La Corte Costituzionale chiama il Parlamento sulle modifiche in tema di diffamazione secondo il "modello Cappato" (a proposito di Corte cost.n.132/2020)
di Marina Castellaneta
Nel riproporre il modello seguito nel caso Cappato, la Corte costituzionale, al termine dell’udienza tenutasi il 9 giugno, con l’ordinanza n. 132/2020, depositata il 26 giugno 2020, ha accordato un anno di tempo al Parlamento per modificare le norme interne in materia di diffamazione a mezzo stampa e adeguarle, così, alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Pertanto, entro il 22 giugno 2021, il legislatore dovrà arrivare a rimuovere i profili di contrasto con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo e mettere fine alle infinite discussioni sui cambiamenti da apportare al quadro normativo sulla diffamazione a mezzo stampa, provando a raggiungere un accordo tra le forze politiche che in tutti questi anni di discussione non è stato conseguito. E questo malgrado i richiami di istituzioni internazionali che considerano la previsione del carcere per i giornalisti nei casi di diffamazione contraria alle regole internazionali a tutela della libertà di espressione (salvo nei casi di incitamento all’odio e alla violenza) e i numerosi disegni di legge presentati. Né sono servite a “svegliare” il legislatore le pronunce di condanna da parte della Corte europea (si vedano, tra le altre, la sentenza Sallusti contro Italia, ricorso n. 22350/13, depositata il 7 marzo 2019; la pronuncia del 24 settembre 2013 relativa al caso Belpietro, ricorso n. 43612/10 e quella Magosso e Brindani, ricorso n. 59347/11, depositata il 16 gennaio 2020) che, oltre a indicare l’Italia come uno Stato che comprime la libertà di stampa, incidono sulle casse dello Stato a causa degli indennizzi da versare alle vittime delle violazioni convenzionali. E’ opportuno ricordare, inoltre, che l’Italia è stato il Paese, tra quelli del Consiglio d’Europa, con il più alto numero di alerts per intimidazioni ai giornalisti (2018), secondo quanto rilevato dalla Piattaforma per la protezione dei giornalisti istituita dal Consiglio d’Europa, collocandosi, inoltre, nel 2019, al secondo posto (si veda il rapporto “Hands of Press Freedom: Attacks on Media in Europe must not become a New Normal”, reperibile all’indirizzo https://rm.coe.int/annual-report-en-final-23-april-2020/16809e39dd).
Di conseguenza, l’intervento della Corte costituzionale è di grande rilievo e fornisce al legislatore italiano l’opportunità di approvare un testo conforme alle regole di diritto internazionale in materia di libertà di stampa e, al tempo stesso, di procedere a tutelare altri diritti come quello alla reputazione, con una rimodulazione del bilanciamento tra i diritti in gioco. Il ricorso alla tecnica processuale dell’incostituzionalità differita, ispirata alle decisioni della Corte suprema canadese e del Regno Unito permette, infatti, in via generale, di contemperare le due esigenze che vengono in rilievo. Si veda, sul punto la relazione annuale sull’attività della Corte costituzionale nel 2019, presentata il 28 aprile 2020 dalla Presidente Marta Cartabia la quale ha sottolineato, con riferimento all’ordinanza relativa al caso Cappato, che la nuova tecnica processuale permette di “lasciare in prima battuta al legislatore lo spazio per intervenire in una materia altamente sensibile, oggetto di profondi dibattiti nell’opinione pubblica, che esige che le dinamiche politiche e culturali trovino modo di ricomporsi anzitutto in sedi politiche” (la relazione è reperibile nel sito https://www.cortecostituzionale.it. Si veda, in particolare, p. 11 ss.).
Resta da vedere se questa volta il legislatore riuscirà a centrare l’obiettivo. Prima di tutto, però, occorre ricostruire brevemente il percorso che ha portato il caso dinanzi alla Corte costituzionale.
La vicenda ha avuto origine dalle questioni di costituzionalità sollevate (diremmo finalmente) dai Tribunali di Salerno (ordinanza del 9 aprile 2019) e di Bari, sede di Modugno (ordinanza del 16 aprile 2019) che, prima di decidere nell’ambito di procedimenti penali a carico di giornalisti e direttori di testata, hanno avviato un giudizio incidentale di legittimità costituzionale. Punto centrale è se l’articolo 595 del codice penale e l’articolo 13 della legge n. 47/1948 siano contrari all’articolo 117 della Costituzione in quanto in contrasto con il parametro interposto costituito dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che assicura la libertà di espressione nonché con l’articolo 21 della Costituzione che garantisce la libertà di manifestazione del pensiero. Vale la pena ricordare che, tra l’altro, nel procedimento dinanzi alla Consulta, grazie alla delibera dell’8 gennaio 2020, “Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale”, è intervenuto anche l’Ordine nazionale dei giornalisti (ordinanza n. 37 del 2020).
La scelta di sollevare la questione di costituzionalità appare quanto mai opportuna perché se in alcuni casi i giudici nazionali e, in particolare la Cassazione, hanno utilizzato i parametri individuati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per assicurare un giusto bilanciamento tra tutela del diritto alla reputazione e diritto alla libertà di stampa, in altri casi i parametri fissati da Strasburgo non sono stati considerati, come accertato dalla stessa Corte europea che, in diverse occasioni, come osservato poc’anzi, ha condannato l’Italia per violazione dell’articolo 10 e, in alcuni casi, proprio per l’apparato sanzionatorio incompatibile con la Convenzione.
La Corte costituzionale, come detto, ha seguito il modello Cappato e, in ragione della circostanza che in Parlamento pendono diversi disegni di legge, nel rispetto della leale collaborazione istituzionale, ha deciso di rinviare la trattazione delle questioni all’udienza pubblica del 22 giugno 2021, per consentire alle Camere di intervenire con una nuova disciplina della materia”. Va ricordato che il rinvio effettuato nel caso Cappato non ha portato a una conclusione favorevole perché, nonostante il tempo concesso con l’ordinanza n. 207 del 24 ottobre 2018, il legislatore non è intervenuto, con la conseguenza che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 242 del 25 settembre 2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 580 c.p. “nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017 n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) …agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile…”.
È difficile dire se l’ultimatum in materia di diffamazione possa portare a un risultato favorevole ossia all’adozione di una legge in materia conforme alla Convenzione europea come interpretata dai giudici internazionali. Tuttavia, si può rilevare che lo strumento dell’incostituzionalità differita è senza dubbio una misura utile per bilanciare i valori da tutelare e per evitare che una pronuncia di incostituzionalità conduca a effetti pregiudizievoli su un diritto in gioco (sulla incostituzionalità differita si veda, per tutti, R. Pinardi, La Corte, i giudici ed il legislatore. Il problema degli effetti temporali delle sentenze d’incostituzionalità, Milano, 1993).
Se la Corte avesse dichiarato immediatamente l’incostituzionalità delle norme sulla diffamazione si sarebbe realizzato un pregiudizio alla tutela del diritto alla reputazione e proprio per questo, molto opportunamente, il Redattore dell’ordinanza, Francesco Viganò”, ha sottolineato la necessità di “una rimodulazione del bilanciamento sotteso alla disciplina in questa sede censurata, in modo da coniugare le esigenze di garanzia della libertà giornalistica…con le altrettanto pressanti ragioni di tutela effettiva della reputazione individuale delle vittime di eventuali abusi di quella libertà da parte dei giornalisti”.
E così, la Corte ha offerto al legislatore una possibilità di raggiungere un giusto equilibrio e un bilanciamento che contempli “non solo il ricorso – nei limiti della proporzionalità rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva dell’illecito – a sanzioni penali non detentive nonché a rimedi civilistici e in generali riparatori adeguati (come in primis, l’obbligo di rettifica), ma anche a efficaci misure di carattere disciplinare…”.
Riuscirà il legislatore a fare quello che in tanti anni non è riuscito a fare? È difficile essere ottimisti perché, pur senza soffermarci sull’esame dei diversi disegni di legge in discussione, ci sembra che la sola decisione di eliminare il carcere non sia sufficiente se si introducono multe e sanzioni di natura pecuniaria in grado di produrre un chilling effect sulla libertà di stampa. Così, il tempo fornito dalla Corte costituzionale dovrebbe essere utilizzato ad ampio raggio, per rimuovere dal disegno di legge n. 812 “Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale, al codice di procedura penale, al codice di procedura civile e al codice civile, in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante nonché di segreto professionale, e disposizioni a tutela del soggetto diffamato” tutti gli aspetti – e non sono pochi – che sin da subito appaiono non conformi alla giurisprudenza della Corte europea. Non basta, quindi, un semplice ritocco al maquillage con l’eliminazione del carcere se le sanzioni economiche previste risultano sproporzionate e in grado di produrre un effetto dissuasivo su chi esercita la libertà di stampa per fornire alla collettività notizie di interesse generale. Che – come chiarito dalla Corte europea – sono un bene da proteggere. E varrebbe la pena, nell’intervenire, tenere conto della realtà italiana dalla quale emerge un utilizzo sempre più frequente, e in diversi casi pretestuoso, della denuncia per diffamazione come strumento per bloccare e intimidire i giornalisti. Va ricordato, a tale proposito che il Relatore speciale del Comitato sulla cultura, la scienza, l’educazione e i media dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, George Foulkes, nel rapporto presentato il 3 gennaio 2020 ha evidenziato il comportamento aggressivo della classe politica verso i giornalisti in particolare in Italia, nella Repubblica Ceca, in Slovacchia e in Turchia.
Di conseguenza, non basta la rimozione del carcere ma è necessario un intervento organico per bloccare gli assalti giudiziari ai giornalisti e anche la prassi delle querele temerarie, naturalmente assicurando la tutela della reputazione che anche a causa del web rischia di essere danneggiata in modo grave da un’informazione non corretta.