GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    La Corte costituzionale non si ferma davanti all`emergenza, questo è il tempo della collaborazione tra istituzioni

    La Corte costituzionale non si ferma davanti all'emergenza, questo è il tempo della collaborazione tra istituzioni.

    Emergenza COVID-19. Intervista alla presidente della Consulta Marta Cartabia

    di Roberto Conti

    Presidente Cartabia, nel suo ultimo decreto presidenziale dedicato alle misure organizzative adottate dalla Corte costituzionale per la gestione dell’emergenza epidemiologica lei ha premesso la “necessità di operare in spirito di leale collaborazione con le altre istituzioni repubblicane nell’impegno comune a fronte della situazione presente”. Perché questa sottolineatura?

    L’emergenza COVID-19 rappresenta ad ogni effetto un momento di crisi, e il momento della crisi è il momento della cooperazione. Come a livello personale è il tempo della solidarietà, così a livello istituzionale è tempo di rafforzare la cooperazione. Non dimentichiamoci che tra i principi costituzionali c’è anche quello della “leale collaborazione”: fra corti, fra stato e regioni, fra ministri, fra governo e parlamento, fra corti e legislatore, etc. Tutte le istituzioni sono chiamate, nella distinzione dei ruoli e nella separazione dei poteri, a una leale e reciproca collaborazione, massimamente con il Presidente della Repubblica. Se c’è un tema su cui riflettere – e su cui sto personalmente riflettendo – è proprio quello della cooperazione istituzionale, a partire dalla rivisitazione di alcuni contributi classici, come quelli di Vittorio Bachelet su coordinamento, cooperazione, intese, accordi. Si tratta di aspetti essenziali di tutto il diritto pubblico, che mettono l’accento sui profili “relazionali” delle istituzioni, capaci di prevenire il conflitto e di incrementare l’efficacia dell’azione pubblica, nel pieno rispetto dell’autonomia di ciascuno.

    Quali sono i nodi che la Corte costituzionale si trova a dovere affrontare nell’immediato dal punto di vista organizzativo e quali potrebbero essere oggetto di interventi da parte della stessa Corte in forma di autoregolamentazione normativa o ope juris prudentiae?

    Siamo stati colti tutti di sorpresa, tanto i cittadini quanto le istituzioni pubbliche: tutti abbiamo dovuto rapidamente adattare il nostro modo di agire a una situazione davvero sconvolgente, inedita e imprevedibile. Anche la Corte lo sta facendo, cercando di assicurare, come sempre ripete nella sua giurisprudenza, un ragionevole e proporzionato bilanciamento tra tutte le esigenze in gioco. In questo caso le esigenze da contemperare sono la tutela della salute di ciascuno, come diritto individuale e come bene della collettività, nonché la garanzia della continuità delle funzioni essenziali dello Stato, tra cui non può non essere annoverata la garanzia costituzionale affidata alle competenze della Consulta.

    Concretamente, come avete contemperato queste due esigenze?

    La prima preoccupazione è stata quella di creare condizioni di operatività della Corte che evitassero di esporre le persone a rischi di contagio e limitassero al massimo gli spostamenti, senza pregiudicare la funzionalità dell’istituzione. La prima attenzione è stata rivolta alle persone: ai giudici, agli avvocati, agli assistenti, a tutto il personale che fa funzionare la macchina della giustizia costituzionale. Improvvisamente ci siamo trovati a dover riorganizzare tutta l’istituzione per tutelare tutti e ciascuno, senza però fermare i motori della Corte. Non è stata un’operazione facile, per le caratteristiche della istituzione, anche se – mi preme sottolinearlo - il clima di unità della Corte, oserei dire di affiatamento fra tutti, ha molto semplificato il compito di chi si trova pro tempore al timone.

     Molti giudici costituzionali vengono da fuori Roma

     Esatto, e questa è stata la prima difficoltà. I giudici della Corte provengono da tutta Italia: al momento il Collegio è composto da colleghi residenti in Lombardia, Veneto, Toscana, Trentino-Alto Adige, Emilia Romagna, Lazio. Lo stesso accade con gli assistenti di studio, supporto fondamentale per il lavoro della Corte. Ma la cerchia delle persone che sono coinvolte e che arrivano da tutto il territorio nazionale è ancora più ampia perché, per la natura dei giudizi costituzionali, gli stessi avvocati che difendono davanti alla Corte costituzionale si muovono da ogni dove. Perciò i primi provvedimenti – in particolare il decreto del 12 marzo 2020 – sono stati volti a introdurre forme “telematiche” di comunicazione degli atti processuali, in deroga alle regole in vigore che richiedono che gli atti siano depositati materialmente nella Cancelleria della Corte. Contemporaneamente ci siamo adoperati per organizzare forme di smart work, o come si dice “lavoro agile”, per tutto il personale che svolge mansioni idonee. Per gli altri, che necessariamente debbono lavorare in presenza, abbiamo ridotto gli orari e previsto turnazioni, per ridurre al minimo i contatti di persona, senza però chiudere il Palazzo.

    Così abbiamo introdotto un piccolo primo seme di processo telematico, un po’ improvvisato e di supporto all’emergenza, nelle forme più semplici e immediate da implementare, via PEC, a valere in via assolutamente transitoria. Contemporaneamente abbiamo ripreso in mano un progetto più organico di smaterializzazione del processo costituzionale da approvare a regime.

    Il mio auspicio è che, sulla spinta dell’emergenza, sia il processo telematico sia forme di lavoro a distanza possano essere oggetto di una riforma stabile, valevole anche per il futuro. Su questo siamo al lavoro.

     Il messaggio è che la Corte costituzionale non si ferma ma continua a lavorare. Con quali modalità per quanto riguarda le udienze?

    Riguardo alle udienze pubbliche, ci siamo mossi con gradualità, nel solco di quanto previsto anche da altre Corti costituzionali e sovranazionali europee.

    Dapprima abbiamo sospeso le sessioni di marzo e abbiamo continuato solo i lavori in camera di consiglio, predisponendo un’apposita aula, nella più ampia Sala Conferenze, utilizzando i vecchi arredi del processo Lockheed, in modo da poter assumere tutte le precauzioni suggerite, garantire le distanze fra i presenti e attrezzare tecnologicamente la camera di consiglio.

    Poi, con il secondo decreto discusso in collegio il 23 marzo, abbiamo deciso di proseguire i lavori di deliberazione in camera di consiglio e di lettura sentenze anche “da remoto”. Lo stesso vale per le altre attività interne della Corte. Un bel cambiamento per una istituzione che non era avvezza a queste modalità di interazione.

    Diversa la scelta per le attività pubbliche della Corte. Infatti, per quanto riguarda le udienze pubbliche al momento abbiamo scelto di non percorrere la strada della videoconferenza. I giudizi da trattare in pubblica udienza saranno di volta in volta rinviati per tutto il tempo che sarà necessario, consentendo però alle parti di richiedere che la decisione della causa possa passare in camera di consiglio senza trattazione orale. Per questa opzione, occorre però che tutte le parti siano d’accordo.

    Quale risposta vi aspettate dagli avvocati?

    Ci aspettiamo che in più di un caso gli avvocati si avvalgano di questa possibilità, considerato che il processo costituzionale è un processo prevalentemente scritto e, per alcuni tipi di cause, tutti gli argomenti utili alla decisione possono emergere esaustivamente dagli atti processuali depositati. In questa scelta ci siamo ispirati a quanto previsto per il processo amministrativo dall’art. 84 del dl n. 18 del 2020, applicabile ai giudizi costituzionali con i dovuti adattamenti in virtù dell’art. 22 della legge n. 87 del 1953. Tuttavia, rispetto al modello prescelto per il processo amministrativo abbiamo inteso valorizzare di più la volontà delle parti: nei giudizi costituzionali la trattazione in udienza pubblica può essere molto importante, sia per non comprimere il contraddittorio, sia per non sacrificare la pubblicità della trattazione di quelle cause che abbiano particolare rilievo pubblico. A questo proposito può valer la pena sottolineare che il Presidente può decidere comunque il rinvio dei giudizi per consentirne la trattazione nelle forme ordinarie, essendo uno dei suoi compiti proprio quello di governare il calendario dei lavori.

    In una situazione di grave emergenza come quella che stiamo vivendo, potrebbero anche nascere conflitti tra poteri. In tal caso, la Corte sarebbe pronta ad intervenire?

    Certamente. Tutte le regole dettate per l’emergenza non varranno se si dovesse presentare la necessità della trattazione immediata di un giudizio di particolare gravità: non si deve dimenticare che la Corte è custode della Costituzione, sia nella parte in cui si tutelano i diritti delle persone sia nella parte in cui si garantisce la separazione e l’equilibrio fra i poteri. A questo compito nessuna democrazia può rinunciare nemmeno temporaneamente, nemmeno in un periodo di emergenza. In ogni caso la Costituzione non lo consente.

    Quando sarà possibile “recuperare le cause rinviate?

    La Corte si è già predisposta a intensificare le sue adunanze subito dopo la fine dell’emergenza, all’occorrenza anche nel periodo estivo, per “recuperare” le sessioni pubbliche che non si sono potute svolgere. Abbiamo già immaginato un calendario più intenso nei mesi di giugno, luglio e settembre. Speriamo di poter incrementare il lavoro anche prima.

    Ritiene che il processo al quale la Sua presidenza ha dato vigoroso impulso con le modifiche regolamentari del gennaio 2020, tese a rendere più efficace e partecipato il processo, subirà un rallentamento in ragione dell’emergenza epidemiologica?

    Direi e spererei di no. Le modifiche che abbiamo introdotto sulla partecipazione degli amici curiae, degli esperti e dei terzi interessati sono scritte in norme a regime e sono state condivise dal Collegio. È una buona cosa che quella riforma sia stata perfezionata prima dell’emergenza: resterà a beneficio della Corte nel futuro. Del resto, abbiamo già in calendario l’audizione di alcuni esperti – avremmo dovuto sentirli questa settimana, ma anche questo appuntamento è stato rinviato -; d’altronde, la partecipazione degli amici curiae si sta già attivando spontaneamente. Presumibilmente ci sarà una piccola battuta d’arresto, come per ogni altra attività: oggi tutto è rallentato; ma sono fiduciosa che la celebrazione partecipata dei processi costituzionali riprenderà appena le condizioni lo consentiranno.

    Negli ultimi anni la Corte si è mostrata molto attenta alla comunicazione con l’opinione pubblica. Cosa accadrà in questo periodo?

     Le attività ordinarie di comunicazione continueranno, con i consueti comunicati stampa e l’aggiornamento costante del sito, sia in lingua italiana che in lingua inglese. Continua anche la comunicazione attraverso i social. Abbiamo però dovuto sospendere l’appuntamento annuale con la stampa, previsto per il 9 aprile: una tradizione consolidata che si è mantenuta quasi ininterrottamente sin dai primi anni di attività della Corte. Anche in questo caso però troveremo un modo per riproporre un incontro con i media, non appena le circostanze lo consentiranno.

     Stiamo vivendo momenti estremamente delicati, nei quali l’attuale contesto ha messo a nudo fragilità di vario ordine e grado. Il pensiero corre, soprattutto, alla popolazione anziana ed a quella dei reclusi in strutture penitenziarie. Si sente di fare giungere una sua riflessione a chi vive quelle condizioni?

    Chi svolge la funzione di garanzia dei diritti costituzionali non può non avvertire una spiccata sensibilità per le persone che si trovano in condizioni di particolare fragilità: anziani, disabili, malati, i tanti malati anche di patologie diverse dal coronavirus, e tante persone sole o famiglie che si trovano o si troveranno in condizioni economicamente precarie. Tra le persone in condizioni di particolare delicatezza naturalmente non mancano i detenuti e tutti coloro che lavorano nel mondo del carcere: la polizia penitenziaria, l’amministrazione, gli educatori, il personale sanitario, i volontari. In queste comunità chiuse c’è una maggior esposizione al rischio e una minore disponibilità di mezzi di prevenzione. Ho visto che in queste settimane si sta sviluppando un importante dibattito in proposito, anche a livello giuridico e istituzionale, e lo sto seguendo con molto interesse. La Corte costituzionale, che negli ultimi anni ha imparato a conoscere da vicino il mondo del carcere, segue con molta attenzione e molta trepidazione ogni notizia che proviene dagli istituti di pena.

     Se la sentirebbe di ipotizzare qualche soluzione? O comunque di dire qualcosa a chi sta vivendo ore ancora più drammatiche?

    Per le funzioni che svolge, non è compito della Corte ideare o proporre soluzioni, né tanto meno assumere iniziative. Però, quando richiesta, la Corte è sempre pronta a difendere i diritti costituzionali di tutti. Quale messaggio posso far pervenire alle tantissime persone che si trovano in condizioni così drammatiche? Posso solo ripetere le parole di chi mi ha preceduto, il presidente Lattanzi: la Costituzione è lo “scudo” di tutti. E per parte mia posso aggiungere che la Corte c’è. A difesa di quei diritti e dell’intera Costituzione la Corte c’è.

     L’emergenza che sta vivendo l’Europa e il mondo coinvolge sicuramente anche le Corti costituzionali di altri Paesi. Cosa ci può dire in proposito? Pensa che il processo di cooperazione fra le Corti nazionali e la Corte europea dei diritti dell’uomo potrebbe subire un rallentamento in ragione dello stato attuale?

    Negli ultimi decenni si è sviluppata una virtuosa cooperazione tra le Corti, a livello nazionale e a livello sovranazionale. È un patrimonio che non dobbiamo permettere che si disperda, perché dal confronto con altri giudici su problematiche comuni sono nati nuovi strumenti giuridici, sono state messe a punto più precise tecniche di giudizio, si è rafforzata la tutela dei diritti e dello stato di diritto.

    Negli ultimi anni, la Corte costituzionale italiana si è molto spesa per la costruzione di rapporti di cooperazione internazionale e intende continuare a farlo. Certo, per i prossimi mesi, con non poca mestizia, abbiamo dovuto cancellare, uno dopo l’altro, tutti gli incontri internazionali che erano già previsti in questi e nei prossimi mesi. Anche la Corte costituzionale aveva una agenda fitta: Riga, Praga, Budapest, Roma con la Corte tedesca a fine aprile, e poi abbiamo in programma per fine giugno un incontro quadrilaterale con Francia, Spagna e Portogallo. E poi a settembre Israele. Può darsi che questi incontri siano temporaneamente rinviati, così come è stato posposto il raduno delle Corti costituzionali europee previsto per maggio.

    Tuttavia, molte delle relazioni tra le Corti sono state “istituzionalizzate”, sia con apposite procedure, sia attraverso l’istituzione di network di giudici, come la Conferenza delle Corti costituzionali europee e la Conferenza mondiale delle Corti costituzionali istituite grazie all’azione propulsiva della Commissione di Venezia nell’ambito del Consiglio d’Europa, della quale ho l’onore di far parte per l’Italia. Queste strutture giuridiche, spesso formalizzate per iniziativa italiana, consentiranno di riprendere i rapporti al termine dell’emergenza: tutti abbiamo sperimentato quanto proficua è ogni forma di interscambio fra Corti. Dentro la Corte italiana ci sono persone che stanno spendendo molte energie per coltivare i rapporti internazionali e da qualche anno abbiamo costituito anche un comitato di giudici che si occupa specificamente di questi aspetti. Sono certa che la ricchezza di relazioni costruita nel tempo non sarà spazzata via.

     Gli operatori del diritto stanno affrontando, come la Corte costituzionale, un nuovo modo di esercitare le loro professioni. Pensa che da questa tragedia possa sorgere una consapevolezza maggiore verso i temi che riguardano la persona e l’ambiente, in una prospettiva sganciata dalla nazionalità?

    In poche settimane stiamo vivendo una svolta epocale. Ne usciremo tutti cambiati. Molti lo hanno sottolineato in questi giorni: le crisi possono essere il preludio di una catastrofe oppure possono essere guardate come un’opportunità, come un fattore di grande progresso e innovazione. Nulla procede meccanicamente. C’è una riflessione della Arendt sulla crisi a cui sono molto affezionata e che può essere utile rileggere in questa contingenza: «Una crisi ci costringe a tornare alle domande; esige da noi risposte nuove o vecchie, purché scaturite da un esame diretto; e si trasforma in una catastrofe solo quando noi cerchiamo di farvi fronte con giudizi preconcetti, ossia pregiudizi, aggravando così la crisi e per di più rinunciando a vivere quell’esperienza della realtà, a utilizzare quell’occasione per riflettere, che la crisi stessa costituisce» (H. Arendt, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano 1991, 229). La crisi e le domande. Questo è il tempo delle domande e della riflessione che nasce da esse. Oggi è il tempo delle domande autentiche e fondamentali, affinché “dopo” possa essere il tempo di una vera rinascita.

     

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