Sommario: 1. Una Corte di giustizia tributaria centrale? 2. Natura e limiti dell’impugnazione; 2.1 Le sentenze impugnabili; 2.2 Quale impugnazione; 2.3 Quali effetti delle pronunce e quale rito; 2.4 L’impugnabilità delle decisioni; il rinvio pregiudiziale; 3. Profili ordinamentali ed organizzativi: struttura dell'organo; previsioni sul fabbisogno di personale giudicante; la fase di start up; 4. Giustificazioni e conclusioni.
1. Una Corte di giustizia tributaria centrale?
Le serie statistiche “storiche” dei flussi dei ricorsi per cassazione sono inequivocabili: il trend consolidato di quelli tributari negli ultimi quindici anni oscilla sulla quota 10.000 per anno. È fondato ritenere che questa sia la causa principale del disposition time della Sezione specializzata tributaria e che abbia messo a dura prova ogni sforzo legislativo ed auto organizzativo per ridurlo.
Per un verso, negli anni recenti (dal 2017, decreto-legge n. 50) si è anzitutto provato a far scendere la pressione dei ricorsi tributari con reiterate misure di definizione agevolata delle liti pendenti (anche) nel giudizio di legittimità. Come ultimamente “certificato” dalla Prima Presidente della Corte, Margherita Cassano, nella relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario 2024, queste misure si sono tuttavia dimostrate non abbastanza efficaci sul piano della deflazione dell’arretrato. Per altro verso, la Sezione specializzata, ben prima della sua istituzione per legge (art. 3, legge 130/2022), è stata rinforzata e ri-organizzata, raggiungendo apprezzabili risultati in termini di produttività (quasi ogni anno sono stati definiti più giudizi di quelli sopravvenuti).[1]
La durata dei giudizi tributari di legittimità è così drasticamente scesa, tanto che l’obiettivo posto dal PNRR verrà probabilmente raggiunto. Ma non si è ancora vicini ad una risposta davvero rapida ed incisiva della nomofilachia tributaria; in ogni caso si sa che la “quantità” non è amica della “qualità” né della “coerenza”.
Tale nodo problematico è stato ripreso dalla Presidente del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, Carolina Lussana, nella relazione di inaugurazione dell'anno giudiziario tributario 2024, che peraltro si è spinta ad interrogarsi circa la possibilità di «pensare a una o più misure processuali/ordinamentali che possano incidere - a monte ed in radice - sui flussi in entrata dei giudizi tributari di legittimità» al fine di «prevenire il formarsi di arretrati quali quelli storici e quelli attuali (della Sezione tributaria della Cassazione, ndr), liberandone la nomofilachia tributaria e rendendola pienamente tempestiva ed efficiente».
Dunque, è opinione diffusa ed anche autorevolmente espressa che, a fronte di numeri soverchianti, la funzione interpretativa della Suprema Corte in questa speciale materia è davvero sotto stress e lo è da quando la materia medesima ha assunto il ruolo di protagonista del giudizio di legittimità. Il che notoriamente è avvenuto a partire dal primo aprile 1996, allorché divenne operativa la soppressione della Commissione tributaria centrale (CTC), organo previsto dal processo e dall’ordinamento della riforma del ’72 (dPR 636).
La storia di quell’organo giurisdizionale è nota e non è stata, come dire, particolarmente “gloriosa”. Al tempo della soppressione, presso la CTC erano pendenti centinaia di migliaia di processi, sostanzialmente collocati in un enorme parcheggio. La CTC ha avuto dunque la funzione di impedire l’immediato transito di molti di questi procedimenti alla Cassazione. Après elle, le déluge.
Parrebbe perciò addirittura bizzarro il solo ipotizzare la re-istituzione di un organo centrale di giustizia tributaria di merito, ma, a ben riflettere, così non è. Con questo scritto intendiamo dimostrarlo. Intendiamo dimostrare che una -ben ideata e congegnata- Corte di giustizia tributaria centrale (CGTC) può essere di grande utilità al sistema della giustizia tributaria sia di merito sia di legittimità.[2]
Va però detto e sottolineato che lo studio ha la -limitata- funzione di porre le basi di un ragionamento che richiede riflessione ed approfondimento ulteriori.
2. Natura e limiti dell’impugnazione
2.1. Le sentenze impugnabili
Prima di tutto bisogna individuare il “tipo” di impugnazione che potrebbe essere proposta a questo nuovo organo di giurisdizione speciale.
Infatti, dalle risposte a tale -fondamentale- domanda dipende la “tenuta logica” dell’idea che si sostiene rispetto agli obiettivi che ha. Chiaro che guardare al passato non giova, perché la storia della CTC non può essere ignorata. E deve insegnare: perseverare autem diabolicum.
Bisogna dunque immaginare uno strumento impugnatorio nuovo e diverso da quello “storico”.
La prima scelta di configurazione di questo nuovo istituto processuale attiene all’individuazione delle sentenze che ne formerebbero oggetto: tutte le pronunce di secondo grado? A questa opzione è strettamente connessa un’altra, che in verità appare preliminare. L’impugnazione di fronte al nuovo organo sarebbe facoltativa, potendo le parti decidere se rivolgersi alla Corte di Cassazione anziché alla Corte centrale dopo la decisione della Corte di giustizia tributaria di secondo grado?
La soluzione del secondo quesito è funzionale a quella del primo. Ma se la nuova impugnazione si immagina, principalmente, finalizzata a filtrare l’accesso al giudizio di legittimità, bisognerebbe senz’altro escluderne la facoltatività. Quindi, dopo il giudizio di appello, non sarebbe consentito adire direttamente la Corte Suprema, ma chi intendesse censurare la pronuncia di secondo grado potrebbe e dovrebbe farlo esclusivamente attraverso il ricorso alla Corte centrale.
Tale presupposto è infatti indefettibile al fine del conseguimento dell’auspicato obiettivo di far sì che la sezione tributaria della Corte di Cassazione possa veder significativamente ridotto il proprio carico dinamico (flussi in entrata) e che, conseguentemente, possa esercitare la funzione nomofilattica in tempi ragionevoli e con uno standard qualitativo -doverosamente - elevato.
Allora, un’impugnazione “necessaria”, nel senso appena chiarito, non potrebbe che riguardare tutte le sentenze rese dalle Corti di seconda istanza, indipendentemente dal valore e dall’oggetto delle cause.
2.2 Quale impugnazione
Ciò posto, occorre affrontare il tema decisivo: quello della natura e dei limiti del mezzo di impugnazione.
Al riguardo, è inevitabile riferirsi all’esperienza processuale antecedente alla riforma sfociata nei vigenti D.L.vo nn. 545 e 546 del 1992. E, dunque, al giudizio che si svolgeva innanzi alla Commissione tributaria centrale in alternativa a quello proponibile di fronte alla Corte di appello[3].
A quest’ultimo proposito, non pensiamo che sia oggi prospettabile impugnare, ancorché in via sussidiaria e alternativa come accadeva prima della menzionata riforma, una pronuncia del giudice speciale tributario dinanzi al giudice ordinario. La giurisdizione tributaria ormai ha irrinunciabili tratti di pienezza ed esclusività e non appare sinceramente immaginabile, dopo oltre un ventennio, ripristinare una funzione giurisdizionale del giudice ordinario di merito in materia tributaria. Sarebbe comunque un’ipotesi completamente avulsa ed estranea al nuovo assetto della giurisdizione tributaria di merito, quale disegnato dalla legge 130/2022.
Pertanto, posto l’assunto per cui tutte le sentenze di appello siano esclusivamente impugnabili di fronte alla sola Corte tributaria centrale, si potrebbe tuttora comunque in qualche modo attingere alla ricordata esperienza del giudizio alla Commissione tributaria centrale?
Prima di pronunciarci al riguardo, val la pena rammentare che il ricorso alla Commissione centrale poteva proporsi, in base all’art. 26 del D.P.R. n. 636/1972, “per violazione di legge e per questioni di fatto escluse quelle relative a valutazione estimativa ed alla misura delle pene pecuniarie”[4].
Un’ipotesi sensata per il nuovo giudizio di fronte alla Corte centrale potrebbe essere quella di limitare -sulla scorta dell’esperienza del processo dinanzi alla Commissione centrale- i motivi di impugnazione e, per l’effetto, l’ambito di cognizione di tale nuovo organo giurisdizionale. Ciò onde evitare che il processo dinanzi alla Corte centrale si traduca in un secondo appello, del tutto privo di senso.
Ed è allora inevitabile accedere all’idea di un’impugnazione a “critica vincolata”, di tipo “cassatorio”, “a specchio” dell’ordinario ricorso per cassazione, che nella sostanza rappresenti un vero e proprio giudizio di legittimità (in senso lato) sulla sentenza di appello, appunto in forte analogia con quello tipico avanti alla Corte di Cassazione[5].
Per semplificare e chiarire, si potrebbe dunque pensare ad un ricorso limitato alla violazione di legge e al vizio motivazionale, nella prima tipologia di censura naturalmente ricomprendendo sia gli errores in procedendo (vizi di attività processuale) sia gli errores in judicando (violazione/falsa applicazione di norme di diritto); nella seconda una possibilità mediata di “accesso” ai fatti della causa, sia pure in forma di verifica della correttezza della motivazione di appello com’è appunto connaturale ad un giudizio di tipo “cassatorio/rescindente”.
E mentre per la deduzione degli errores juris non vi sarebbe ragione per differenziare la disciplina normativa e l’intendimento ermeneutico corrente nella giurisprudenza di legittimità di questa impugnazione da quella ordinaria per cassazione, in relazione al controllo dell’argomentazione in fatto del giudice tributario di appello sarebbe di contro opportuno dare alla CGTC margini più ampi di quelli attualmente consentiti alla Cassazione dalla vigente versione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., formulando la previsione relativa secondo il modello di quella previgente (motivazione omessa, contraddittoria ovvero insufficiente su di un punto -di fatto- decisivo e controverso).
Una maggiore “penetrabilità” nel giudizio di fatto risulterebbe infatti coerente con la specialità dell’organo di terza istanza, quindi con la sua omogeneità ordinamentale alle Corti territoriali e costituirebbe per i litiganti una garanzia di “revisione rafforzata” del meritum causae.
Così congegnata, l’impugnazione potrebbe legittimamente ambire al conseguimento del suo obiettivo primario: filtrare il giudizio di legittimità presso la Cassazione, come imposto dall’art. 111, settimo comma, Cost., davvero limitandolo alle previsioni istitutive primigenie dell’art. 65, R.D. 12/1941 ossia pur sempre un giudizio sulla lite in concreto, ma al netto delle questioni di merito/di fatto, troppo spesso artatamente proposte nella casistica del contenzioso avanti alla Suprema Corte, mascherate da violazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ..
In sostanza la CGTC assumerebbe dunque una funzione di “anticamera” della Cassazione, sollevandola -in prima battuta- dalle migliaia di ricorsi che, anche a seguito delle recenti riforme del rito, vengono attualmente definite al di fuori dell’udienza pubblica “nomofilattica”. Si tratta di magna pars del lavoro della Corte, che tuttavia l’ha portata ben al di fuori del modello calamandreiano originario e se vogliamo anche costituzionale.
2.3. Quali effetti delle pronunce e quale rito
Se -come in tesi- si ipotizza dunque di attribuire alla CGCT una funzione, nella sostanza, omologa e complementare a quella istituzionale della Cassazione, non vi è ragione per differenziarne gli effetti delle pronunce rispetto a quelli codificati nel giudizio di legittimità, seguendone i collaudati schemi e formule terminative (inammissibilità, rigetto, annullamento con o senza rinvio).
Ciò vale ovviamente anche per le pronunce sul merito della lite, secondo la previsione di cui all’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., qualora non siano occorrenti ulteriori accertamenti di fatto. In questo caso è evidente che la decisione della CGCT sarà sostitutiva di quella di appello.
Esemplificando.
Si faccia l’ipotesi in cui il giudice di appello abbia omesso di motivare la propria decisione sul maggior valore attribuito a un terreno edificabile o abbia addotto in proposito una motivazione contraddittoria oppure, in caso di accertamento induttivo del reddito, abbia avallato l’impiego di dati e parametri in alcun modo riferibili all’impresa interessata o abbia affermato la carenza di motivazione dell’atto impositivo formante oggetto del contendere o abbia statuito l’inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio.
In questi casi o in altri analoghi, la decisione della Corte centrale non potrebbe che limitarsi a riscontrare la sussistenza o meno dell’error in procedendo o del vizio procedimentale o processuale interessato dall’impugnazione.
Laddove lo riscontrasse, la pronuncia non potrebbe che essere di annullamento della sentenza impugnata, come del resto accadeva quando la “vecchia” Commissione centrale accoglieva i ricorsi concernenti le controversie estimative e afferenti la misura delle sanzioni pecuniarie[6]. Di modo che, in sede di rinvio e per riprendere gli esempi che precedono, il giudice di appello sarebbe chiamato a motivare adeguatamente in ordine al valore del terreno, a valutare correttamente i dati e parametri utilizzati per accertare induttivamente il reddito ed esaminare il merito della lite, stante l’erronea affermazione del difetto di motivazione dell’atto impositivo e la riscontrata ammissibilità del ricorso introduttivo.
In tal caso, si potrebbe pensare che -se la sentenza della Corte centrale non venisse impugnata per cassazione- l’accoglimento dell’impugnazione comporti l’automatico rinvio della causa dinanzi ad altra sezione della Corte di giustizia tributaria di secondo grado. In sostanza, per accelerare i tempi, si potrebbe introdurre la previsione -analoga a quella disciplinata dall’art. 29 del D.P.R. n. 636/1972 per le ipotesi nelle quali “in conseguenza dell’accoglimento del ricorso si rende[va] necessario rinnovare il giudizio su questioni di valutazione estimativa e su quelle relative alla misura delle pene pecuniarie”- per cui, appurata la mancata proposizione del ricorso per cassazione, la segreteria della Corte centrale sia tenuta a trasmettere il fascicolo della causa alla Corte di secondo grado per lo svolgimento del giudizio di rinvio, senza necessità di riassunzione ad opera delle parti.
Andrebbe altresì considerato il caso in cui la pronuncia della Corte centrale contempli capi che non postulano il rinvio, poiché la decisione risulterebbe sostitutiva nel senso sopra chiarito, e altri che invece lo richiedano. Se venissero impugnati per cassazione i soli capi aventi portata sostitutiva, si potrebbe immaginare che il giudizio di rinvio si svolga al termine del processo di legittimità.
Quanto al rito, si potrebbe modellarlo in termini analoghi a quelli della disciplina del processo di avanti alla Cassazione, con gli opportuni adattamenti.
Poi, immaginando che il ricorso alla Corte centrale si proponga negli ordinari termini “breve” di sessanta giorni decorrente dalla notifica della sentenza di appello e “lungo” di sei mesi dal deposito di quest’ultima, prevedendo che il contraddittorio si costituisca attraverso la presentazione di un ricorso incidentale o di controdeduzioni entro un termine perentorio di sessanta giorni dalla notifica del ricorso e stabilendo altresì che, in difetto di tali difese, la parte intimata avrebbe solo titolo per partecipare all’eventuale discussione in pubblica udienza della causa, non è azzardato postulare che il nuovo organo -se, ovviamente, dotato di un adeguato numero di magistrati- potrebbe decidere le impugnazioni ad esso affidate sollecitamente.
2.4 L’impugnabilità delle decisioni; il rinvio pregiudiziale
Stante la previsione di cui all’art. 111, settimo comma, Cost., dovrebbe in ogni caso ammettersi la possibilità di impugnare per Cassazione le sentenze della Corte centrale e, quanto ai mezzi proponibili, la via più semplice sarebbe senz’altro quella di fare riferimento all’art. 360, cod. proc. civ.
Tuttavia, essendo ipotizzabile/auspicabile che la CGTC effettui un controllo “a fondo” sulla motivazione del giudice tributario di appello, sarebbe opportuno prevedere l’improponibilità della censura di cui al n. 5 di detta disposizione processuale, analogamente che nel caso della “doppia conforme” di merito e quindi limitare la possibilità di aggredire la decisione della Corte centrale soltanto al vizio motivazionale assoluto ossia quello che si pone, quale anomalia costituzionalmente rilevante, nell’area della previsione di cui al n. 4, della disposizione medesima.
Con la conseguenza, allo stesso tempo giuridico-processuale e pratica, che le pronunce della Corte centrale che disponessero l’annullamento con rinvio delle sentenze di appello per vizio motivazionale potrebbero certo in astratto essere impugnate per cassazione, essendone un divieto legislativo ordinario non consentito dall’art. 111, settimo comma, Cost., ma tali impugnazioni andrebbero a sbattere contro il muro dell’inammissibilità riscontrabile in limine, mediante formulazione di una proposta di definizione del giudizio ex art. 380 bis, cod. proc. civ.
Ed altresì le analoghe pronunce di annullamento con rinvio per violazione di legge, processuale o sostanziale, potrebbero essere definite ai sensi dell’art. 360, bis, cod. proc. civ., qualora ne ricorressero i presupposti applicativi, sempre con lo strumento processuale di cui all’art. 380 bis, cod. proc. civ. o al più con il semplificato rito camerale. Il che peraltro mette in evidenza sistematica il valore delle “due nomofilachie”, nel senso che la loro “sintonia” eliderebbe di molto il “rischio del doppione”, mentre la loro “distonia” troverebbe la sua ragione appunto con l’intervento della “nomofilachia sovraordinata” ossia quella che per Costituzione spetta alla Suprema Corte.
Tali specifici rimedi endoprocessuali bilancerebbero adeguatamente la possibile “contorsione” derivante dall’eventuale annullamento di dette pronunce da parte della Cassazione e potrebbero dare ragionevolezza anche sotto tale profilo all’impugnazione proposta. Infatti, essi possono attenuare in misura rilevante il rischio che un annullamento con rinvio al giudice tributario di appello disposto dalla Corte centrale venga a sua volta cassato con rinvio dalla Corte di Cassazione, creando un corto circuito nel processo e comunque allungando irragionevolmente i tempi di giudizio. Questa, che potrebbe essere l’unica vera e propria controindicazione, sarebbe così sostanzialmente elisa.
Infine, è ovvio che, come è per le Corti territoriali, la CGTC potrebbe investire la Corte di Cassazione di un rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis, cod. proc. civ.[7], ma con tutto il -maggior- “peso specifico” di un organo giudiziario di livello nazionale.
Anzi, meglio ancora, si potrebbe ipotizzare di renderlo obbligatorio per la Corte centrale, non solo sulla base dei presupposti attualmente previsti, ma anche qualora il giudice speciale apicale non intendesse uniformarsi alla giurisprudenza della Suprema Corte o ne chiedesse chiarimenti interpretativi, in analogia con quanto attualmente previsto dall’art. 374, terzo comma, cod. proc. civ., a disciplina dei rapporti tra le sezioni semplici e le sezioni unite della Cassazione ovvero dall’art. 267, terzo comma, TFUE per il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea. In tal modo il rischio di detta “contorsione” sarebbe addirittura azzerato.
3. Profili ordinamentali ed organizzativi: struttura dell'organo; previsioni sul fabbisogno di personale giudicante; la fase di start up
Quale Corte centrale?
La cosa più semplice e logica è ipotizzarne una struttura ed un’organizzazione anch’essa “a specchio” della Sezione tributaria della Corte di Cassazione, appunto perché si pensa ad un ruolo funzionalmente omologo.
Dunque, a fabbisogno invariato di giudizi sulle sentenze tributarie di appello, apparirebbero necessari almeno 50 giudici e 6 presidenti. Senz’altro utile sarebbe anche replicare la collaudata ed efficace organizzazione per aree tematiche (imposte dirette, imposte armonizzate, imposta di registro/tributi locali).
Le dotazioni materiali e il personale ausiliario ovviamente competerebbero al Ministero dell’economia e delle finanze.
Il problema è però come reperire il “personale giudicante”, non nella prospettiva, essendo chiaro che sarebbero i magistrati tributari a doversi impegnare in questa funzione, previo aumento dell’organico previsto dalla legge di riforma, ma nell’immediato e per quel periodo di tempo ancora lungo che necessita per mandare a regime la riforma ordinamentale della giustizia tributaria.
Il numero esiguo dei magistrati professionali che hanno esercitato il diritto di opzione ex legge 130/2022 non consente la soluzione al problema. Nemmeno è pensabile che si possa attingere dai successivi contingenti dei magistrati tributari reclutati con i concorsi, se non appunto dopo anni di esperienza e formazione nelle Corti di primo e secondo grado.
È allora chiaro che i giudici della CGTC nel breve/medio periodo non potrebbero che essere attinti primariamente dai giudici tributari del ruolo unico, i magistrati professionali, mediante opzione come già nella legge 130, gli altri, con una selezione ad hoc per titoli ed esami.
Peraltro, si potrebbe anche prevedere una quota riservata agli avvocati/dottori commercialisti e professori universitari in materia tributaria secondo un meccanismo analogo a quello previsto per i c.d. “meriti insigni” dall’art. 106, terzo comma, Cost., e dalla relativa legge attuativa.
Stante il principio, sancito dalla Corte costituzionale, di “revisionabilità perpetua” degli organi speciali di giustizia tributaria (ai sensi della Sesta disposizione transitoria della Costituzione), questa soluzione non incontrerebbe limiti costituzionali specifici e, tutto sommato, si modellerebbe sul principio di cui all’art. 102, terzo comma, Cost., per i giudici onorari ordinari. Ne potrebbe uscire un organo giurisdizionale a “composizione mista” innovativa e feconda, per la “fusione” delle competenze, delle esperienze e delle culture.
4. Giustificazioni e conclusioni
Inutile nascondere che la proposta evidenzia un potenziale bug: la “ragionevole durata” del processo ex art. 111, secondo comma, Cost. Certo un grado processuale in più, con la causidicità tributaria italiana, induce al timore e limita l’ottimismo.
Bisogna però “fare due conti”. Ed a “conti fatti” in realtà questo bug è solo apparente.
In termini di fatto.
La grande maggioranza numerica delle liti fiscali ha valori non elevati. Le statistiche dicono che il 50% di quelle di primo grado sono sotto il valore di 3.000 euro, mentre in Corte di Cassazione a fronte di un valore medio di 750 mila euro circa, il 23,3 % delle cause si pone sotto la soglia dei 20 mila euro, il 41,3 % sotto quella dei 50 mila euro, il 55,9% sotto quella dei 100 mila euro[8].
Il contenzioso, anche tributario, è anzitutto ed essenzialmente alimentato dall’ interesse economico delle parti, private o pubbliche che siano. Un terzo grado di giudizio speciale, congegnato come verifica di legittimità delle sentenze di appello nei termini dianzi indicati, potrebbe di per sé bastare al soddisfacimento del bisogno di “giustizia apicale” relativo alle liti di non elevata importanza economica e non è irragionevole ipotizzare che dunque una parte rilevante delle liti tributarie possa trovare in quella sede quiescenza. Le percentuali, non elevate, di appello e financo di ricorso per cassazione attuali inducono all’ottimismo al riguardo. In altri termini, se molte sentenze di primo e secondo grado vanno in giudicato per mancata impugnazione, ciò dovrebbe valere anche più per quelle di terza istanza, a partire proprio dalla correlazione impugnazione/valore economico della lite.
In termini di diritto.
Un giudizio di legittimità speciale configurato, come detto, “a specchio” di quello di legittimità ordinario, potrebbe comunque anch’esso essere una barriera efficace, non solo verso l’interno del sistema della giurisdizione speciale, ma anche in rapporto alla funzione -costituzionalmente sovraordinata- di nomofilachia, specializzata e generale, della Corte di Cassazione.
Infatti, spettando per Costituzione a quest’ultima l’“ultima parola” (di ordinamento interno) sulle questioni di diritto e sulle relative controversie, questa “parola” dovrebbe essere ragionevolmente richiesta ove vi fosse un’aperta o comunque una significativa discordanza tra la giurisprudenza della CGTC e quella della Cassazione.
Giacchè altrimenti, in caso di concordanza -auspicabile e ben possibile- piena e costante delle due nomofilachie, come detto sopra, ci sarebbe il firewall endoprocessuale dell’inammissibilità ex art. 360 bis, cod. proc. civ., qualora la Corte Suprema non intenda confermare o mutare il proprio indirizzo, quale recepito nella sentenza della CGTC.
Le considerazioni, in fatto ed in diritto, appena fatte inducono perciò a formulare una ragionevole prognosi favorevole sul disposition time complessivo del sotto sistema CGTC/Corte di Cassazione, posto che il prevedibile deflusso dei ricorsi proposti alla seconda e la “barriera giurisprudenziale” costituita dalle conformità interpretative delle due Corti, dovrebbe appunto consentire tempi di definizione processuale di questo giudizio di legittimità “allargato”, globalmente e significativamente, migliori.
Quindi il principio di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. non dovrebbe essere leso da questo, solo apparente, “appesantimento” processuale, anzi dovrebbe esserne meglio attuato. Del resto, l’esperienza dell’accesso diretto alla Suprema Corte conseguente alla abolizione della CTC evidenzia che è proprio questo principio costituzionale ad esserne violato, essendovi una forte discrasia tra i tempi abbastanza celeri dei due gradi di merito e quelli non altrettanto solleciti del giudizio di legittimità.
Passando ad un ragionamento di sistema ossia alla “virtuosità istituzionale” della proposta che presentiamo con questo scritto, appare necessario partire dalla strutturazione della giurisdizione tributaria italiana.
Con la riforma del 2022 (legge 130) si è mantenuta la dicotomia tra giurisdizione di merito speciale e giurisdizione di legittimità ordinaria. Questo è indubbiamente un vulnus funzionale che l’esperienza ha messo bene in evidenza.
Peraltro, la creazione di un “circuito autonomo” di giustizia tributaria, sul modello della giurisdizione amministrativa e di quella contabile, è inibito dalla Costituzione, che appunto lo prevede per questi ultimi plessi giudiziari, ma non per altri, che sono tutti quindi, ex art. 111, settimo comma, Cost., sotto l’“ombrello” della Corte di Cassazione.
Per autonomizzare integralmente (salve le questioni di giurisdizione) la giurisdizione tributaria speciale servirebbe una modifica dell’ottavo comma di detta disposizione costituzionale. Ma è ben noto che le revisioni costituzionali sono “merce rara” e molto difficile da trovare nel mercato politico legislativo.
Quindi i rimedi a detto vulnus non possono che essere trovati sul piano della normazione ordinaria. Quello proposto, la cui compatibilità costituzionale appare indubbia, lo è e non solo sul piano, appena affrontato, della durata, complessiva, dei giudizi tributari.
La legge 130/2022 ha infatti istituito la “quinta magistratura” professionale, configurando un nuovo ordinamento di giustizia analogo a quello delle altre giurisdizioni speciali. Ma questo sistema è acefalo, ha venti Corti di appello (più un buon numero di sezioni staccate), ma non una Corte centrale. L’idea di istituirla ha quindi una notevole valenza di (sotto)sistema, posto che si tratterebbe di un organo che, per primo ed in modo uniforme, può coordinare la giurisprudenza tributaria, nell’attività di verifica della legittimità delle sentenze di secondo grado, in rito e nel merito giuridico/fattuale (secondo quanto si è sopra ipotizzato).
È perciò indubbio che questo sarebbe un fatto altamente positivo, valorizzando appieno la scelta riformatrice come dire dal suo “interno”.
Fra l’altro, questa nuova istituzione si porrebbe come, unica e di per sé quindi autorevole, interlocutrice della Corte di Cassazione, rispetto alla sua funzione ex artt. 65, legge di ordinamento giudiziario, 111, Cost.
Nella logica costituzionale della “leale collaborazione” e secondo il -tendenziale- principio di unitarietà della giurisdizione, si tratterebbe di una chance di dialogo ermeneutico notevolmente più efficace e gestibile rispetto a quello attuale, frazionato tra le Corti territoriali. A Costituzione invariata (e difficilmente variabile), l’istituzione di una Corte tributaria centrale risulta essere pertanto un potente strumento, se non per eliminare, quantomeno per attenuare di tanto gli effetti negativi della “cesura organica” merito/legittimità.
Ed appare come l’unico modo realmente efficace per abbattere il flusso dei ricorsi per cassazione, la cui quantità “storica” ha danneggiato in misura rilevante sotto il profilo dei tempi di giustizia lo jus litigatoris e fortemente limitato l’efficacia della funzione nomofilattica in materia fiscale (jus constitutionis).
Ma del resto, è possibile una nomofilachia veloce e di qualità elevata ad un ritmo di oltre 10.000 decisioni all’anno, com’è stato negli ultimi 10 anni almeno?
Assegnandole la tipologia di impugnazione proposta, in sostanza la CGTC verrebbe “associata” alla Corte di Cassazione e concorrerebbe con quest’ultima nella funzione di assicurare «l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità, del diritto oggettivo nazionale» (art. 65, r.d. 12/1941), sia pure nella posizione subordinata imposta dalle regole costituzionali (art. 111, settimo comma, Cost.).
La funzione di nomofilachia è prerogativa costituzionalmente imposta alla Cassazione (il più volte citato settimo comma dell’art. 111), ma non le è riservata in via esclusiva, anzi, per le giurisdizioni speciali amministrativa e contabile è la stessa Costituzione a prevedere che sia esercitata dai rispettivi organi centrali. Quindi la proposta compartecipazione in tale funzione di un (re)istituendo apice della giurisdizione speciale tributaria di certo non incontra, per questo profilo “funzionale”, un divieto costituzionale espresso e nemmeno risulta collidere con la giurisprudenza della Corte costituzionale. Come già sopra rammentato, questa infatti, facendo leva sull’interpretazione della Sesta disposizione transitoria e finale della Costituzione, ha ormai in via risalente e consolidata fissato il principio della “revisionabilità perpetua” degli organi speciali di giustizia tributaria, sicchè è più che fondato ritenere che non avrebbe che dire in ordine alla proposta che si sostiene.
Per non considerare semplicemente “eretica” quest’idea, al di là di ogni giudizio sulla fecondità delle eresie, basti del resto pensare al rapporto, cui si è già fatto cenno sopra, che in materia di diritto unionale vi è tra la Corte di Cassazione e la Corte di giustizia UE, che è sicuramente un rapporto “dialogante”, ma altrettanto chiaramente basato sul principio di primazia della giurisprudenza della seconda, in quanto “diritto vivente” dell’Unione.
Nulla di male e nulla di particolarmente eccentrico quindi ad ipotizzarne uno analogo di diritto interno nella materia tributaria.
[1] Sull’ argomento, v. E. Manzon, L’istituzione per legge della sezione tributaria: presupposti e profili organizzativi, processuali ed ordinamentali, in La Cassazione civile riformata, Bari, 2023, 189 ss.
[2] Qui sviluppiamo le idee già esposte nel nostro intervento su Il SOLE 24 ORE dell’ 8 gennaio 2024, Alla Corte serve un filtro (ben fatto).
[3] Sul tema, senza alcuna pretesa di completezza, v. E. Capaccioli, Esclusività e pienezza della competenza delle Commissioni Tributarie, in Diritto e processo. Scritti vari di diritto pubblico, Padova, 1978, 774 ss.; C. Bafile, Il processo di terzo grado nel processo tributario, Milano, 1982; C. Glendi, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984, 559 ss.; P. Russo, Processo tributario, in Enc. dir., XXXVI, Milano, 1987, 99 ss. (dell’estratto); F. Tesauro, Lineamenti del processo tributario, Rimini, 1991, 199 ss.
[4] Sull’interpretazione di questa norma, v., in particolare, C. Glendi, Sui limiti di cognizione della Corte d’appello e della Commissione centrale dopo la riforma, in Dir. prat. trib., 1976, II, 788 ss.; P. Russo, op. cit., 100 ss.; F. Tesauro, op. cit., 201 ss.
[5] Con riferimento al giudizio dinanzi alla Commissione tributaria centrale, F. Tesauro, op. cit., 207 escludeva, invece, l’opportunità di un “doppio giudizio di tipo cassatorio”. Peraltro, tale convincimento traeva origine dalla considerazione per cui “un doppio giudizio di appello (e quindi un triplo giudizio di merito)” dinanzi alla Commissione centrale fosse “cosa anomala, ma giustificabile considerando che, data la composizione ed il funzionamento delle commissioni di primo e secondo grado, il legislatore ha voluto assicurare un grado «serio» di giudizio sul merito”. In altri termini, l’esclusione di un generalizzato giudizio “cassatorio” di fronte alla Commissione centrale trovava la propria peculiare ragion d’essere, secondo l’Autore, nelle carenze all’epoca ascrivibili ai precedenti gradi di merito.
[6] Al riguardo, v., per tutti, P. Russo, op. cit., 104 ss.
[7] Sul punto, cfr. Cass., sez. un., 13 dicembre 2023, n. 34851, che ha affermato l’applicabilità del rinvio pregiudiziale nel giudizio tributario di merito e anche su questioni di diritto incidenti sulla giurisdizione del giudice adito.
[8] Dati al 31 dicembre 2023; fonte, Corte di Cassazione-Ufficio di statistica.
Immagine: Lawrence W. Ladd, Hampton County Courthouse, ca. 1880, acquerello e matita su carta, Smithsonian American Art Museum, Gift of Bates and Isabel Lowry.