GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Poteri impliciti delle Autorità indipendenti e principio di legalità. Il potere di accertamento della Consob (nota a Consiglio di Stato, Sezione Sesta, 14 dicembre 2020, n. 7972)

    Poteri impliciti delle Autorità indipendenti e principio di legalità. Il potere di accertamento della Consob (nota a Consiglio di Stato, Sezione Sesta, 14 dicembre 2020, n. 7972)

    di Giovanni Barozzi Reggiani

    Sommario: 1. Considerazioni introduttive - 2. La vicenda processuale (in breve) - 3. Principio di legalità e poteri («espliciti» e «impliciti») delle Autorità indipendenti - 4. I poteri impliciti e il tema della strumentalità - 5. Ruolo e funzioni della Consob - 6. Il potere esercitato nel caso concreto e la sua qualificabilità in termini di potere implicito - 7. La violazione delle garanzie partecipative di Vivendi e Telecom - 8. Note conclusive. 

    1. Considerazioni introduttive 

    La sentenza che si commenta offre lo spunto per operare una riflessione sul tema dei «poteri impliciti» delle Autorità amministrative indipendenti (nel caso di specie, della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa  - Consob) [1],

    Dopo aver preliminarmente sinteticamente ricostruito i fatti del giudizio, che ha visto contrapposte la società francese Vivendi Societé Anonyme SA, Telecom Italia S.p.A. e la Consob in relazione alla qualificabilità della prima quale società controllante della seconda, verranno  sinteticamente ricordate le diverse ricostruzioni dottrinarie poste a fondamento della teoria dei poteri impliciti valutando alla luce di queste la soluzione data dalla Consob nel caso di specie.

     2. La vicenda processuale (in breve)

    Il contendere sorgeva attorno ad un atto («comunicazione») della Consob - impugnato dinanzi al T.a.r. di Roma, con separati ricorsi (poi riuniti), tanto da Vivendi quanto da Telecom Italia S.p.A. - avente ad oggetto «qualificazione del rapporto partecipativo di Vivendi S.A. in Telecom Italia S.p.A. ai sensi della disciplina in materia di operazioni correlate, dell’art. 2359 del codice civile e dell’art. 93 del D.lgs 58/1998 (“TUF”)»[2]

    A mezzo della comunicazione in parola - adottata all’esito di un procedimento avviatosi a seguito di specifico quesito posto dal Collegio Sindacale di Telecom[3] - la Consob veniva sostanzialmente a riconoscere a Vivendi la natura di socio controllante della stessa Telecom, in ragione della posizione dominante che la prima era venuta ad assumere a seguito di un’assemblea dei soci della seconda (tenutasi il 4 maggio 2017) nell’ambito della quale - tra le altre cose - il consiglio di amministrazione di Telecom era stato rinnovato con consiglieri tratti in larga maggioranza (10 su 15) dalla lista presentata da Vivendi (presente in assemblea con il 23,94% del capitale, mentre il capitale con diritto di voto presente era pari al 58,75%) risultata la più votata[4]

    Sulla base di quanto accaduto nella predetta assemblea, degli assetti societari venuti definendosi all’esito della stessa nonché di un’altra (articolata) serie di circostanze fattuali (una, particolarmente rilevante, concernente la configurabilità o meno di una situazione di direzione e controllo di Vivendi nei confronti di Telecom[5]) la Consob veniva ad affermare come Vivendi esercitasse «il controllo di fatto su TIM ai sensi dell’art. 2359 c.c. e ai sensi dell’art. 93 del TUF, nonché ai sensi della disciplina parti correlate»[6]; ciò veniva effettuato, dall’Authority, non già nell’ambito di un procedimento più ampio (regolatorio, autorizzatorio, di vigilanza o sanzionatorio) bensì “in via autonoma”, vale a dire mediante apposito procedimento sfociato in un atto che i Giudici di primo e secondo grado avrebbero definito di «accertamento»[7] (di atto «di regolazione con funzione di accertamento» ha parlato specificamente il Consiglio di Stato).

    Avverso la «comunicazione» della Consob insorgevano Vivendi e Telecom, articolando diversi motivi di ricorso, dei quali preme, in questa sede, analizzarne esclusivamente due, concernenti:

    (a) la contestazione circa l’assenza di un fondamento (normativo) per il potere esercitato, con conseguente affermata violazione dei principi di legalità (formale e sostanziale) e di tipicità che governano la funzione amministrativa (quale attività che si estrinseca nell’esercizio di un potere pubblico);

    (b) l’avvenuta pretermissione delle garanzie di partecipazione procedimentale di Vivendi e Telecom, da parte di Consob, e in specie la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento conclusosi con l’adozione della citata comunicazione.

    In primo grado, il ricorso veniva integralmente rigettato dalla Seconda Sezione del T.a.r. del Lazio (Roma), con sentenza (17 aprile 2019, n. 4990) che veniva riformata in grado di appello in riferimento al profilo concernente la violazione delle garanzie procedimentali delle società ricorrenti.

    Sui passaggi della motivazione della sentenza in commento concernenti entrambi i predetti profili si tornerà nel prosieguo, non prima però di aver effettuato un sintetico (ma necessario) inquadramento del tema dei poteri impliciti e del rapporto tra i medesimi ed il principio di legalità, nonché delle prerogative e del ruolo della Consob.

    3. Principio di legalità e poteri («espliciti» e «impliciti») delle Autorità indipendenti

    Non costituiscono argomento nuovo le perplessità e i dibattiti che la nutrita schiera di poteri attribuiti dalle varie leggi istitutive alle diverse Autorità indipendenti ha suscitato, in dottrina e in giurisprudenza, riguardo alla compatibilità del modello con il principio di legalità - e, più ampiamente, con quello democratico di cui all’art. 1 Cost. - nonché con la stessa “separazione dei poteri”, cardine di ogni società ed ordinamento moderno[8]

    Se appare arduo giustificare l’attribuzione ad organismi non inseriti nel circuito di responsabilità politico-ministeriale (ai sensi dell’art. 97 Cost.) di poteri suscettibili di incidere unilateralmente sulle sfere giuridiche di persone fisiche o enti, ancor più difficile è rinvenire argomenti per legittimare l’esercizio, da parte di organismi consimili, di poteri non “nominati”, disciplinati e tipizzati da disposizioni normative[9]

    Gli atti delle Pubbliche amministrazioni che configurano estrinsecazione di un potere devono infatti - per regola generale - da un lato trovar fondamento in disposizioni normative, dall’altro risultare strumentali a conseguire le finalità individuate (sempre da norme) ed essere esercitati nel rispetto delle regole procedimentali[10]. La Pubblica amministrazione è tenuta a perseguire l’interesse pubblico alla stessa affidato (pur essendo titolare di sfere più o meno ampie di discrezionalità sulla scelta dell’an, del quando e del quomodo del provvedere) e, nel fare ciò, non può utilizzare uno strumento o un potere di cui dispone per finalità diverse da quelle per le quali l’uso di detto strumento o potere è previsto (pena il sorgere di profili di illegittimità dell’attività e dei provvedimenti che ne costituiscano eventualmente estrinsecazione, nei termini della più antica declinazione dell’eccesso di potere rappresentata dal c.d. «sviamento»[11]) né tantomeno esercitare il potere secondo modalità diverse da quelle previste dalle norme o, a maggior ragione, “inventarsi” un potere o una funzione (che risulterebbero addirittura affetti da nullità per carenza assoluta di attribuzione)[12].

    A dispetto di quanto sopra - e della presenza di tale regola generale che affonda le proprie radici in disposizioni e principi costituzionali - i poteri impliciti delle Pubbliche amministrazioni sono una realtà ben presente nel nostro ordinamento e riconosciuta, come legittima, da gran parte della dottrina e della giurisprudenza; una realtà, tuttavia, che - lo si dirà meglio nel prosieguo - ha posto non pochi problemi e interrogativi, che si fanno ancor più delicati in riferimento a quella particolarissima tipologia di funzione amministrativa costituita dalla regolazione (nelle sue varie declinazioni[13]) vale a dire quella attività a mezzo della quale un organismo - solitamente un’Autorità indipendente - detta regole concernenti il funzionamento di uno specifico settore, in riferimento a determinati aspetti, e che quindi risulta “pericolosamente” vicina alla normazione (prerogativa, quest’ultima, degli organi politici o comunque rappresentativi[14]).

    In riferimento alla funzione regolatoria, il “surplus” di problematicità è dovuto alla constatazione che rispetto alla stessa si rinvengono norme “attributive” - di poteri e funzioni ad organismi - connotate da un grado solitamente alto di genericità: non di rado, tali norme si limitano a individuare gli obiettivi che l’attività dell’organismo deve perseguire e a delineare le funzioni e i poteri dello stesso, senza tuttavia dettagliare questi ultimi[15].

    Trattasi di uno schema ordinario per quanto concerne la regolazione, che si giustifica principalmente in ragione dell’esigenza di garantire l’effettività e l’efficacia della medesima: una predeterminazione normativa eccessivamente rigida circa presupposti e modalità di esercizio del potere regolatorio può tradursi infatti in un vincolo troppo forte per il soggetto che ha la titolarità dello stesso (che qui chiameremo genericamente «Regolatore»), con sostanziale svuotamento della funzione e venir meno della stessa ratio del conferimento del potere[16], il quale, per avere senso e significato, richiede che il Regolatore medesimo possa “scrivere le regole” del proprio settore effettuando valutazioni e scelte connotate da un alto grado di discrezionalità (amministrativa o tecnica)[17].

    L’attività regolatoria, dunque, non può esercitarsi, a cagione delle sue caratteristiche intrinseche, a mezzo di schemi e modelli predeterminati e “tipici”. L’ampiezza e la “genericità” degli obiettivi da perseguire - cui si collega un’attribuzione ampia di poteri, caratterizzati da un grado di discrezionalità (sia essa amministrativa o tecnica) piuttosto elevato - impone il conferimento dei poteri medesimi a mezzo di disposizioni normative che non siano formulate con un grado di eccessivo dettaglio (che sarebbe suscettibile di paralizzare le funzioni e di vanificare l’effettività e l’efficacia delle stesse). 

    Ne consegue ciò che parte della dottrina ha definito in termini di «caduta», altra di «deroga», altra ancora di «dequotazione»[18] del principio di legalità (riferito all’esercizio della funzione), problema rispetto al quale l’elaborazione tanto dottrinale quanto giurisprudenziale si è ormai rassegnata a constatare l’impossibilità di fornire una soluzione definitiva, se non in termini di ricerca e messa a punto di strumenti di compensazione.

    Il vulnus al principio di legalità che tanto la regolazione (per sua stessa natura) quanto il riconoscimento ad Autorità indipendenti di poteri impliciti determina non può essere sanato, se non al prezzo di rendere ineffettiva e inefficace l’attività delle Autorità stesse, potendo al più essere compensato: e detta compensazione - una volta constatata l’impossibilità di imbrigliare i poteri delle Authorities, e di quelle di regolazione in particolare, all’interno di una predeterminazione rigida di presupposti, condizioni, e modalità di esercizio dei poteri stessi - può avvenire solo a mezzo di un’implementazione degli istituti partecipativi (rafforzamento della c.d. «legalità procedimentale»)[19]; non è certo un caso che, rispetto alle funzioni delle Autorità indipendenti (e di quelle di regolazione in particolare), il legislatore abbia previsto, spesso a ciò “delegando” le Autorità stesse, la messa a punto di istituti partecipativi particolarmente «avanzati», che prevedono schemi riconducibili al «notice and comment»[20] ovvero ad istituti ancora più “inclusivi”.

    Ai soggetti che, a vario titolo, vengano a rapportarsi con poteri regolatori - quali diretti destinatari degli stessi o operatori di uno specifico settore regolato - ovvero con poteri «impliciti», deve dunque essere garantita una partecipazione procedimentale effettiva: se tale partecipazione non è assicurata, viene meno quell’elemento di compensazione della dequotazione del principio di legalità sostanziale che secondo l’orientamento giurisprudenziale e dottrinario maggioritario (anche se non pacifico) costituisce l’unico accettabile compromesso di ammissibilità riguardo all’attribuzione di funzioni regolatorie - difficilmente predeterminabili e “imbrigliabili” a priori e per via normativa - ed al riconoscimento della titolarità di poteri impliciti - “atipici” e “innominati” per definizione - ad Autorità politicamente irresponsabili (come quelle indipendenti)[21].

     4. I poteri impliciti e il tema della strumentalità 

    Si è detto che dottrina e giurisprudenza riconoscono ormai senza troppe incertezze l’esistenza e l’ammissibilità, in termini di legittimità, di poteri impliciti in capo alle Autorità amministrative indipendenti: esigenza che secondo alcuni Autori sarebbe addirittura “imposta” dalla genericità e dalla indeterminatezza che caratterizza molte norme attributive di poteri (specie regolatori)[22].

    L’esercizio di poteri impliciti è però ritenuto legittimo solo al ricorrere di specifici presupposti, uno dei quali concerne la strumentalità di tali poteri.

    In pressoché tutti gli studi e i contributi che si sono occupati di «poteri impliciti» si rinviene infatti l’affermazione secondo la quale poteri consimili, per poter essere considerati ammissibili e legittimi, devono mostrare un collegamento con “qualcosa” di esplicito; tale collegamento viene normalmente declinato (appunto) in termini di strumentalità: poteri innominati non possono esistere di per sé - tantomeno essere esercitati - ma solo se ed in quanto strumentali a “qualcos’altro”.

    Dato ciò per condiviso, è sul “complemento di termine” dell’essere strumentale dei poteri impliciti che si registra, in dottrina, qualche oscillazione.

    Ed infatti, una prima declinazione (che potremmo definire “forte” o “radicale”) della teoria dei poteri impliciti - della quale si rinvengono tracce in ambito europeo[23] - richiede, quale condizione di legittimo esercizio degli stessi, la sussistenza di un nesso di strumentalità tra il singolo potere (implicito) che viene in rilievo e gli obiettivi e le finalità attribuite dalle norme alla singola Autorità amministrativa. A quest’ultima, in altre parole, dovrebbe riconoscersi la titolarità di tutti quei poteri, anche non espressamente riconosciuti e tipizzati dalle norme, che risultino funzionali al conseguimento delle finalità alla stessa assegnate.

    Secondo altra impostazione, più restrittiva, la strumentalità, quale caratteristica e condizione di legittimità dell’esercizio di poteri impliciti, dovrebbe invece essere valutata non già (o comunque non solo) in relazione alle finalità attribuite ad una specifica Autorità amministrativa, bensì, e soprattutto, in riferimento ai poteri espressamente riconosciuti da disposizioni normative all’Autorità stessa (e che potremmo chiamare «espliciti»). E’ stato in questo senso affermato che «implicito può essere definito quel potere autoritativo amministrativo che, pur non previsto dalla leggecorre però “parallelamente” ad un potere autoritativo tipico viceversa espressamente conferito da una norma ad un organo amministrativo, e che è legato da un nesso di “strumentalità” con l’oggetto materiale e con l’interesse pubblico cui si riferisce il potere esplicito […] In altri termini, condizione essenziale perché possa parlarsi di un potere implicito è, da un lato, che esso sia logicamente e teleologicamente necessario per consentire di portare a compimento la funzione affidata all’organo amministrativo dalla norma attributiva del potere tipico e, dall’altro, che sia da escludersi con sicurezza che esso sia previsto dalla norma stessa, anche se ricavabile in via deduttiva dalle espressioni vaghe da questa impiegate o comunque con interpretazione di tipo estensivo»[24]

    In ossequio alla ricostruzione da ultimo descritta, dunque, l’ammissibilità - in termini di legittimità - di un potere non espressamente attribuito e tipizzato da una disposizione normativa (dunque implicito) richiede che lo stesso sia strumentale al più effettivo ed efficace esercizio di un potere «esplicito» (ovvero codificato). 

    Trattasi di differenza di impostazione di non poco conto: come è infatti immediatamente percepibile, dall’adesione all’una piuttosto che all’altra tesi discendono conseguenze di non secondario rilievo circa l’ampiezza del novero dei poteri (impliciti) che devono essere ritenuti ammissibili e quindi legittimamente esercitabili dalla specifica Autorità di cui si tratta.

    A livello di ordinamento interno, è la seconda delle tesi esposte che sembra poter trovare cittadinanza: l’ammissibilità di poteri impliciti in capo ad un’Autorità amministrativa può in questo senso sostenersi solo nella misura in cui gli stessi risultino strumentali all’esercizio di un potere e di una funzione espressamente previsti e attribuiti da una norma.

    In tale ipotesi, infatti, il principio di legalità, benché parzialmente vulnerato, non viene del tutto pretermesso: lo specifico potere implicito individuato viene ritenuto legittimo e ammissibile in quanto elemento e condizione di effettività dell’esercizio di una funzione espressamente attribuita, a sua volta strumentale al conseguimento delle finalità individuate dalla legge. Il potere implicito che viene in rilievo, pur suscettibile di essere autonomamente considerato e inquadrato, risulta così comunque riconducibile ad un potere «esplicito», rispetto al quale è possibile individuare un riferimento normativo espresso.

    L’Autorità amministrativa che faccia ricorso ad un potere implicito, in tale ipotesi, non effettua un’operazione di “auto-conferimento” di prerogative e non ricorre a mezzi e strumenti del tutto estranei al complesso delle proprie attribuzioni, ma si limita a svolgere un’attività o a compiere un atto la cui effettuazione (o adozione) risulta necessaria all’esercizio effettivo di altra propria (espressamente attribuita) prerogativa.

    Laddove accedessimo invece alla tesi più ampia e radicale - quella che, vale a dire, è propensa a riconoscere l’ammissibilità, in termini di legittimità, di quei poteri impliciti per i quali si rinvenga un nesso di strumentalità rispetto non già ad un altro potere (esplicito) bensì al complesso degli obiettivi da perseguire e degli interessi da tutelare - finiremmo per legittimare una pretermissione pressoché totale del principio di legalità, e una sorta di “auto-attribuzione” di poteri sganciata da qualsiasi collegamento (fosse anche minimo) con un dato normativo specifico, e rispetto al quale l’Amministrazione procedente finirebbe per sostituirsi all’attività di ponderazione di interessi compiuta dal legislatore, ovvero per affiancare a questa una propria ponderazione, con la prima in potenziale conflitto. 

    Quello di cui sopra non pare assunto condivisibile, anche perché il modello che esso delinea si pone in contrasto (non sanabile e difficilmente “compensabile”) oltre che con il principio democratico e con quello di legalità, con altri principi e norme costituzionali (si pensi all’art. 23 Cost.[25] e alle disposizioni che definiscono l’architrave della tutela giurisdizionale nei confronti della Pubblica Amministrazione[26]).

    La strumentalità - e comunque il collegamento - di un potere implicito rispetto ad uno o più poteri “espliciti” costituisce dunque un elemento che appare irrinunciabile, se non a prezzo di slegare l’esercizio del potere pubblico da qualsiasi riferimento normativo, il che non appare accettabile[27]

    Ed è proprio sul se l’accertamento disposto a mezzo della comunicazione citata la Consob abbia inteso esercitare un potere implicito e se detto potere risulti strumentale (o meno) all’esercizio di altri poteri “espliciti” che si sono incentrare le riflessioni dei Giudici di primo e secondo grado, per meglio inquadrare le quali verrà ora effettuata una rapida ricostruzione degli scopi e delle prerogative dell’Autorità.

     5. Ruolo e funzioni della Consob

    La Consob, in ragione del prestigio riconosciutole e del posto che occupa nel panorama istituzionale italiano, non ha certo “bisogno di presentazioni”: trattasi di Autorità amministrativa indipendente, istituita nel 1974[28], chiamata a svolgere, in riferimento ai mercati mobiliari, numerose ed eterogenee funzioni: di regolazione, di vigilanza e controllo[29], autorizzatorie[30] o approvative[31], sanzionatorie e para-giurisdizionali[32].

    Rispetto ad essa, ed al suo ambito di attività, è possibile individuare e tracciare - da una prospettiva che potremmo definire “spaziale” - una sorta di perimetro esterno; operazione che risulta fondamentale nella misura in cui è rispetto a detto ambito di attività che trovano applicazione le specifiche regole frutto dell’attività regolatoria dell’Autorità (e si individua l’estensione spaziale del “settore regolato”) e si estrinsecano gli altri poteri di cui essa è titolare: si rinvengono in tal senso attività e soggetti che definiamo “regolati” - in quanto sottoposti a tutta o parte della regolazione della Consob - ed altre attività o soggetti che, pur non dovendo rispettare la regolazione di settore (e non potendo quindi essere formalmente qualificati quali “soggetti regolati”), sono comunque tenuti a osservare procedure o condotte, effettuare adempimenti o rispettare obblighi ai sensi delle disposizioni normative di riferimento e, nel fare ciò, a interfacciarsi a vario titolo con la Consob medesima.

    E’ in riferimento a tale assetto che dobbiamo qui inquadrare l’istituto del “controllo societario”, che configura uno dei fattori che determina l’appartenenza di un soggetto o di un’attività al perimetro e all’ambito di operatività, anche regolatorio, della Consob.

    La sussistenza di una situazione di controllo è, in particolare, rilevante ai sensi e quale presupposto applicativo di diverse disposizioni del T.U.F. che disciplinano funzioni e poteri dell’Autorità nonché, per quanto maggiormente interessa, relativamente all’applicazione della speciale disciplina concernente le operazioni «con parti correlate». Trattasi di disciplina che contempla diversi istituti, nonché specifici obblighi di condotta - previsti da varie norme (tra cui disposizioni dello stesso T.U.F.) e da specifiche disposizioni regolatorie, ed in specie dal Regolamento[33]«Operazioni con parti correlate», di cui alla delibera Consob n. 17221 del 12 marzo 2010, più volte modificato, da ultimo a mezzo della recentissima delibera 10 dicembre 2020[34] - volti fondamentalmente a garantire la trasparenza di talune operazioni ed attività, rilevanti per gli equilibri del mercato finanziario di riferimento e per la tutela degli interessi dei consumatori[35].

    Con specifico riferimento alla regolazione di settore, giova rilevare che il citato Regolamento Consob fino a pochi giorni orsono elencava in uno specifico Allegato - (Allegato 1), cui faceva rinvio l’art. 3, lettera a) del Regolamento (recante  “parti correlate” e “operazioni con parti correlate”) - le varie tipologie di «parti correlate», fra le quali annoverava ogni soggetto che «(a) direttamente, o indirettamente, anche attraverso società controllate, fiduciari o interposte persone: (i) controlla la società, ne è controllato, o è sottoposto a comune controllo; (ii) detiene una partecipazione nella società tale da poter esercitare un’influenza notevole su quest’ultima; (iii) esercita il controllo sulla società congiuntamente con altri soggetti; (b) è una società collegata della società». 

    Una recente novella (del dicembre 2020) ha eliminato il riferimento all’Allegato 1 contenuto nel predetto art. 3, lettera a), sostituendolo con un richiamo ai «principi contabili internazionali adottati secondo la procedura di cui all'art. 6 del regolamento (CE) n. 1606/2002», nei quali si rinvengono parimenti riferimenti alla nozione di controllo[36].

    La sussistenza di una situazione di controllo societario è dunque elemento suscettibile di attribuire ad un soggetto la qualifica di «parte correlata», e quindi di costituire presupposto “applicativo” della disciplina regolatoria di settore nonché fattore di riconducibilità di un’attività o di un soggetto all’ambito di operatività della Consob.

    Sul piano oggettivo, la disciplina del Regolamento in parola è volta ad assicurare «la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate realizzate direttamente o per il tramite di società controllate»[37]. A tali fini, il Regolamento prevede in capo ai soggetti che effettuino operazioni con «parti correlate» (tra le quali, come detto, figurano le società controllate e controllanti) il sorgere di alcuni obblighi (principalmente informativi, specie in favore del pubblico, e comunque volti a garantire la trasparenza delle operazioni[38]), rispetto ai quali alla Consob sono riconosciuti poteri di vigilanza (con la possibilità per la stessa di richiedere informazioni e documenti, nonché eseguire ispezioni)[39] oltre che inibitori (con finalità cautelative rispetto alle ripercussioni che operazioni non trasparenti e informazioni non corrette potrebbero produrre sul mercato e sui consumatori)[40].

    Costituisce dunque - quella concernente la qualifica di un soggetto quale “parte correlata” e, per esso, della sussistenza di una situazione di controllo societario - attività per la quale si rinviene certamente un nesso di strumentalità con taluni compiti e poteri della Consob, configurando anzi la medesima un vero e proprio presupposto di esercizio dei descritti poteri e delle accennate funzioni (oltre a costituire elemento suscettibile di incidere sulla sfera giuridico/economica del soggetto che vede attribuirsi detta qualifica, con il conseguente sorgere di uno specifico interesse a ricorrere avverso l’atto attributivo della qualifica medesima).

    6. Il potere esercitato nel caso concreto e la sua qualificabilità in termini di potere implicito

    Le considerazioni di cui sopra portano a chiedersi se, nel caso di specie, la Consob - nell’adottare un atto contenente l’accertamento, e la conseguente “qualificazione”, della posizione di Vivendi quale socio controllante di Telecom -abbia o meno esercitato un «potere implicito», alla stessa non espressamente conferito dalla legge (e dunque necessariamente “atipico” e “innominato”). 

    Giova evidenziare che, come accennato in apertura di contributo, in senso affermativo si è espresso il Consiglio di Stato, che ha argomentato tale affermazione prendendo le mosse da una precisa e colta ricostruzione della teoria dei poteri impliciti per poi effettuare una illustrazione delle ragioni per le quali poteri consimili dovessero ritenersi sussistenti nel caso di specie.

    Al fine di commentare le conclusioni del Collegio - e formulare un giudizio concernente la condivisibilità o meno delle stesse - occorre brevemente richiamare le due impostazioni (in precedenza illustrate) che si rinvengono, nel panorama dottrinale, in riferimento ai poteri impliciti, e cercare di comprendere se e a quale di esse il Collegio abbia inteso aderire.

    Sul punto, il primo rilievo che occorre effettuare concerne il fatto che i Giudici hanno chiaramente sottolineato come il potere esercitato dalla Consob (avente ad oggetto «la definizione e le modalità applicative di un concetto, quale è quello relativo al controllo di fatto societario» ed espressamente definito “implicito”) non fosse risultato prodromico (e quindi strumentale) «all’esercizio di altri specifici poteri» (punto 4.1 della sentenza).

    Trattasi di elemento piuttosto rilevante, specie in considerazione della centralità che, come detto, al tema della “strumentalità” deve essere riconosciuta nell’ambito della teoria dei poteri impliciti.

    Secondo i Giudici, la legittimità (ammissibilità) dell’accertamento della sussistenza di una situazione di controllo societario in capo a Vivendi, e della deduzione di tale accertamento/qualificazione in un atto ad hoc, doveva ricavarsi «dall’intero impianto normativo e dalla stessa funzione generale che il legislatore ha inteso assegnare alla Consob» (punto 4.2 della sentenza in commento). Si sarebbe trattato di un potere definito di «regolazione dichiarativa», il cui esercizio sarebbe stato funzionale a fornire “certezza giuridica” alle stesse Società ricorrenti ed in generale agli operatori economici del settore (nonché ai consumatori), nell’ottica di «assicurare il corretto funzionamento del mercato finanziario e l’interesse generale degli investitori e dei risparmiatori» (punto 4.1).

    Così definite le coordinate ermeneutiche, una interpretazione particolarmente - forse eccessivamente - aderente al tenore letterale della motivazione (si richiamano gli elementi testuali appena citati) indurrebbe a ritenere che il Consiglio di Stato abbia inteso riferirsi a quell’impostazione “forte” o “radicale” della teoria dei poteri impliciti che postula come necessario (ma al contempo sufficiente) un nesso di strumentalità tra il potere non codificato e l’obiettivo o la finalità assegnati alla singola Autorità amministrativa che viene in rilievo (la Consob, nel nostro caso). 

    Il potere «di regolazione con funzione di accertamento» esercitato dalla Consob sarebbe stato, nel caso di specie, direttamente preordinato a conseguire due delle diverse finalità assegnate all’Authority - la garanzia del corretto funzionamento del mercato finanziario e l’interesse generale degli investitori e dei risparmiatori - mediante produzione di effetti di «certezza» nei confronti degli operatori del mercato[41]: un potere, dunque, volto a fornire in via autonoma e diretta tutela a beni giuridici e interessi, e non a garantire l’efficacia e l’effettività di altri poteri della medesima Consob (dunque apparentemente non strumentale all’esercizio di questi ultimi).

    Se questa fosse l’interpretazione corretta da attribuire al passaggio della motivazione in oggetto (ma, si ritiene, è possibile avanzarne anche una diversa, come si illustrerà nell’immediato prosieguo) la sentenza si esporrebbe a critiche, dal momento che l’apparato argomentativo della stessa risulterebbe riconducibile a quella declinazione ampia della teoria dei poteri impliciti che, come si diceva, non pare ammissibile nel nostro ordinamento, in quanto troppo sacrificante per il principio di legalità (che verrebbe in larga misura pretermesso) anche perché suscettibile - in astratto - di legittimare un proliferare di poteri atipici e innominati.

    Da tale interpretazione, in sostanza, discenderebbe il riconoscimento, in capo alla Consob, del potere di adottare un atto volto (in via se non esclusiva quantomeno principale) a fornire certezze agli operatori del settore - mediante accertamento e attribuzione (all’accertamento conseguente) di una specifica qualifica - potere che sarebbe di per sé, ed autonomamente, funzionale a perseguire gli interessi e gli obiettivi alla stessa Consob affidati dalle disposizioni normative di riferimento; il nesso di strumentalità legherebbe dunque direttamente il potere esercitato e i predetti obiettivi, e configurerebbe pertanto adesione a quella che in precedenza abbiamo definito declinazione “radicale” della teoria dei poteri impliciti, che appare difficilmente compatibile con il nostro assetto ordinamentale. 

    Della suscettibilità di una simile impostazione a esporsi a critiche pare del resto consapevole lo stesso Consiglio di Stato.

    Il Collegio riconosce infatti che un potere consimile non si rinviene codificato espressamente in norme di diritto positivo, dovendosi piuttosto ricavare, come si è detto, «dall’intero impianto normativo e dalla stessa funzione generale che il legislatore ha inteso assegnare alla Consob»; trattasi di «base legale» espressamente definita «debole»[42], dai Giudici, ma ritenuta comunque bastevole a fondare la legittimità del potere esercitato, anche - e soprattutto - in considerazione del fatto che la mera «valenza di regolazione dichiarativa», al potere stesso riconosciuta[43], doveva ritenersi suscettibile di fondare «un giudizio di minore rigore rispetto alla necessità che sussist[esse] una adeguata base legale sostanziale», con tuttavia la parallela esigenza di un rafforzamento delle garanzie di partecipazione procedimentale.

    A quella appena esposta, che è stata commentata in senso critico, è però forse possibile affiancare una seconda lettura interpretativa, che pur apparendo meno aderente al dato strettamente letterale della pronuncia risulta comunque sostenibile alla luce della motivazione complessiva offerta dal Consiglio di Stato, e rispetto alla prima maggiormente condivisibile. 

    L’elemento centrale dell’interpretazione “alternativa” che si è qui ad offrire si ritiene debba rinvenirsi nel fatto che, con l’affermare che il potere esercitato fosse strumentale ad «assicurare il corretto funzionamento del mercato finanziario e l’interesse generale degli investitori e dei risparmiatori», il Consiglio di Stato intendesse non già sostenere la strumentalità del potere esercitato rispetto alle sole finalità della Consob (e non dunque ad un potere), bensì riferire detta strumentalità all’insieme delle prerogative di cui quest’ultima è titolare - rispetto alla materia delle “operazioni con parti correlate” - e, in particolare, alla funzione di vigilanza di cui si è in precedenza detto. 

    La pronuncia dovrebbe in questo senso leggersi come volta ad affermare che l’accertamento della sussistenza di una situazione di «controllo societario» costituisca fattore di riconducibilità di un soggetto o di un’attività al perimetro di operatività delle prerogative della Consob (siano esse regolatorie, di vigilanza o di altro tipo), e dunque elemento necessariamente strumentale all’esercizio di queste.

    L’interpretazione ora esposta sembra idonea a superare le criticità che si sono in precedenza evidenziate: in base ad essa, l’accertamento circa la posizione di “controllante” di una società (rispetto ad un’altra) configurerebbe il presupposto per la riconducibilità di tale società al perimetro di applicazione di una disciplina speciale e specifica rispetto alla quale la Consob è titolare di talune attribuzioni, risultando dunque attività strumentale all’esercizio delle attribuzioni stesse, non già estrinsecazione di altra “autonoma” prerogativa (volta a fornire “certezze pubbliche” agli operatori del settore) che il legislatore - nell’individuare gli obiettivi e i poteri da conferire all’Autorità al fine di conseguire i medesimi - non ha ritenuto di prevedere.

    Se lette secondo l’interpretazione appena fornita, le argomentazioni del Consiglio di Stato appaiono sostenibili, nella misura in cui un nesso di strumentalità dell’effettuato accertamento rispetto ad altri poteri (di vigilanza, di controllo, sanzionatori), benché inteso in senso ampio, comunque si rinviene, e dunque non risulta necessario accedere a quella declinazione “radicale” della teoria dei poteri impliciti che, per le ragioni che si sono precedentemente esposte, non pare accettabile.  

    In realtà, a ben vedere, potrebbe persino discutersi se nel caso di specie risultasse indispensabile “scomodare” la teoria dei poteri impliciti, dal momento che l’attività di verifica della sussistenza di un elemento di riconducibilità di un soggetto o di un’attività all’ambito di operatività della Consob - e in specie al quadro regolatorio di settore - non pare neppure necessitare della qualificazione di potere “a sé stante”, configurando piuttosto elemento necessario del generale agere dell’Autorità, non logicamente scindibile e separabile dalle prerogative (esplicite) della stessa, come peraltro sembra aver ritenuto, all’esito del giudizio di primo grado, il T.a.r. (che al punto 8.3 della sentenza ha qualificato l’accertamento della natura di «socio controllante» di Vivendi in termini di «segmento logico necessario dell’indagine svolta nel perimetro delle attribuzioni [della Consob] derivanti dalla disciplina delle operazioni con le parti correlate, ai sensi del combinato disposto tra l’art. 2391-bis c.c. e l’art. 114, comma 5, del TUF, per l’applicazione del quale l’esistenza di una situazione di controllo di fatto in senso civilistico è un presupposto soggettivo senz’altro rilevante»).

    Due letture - che pur seguendo percorsi argomentativi parzialmente diversi giungono a conclusioni sostanzialmente sovrapponibili - risultano dunque possibili: l’accertamento in capo a un soggetto della qualifica di socio controllante è attività che risulta prodromica all’esercizio dei poteri della Consob in materia di «operazioni con parti correlate» (e dunque se di potere implicito deve parlarsi è possibile rinvenire un nesso di strumentalità rispetto non già ai soli fini e obiettivi attribuiti alla Consob medesima, ma anche agli stessi poteri di cui questa è titolare, ed in specie a quelli di vigilanza); è però altresì sostenibile che non sia necessario neppure parlare di «poteri impliciti» costituendo, il più volte citato «accertamento», un «passaggio logico» necessario e prodromico all’esercizio, da parte della Consob, delle proprie prerogative, non inquadrabile in via separata da queste.

    Il fatto, poi, che l’attività di accertamento sia stata dalla Consob esercitata in modo “formalmente” autonomo, vale a dire al di fuori di un procedimento concernente esercizio di altre funzioni della Consob medesima, non determina di per sé il sorgere di profili di criticità: come detto, a mezzo di tale attività, e dell’atto che ne costituisce estrinsecazione, la Consob viene sostanzialmente a rappresentare ad un soggetto la circostanza secondo cui sussistono i presupposti per l’applicazione di una disciplina specifica (nel caso di specie, quella concernente le operazioni tra parte correlate) e per l’esercizio dei poteri dalla stessa prevista: il fatto che ciò avvenga a mezzo di atto autonomo non si riverbera sul profilo della strumentalità e non produce di per sé alcuna lesione alle prerogative e in generale alla sfera giuridica del citato soggetto, offrendo anzi a quest’ultimo un’ulteriore occasione di partecipazione procedimentale (ovvero di accesso alla tutela giurisdizionale) e determinando il sorgere di un autovincolo per l’Autorità la quale, ove dovesse, nell’esercizio di uno dei propri poteri “espliciti”, orientarsi diversamente circa la qualificabilità di una situazione in termini di controllo, dovrebbe congruamente motivare in tal senso (o, addirittura, ragionare in termini di revoca o comunque di autotutela).

    Ciò posto, e in conclusione di ragionamento, affinché la ricostruzione di cui sopra risulti effettivamente sostenibile deve ulteriormente precisarsi che l’accertamento effettuato (e la qualifica attribuita) non dovrà essere suscettibile di produrre effetti «esterni»; riferiti vale a dire, ad ambiti e settori diversi da quelli concernenti i poteri e le attribuzioni Consob, rispetto ai quali (siano essi già in esercizio o suscettibili di esserlo in futuro) l’accertamento - come detto - deve risultare strumentale; ché, diversamente, saremmo in presenza di un potere (questo sì) autonomo, producente effetti lato sensu certificatori (nel senso indicato in precedenza) e non strumentale rispetto ad altri, che, come si diceva, non sembra potersi ritenere ammissibile, in quanto non attribuito alla Consob dal legislatore ed esorbitante dalla strumentalità rispetto all’esercizio di altri poteri. In altre parole, se il riconoscimento dal parte della Consob della qualifica, in capo ad un soggetto, di «socio controllante» di una società ovvero di «parte correlata» dovrà ritenersi cristallizzato - fino all’eventuale sopravvenire di altri atti amministrativi o di pronunce giurisprudenziali - in riferimento al settore regolato e alla disciplina speciale concernente le operazioni con parti correlate (in relazione alle prerogative della Consob medesima), rispetto ad altri ambiti in cui l’istituto del controllo societario dovesse venire in rilievo (si pensi, tra le varie, alle disposizioni del T.U.S.P.[44]) tale accertamento potrà al più configurare un fattore “indiziario”, non già un elemento cristallizzato che deve essere necessariamente considerato sussistente (o meno, a seconda delle determinazioni della Consob).

    In conclusione, deve condividersi l’affermazione, effettuata dal Consiglio di Stato, relativa alla legittima sussistenza, in capo alla Consob, di un potere (che abbiamo qualificato “di accertamento”) come quello esercitato nel caso Vivendi - Telecom con la «comunicazione» in commento; allo stesso modo, il percorso argomentativo seguito dal Collegio appare condivisibile solo se allo stesso si attribuisce un’interpretazione che rigetta un’impostazione che aderisce ad una declinazione della teoria dei poteri impliciti che postula come necessaria la sola strumentalità tra detti poteri e gli obiettivi che la singola Autorità (la Consob, nel nostro caso) è chiamata a conseguire.

    A tale conclusione può giungersi qualificando l’accertamento quale attività funzionale a verificare l’estensione ad una specifica situazione dell’ambito di applicazione di talune prerogative dell’Authority, ovvero individuando comunque per lo stesso un nesso di strumentalità forte con altri poteri (espliciti) della medesima.  

    7. La violazione delle garanzie partecipative di Vivendi e Telecom

    Da ultimo, preme analizzare la statuizione del Consiglio di Stato concernente il secondo motivo di ricorso (e dunque il secondo capo di sentenza oggetto di appello), relativo alla asserita violazione delle garanzie procedimentali di Vivendi(e Telecom) e l’applicabilità al caso di specie del disposto del secondo periodo del secondo comma dell’art. 21-octiesdella legge n. 241/1990 (introdotto dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15), il quale dispone che il provvedimento amministrativo non sia comunque annullabile «per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato»[45]

    La censura proposta dalle due società, tanto in primo quanto in secondo grado, concerneva il fatto che, pur essendosi verificate diverse interlocuzioni tra le società stesse e la Consob, quest’ultima non avesse provveduto ad inviare formale comunicazione di avvio del procedimento, né bandito una consultazione pubblica (dal Consiglio di Stato ritenuta necessaria in ragione della idoneità dell’accertamento a «fornire indirizzi generali agli operatori economici del mercato finanziario»).

    Le predette interlocuzioni non sono state ritenute idonee, dal Collegio, a “sanare” la mancata comunicazione di avvio del procedimento (contrariamente a quanto rilevato dai Giudici di prime cure[46]); ma non è questo il passaggio motivazionale che maggiormente attira l’attenzione e che merita un commento[47].

    L’elemento su cui occorre effettuare un breve focus è piuttosto l’affermazione concernente la non applicabilità, al caso di specie, del disposto del secondo periodo del secondo comma dell’art. 21-octies della legge n. 241/1990.

    Scrive, in merito, il Consiglio di Stato: «si tratta di una norma che ha previsto in generale una “dequotazione della legalità procedimentale” ma, come esposto, in questo caso si deve realizzare un rafforzamento di tale legalità per compensare la “dequotazione della legalità sostanziale”[48]. L’attribuzione, nella fattispecie in esame, di un fondamento costituzionale al diritto di partecipazione impone di interpretare l’art. 21-octies nel senso che esso non possa trovare applicazione».

    Ed ancora: «anche a volere prescindere dall’effettivo perimetro applicativo di tale norma, in ogni caso, è la stessa natura del potere esercitato che impedisce di svolgere un giudizio prognostico favorevole alla pubblica amministrazione in ordine alla irrilevanza di una eventuale partecipazione. Vengono, infatti, in rilievo ampi profili decisori di contenuto giuridico che implicano valutazioni le quali rinvengono proprio nel procedimento la loro sede naturale».

    In sostanza, a giudizio del Consiglio di Stato la debole “base normativa” fondativa del potere e il carattere implicito e innominato di quest’ultimo avrebbero imposto un rafforzamento delle garanzie procedimentali che non avrebbe consentito il ricorso ad un istituto (quale quello della “sanatoria” prevista dal citato secondo periodo del secondo comma dell’art. 21-octies) il quale, pur espressamente previsto dal legislatore e valevole in via generale, non potrebbe trovare applicazione in una fattispecie consimile, a prescindere dall’effettiva capacità dell’Amministrazione di dimostrare in concreto che il contenuto del provvedimento non «avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato». 

    Tali affermazioni del Consiglio di Stato, a giudizio dello scrivente, non paiono condivisibili.

    Le esigenze di rafforzamento della legalità procedimentale, funzionali a compensare il vulnus alla legalità sostanziale, sono certo reali e concrete (rispetto ad esse richiamiamo quanto detto in precedenza sul tema della compensazione della dequotazione della legalità sostanziale a mezzo di implementazione della legalità “procedimentale” dell’attività delle Autborities, specie ove vengano in rilievo poteri impliciti delle stesse) e molto correttamente il Consiglio di Stato le ha poste in evidenza; che ciò possa tuttavia spingere a ritenere non applicabile in sede processuale una disciplina normativa sulla base di un’interpretazione “costituzionalmente orientata” della disciplina normativa medesima appare invece dubbio, specie in considerazione del fatto che, all’istituto in parola, il legislatore ha volutamente conferito un ambito di applicabilità particolarmente ampio, più esteso perfino di quello previsto per i vizi procedimentali diversi dal mancato invio della comunicazione di avvio del procedimento, per i quali, come si è detto, l’applicabilità della “sanatoria” processuale è circoscritta ai provvedimenti aventi natura “vincolata” (riferimento che invece non si rinviene rispetto alla mancata comunicazione di avvio del procedimento).

    Ciò vale in via generale e anche con specifico riferimento al caso di specie, nel quale è venuto in rilievo un potere della Consob che - pur volto a verificare la sussistenza di elementi dotati di un certo grado di oggettività - pare connotato da un certo grado di discrezionalità (non già amministrativa bensì tecnica) o comunque espressione di un’attività che non pare riconducibile ad un semplice accertamento tecnico, inteso quantomeno nel suo significato più puro[49]; il tutto rafforzato poi dal fatto che, come rilevato in primo grado, tanto Vivendi quanto Telecom erano state messe in condizioni di interloquire ampiamente con l’Autorità.  

    Piuttosto, laddove il Consiglio di Stato avesse dubitato circa l’applicabilità alla fattispecie del secondo periodo del secondo comma dell’art 21-octies della legge n. 241/1990, e in generale della legittimità (costituzionale) dello stesso, quest’ultimo avrebbe dovuto far ricorso allo strumento dell’incidente di costituzionalità, sollevando la questione dinanzi alla Consulta. 

    Parimenti, le esigenze di rafforzamento della legalità procedimentale - correttamente evidenziate dal Consiglio di Stato - ben potevano essere garantite richiedendo alla Consob uno sforzo motivazionale particolarmente rigoroso (anche a cagione dei margini di discrezionalità di cui la stessa disponeva) sulla sussistenza dei presupposti di applicabilità del secondo periodo del secondo comma dell’art. 21-octies della legge n. 241/1990, e dunque sulle ragioni per le quali l’eventuale comunicazione di avvio e la conseguente partecipazione procedimentale delle società non avrebbero influito sul contenuto dell’atto concretamente adottato.

     8. Note conclusive

    In conclusione, e riprendendo le considerazioni fin qui effettuate, deve ribadirsi che la sentenza si segnala positivamente per aver riacceso l’attenzione sul tema dei poteri impliciti e, in riferimento alle doglianze espresse da Vivendi e Telecom con il primo motivo di ricorso, per le conclusioni a cui è giunta circa la legittimità della comunicazione Consob oggetto di impugnazione.

    Quanto poi al giudizio concernente il concreto iter argomentativo seguito, a chi scrive pare che il medesimo possa essere positivo purché risulti possibile fornire alla pronuncia in commento una determinata interpretazione. 

    Ed infatti, l’affermazione circa la legittimità di un potere come quello ipotizzato dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato - non tipizzato da norme (dunque implicito) e ritenuto ammissibile sulla base del complesso delle disposizioni concernenti la Consob ed in quanto strumentale al raggiungimento di uno degli obiettivi alla stessa affidato (la “generalissima” garanzia del buon funzionamento del mercato) - appare discutibile. 

    Chi scrive ritiene infatti certamente accettabile un approccio elastico (rectius: teleologico) al principio di legalità, che dia dello stesso una lettura che escluda rigidi formalismi e quindi la necessità che ogni singolo potere o atto della Pubblica amministrazione sia previsto e dettagliatamente disciplinato dalla legge (quanto a presupposti applicativi e modalità di esercizio). Sul piano pratico, peraltro, un’adesione ad una lettura rigida o “formalistica” del principio di legalità si tradurrebbe (anche in questo caso come già segnalato) nell’abbandono di un modello di presenza del potere pubblico nel mercato imperniato sul conferimento di deleghe regolatorie ad Autorità indipendenti, il che allo stato non pare risultato auspicabile né obiettivo inserito nelle agende politiche dei principali ordinamenti europei. 

    Allo stesso modo, una declinazione del principio di legalità in senso “eccessivamente teleologico” e deformalizzato rischierebbe di tradursi in un totale svuotamento dello stesso, il che, per le descritte ragioni, non pare risultato accettabile.

    Sostenere che un’Autorità indipendente (ed in particolare di regolazione) possa esercitare poteri che la legge non le ha espressamente conferito purché (leggasi: alla sola condizione che) i medesimi risultino strumentali (e indispensabili) al conseguimento degli obiettivi assegnati all’Autorità stessa significa, come è intuibile, circoscrivere l’operatività del principio di legalità alla mera definizione degli obiettivi (cosa che, peraltro, avviene sovente in termini ampi e generici), il che non pare reggere rispetto ad un vaglio di compatibilità con le disposizioni e i principi della Carta. 

    La strumentalità, quale condizione di ammissibilità e legittimità di un potere implicito, deve sempre rinvenirsi, e in riferimento non già ai soli obiettivi assegnati ad un’Autorità, bensì anche - e soprattutto - a poteri di cui quest’ultima è titolare.

    Ciò detto, a ben vedere è forse possibile, come si diceva, interpretare la pronuncia in esame (forse un po’ forzandone il dato letterale) come volta a legare l’affermazione della legittimità del potere esercitato alla riconosciuta strumentalità dello stesso rispetto all’effettivo ed efficace esercizio, da parte della Consob, dei poteri alla stessa esplicitamente attribuiti per il conseguimento del fine del corretto funzionamento del mercato (e della tutela dei consumatori), ed in specie a quelli di vigilanza.

    Una lettura consimile appare maggiormente compatibile con il nostro quadro ordinamentale, proprio perché valorizza l’elemento della strumentalità fra poteri impliciti e poteri espliciti nel senso che appare accettato da dottrina e giurisprudenza; non può tuttavia non sottolinearsi nuovamente come ad un giudizio positivo (circa la legittimità del potere esercitato dalla Consob) si sarebbe potuti giungere anche a prescindere da un ricorso all’apparato argomentativo offerto dalla teoria dei poteri impliciti: il riconoscimento in capo ad un soggetto della qualifica di socio controllante (di altra società) pare configurare un elemento prodromico e un passaggio necessario all’esercizio, da parte della Consob,delle funzioni in materia di «operazioni con parti correlate», e dunque semplice “condizione” del loro esercizio (la sussistenza della quale deve essere verificata), non configurante un potere a sé stante, implicito e innominato. 

    Né particolari ostacoli giuridici si rinvengono rispetto al fatto che tale potere venga esercitato “in via autonoma” (vale a dire nell’ambito di un procedimento a ciò specificamente dedicato).

    Piuttosto, appare da rigettare l’ipotesi di configurare in capo alla Consob medesima un potere lato sensu certificatorio, volto - in via esclusiva o principale - a produrre certezze giuridiche per gli operatori del settore. Non è certo da escludersi che tale effetto possa prodursi, ma ciò deve avvenire incidentalmente - quale effetto secondario - e non già quale scopo ultimo del potere esercitato, posto che, diversamente, verrebbe meno il necessario “nesso di strumentalità” di cui più volte si è detto. 

    Inoltre, agli effetti di detto potere non deve potersi riconoscere “rilevanza esterna” rispetto al settore regolato e, in generale, alle attribuzioni della Consob; in buona sostanza, il riconoscimento in capo ad un soggetto della qualifica di socio controllante e/o parte correlata, effettuato dall’Autorità, non potrà essere fatto valere al di fuori del settore regolato o comunque della disciplina specifica.

    Ed infatti, un potere consimile avente rilevanza “esterna” (i cui effetti, vale a dire, possano in ipotesi esercitarsi anche in ambiti e settori diversi da quelli cui si riferiscono le attribuzioni della Consob) dovrebbe, per poter essere considerato legittimo, risultare espressamente attribuito da una norma, a giudizio di chi scrive.

    Un giudizio di non condivisione delle statuizioni del Consiglio di Stato si ritiene debba invece essere espresso in riferimento al secondo vizio dedotto dalle parti ricorrenti (ed esaminato dal Collegio): quello concernente la mancata comunicazione alle società dell’avvio del procedimento. Le argomentazioni circa la ritenuta non applicabilità del secondo periodo del secondo comma dell’art. 21-octies della legge n. 241/1990 non appaiono convincenti, per le ragioni già esposte in precedenza alle quali, per brevità, si rinvia.

    Queste le prime riflessioni “a caldo” che la pronuncia in esame ha suscitato in chi scrive: non saranno certamente le ultime, dato che - giova ribadirlo - la pronuncia medesima ha il grande pregio di aver riacceso l’attenzione sul tema dei poteri impliciti, giungendo a conclusioni sulle quali, si ritiene, la dottrina non perderà l’occasione di confrontarsi.

      [1] La letteratura in materia di Autorità amministrative indipendenti ha ormai assunto dimensioni tali che non consentono di indicare una bibliografia (seppure minima) senza correre il rischio di escludere contributi anche rilevanti. Per tale ragione, nel prosieguo ci si limiterà a indicare opere e articoli che si riferiscono a temi specifici concernenti le Authorities, principiando dai poteri impliciti, rispetto ai quali, ai fini di un inquadramento generale, si rimanda a P. Pantalone, Autorità indipendenti e matrici di legalità, Napoli, 2018; G. Morbidelli, Ricordando Nicola Bassi nella sua ricerca della legalità in difficile coabitazione con i poteri impliciti, in Riv. reg. merc., 2017, f. 2, 263 ss.; P. Pantalone, Poteri impliciti delle authorities e torsioni del principio di legalità, in Giustamm.it, luglio 2012; G. Morbidelli, Il principio di legalità e i c.d. poteri impliciti, in Dir. amm., 2007, 4, 703 ss.; N. Bassi, Principio di legalità e poteri amministrativi impliciti, Milano, 2001.

    [2] Comunicazione n. 106341 del 13 settembre 2017, pubblicata sul Bollettino Consob, Settembre 2017, prima quindicina.

    [3] Come si legge nella citata comunicazione (al par. 1), nel gennaio 2017 il Collegio Sindacale di Telecom S.p.a., nell’ottica di dirimere un contrasto con la Società circa la qualificabilità di Vivendi quale socio controllante (della stessa Telecom), aveva interpellato la Consob, chiedendo alla medesima di esprimersi sul punto. Ne era seguita una interlocuzione che aveva coinvolto a più riprese il Collegio e la stessa Telecom (oltre a Vivendi). 

    [4] Sul punto, nella citata comunicazione Consob (Bollettino, cit., 44) si legge quanto segue: «la lista di Vivendi è arrivata prima con il voto favorevole del 29% del capitale votante presente in assemblea, mentre per la lista dei fondi ha votato il 28,78% del capitale presente»; sottolineava inoltre la Commissione che «non vi erano liste che avrebbero potuto contendere alla lista di Vivendi la nomina della maggioranza di amministratori», considerato che l’unica lista alternativa «aveva un numero di candidati inferiore alla metà dei componenti da eleggere, essendo una lista preordinata alla nomina di amministratori di minoranza». 

    [5] La Consob dava conto di quello che la stessa qualificava “evento rilevante” verificatosi successivamente all’assemblea dei soci del 4 maggio 2017. Il 27 luglio del medesimo anno, il dott. De Puyfontaine - presidente TIM e amministratore delegato di Vivendi - aveva dichiarato che quest’ultima società esercitava su Telecom attività di «direzione e coordinamento». In due pareri trasmessi da Telecom alla Presidenza del Consiglio dei ministri nell’agosto del medesimo anno (nell’ambito di un procedimento avviato dalla medesima Presidenza per l’accertamento della sussistenza degli obblighi di notifica previsti dalla disciplina in materia di c.d. “golden power”) la Società confermava l’avvenuta opzione di Vivendi per la «direzione e il coordinamento» riguardo alle modalità di gestione di Telecom. A giudizio di Consob, lo svolgimento di attività di direzione e coordinamento di un’impresa (società) richiede, in assenza di disposizioni statutarie utili allo scopo ovvero di appositi accordi contrattuali, la sussistenza di una situazione di controllo. Conseguentemente, la dichiarata sussistenza di tale “situazione” veniva a configurare un ulteriore elemento che deponeva nel senso della sussistenza di una fattispecie di controllo del socio Vivendi in Telecom.

    [6] La disciplina civilistica del controllo societario è posta dall’art. 2359 c.c., il quale prevede due macro-tipologie di controllo, definite rispettivamente controllo interno e controllo esterno. Nell’ambito del controllo interno, relativo ai voti esercitabili da una società nell’assemblea ordinaria di un’altra, si distingue tra controllo «di diritto» (situazione che si configura ove una società disponga della maggioranza dei voti esercitabili, ai sensi del comma 1, n.1 del citato art. 2359 c.c.) e controllo «di fatto», che si realizza laddove una società possieda un numero di voti i quali, pur non costituendo la maggioranza di quelli esercitabili nell’assemblea ordinaria di altra società, consentano alla prima di esercitare un’«influenza dominante» sulla seconda (art. 2359, comma 1, n. 2). Infine, il controllo esterno (disciplinato dall’art. 2359, comma 1, n. 3) si configura rispetto a società «che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa». La nozione civilistica di controllo societario è richiamata da diverse discipline speciali: basti qui richiamare il Testo Unico delle Società a partecipazione Pubblica (T.U.S.P., di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, spec. art. 2, comma 1, lett. b), il Codice dei contratti pubblici (di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50) nonché, per quanto di specifico interesse, il Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (T.U.F., di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58) e la disciplina regolatoria Consob concerne le operazioni «tra parti correlate», di cui si darà conto nel prosieguo. 

    [7] Espressione utilizzata forse in modo atecnico, ma alla quale possiamo qui riferirci nella sua declinazione di attività di verifica, da parte di una Pubblica amministrazione, della sussistenza di una serie di fatti dai quali discendano «determinate conseguenze giuridiche» (come riportato da B. Tonoletti, L’accertamento amministrativo, 2001, part. 209 ss.). Considerata la complessità del tema, ciò che in questa sede preme mettere in luce è quello che potremmo definire il carattere «dichiarativo» - dunque non costitutivo - dell’accertamento effettuato dalla Consob: chi scrive è infatti convinto che la situazione di «controllo societario», o la fattispecie di «parte correlata», siano elementi che vengono dall’Amministrazione riscontrati, e non da questa costituiti; ciò, beninteso, non significa che si tratti di accertamento “puro e semplice”, consistente nella sola verifica della sussistenza di determinati elementi e presupposti scevra da qualsiasi profilo valutativo: la tipologia di potere esercitato dalla Consob, nel caso oggetto delle presenti riflessioni, richiede, infatti (quantomeno in riferimento alla fattispecie del controllo societario «di fatto» e al concetto di «influenza dominante») una valutazione da parte della stessa rispetto alla quale paiono rinvenirsi margini di discrezionalità (benché tecnica). Ma su questo punto si tornerà nel prosieguo.

    [8] Il panorama dottrinale relativo al tema della compatibilità del modello delle Autorità amministrative indipendenti con alcuni dei più rilevanti principi costituzionali è variegato, con posizioni tra loro anche piuttosto diversificate (in senso positivo o negativo) ed aventi le più diverse sfumature; tali posizioni sono state efficacemente ricostruite da A. Police nell’opera Tutela della concorrenza e pubblici poteri, Torino, 2007, in part. 137 ss., alla quale si rinvia; sullo specifico tema del rapporto tra regolazione indipendente e “politica” si rimanda invece alla recente opera di E. Bruti Liberati, La regolazione indipendente dei mercati. Tecnica, politica e democrazia, Torino, 2019.  

    [9] Come osserva F. Levi, voce «Legittimità (dir. amm.)», in Enc. Dir., Milano, XXIV, 1974, 134, «l’ammissibilità di un’attribuzione implicita di un potere può costituire un problema in ogni ordinamento ispirato al principio di legalità».

    [10] «Sotto il profilo delle applicazioni concrete del principio di legalità in senso sostanziale si è affermato in giurisprudenza che non è ammissibile l’attribuzione di un potere a contenuto indeterminato in capo allo Stato, alle Regioni e ai Comuni», (così F. De Leonardis, Il principio di legalità, in A. Romano (a cura di), L’azione amministrativa, 2016, 14, ma le considerazioni valgono per le Amministrazioni pubbliche complessivamente considerate). Come del resto rileva F. Sorrentino, Lezioni sul principio di legalità, Torino, 2007, 3, la legalità per le pubbliche Autorità, «rappresenta il titolo ed il fondamento per l’esercizio dei loro poteri autoritativi», nonché «condizione ineliminabile del loro agire».

    [11] Trattasi di «figura sintomatica» dell’eccesso di potere, che si configura qualora «un’Autorità amministrativa abbia utilizzato i propri poteri per raggiungere fini diversi da quelli per i quali i poteri le sono stati conferiti» (così G. Greco, Argomenti di diritto amministrativo, Milano, 2013,161, che cita giurisprudenza comunitaria concernente lo sviamento di potere e, in particolare, Trib. I° grado, Sez. II, 4 febbraio 2009, in causa T-145/06, nonché Corte Giust. CE, Sez. II, 15 maggio 2008, in causa C-442/04, Regno di Spagna c. Consiglio, secondo la quale: «un atto è viziato da sviamento di potere solo se, in base ad indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta adottato allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato CE per far fronte alle circostanze del caso di specie»). Partendo dall’originaria figura dello sviamento, la giurisprudenza amministrativa ha nel tempo di molto ampliato l’elenco delle figure sintomatiche dell’eccesso di potere, che parte della dottrina (riprendendo la tesi di Benvenuti che definisce l’eccesso di potere quale “vizio della funzione”) considera «come autonomi e specifici vizi della funzione amministrativa» (sul punto cfr. R. Villata - M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, Torino, 2017, 489).

    [12] Come è noto, ai sensi dell’art. 21-septies della legge n. 241/1990 «è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge». Quella del difetto assoluto di attribuzione è l’ipotesi definita anche di «carenza di potere in astratto», che si configura laddove l'Amministrazione assuma «di esercitare un potere che in realtà nessuna norma le attribuisce» (così Consiglio di Stato Sez. IV, 17 novembre 2015, n. 5228 e - conformi ed ex multis - Cons. Stato, Sez. IV, 19 dicembre 2007, n. 2273; Id., Sez. V, 2 novembre 2011, n. 5843; Id., Sez. VI, 27 gennaio 2012, n. 372; Id., Sez. V, 30 agosto 2013, n. 4323; Id., Sez. VI, 31 ottobre 2013, n. 5266). Trattasi di ipotesi di non frequente verificazione, tanto da essere definita anche quale «caso di scuola» (Cons. Stato, Sez. VI, n. 5266 del 2013, cit.), ma che in effetti proprio rispetto al tema dei poteri impliciti può conoscere occasioni di applicazione. 

    [13] Quella di regolazione è nozione articolata e complessa, della quale si rinvengono plurime definizioni, e che risulta difficilmente riducibile ad un insieme unitario (come rilevato recentemente da P. Lazzara, La regolazione amministrativa: contenuto e regime, in Dir. amm., 2018, f. 2, 337 ss e in part. 350-353). Solo a titolo di sommario inquadramento dell’istituto, si rileva che la regolazione viene diversamente declinata in riferimento all’oggetto della stessa (si distingue in particolare tra una regolazione economica, una regolazione tecnica e una “sociale”) nonché alla sua “intrinseca natura”; sotto questo profilo, la letteratura riconosce due macro-tipologie di funzione regolatoria: quella condizionale (che prevede la messa a punto di regole volte ad orientare le iniziative e le condotte dei privati, senza conformarle direttamente) e quella finalistica (che prevede invece una diretta conformazione, mediante scrittura di regole o esercizio di poteri di direzione, delle condotte degli operatori economici al fine del conseguimento di un determinato fine). Per una bibliografia minima sulle declinazioni finalistica e condizionale della regolazione v., tra gli altri, P. Lazzara, La regolazione amministrativa: contenuto e regime, cit; N. Rangone, voce Regolazione in Diz. Dir. Pubb., Milano, 2006, 5057 ss.; L. Torchia, Gli interessi affidati alla cura delle autorità indipendenti, in Cassese S. – Franchini C. (a cura di), I garanti delle regole, Bologna, 1996, 55 ss.; S. Cassese, La trasformazione dei servizi pubblici in Italia, in Econ. pubb., 1995, f. 5, 5 ss.; G. Vesperini, La Consob e l'informazione del mercato mobiliare. Contributo allo studio della funzione regolativa, Padova, 1993, ancora L. Torchia, Il controllo pubblico della finanza privata, Padova, 1992 e S. Cassese, Stato e mercato dopo privatizzazioni e deregulation, in Riv. trim. dir. pubbl., 1991, f. 2, 378 ss.

    [14] Lo spazio e il focus del presente contributo non consentono allo scrivente di dilungarsi in considerazioni su temi quali la discrezionalità amministrativa, quella tecnica e il rapporto tra le stesse. Per brevità ci si limita a precisare che con il termine «discrezionalità amministrativa» vuole intendersi quell’attività che si estrinseca in una ponderazione tra diversi interessi (secondo la nota ricostruzione espressa da M.S. Giannini nella celeberrima opera Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, 1939, ora in M.S. Giannini, Scritti, vol. I, Milano, 2000); la Pubblica Amministrazione esercita invece quella che viene classicamente definita «discrezionalità tecnica» laddove si trovi a dover effettuare accertamenti e valutazioni alla stregua di criteri e regole che sono propri di determinate scienze o arti (o comunque specialistici). La nozione di «discrezionalità tecnica» - è opportuno darne conto - è oggi contestata da più parti, in dottrina, in ragione della non facile conciliabilità tra l’idea di un’attività discrezionale e i “vincoli” che gli assunti delle scienze e delle arti dovrebbero essere suscettibili di produrre in capo all’Amministrazione (sul punto si consideri che già nel 1967 Vittorio Bachelet affermava come la discrezionalità tecnica “non esistesse”, potendosi rinvenire solo «accertamenti, apprezzamenti, giudizi tecnici, che possono essere riferiti tanto ad atti discrezionali che ad atti vincolati». Cfr. V. Bachelet, L’attività tecnica della pubblica amministrazione, Milano, 1967, in part. 41).

    [15] Come osserva G. Morbidelli, Poteri impliciti (a proposito della monografia di Cristiano Celone “La funzione di vigilanza e regolazione dell’Autorità sui contratti pubblici”, Giuffrè ed., Milano, 2012), rinvenibile sul sito istituzionale dell’Anac, «la legislazione si limita ad attribuire competenze di carattere generale e ad enunciare solo alcuni obiettivi rimessi alla loro cura. Ciò accade per varie ragioni rappresentate dal carattere indeterminato dei valori da tutelare (pluralismo, completezza di informazione, efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità, risparmio, stabilità delle banche e delle compagnie di assicurazione ecc.), e, con riguardo specifico alle competenze di regolamentazione di settori tecnici, dal fatto che sono necessari interventi connotati da elasticità, alta competenza tecnica e specialistica».

    [16] Come osservato da Cons. Stato, Sez. VI, 20 marzo 2015, n. 1532, «la parziale deroga al principio di legalità in senso sostanziale (che si estrinseca, in particolare, attraverso la tipica forma di esercizio del potere regolamentare ai sensi dell'articolo 17, cit., secondo un sistema ispirato a una rigorosa tipicità) si giustifica, nel caso delle Autorità indipendenti, in ragione dell'esigenza di assicurare il perseguimento di fini che la stessa legge predetermina: il particolare tecnicismo del settore impone, infatti, di assegnare alle Autorità il compito di prevedere e adeguare costantemente il contenuto delle regole tecniche all'evoluzione del sistema».

    [17] Sull’idea della regolazione quale funzione che si sostanzia, principalmente, in attività di «scrittura di regole» (a mezzo di atti normativi o atti amministrativi generali) e sulla necessità di riconoscere al titolare della funzione ampi spazi di discrezionalità (con tutti i profili di problematicità che ciò determina) ai fini tanto della garanzia dell’indipendenza dello stesso quanto dell’effettività della regolazione, mi sia consentito un rinvio a G. Barozzi Reggiani, Il «dominio delle regole». La regolazione indipendente dei settori dell’energia elettrica e del gas naturale tra matrice europea e politica nazionale, Torino, 2020.

    [18] Cfr. sul punto M. Midiri, Principio di legalità sostanziale e potere regolatorio della Consob, in Giur. Comm., 2020, f. 3, 568/II.

    [19] Sul tema cfr., ex multis, T.A.R. Milano, (Lombardia), Sez. II, 6 settembre 2016, n. 1629, la quale ha affermato che «con riferimento ai poteri di regolazione [dell’Aeegsi, nel caso specifico] la dequotazione del principio di legalità sostanziale, giustificata dalla valorizzazione degli scopi pubblici da perseguire, impone il rafforzamento del principio di legalità procedimentale il quale si sostanzia, tra l'altro, nella previsione di più incisive forme di partecipazione degli interessati». Di “democrazia procedimentale” ha parlato S. Cassese, Negoziazione e trasparenza nei procedimenti davanti alle Autorità indipendenti, in Aa.Vv., Il procedimento davanti alle Autorità indipendenti, Torino, 1999. Il profilo in esame, nel momento in cui viene riferito alla regolazione, assume peraltro un particolare ed ulteriore significato: dato che a mezzo della funzione regolatoria vengono costruite regole concernenti il funzionamento di uno specifico settore, la partecipazione dei (futuri) destinatari delle medesime alla loro costruzione configura un importante strumento di democrazia partecipativa che, oltre a fornire un elemento di legittimazione della funzione, rafforza l’effettività della stessa, contribuendo a far sì che gli operatori del settore compartecipino alla creazione di un insieme di regole che sentiranno come le “loro regole” (o comunque come regole non calate dall’alto ma frutto di una elaborazione in qualche misura “condivisa”) in quanto membri di una “comunità di regolati” (per un richiamo a tale ultimo concetto v., tra gli altri, O. Pini, Garanzie procedimentali e regolazione partecipata come possibili canoni di democraticità: l’esempio dell’Aeegsi, in M. Midiri - S. Antoniazzi, Servizi pubblici locali e regolazione, Napoli, 2015, 209, la quale sottolinea appunto come la partecipazione ai procedimenti regolatori configuri uno strumento atto a costruire un “rapporto” con tale comunità).

    [20] Trattasi di modello, rinvenibile principalmente in riferimento ai procedimenti regolatori, riconducibile all’Administrative Procedure Act statunitense del 1946che prevede la redazione e la successiva pubblicazione, da parte dell’Autorità procedente, di una proposta di atto, rispetto alla quale gli interessati possono inviare osservazioni e commenti di cui l’Autorità deve tener conto ai fini dell’adozione dell’atto definitivo.  

    [21] Sul tema della “irresponsabilità politica” delle Autorità amministrative indipendenti v., tra gli altri, V. Caianiello, Le Autorità indipendenti tra potere politico e società civile, in Foro Amm., 1997, f. 1, 341 ss.

    [22] Cfr. sul punto G. Morbidelli, Il principio di legalità e i c.d. poteri impliciti, cit., 709.

    [23] Sul punto occorre osservare che il primo par. dell’art. 352 del TFUE – che rispetto ai previgenti artt. 235 e 308 del TCE elimina i riferimenti al «funzionamento del mercato comune» – stabilisce che «se un'azione dell'Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate. Allorché adotta le disposizioni in questione secondo una procedura legislativa speciale, il Consiglio delibera altresì all'unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo». Rispetto alla disposizione in esame si è parlato di «poteri impliciti» anche se chi scrive concorda con l’opinione, espressa in dottrina, secondo la quale si tratterebbe in realtà di poteri “espliciti”, attribuiti sulla base di «una procedura formale appositamente regolata per integrare i poteri delle istituzioni comunitarie, integrazione che deve rispettare i limiti e le condizioni stabiliti dalla norma» (cfr. G. Tesauro, Sovranità degli Stati e integrazione comunitaria, in Dir. Un. Eur., 2006, f. 2, 235). La vera applicazione dei principi della teoria dei poteri impliciti, in taluni casi anche nella sua versione “radicale”, si è avuta, in ambito europeo, grazie all’opera della Corte di Giustizia, in particolare a partire dalla nota pronuncia Aets (Corte giust., 31 marzo 1971, causa c. 22/70, Commissione c. Consiglio).

    [24] Cfr. N. Bassi, Principio di legalità e poteri amministrativi impliciti, cit., 102 - 103.

    [25] Il quale, come è noto, prevede che nessuna prestazione personale o patrimoniale possa essere imposta se non in base alla legge, così individuando una riserva (benché relativa) di legge che si riferisce particolarmente ai “pubblici poteri”.

    [26] Ed in specie gli articoli 24 e 113 Cost. i quali riconoscono a “tutti” (anche non cittadini) il diritto di agire in giudizio «per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi» anche nei confronti di «atti della pubblica amministrazione».

    [27] Sul tema v. M. Manetti, I regolamenti delle Autorità Indipendenti, in www.astridonline.it, 4 ss.

    [28] A mezzo del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 91, recante «disposizioni relative al mercato mobiliare ed al trattamento fiscale dei titoli azionari» (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 giugno 1974, n. 216). E’ stato osservato che la piena riconducibilità della Consob al novero delle Autorità amministrative indipendenti si è avuta a seguito dell’assetto che alla stessa è stato conferito dalla 4 giugno 1985, n. 281, che ha modificato la legge istitutiva (sul punto cfr. Aa.Vv., La Consob come Autorità Amministrativa Indipendente, in ConsobQuaderni di finanza, n. 42, Roma, ottobre 2000, 5).

    [29] Sulla differenza tra attività di vigilanza e attività di controllo cfr. R. Calzoni, L’Anac, la vigilanza sui contratti pubblici e le prospettive di riforma, in Nomos, 2019, f. 1, 1 ss.

    [30] Cfr. ad esempio la funzione di autorizzazione delle società di intermediazione mobiliare (sim) all'erogazione dei servizi e delle attività di investimento, che la Consob esercita (sentita la Banca d’Italia) sulla base di una procedura dalla stessa definita.

    [31] Si pensi alla funzione di approvazione dei prospetti di offerte al pubblico ai sensi dell’art. 94 del T.U.F.

    [32] Sui poteri para-giurisdizionali delle Autorità indipendenti si rimanda a E.L. Camilli - M. Clarich, I poteri quasi-giudiziali delle Autorità indipendenti, in astridonline.it, che contiene diversi riferimenti alle funzioni della Consob.  

    [33] Sulla natura giuridica dei Regolamenti Consob v., tra gli altri, P. Lazzara, La potestà regolamentare della Commissione nazionale per le società e la borsa in materia d’intermediazione finanziaria, in Foro Amm., 2000, f. 2, 703 ss.

    [34] Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 317 del 22 dicembre 2020.

    [35] In particolare, l’art. 2391-bis c.c. prevede che gli organi di amministrazione delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio adottino regole volte ad assicurare la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate (vengano esse realizzate direttamente ovvero per il tramite di società controllate e li rendono noti nella relazione sulla gestione), rendendole note nella relazione sulla gestione. La disposizione in oggetto individua (al comma 1) uno specifico ruolo per la Consob, prevedendo che essa debba dettare i “principi generali” sulla base dei quali devono essere adottate le regole volte ad assicurare la trasparenza e la correttezza delle operazioni. Il comma 3 dell’articolo in oggetto dispone poi che la Consob, «nel definire i principi indicati nel primo comma, individua, in conformità all'articolo 9 quater della direttiva 2007/36/CE, almeno: a) le soglie di rilevanza delle operazioni con parti correlate tenendo conto di indici quantitativi legati al controvalore dell'operazione o al suo impatto su uno o più parametri dimensionali della società. La Consob può individuare anche criteri di rilevanza che tengano conto della natura dell'operazione e della tipologia di parte correlata; b) regole procedurali e di trasparenza proporzionate rispetto alla rilevanza e alle caratteristiche delle operazioni, alle dimensioni della società ovvero alla tipologia di società che fa ricorso al mercato del capitale di rischio, nonché i casi di esenzione dall'applicazione, in tutto o in parte, delle predette regole; c) i casi in cui gli amministratori, fermo restando quanto previsto dall'articolo 2391, e gli azionisti coinvolti nell'operazione sono tenuti ad astenersi dalla votazione sulla stessa ovvero misure di salvaguardia a tutela dell'interesse della società che consentono ai predetti azionisti di prendere parte alla votazione sull'operazione». Il tema delle operazioni con «parti correlate» è poi riconducibile - quanto a disciplina speciale - a diverse disposizioni del T.U.F. (in particolare agli artt. 113-ter, 114, 115 e 154-ter) le quali assegnano diversi ruoli e funzioni alla Consob.

    [36] Ai fini che qui interessano, deve farsi riferimento al Regolamento (CE) n. 1126/2008 della Commissione del 3 novembre 2008 (più volte modificato, da ultimo con Regolamento (UE) 2020/1434 della Commissione del 9 ottobre 2020), che adotta «taluni principi contabili internazionali conformemente al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio». Il principio contabile internazionale n. 24 posto dal Regolamento in parola reca la definizione di «parte correlata»: in tal modo è definita una “parte”, rispetto a “un’entità”, se «a) direttamente, o indirettamente attraverso uno o più intermediari, la parte: i) controlla l’entità, ne è controllata, oppure è sotto comune controllo (ivi incluse le entità controllanti, le controllate e le altre società del gruppo); ii) detiene una partecipazione nell’entità tale da poter esercitare un’influenza notevole su quest’ultima; o L 320/146 IT Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 29.11.2008 iii) controlla congiuntamente l’entità; b) la parte è una società collegata (secondo la definizione dello IAS 28 Partecipazioni in società collegate) dell’entità; c) la parte è una joint venture in cui l’entità è una partecipante (cfr. IAS 31 Partecipazioni in joint venture); d) la parte è uno dei dirigenti con responsabilità strategiche dell’entità o della sua controllante; e) la parte è uno stretto familiare di uno dei soggetti di cui ai punti a) o d); f) la parte è un’entità controllata, controllata congiuntamente o soggetta ad influenza notevole da parte di uno dei soggetti di cui ai punti d) o e), ovvero tali soggetti detengono, direttamente o indirettamente, una quota significativa di diritti di voto; o g) la parte è un piano per benefici successivi alla fine del rapporto di lavoro a favore dei dipendenti dell’entità, o di una qualsiasi altra entità a essa correlata».

    [37] Il Regolamento Consob reca altresì una definizione delle operazioni con parti correlate, qualificate in «qualunque trasferimento di risorse, servizi o obbligazioni fra parti correlate, indipendentemente dal fatto che sia stato pattuito un corrispettivo».

    [38] Oltre all’obbligo generale previsto dall’art. 2391-bis c.c. di adottare regole volte ad assicurare la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate (secondo i principi definiti dalla Consob e dedotti nel citato Regolamento), la regolazione di settore prevede l’adozione di specifiche procedure nonché la redazione di un documento informativo per il pubblico. Peraltro, anche in ragione della disciplina regolatoria di settore, le informazioni concernenti le operazioni con parti correlate devono qualificarsi quali «informazioni regolamentate», ai sensi dell’art. 113-ter del T.U.F., che devono essere depositate presso la Consob secondo i termini e le modalità dalla stessa stabiliti, e possono (ove ne ricorrano i presupposti) configurare informazioni privilegiate ai sensi del Regolamento UE 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 e dell’art. 114 del T.U.F. L’art. 154-ter del medesimo T.U.F. prevede poi (al comma 4) che la relazione intermedia di gestione debba contenere «informazioni rilevanti con parti correlate».

    [39] L’art. 115 del T.U.F. prevede che la Consob, al fine di vigilare sulla correttezza delle informazioni fornite al pubblico, possa: «a) richiedere agli emittenti quotati, agli emittenti quotati aventi l'Italia come Stato membro d'origine,  ai soggetti che li controllano e alle società dagli stessi controllate, la comunicazione di notizie e documenti, fissandone   le relative modalità; b) assumere notizie, anche mediante la loro audizione, dai componenti degli organi  sociali,  dai  direttori generali, dai dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari e dagli altri dirigenti,  dai  revisori legali e dalle società di revisione legale, dalle società e dai soggetti indicati nella lettera a); c) eseguire ispezioni presso i soggetti indicati nelle lettere a) e b), al fine di controllare i documenti aziendali e di acquisirne copia; c-bis) esercitare gli  ulteriori  poteri previsti  dall'articolo 187-octies». Quest’ultima disposizione conferisce alla Consob il potere di compiere tutti gli atti necessari all’accertamento delle violazioni delle disposizioni del Regolamento (UE) n. 596/2014 e di quelle di cui al Titolo I-bis della Parte V del T.U.F., in materia di «abusi del mercato». Trattasi di poteri molto incisivi e penetranti, fra i quali (e solo per citare i più rilevanti) citiamo quello di richiedere dati e notizie, quello di richiedere «le registrazioni esistenti relative a conversazioni telefoniche, a comunicazioni elettroniche e allo scambio di dati, stabilendo il termine per la relativa trasmissione» (così la lett. b) del comma 3), quello di disporre audizioni e di «procedere al sequestro dei beni che possono formare oggetto di confisca ai sensi dell' articolo 187-sexies» (lettera d) nonché quello di procedere con ispezioni e perquisizioni. 

    [40] La Consob, ai sensi dell’art. 113-ter, comma 8, del T.U.F., può rendere pubblico il fatto che i soggetti tenuti alla comunicazione delle informazioni regolamentate non ottemperino agli obblighi sugli stessi incombenti. Essa, inoltre, ai sensi del comma 9 della medesima disposizione, può «sospendere o richiedere che il mercato regolamentato interessato sospenda la negoziazione dei valori mobiliari o quote di fondi chiusi per un massimo di dieci giorni per volta, se ha motivi ragionevoli di sospettare che le disposizioni relative alle informazioni regolamentate siano state violate dal soggetto obbligato, ai sensi del presente articolo, alla comunicazione delle informazioni regolamentate» e, nel caso in cui la violazione venga accertata, «proibire la negoziazione in un mercato regolamentato». Ai sensi del comma 7 dell’art. 154-ter del T.U.F., la Consob «nel caso in cui abbia accertato che i documenti che compongono le relazioni finanziarie di cui al presente articolo non sono conformi alle norme che ne disciplinano la redazione, può chiedere all'emittente di rendere pubblica tale circostanza e di provvedere alla pubblicazione delle informazioni supplementari necessarie a ripristinare una corretta informazione del mercato». Poteri specifici sono poi attribuiti alla Consob dalla disciplina concernente le informazioni privilegiate.

    [41] Secondo il Collegio (sempre al punto 4.1 della sentenza) si sarebbe trattato «di un potere di regolazione con funzione di accertamento degli specifici rapporti societari tra Telecom e Vivendi» volto ad eliminare «una incertezza giuridica che aveva dato anche luogo a conflitti di posizione tra gli stessi organi interni a Telecom» e «con funzione di accertamento della nozione di controllo societario rilevante anche per gli altri operatori economici del mercato finanziario». Se non di effetto «certificatorio», a chi scrive pare possa comunque parlarsi di attività volta a creare una situazione di «certezza pubblica», nel senso declinato da A. Benedetti, voce Certezza pubblica, in Enc. Giur. Treccani online (2014), la quale rileva che la «certezza pubblica» «introduce nella realtà giuridica delle asserzioni conoscitive, relative a determinati fatti o requisiti, che concorrono alla descrizione giuridica della realtà e si oppongono a rappresentazioni diverse».  

    [42] Si legge nella sentenza, al punto 4.2, quanto segue «[la base normativa rinvenuta] rimane debole, in quanto, nella specie, non risultano espressi né il corollario della nominatività né quello della tipicità».

    [43] Nello scrivente qualche perplessità suscita anche l’aggettivazione, da parte dei Giudici, del potere esercitato dalla Consob come “regolatorio”. Ed infatti, se condividiamo l’assunto secondo il quale il potere regolatorio (pur nelle sue innumerevoli possibili declinazioni) trova nella scrittura di regole, mediante atti normativi o amministrativi generali, il proprio nucleo centrale, incontriamo qualche difficoltà a qualificare in tali termini l’accertamento (e conseguente qualificazione) effettuato dalla Consob nel caso di specie. Anche qualora volesse accedersi alla interpretazione secondo la quale l’Autorità avrebbe esercitato un potere volto principalmente a “fornire certezze” agli operatori del settore, tali “certezze” ben difficilmente potrebbero essere qualificati alla stregua di regole “di fonte regolatoria”. 

    [44] Il quale, nel dettare una definizione di «controllo» valevole per la disciplina specifica dallo stesso posta, richiama «la situazione descritta nell'articolo 2359 del codice civile». 

    [45] Il primo periodo del medesimo secondo comma prevede poi un’altra ipotesi di “non annullabilità” del provvedimento «adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello  in  concreto adottato».

    [46] Cfr. i punti 9.3 e 9.4 della sentenza di primo grado: «il procedimento seguito dalla Consob per l’adozione della Comunicazione in questione risulta scandito da una serie di interlocuzioni sia con l’emittente TIM – a far data dal 14 febbraio 2017 – sia, a seguito del comunicato stampa del 27 luglio 2017, con il socio Vivendi – tramite il coinvolgimento dell’Autorità francese AMF – in forza di richieste di informazioni ex art. 115, comma 2, del TUF, mediante le quali entrambi i soggetti destinatari dell’atto hanno potuto sottoporre alla Consob le argomentazioni a sostegno delle rispettive posizioni, anche producendo pareri legali pro veritate proprio sulla specifica questione del controllo ai sensi degli artt. 93 TUF e 2359 c.c.» (punto 9.3) «sicché, posto che la partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo, a garanzia della quale è previsto l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento, non ha valenza meramente formale, ma persegue l’obiettivo sostanziale di una migliore ponderazione da parte dell’autorità procedente di tutti gli elementi che vengono in rilievo nella fattispecie, quando, come nel caso di specie, questa finalità sia stata comunque raggiunta, l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento non determina alcuna causa di annullamento dell’atto. Né, del resto, le ricorrenti hanno dimostrato in che modo sarebbero state pregiudicate da detta omissione, non allegando quale ulteriore contributo partecipativo avrebbero potuto rendere (ove tale comunicazione di avvio fosse stata effettuata) che risultasse idoneo ad indirizzare in modo diverso la valutazione infine adottata dalla Commissione» (punto 9.4).

    [47] In tema occorre comunque citare M. A. Sandulli, La comunicazione di avvio del procedimento tra forma e sostanza (spunti dai recenti progetti di riforma), in Foro Amministrativo TAR, 2004, 1595 ss., la quale, nel commentare i progetti di legge che sarebbero poi sfociati nella riforma del 2005, in relazione alla dequotazione del vizio di mancata comunicazione di avvio del procedimento, sembra rifiutare tanto un approccio totalmente sostanzialistico quanto uno eccessivamente “formalistico”, focalizzando l’attenzione sull’effettività della partecipazione, che può sussistere - come probabilmente avvenuto nel caso di specie - pur a prescindere dall’effettiva comunicazione dell’avvio del procedimento (come sottolinea l’Autrice, «se scopo della comunicazione è la partecipazione, una volta che questa sia comunque intervenuta, poco importa l'atto che l'abbia determinata»).

    [48] Deve in effetti darsi conto del fatto che le previsioni di cui al secondo comma dell’art. 21-octies non sono state accolte con unanime favore dalla dottrina, in ragione della dequotazione dei vizi formali che esse determinano e dei riflessi che tale dequotazione produce rispetto alla tutela giurisdizionale di situazioni giuridiche soggettive (fra i commentatori critici della riforma del 2005 v., tra gli altri, L. Ferrara, I riflessi sulla tutela giurisdizionale dei principi dell’azione amministrativa dopo dopo la riforma della legge sul procedimento amministrativo: verso il tramonto del processo di legittimità?, in Dir. amm. 2006, 204; G. Micari, Considerazioni sulla legittimità costituzionale del disposto di cui all'art. 21-octies l. n. 15 del 2005: tra logica di risultato e logica di legalità, in Giust. Civ., 2006, ff. 4-5, 1049 ss. e F. Fracchia - M. Occhiena, Teoria dell'invalidità dell'atto amministrativo e art. 21- octies, L. 241/1990: quando il legislatore non può e non deve, in www. giustamm.it, 2005, n 1). Non è mancato però chi abbia salutato con favore la novella, sottolineando il fatto che «il passaggio da un clima culturale di segno formalistico ad uno di segno più marcatamente teleologico coincide con la graduale sostituzione della tesi dell'eguale rilevanza dei vizi con la tesi della diversa rilevanza dei vizi, in cui cioè la violazione deve essere valutata per quello che realmente è, in rapporto alla ratio della norma violata» (così F. Luciani, L'invalidità e le altre anomalie dell'atto amministrativo: inquadramento teorico, in V. Cerulli Irelli - L. De Lucia (a cura di). Sulla stessa linea v. V. Cerulli Irelli, Considerazioni in tema di sanatoria dei vizi formali, in V. Parisio (a cura di), Vizi formali, procedimento e processo amministrativo, Milano, 2004, 101 ss. e spec. 103, il quale osserva: «che l’Amministrazione, come ogni soggetto dell’ordinamento debba rispettare la legge (il diritto vigente) è fuori discussione; ma le norme, com’è noto, non hanno tutte lo stesso valore (c’è norma e norma) e, inoltre, il loro contenuto imperativo opera diversamente a seconda delle condizioni concrete. E perciò le violazioni delle norme danno luogo a conseguenze diverse nei diversi casi». Per un commento alla riforma del 2005 v. anche F. Francario, Dalla legge sul procedimento amministrativo alla legge sul provvedimento amministrativo (sulle modifiche e integrazioni della legge 15/2005 alla legge 241/1990), in GiustAmm., 1/2015.

    [49] Vale a dire, per dirla con A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, 594, quell’accertamento che concerne «un fatto verificabile in modo indubbio in base a conoscenze e a strumenti tecnici di sicura acquisizione».

     

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