 1002 ss. con nota di M. GAZZARA, Le Sezioni Unite fanno il punto di tema di prova della responsabilità sanitaria; in Giur. it., 2008, 2197 ss., con nota di M. G. CURSI, Responsabilità della struttura sanitaria e riparto dell'onere probatorio; in Danno e resp., 2008, 871-879, con nota di A. NICOLUSSI, Sezioni sempre più unite contro la distinzione tra obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi. La responsabilità del medico; in Resp. civ. e prev., 2008, 849, con nota di M. GORGONI, Dalla matrice contrattuale della responsabilità nosocomiale e professionale al superamento della distinzione tra obbligazioni di mezzi/di risultato; in Giur. it., 2008, p. 1653, con nota di A. CIATTI, Crepuscolo della distinzione tra le obbligazioni di mezzi e le obbligazioni di risultato, e p. 2196, con nota di G. CURSI, Responsabilità della struttura sanitaria e riparto dell'onere probatorio; in La responsabilità civile, 2009, p. 221, con nota di C. MIRIELLO, Nuove e vecchie certezze sulla responsabilità medica; ivi, 2008, p. 397, con nota di R. CALVO, Diritti del paziente, onus probandi e responsabilità della struttura sanitaria; ibid., p. 687, con nota di M. DRAGONE, Le sezioni unite, la «vicinanza alla prova» e il riparto dell'onere probatorio. Cfr. anche G. VETTORI, Le fonti e il nesso di causalità nella responsabilità medica, in Obbligazioni e contratti, 2008, 393 ss.; M. PARADISO, La responsabilità medica tra conferme giurisprudenziali e nuove aperture, in Riv. dir. civ., 2001, I, 703 ss., e M. FORTINO, I danni ingiusti alla persona, in Tratt. teor. prat. dir. priv. diretto da G. ALPA-S. PATTI, Padova, 2009, p. 209 ss..

    [22] Cass. S.U. 28 luglio 2005, n. 15871 (Pres. Carbone – Est. Elefante) in Dir. Form. 2005, p. 1290; in Vita not. 2005, p. 1530; in Nuova Giur. Civ. Comm. 2006, p. 828, con nota di R. VIGLIONE, Prestazione d'opera intellettuale e disciplina applicabile, tra obbligazioni di mezzi e di risultato; in Europa Dir. Priv. 2006, p. 781, con nota di A. NICOLUSSI, Il commiato della giurisprudenza dalla distinzione tra obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi; in I Contratti 2006, p. 349, con nota di F. TOSCHI VESPASIANI – F. TADDEI, Il contratto d'appalto e la responsabilità del progettista-direttore dei lavori per i vizi e le difformità dell'opera.

    [23] Cass. 26 luglio 2017, n. 18392 (Pres. Travaglino – Est. Scoditti) (spesso citata, dal nome del suo estensore, come «sentenza Scoditti» o del doppio ciclo causale) in: Foro it. 2018, I, c. 1348, con nota di G. D’AMICO, La prova del nesso di causalità «materiale» e il rischio della c.d. «causa ignota» nella responsabilità medica; in Danno e resp. 2017, fasc. 6, p. 696, con nota di D. ZORZIT, La Cassazione e la prova del nesso causale: l'inizio di una nuova storia?; ivi 2018, fasc. 3, p. 345, con nota di G. D’AMICO, Il rischio della “causa ignota” nella responsabilità contrattuale in materia sanitaria.

    [24] Tradizionale equazione con la quale si esprime una nozione «soggettiva» di impossibilità della prestazione, i cui limiti e la cui corretta accezione sono ulteriormente illustrati (e diversamente modulati in rapporto agli sviluppi ricostruttivi di cui si dirà appresso) dallo stesso estensore (E. SCODITTI) nel suo scritto La responsabilità contrattuale del medico dopo la l. n. 24 del 2017: profili di teoria dell'obbligazione, in Foro it. 2018, V, c. 265, come riferiti non all’inadempimento (che trova il suo criterio di verifica e imputazione nel mero dato oggettivo della mancata o inesatta attuazione del contenuto della prestazione) ma alla responsabilità da  inadempimento, come criterio di imputazione della causa che ha reso impossibile la prestazione. V. sul tema, ivi citati, U. NATOLI, L'attuazione del rapporto obbligatorio, II. Il comportamento del debitore, Milano, 1984, 77 ss.; M. GIORGIANNI, L'inadempimento, Milano, 1975, p. 270 ss.; C. CASTRONOVO, La responsabilità per inadempimento da Osti a Mengoni, in Europa e dir. privato, 2008, 8 ss.; F. PIRAINO, Sulla natura non colposa della responsabilità contrattuale, in Europa e dir. privato, 2011, p. 1042

    [25] V. Cass. 14 novembre 2017, n. 26824, in Foro it., 2018, I, 557, con nota di B. TASSONE, Responsabilità contrattuale, prova del nesso, concause e «più probabile che non»; 7 dicembre 2017, n. 29315; 29 gennaio 2018, n. 2061, in Riv. dir. proc. civ., 2019, 587, con nota di R.M. DE ANGELIS, Sulla prova del nesso causale; 15 febbraio 2018, nn. 3698 e 3704; 9 marzo 2018, n. 5641, in Foro it. 2018, c. 1579; 31 maggio 2018, n. 13752; 31 maggio 2018, n. 13766; 13 luglio 2018, n. 18540; 13 luglio 2018 n. 18549 e 19 luglio 2018, n. 19199, in Foro it., 2018, I, 3582, con nota di R. PARDOLESI – R. SIMONE, Tra discese ardite e risalite: causalità e consenso in campo medico; 19 luglio 2018, n. 19204; 20 agosto 2018, n. 20812; 22 agosto 2018, n. 20905; 13 settembre 2018, n. 22278; 23 ottobre 2018, n. 26700; 30 ottobre 2018, nn. 27455, 27449, 27447, 27446; 20 novembre 2018, n. 29853; 17 gennaio 2019, n, 1045; 26 febbraio 2019, n. 5487, in Foro it., 2019, c. 1603, con nota di A. PALMIERI – R. PARDOLESI, Responsabilità sanitaria e nomofilachia inversa.

    [26] F. CARNELUTTI, Sulla distinzione tra colpa contrattuale e colpa extracontrattuale, in Riv. Dir. Comm. 1912, p. 747; C.M. BIANCA, Diritto civile. 5. La responsabilità, Milano 2012, p. 149; M. ROSSETTI, Unicuique suum, ovvero le regole di responsabilità non sono uguali per tutti (preoccupate considerazioni sull'inarrestabile fuga in avanti della responsabilità medica), in Giust. Civ. 2010, p. 2218; M. FACCIOLI, L'onere della prova del nesso di causalità nella responsabilità medica: la situazione italiana e uno sguardo all'Europa, in Resp. Civ. 2012, p. 333; A. BARBARISI, Onere di allegazione e prova liberatoria nella responsabilità sanitaria, in Danno e resp. 2012, p. 882; L. NOCCO, Il nesso causale e la responsabilità sanitaria: un itinerario in perenne evoluzione, in Danno e resp.  2012, p. 953; R. PUCELLA, Inadempimento "qualificato", prova del nesso di causa e favor creditoris, in Resp. Civ. Prev. 2014, p. 1087; M. FACCIOLI,"Presunzioni giurisprudenziali" e responsabilità sanitaria, in Contr. Impr. 2014, p. 100; G. MIOTTO, L'onere della prova del nesso causale nella responsabilità medica (ovvero l'adempimento della prestazione, questo sconosciuto), in Resp. Civ. Prev. 2015, p. 1916; R. PUCELLA, Causalità e responsabilità medica: cinque variazioni del tema, in Danno e resp. 2016, p. 822; A. BARBARISI, L’onere della prova nella responsabilità sanitaria, cit..

    [27] Converrà, in tal senso, ricordare che l’attribuzione al paziente/danneggiato dell’onere della prova del nesso causale era già affermato nella giurisprudenza di legittimità: v. ex aliis Cass. 9 ottobre 2012, n. 17143, in Ragiusan, 2013, 354 ss.; Cass. 31 luglio 2013, n. 18341, in I Contratti, 2014, p. 139 ss., con nota di A. PUTIGNANO, Danno da parto in presenza di cause patologiche pregresse e onere della prova; Cass. 12 settembre 2013, n. 20904; Cass. 20 ottobre 2015, n. 21177; Cass. 9 giugno 2016, n. 11789.

    [28] E. SCODITTI, La responsabilità contrattuale del medico dopo la l. n. 24 del 2017: profili di teoria dell'obbligazione, cit.

    [29] P. SPAZIANI, Nesso causale e inadempimento: da questione probatoria a discriminante strutturale, in AA. VV., Rassegna della Giurisprudenza di legittimità - Gli orientamenti delle Sezioni civili - Approfondimenti tematici (anno 2019), curata dall’Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione, per i tipi dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. V. anche ID., La prova della responsabilità per fatto ingiusto: condotta, nesso causale, misurazione del danno (Relazione informativa destinata ai magistrati ordinari in tirocinio generico impegnati nella settimana di formazione interdisciplinare sul tema delle prove: Scandicci 17-21 giugno 2019).

    [30] P. SPAZIANI, Nesso causale e inadempimento, cit., p. 4 (della copia messa cortesemente a disposizione dall’Autore).

    [31] Merita di essere segnalato che le tesi di P. SPAZIANI, e in particolare il riferimento alla neutralità, in argomento, del criterio di persistenza del diritto e di vicinanza della prova,  risultano fatte proprie da recente arresto della Terza Sezione Civile della S.C.:  Cass. 18 febbraio 2020, n. 4009 (Pres. Spirito – Est. Gorgoni), in Foro it. 2020, I, c. 1595, con nota (critica) di R. PARDOLESI – R. SIMONE, Sulla «fine della storia» della responsabilità da «facere» professionale; ivi (solo massima), I, c. 1999, con nota (ancor più aspramente critica) di F. PIRAINO, Travisamenti pretori in tema di esonero dalla responsabilità contrattuale tra causalità e vicinanza della prova. Come segnalato da detti commenti, la sentenza n. 4009 del 2020, successiva alla pubblicazione delle note sentenze di San Martino del 2019, pur facendone menzione, sembra però in effetti fermarsi all’approccio più rigoroso e schematico alla complessa tematica declinato dalla sentenza del 2017 (n. 18392). E questo era per vero anche l’auspicio (non esplicito, ma chiaro) di P. SPAZIANI, secondo il quale le sentenze di San Martino 2019 «si pongono in controtendenza rispetto all’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale della teorica dell’inadempimento degli ultimi decenni, nella quale si era affermata una concezione della responsabilità contrattuale fondata sull’unicità della regola dettata dall’art. 1218 c.c., in quanto regola generale valevole per ogni tipo di obbligazione» e «tornano ad introdurre una distinzione strutturale nella fattispecie di responsabilità contrattuale, fondata sulla diversa tipologia di obbligazione». Il presente scritto intende, però, soffermarsi proprio sulle linee di sviluppo segnate, quale termine al momento più avanzato, dalle sentenze gemelle nn. 28991-28992 del 2019.

    [32] R.V. NUCCI, La distribuzione degli oneri probatori nella responsabilità medica: ‘‘qualificato Inadempimento’’ e prova del nesso causale, in Resp. Med. 2017, 527; D. ZORZIT, La Cassazione e la prova del nesso causale: l'inizio di una nuova storia?, in Danno e resp. 2017, p. 696; G. D’AMICO, Il rischio della “causa ignota” nella responsabilità contrattuale in materia sanitaria, in Danno e resp. 2018, p. 349; B. TASSONE, Responsabilità contrattuale e inversione della prova del nesso, in Danno e resp. 2018, p. 14 ss.; R. PARDOLESI – R. SIMONE, Nesso di causa e responsabilità della struttura sanitaria: indietro tutta?, in Danno e resp. 2018, p. 5 ss.; G. D’AMICO, La prova del nesso di causalità «materiale» e il rischio della c.d. «causa ignota» nella responsabilità medica, in Foro it. 2018, I, c. 1348; B. TASSONE, Responsabilità contrattuale, prova del nesso, concause e ‘‘più probabile che non’’, in Foro it. 2018, I, c. 557; A. PROCIDA MIRABELLI DI LAURO, La Terza Sezione e la strana teoria dell’inadempimento … extra-contrattuale per colpa, in Danno e resp. 2019, p. 248; M. MAGLIULO - R. PARDOLESI, Pluralità di nessi di causa e paziente allo sbaraglio, in Danno e resp. 2019, p. 256; F. PIRAINO, Il nesso di causalità materiale nella responsabilità contrattuale e la ripartizione dell’onere della prova, in Giur. It. 2019, p. 709 ss.

    [33] Un’operazione – si è detto (F. PIRAINO, op. ult. cit., p. 717, nt. 50) – di restaurazione, che minaccia di lasciare il danno là dove cade (a loss shall remain where it falls).

    [34] Così F. PIRAINO, op. cit., p. 717 ss..

    [35] Così F. PIRAINO, Ancora sul nesso di causalità materiale nella responsabilità contrattuale, in AA.VV., Responsabilità sanitaria in Cassazione: il nuovo corso tra razionalizzazione e consolidamento, fascicolo speciale monotematico del Foro italiano a cura di R. PARDOLESI, 2020, c. 196; v. già ID., Il nesso di causalità materiale nella responsabilità contrattuale, cit., p. 717 s. e, ivi citati, C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Milano 2006, p. 456; L. MENGONI, Responsabilità contrattuale (dir. vig.), in Enc. Dir., vol. XXXIX, Milano, 1988, 1072-1073 e ora in Scritti. II. Obbligazioni e negozio, a cura di C. Castronovo-A. Albanese-A. Nicolussi, Milano, 2011, 299 e segg.

    [36] G. D’AMICO, Il rischio della causa ignota, cit., p. 354.

    [37] P. ZORZIT, La Cassazione e la prova del nesso causale, cit., p. 706.

    [38] F. PIRAINO, Il nesso di causalità materiale nella responsabilità contrattuale, cit., p. 714

    [39] G. D’AMICO, Il rischio della «causa ignota», cit., p. 354; ID., La prova del nesso di causalità, cit., c. 1348 ss..

    [40] Quest’ultima prospettiva, come si è visto, è stata accolta da E. SCODITTI nello scritto sopra citato. È invece criticata da F. PIRAINO, opp. citt.

    [41] In semiotica la denotazione identifica la relazione tra significante e significato; la connotazione vale a integrare ed arricchire il significato ma non a distinguerlo da quello primario.

    [42] E. CARBONE, Sviluppi in tema di onere probatorio e adempimento delle obbligazioni, in Giur. It. 2018, fasc. 11, p. 2557 ss.

    [43] E. SCODITTI, La responsabilità contrattuale del medico dopo la l. n. 24 del 2017, cit..

    [44] La sentenza «gemella» n. 28992 del 2019  non è massimata al CED ma pienamente sovrapponibile è la motivazione che, in ciascuna di esse, è dedicata al tema (paragrafi da 1.1 a 1.1.5).

    [45] Il riferimento è a L. MENGONI, Obbligazioni «di risultato» e obbligazioni «di mezzi» (studio critico), in Riv. Dir. Comm. 1954, p. 189

    [46] A.M. BENEDETTI, Verso una "medicalizzazione" della responsabilità contrattuale? Esercizi di (discutibile) riscrittura dell'art. 1218 c.c., in Giustizia civile.com 2020; T. DE MARI CASARETO DAL VERME, Prestazione professionale sanitaria e prova dell'inadempimento dell'obbligazione: tornare ai “mezzi” senza dirlo?, in Giustizia civile.com 2020; R. SIMONE, Ombre e nebbia di San Martino; la causalità materiale nel contenzioso sanitario, in Foro it. 2020, I, c. 210; R. PARDOLESI – R. SIMONE, Prova del nesso di causa e obbligazioni di facere professionale: paziente in castigo, in AA.VV., Responsabilità sanitaria in Cassazione: il nuovo corso tra razionalizzazione e consolidamento, fascicolo speciale monotematico del Foro italiano a cura di R. PARDOLESI, 2020, c. 136; G. D'AMICO, L'onere della prova del nesso di causalità materiale nella responsabilità (contrattuale) medica. Una giurisprudenza in via di assestamento, ibidem, c. 150; F. MACARIO, Prova del nesso di causalità (materiale) e responsabilità medica: un pregevole chiarimento sistematico da parte della Cass., ibidem, p. 162; F. PIRAINO, Ancora sul nesso di causalità materiale nella responsabilità contrattuale, ibidem, c. 170; U. IZZO, In tema di tecnica e politica della responsabilità medica, ibidem, c. 198; A. DI MAJO, La doppia natura della responsabilità del medico, in Giur. It. 2020, p. 37; M. FRANZONI, Onere della prova e il processo, in Resp. Civ. Prev. 2020, p. 195; A. PROCIDA MIRABELLI DI LAURO, Inadempimento e causalità "materiale": perseverare diabolicum, in Danno resp. 2020, c. 75; C. SCOGNAMIGLIO, La Cassazione mette a punto e consolida il proprio orientamento in materia di onere della prova sul nesso di causa nella responsabilità contrattuale del sanitario, in Corr. Giur. 2020, p. 307; ID., L'onere della prova circa il nesso di causa nella responsabilità contrattuale del sanitario, in Resp. Civ. Prev. 2020, p. 202. V. anche A. PLAIA, Il nesso di causalità nella responsabilità contrattuale del medico, in Giur. it., 2020, p. 1327; ID., La responsabilità del medico e l’argomento statistico, in I contratti 2020, fasc. 3, p. 341 ss.; N. RIZZO, Inadempimento e danno nella responsabilità medica: causa e conseguenze, in Nuova giur. civ., 2020, p. 327; E. LABELLA, Il nesso di causalità nelle «obbligazioni di diligenza professionale», in Europa e dir. privato, 2020, p. 277.

    [47] G. D’AMICO, opp. citt.

    [48] F. PIRAINO, opp. citt.

    [49] F. PIRAINO, Ancora sul nesso di causalità materiale, cit., c. 181.

    [50] F. PIRAINO, op. ult. cit., c. 182.

    [51] F. PIRAINO, op. ult. cit., c. 181.

    [52] F. PIRAINO, op. ult. cit., c. 182 e, ivi citati, R. PARDOLESI – R. SIMONE, Prova del nesso di causa, cit., c. 140 (per i quali «l’espediente … di far rientrare nella causa del contratto, per il tramite del motivo comune alle parti, ciò che ─ la salute ─ in thesi si assume rimanere fuori dal perimetro dell’obbligazione, appare davvero spericolato e alla fine indifendibile. Dentro o fuori, prosit. Ma dentro e fuori a un tempo, proprio no!»).

    [53] Ancora F. PIRAINO, op. ult. cit., c. 186.

    [54] Lo sottolineano un po’ tutti i commentatori; v., in particolare, G. D’AMICO, op. ult. cit., c. 153; F. PIRAINO, op. ult. cit., c. 174.

    [55] Anche su tale aspetto, come si vedrà di importanza centrale, si concentra l’attenzione di molti commentatori: v. G. D’AMICO, op. ult. cit., c. 158 (e ivi nt. 27); C. SCOGNAMIGLIO, L'onere della prova circa il nesso di causa, cit., p. 210 s.; F. PIRAINO, op. ult. cit., c. 190 s.; F. MACARIO, Prova del nesso di causalità (materiale) e responsabilità medica, cit., c. 166; U. IZZO, In tema di tecnica e politica della responsabilità medica, cit., c. 211.

    [56] Definizioni, come detto, preferite, rispettivamente, da G. D’AMICO e da F. PIRAINO (opp. citt.).

    [57] A tali presunzioni fanno in particolare riferimento sia C. SCOGNAMIGLIO, sia G. D’AMICO (opp. locc. ult. citt.), il quale ultimo rileva trattarsi di «presunzioni giurisprudenziali» distinte dalle presunzioni semplici di cui all’art. 2729 cod. civ., riconoscendo tuttavia che le sentenze in commento fanno, invece, più ampio e generico riferimento a questo secondo istituto (G. D’AMICO, op. ult. cit., c. 158, nt. 27, e ivi ulteriori rimandi). Sulla nozione di «presunzione giurisprudenziale» v. M. TARUFFO, Presunzioni, inversioni, prova del fatto, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1992, I, 740 e segg.; ID., La semplice verità, il giudizio e la costruzione dei fatti, Roma-Bari, 2009, 233 e segg.; E. BENIGNI, Presunzioni giurisprudenziali e riparto dell’onere probatorio, Torino, 2014, passim, in part. 173 e segg.. Con specifico riferimento all’applicazione delle presunzioni giurisprudenziali nell’ambito della responsabilità medica v. M. FACCIOLI, ‘‘Presunzioni giurisprudenziali’’ e responsabilità sanitaria, in Contr. e Impr., 2014, p. 79 e segg., nonché  V. OCCORSIO, Cartella clinica e ‘‘vicinanza’’ della prova, in Riv. Dir. Civ., 2013, p. 1249 ss..

    [58] F. PIRAINO, opp. citt., passim.

    [59] Va rammentato che la Suprema Corte afferma, con orientamento costante, che il c.d. standard di «certezza probabilistica» in materia civile, presupposto per ritenere provato un fatto ed in particolare il nesso di causalità materiale, non può essere ancorato esclusivamente alla c.d. probabilità quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o  pascaliana),  che  potrebbe  anche  mancare  o  essere  inconferente,  ma  va  verificato  riconducendone  il  grado  di fondatezza  all’ambito  degli  elementi  di  conferma  (e,  nel  contempo,  nell’esclusione  di  altri  possibili  alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana). V. Cass. S.U. 11 gennaio 2008, nn. 576-584; v. anche, conff., Cass. 29  dicembre 2016, n. 27449; Cass. 3  gennaio 2017, n. 47; Cass. 24  ottobre 2017,  n. 25119; Cass. 27  settembre 2018, n. 23197.

    Mette conto, tuttavia, al riguardo segnalare che le «sentenze gemelle» del 2019 (Cass. nn. 28991-28992 del 2019) mantengono sul tema un approccio generico, evidenziando (§ 1.1) che «la causalità attiene al collegamento naturalistico fra fatti accertato sulla base delle cognizioni scientifiche del tempo ovvero su basi logico-inferenziali [dove l’avverbio «ovvero» sembra avere valore di congiunzione non esplicativa ma disgiuntiva, n.d.r.]. Essa attiene alla relazione probabilistica (svincolata da ogni riferimento alla prevedibilità soggettiva) tra condotta ed evento di danno (e fra quest'ultimo e le conseguenze risarcibili), da ricostruirsi secondo un criterio di regolarità causale, integrato, se del caso, da quelli dello scopo della norma violata e dell'aumento del rischio tipico, previa analitica descrizione dell'evento (cfr. Cass. sez. U. 11 gennaio 2008, n. 576 pag. 13 e Cass. 11 luglio 2017, n. 17084).

    [60] Secondo acquisito insegnamento della dottrina processualistica il ragionamento inferenziale si riscontra sia nella valutazione delle prove dirette (ad es., con riguardo alla prova testimoniale, sul presupposto che un teste attendibile ha detto che un enunciato di fatto è vero - e sulla premessa che le prove attendibili forniscono informazioni veritiere - il giudice trae la conferma della verità di quell’enunciato in base alla prova esperita), sia, più marcatamente, nella valutazione delle prove indirette o per induzione, che trovano fondamento nell’operazione logica mediante la quale, muovendo da un fatto noto assunto come premessa, vengono tratte conclusioni intorno alla verità o falsità di un fatto ignorato. In base all’inferenza probatoria si attribuisce un certo grado di conferma probatoria agli enunciati di fatto che hanno formato oggetto della prova. La determinazione del grado di conferma (che può riguardare tanto la verità quanto la falsità dell’enunciato di fatto e che può essere forte, debole o nullo) deriva da inferenze logiche che tengono conto della quantità e della qualità delle prove disponibili, del loro grado di attendibilità e della loro coerenza. Al riguardo la menzionata dottrina processualistica fa riferimento al concetto di probabilità logica (o baconiana) che fonda il grado di conferma di un enunciato sulla base degli elementi di prova che lo riguardano. Ciò sul rilievo che anche un evento statisticamente poco frequente, può, nel caso concreto, essere ritenuto conseguenza del fatto allegato ove la ipotizzata relazione inferenziale trovi, in ambito civile, maggiori elementi di conferma che di esclusione e viceversa. Secondo efficace definizione «la probabilità logica alla quale è interessato il giudice non è quella del sapere nomologico utilizzato per la spiegazione del caso, bensì attiene ai profili inferenziali della verifica probatoria condotta in chiave induttiva, cioè alla luce delle emergenze del caso concreto»: M. TARUFFO, La prova dei fatti giuridici. Nozioni generali, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu-Messineo-Schlesinger, Giuffrè Milano 1992, p. 212 ss.; v. anche ID., La prova del nesso causale, in Rivista critica del diritto privato, 2006, pp. 129-130; ID., La valutazione delle prove, in Le prove nel processo civile, Milano, 2012, p. 207 e ss.; v. anche, sul tema, G. TRAVAGLINO, La questione dei nessi di causa, Milano, 2012,  102 ss.; P. SPAZIANI, La prova della responsabilità per fatto ingiusto, cit., p. 20; R. POLI, Gli standard di prova in Italia, in Giur. It., 2018, 2526; ID.,  Logica del giudice, standard di prova e controllo in Cassazione, in Judicium [http://www.judicium.it/wp-content/uploads/2019/10/R.-Poli.pdf]; A. PLAIA, op. cit..

    [61] Secondo TARUFFO, op. cit., 118, «una frequenza statistica, anche se relativamente elevata, non fornisce mai la prova che un singolo evento si è davvero verificato», e ciò in quanto «i dati statistici “parlano di classi di eventi e non di eventi singoli, e servono a fare previsioni invece che accertare fatti singoli già accaduti”».

    L’assunto tuttavia non è pacifico in dottrina.

    Secondo F. SCHAUER (2008), citato da R. POLI, Logica del giudice, cit., p. 14, nt. 53, «se si dispone di una statistica particolarmente elevata relativa alla connessione tra due tipi di eventi, ciò può essere sufficiente a stabilire che nel caso singolo si è davvero verificata  una  associazione  tra  i  due  eventi  specifici,  ed  anche  ove  si  tratti  di  una  connessione  causale». Si è inoltre osservato (ancora R. POLI, op. loc. cit.), che «se è certamente vero che le leggi statistiche parlano di classi di eventi e non di eventi singoli, è altrettanto vero che tale aspetto caratterizza negli stessi termini le massime di esperienza. Non vi è infatti dubbio che qualsiasi generalizzazione basata sull’esperienza, anche quelle ritenute più “sicure” e “convincenti”, non possa dire e non dica nulla della verità dello specifico e concreto fatto ignoto oggetto di prova. Tuttavia, anche da parte dei critici delle massime d’esperienza si riconosce che esse, o più in generale le nozioni di senso comune, sono una componente ineliminabile del ragionamento decisorio e giustificativo del giudice, e svolgono un ruolo centrale proprio nell’ambito della prova e della sua valutazione. Ebbene, in altre parole, … se si riconosce l’ineliminabilità del ricorso alle massime d’esperienza nella valutazione delle prove e la loro idoneità a costituire la premessa maggiore di un ragionamento inferenziale che conduce alla affermazione di verità di un determinato enunciato fattuale –enunciato che di conseguenza il giudice può portare a fondamento della sua decisione –, la stessa idoneità deve essere riconosciuta, a fortiori, alle leggi scientifiche statistiche che, a ben vedere, non sono altro che massime d’esperienza qualificate».

    Il pericolo di un «calo di tensione» e di un «approccio più lasco e abborracciato al problema della causalità materiale» è segnalato da F. PIRAINO (Ancora sul nesso di causalità materiale, cit., c. 194), quale conseguenza della «connotazione probabilistica assunta dal giudizio causale, soprattutto a seguito del mutamento epistemologico nella filosofia della scienza che ha condotto alla presa di coscienza dello statuto soltanto probabile degli asserti scientifici» e dalla conseguente nascita, in campo di diritto civile, della «convinzione, chiaramente errata, che l’irrompere della probabilità giustifichi un minore rigore in sede di ricostruzione del nesso causale».

    [62] A. PLAIA (op. cit., nt. 23), critico verso tale ultima impostazione e favorevole alla ricostruzione accolta da Cass. nn. 28991-28992 del 2019, fa l'ipotesi di un bambino cui venga diagnosticata una lesione cerebrale, patologia che può essere genetica, o successiva al parto, ma anche possibile conseguenza di una condotta imperita del medico. «Questa ipotesi causale – osserva l’A. ─, fondata su una probabilità statistica, è però astratta e nulla ci dice sul caso concreto e già accaduto, almeno sinché non trovi conforto sul piano strettamente probatorio e cioè della "probabilità logica". Si pensi, ancora, ad un intervento chirurgico al polso in ragione di una frattura di radio cui, secondo le prospettazioni del paziente, sarebbe seguita una lesione del nervo mediano. Anche qui, la letteratura scientifica ci dice che la lesione del nervo è un "tipo" di danno che può essere conseguenza di un trattamento chirurgico imperito del polso, ancorché possa anche essere possibile "complicanza" iatrogena (cioè causata dall'intervento medico, ma) non evitabile, oppure essere conseguenza della frattura stessa (causata dalla contusione o dall'edema). L'imperizia del medico è, allora, eziologicamente rilevante in astratto, ma occorre valutare se, in concreto, il danno sia "più probabilmente che no" una complicanza inevitabile, ovvero se possa dirsi vera "più probabilmente che no" - tenendo conto anche del livello di probabilità statistica, che tuttavia è solo un argomento tra tanti - che a cagionare la lesione sia stata l'imperizia del medico. Ebbene, anche in un caso di questo tipo, la frequenza statistica della complicanza iatrogena assai poco ci dice in termini di "probabilità logica", potendo, al più, valere quale argomento di prova, certamente insufficiente a rendere credibile razionalmente l'ipotesi eziologica allegata».

    [63] Sembra utile segnalare al riguardo che la valutazione della validità del ragionamento inferenziale trova limitati spazi di sindacabilità nel giudizio di legittimità. Cass. S.U. 24 gennaio 2018, n. 1785, occupandosi dei criteri e dei requisiti da osservare per la denuncia, in cassazione, del vizio di violazione o di falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ., ha in proposito affermato che tale denuncia «si può prospettare … sotto i seguenti aspetti:

    aa) il giudice di merito (ma è caso scolastico) contraddice il disposto dell'art. 2729 cod. civ., primo comma, affermando (e, quindi, facendone poi concreta applicazione) che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni (rectius: fatti), che non siano gravi, precise e concordanti: questo è un errore di diretta violazione della norma;

    bb) il giudice di merito fonda la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, così sussumendo sotto la norma dell'art. 2729 cod. civ. fatti privi di quelle caratteristiche e, quindi, incorrendo in una sua falsa applicazione, giacché dichiara di applicarla assumendola esattamente nel suo contenuto astratto, ma lo fa con riguardo ad una fattispecie concreta che non si presta ad essere ricondotta sotto tale contenuto, cioè sotto la specie della gravità, precisione e concordanza.

    Con riferimento a tale secondo profilo, si rileva che, com'è noto, la gravità allude ad un concetto logico, generale o speciale (cioè rispondente a principi di logica in genere oppure a principi di una qualche logica particolare, per esempio di natura scientifica o propria di una qualche lex artis), che esprime nient'altro — almeno secondo l'opinione preferibile — che la presunzione si deve fondare su un ragionamento probabilistico, per cui dato un fatto A noto è probabile che si sia verificato il fatto B (non è condivisibile, invece, l'idea che vorrebbe sotteso alla "gravità" che l'inferenza presuntiva sia "certa").

    La precisione esprime l'idea che l'inferenza probabilistica conduca alla conoscenza del fatto ignoto con un grado di probabilità che si indirizzi solo verso il fatto B e non lasci spazio, sempre al livello della probabilità, ad un indirizzarsi in senso diverso, cioè anche verso un altro o altri fatti.

    La concordanza esprime — almeno secondo l'opinione preferibile — un requisito del ragionamento presuntivo (cioè di una applicazione "non falsa" dell'art. 2729 cod. civ.), che non lo concerne in modo assoluto, cioè di per sé considerato, come invece gli altri due elementi, bensì in modo relativo, cioè nel quadro della possibile sussistenza di altri elementi probatori considerati, volendo esprimere l'idea che, in tanto la presunzione è ammissibile, in quanto indirizzi alla conoscenza del fatto in modo concordante con altri elementi probatori, che, peraltro, possono essere o meno anche altri ragionamenti presuntivi.

    Ebbene, quando il giudice di merito sussume erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti accertati che non sono invece rispondenti a quei caratteri, si deve senz'altro ritenere che il suo ragionamento sia censurabile alla stregua dell'art. 360 cod. proc. civ., n. 3 e compete, dunque, alla Corte di cassazione controllare se la norma dell'art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta dal giudice di merito, lo sia stata anche a livello di applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta.

    Essa può, pertanto, essere investita ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., n. 3 dell'errore in cui il giudice di merito sia incorso nel considerare grave una presunzione (cioè un'inferenza) che non lo sia o sotto un profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi. La stessa cosa dicasi per il controllo della precisione e per quello della concordanza.

    In base alle considerazioni svolte la deduzione del vizio di falsa applicazione dell'art. 2729, primo comma, cod. civ., suppone allora un'attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito — assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato — risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza.

    Occorre, dunque, una preliminare attività di individuazione del ragionamento asseritamente irrispettoso di uno o di tutti tali paradigmi compiuto dal giudice di merito e, quindi, è su di esso che la critica di c.d. falsa applicazione si deve innestare ed essa postula l'evidenziare in modo chiaro che quel ragionamento è stato erroneamente sussunto sotto uno o sotto tutti quei paradigmi.

    Di contro la critica al ragionamento presuntivo svolto da giudice di merito sfugge al concetto di falsa applicazione quando invece si concreta o in un'attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo (sicché il giudice di merito è partito in definitiva da un presupposto fattuale erroneo nell'applicare il ragionamento presuntivo), o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perché quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell'art. 2729, primo comma (e ciò tanto se questa prospettazione sia basata sulle stesse circostanze fattuali su cui si è basato il giudice di merito, quanto se basata altresì su altre circostanze fattuali)».

    [64] In questa prospettiva si era espressamente mossa Cass.  n. 29315 del 2017 (Pres. Travaglino – Est. Sestini), già citata supra, nota 25, secondo la quale la ricostruzione operata da Cass. n. 18392 del 2017 non si pone in contrasto con il principio affermato da Cass. S.U. n. 577/2008, dal momento che «tale principio venne … affermato a fronte di una situazione in cui l'inadempimento "qualificato" allegato dall'attore (ossia l'effettuazione di un'emotrasfusione) era tale da comportare - di per sé, ed in assenza di fattori alternativi "più probabili", nel caso singolo di specie - la presunzione della derivazione del contagio dalla condotta (sì che la prova della prestazione sanitaria conteneva in sé quella del nesso causale), con la conseguenza che non poteva che spettare al convenuto l'onere di fornire una prova idonea a superare tale presunzione, secondo il criterio generale di cui all'art. 2697 c.c., comma 2 (e non - si badi - la prova liberatoria richiesta dall'art. 1218 cod. civ.)».

    Appare in tal senso anche significativo che, successivamente alle sentenze di San Martino, la Terza Sezione Civile della S.C., in collegio diverso ma presieduto dallo stesso Presidente (G. Travaglino) ─  Cass. 26 febbraio 2020, n. 5128 (ud. 20 novembre 2019), Pres. Travaglino – Est. Fiecconi, in Foro it. 2020, I, c. 1595, con nota di R. PARDOLESI-R. SIMONE, Sulla «fine della storia» della responsabilità da «facere» professionale, cit. ─ abbia deciso il caso di responsabilità medica al suo esame (che poneva la questione dell’onere della prova e del rischio della causa ignota) espressamente richiamando a fondamento il principio affermato da Cass. S.U. n. 577 del 2008.

    [65] F. MACARIO, op. cit., c. 166.

    Please publish modules in offcanvas position.

    × Progressive Web App | Add to Homescreen

    To install this Web App in your iPhone/iPad press icon. Progressive Web App | Share Button And then Add to Home Screen.

    × Install Web App
    Mobile Phone
    Offline - No Internet Connection

    We use cookies on our website. Some of them are essential for the operation of the site, while others help us to improve this site and the user experience (tracking cookies). You can decide for yourself whether you want to allow cookies or not. Please note that if you reject them, you may not be able to use all the functionalities of the site.