L’ESDEBITAZIONE NEL PASSAGGIO DALLA LEGGE FALLIMENTARE AL CODICE DELLA CRISI D’IMPRESA E DELL’INSOLVENZA di Daniele Vattermoli
Il Codice della crisi e dell’insolvenza dedica all’esdebitazione il Capo X del Titolo V (artt. 278-283). La scelta del legislatore delegato è stata quella, per un verso ed in parte, di riprodurre le disposizioni ora contenute nella legge fallimentare e nella l. n. 3/2012 e, per altro verso, di innovare profondamente la disciplina attuale, andando anche al di là dei confini segnati dai principi della legge delega n. 155/2017. L'articolo si propone di illustrare le novità più rilevanti, appunto, introdotte dalla riforma in tema di fresh start del debitore insolvente.
- L’esdebitazione: notazioni preliminari.
L’esdebitazione – attualmente disciplinata dagli artt. 142-144 l.fall. e dall’art. 14-terdecies l. n. 3/2012 – è l’istituto attraverso il quale il debitore fallito o sovraindebitato, ricorrendo determinate condizioni, viene liberato dall’obbligo di adempimento delle prestazioni ancora dovute ai creditori rimasti insoddisfatti dai riparti endoconcorsuali, in deroga alla regola ricavabile dall’art. 120, comma 3 l.fall.[1]. Quella appena descritta è, più in particolare, l’esdebitazione in senso stretto, che consegue alla chiusura di una procedura concorsuale che prevede la liquidazione dei beni del debitore [fallimento e liquidazione del patrimonio, oggi; liquidazione giudiziale e liquidazione controllata, quando entrerà in vigore il Codice della crisi e dell’insolvenza (CCI)], come tale intervenendo dall’esterno del rapporto obbligatorio, senza alcun coinvolgimento attivo della parte creditrice. Da tale figura si distinguono dunque le ipotesi di liberazione dai debiti che costituiscono un elemento di un accordo più ampio tra debitore e creditori (es., falcidia concordataria), che d’acchito sembrerebbero appartenere – ma in realtà così non è – alla medesima categoria concettuale dell’esdebitazione.
Per quel che concerne la ratio dell’istituto, occorre sottolineare come l’impossibilità di individuare una “controprestazione” diretta all’esdebitazione in senso stretto, possibile invece nell’ambito della falcidia concordataria, abbia imposto ed impone di ricercare la giustificazione della stessa al di fuori del rapporto obbligatorio che ne è investito.
In particolare, si ritiene comunemente cha tale giustificazione consista nell’agevolare il recupero al mercato di un soggetto (a maggior ragione se imprenditore) produttivo di reddito e di lavoro, il cui reinserimento nel tessuto economico verrebbe frustrato dalla permanenza del vincolo impresso dall’art. 2740, comma 1 c.c. sul patrimonio formatosi successivamente alla chiusura della procedura. Reinserimento che produrrebbe effetti benefici non soltanto sul piano personale, bensì anche a livello macroeconomico ed il cui costo viene sopportato dai creditori anteriori alla concessione del beneficio, a tutto vantaggio, a ben vedere, dei creditori futuri. Ciò che consente di cogliere, in una visione di insieme, il precipitato ultimo degli effetti della esdebitazione, rappresentato dallo spostamento di valore da un gruppo di soggetti ad un altro, del quale occorre ovviamente tener conto al momento della valutazione complessiva dell’istituto[2]. Può dirsi, dunque, che la disciplina della esdebitazione si caratterizza (o dovrebbe caratterizzarsi) per la ricerca del più efficiente punto di equilibrio tra le ragioni del debitore e quelle dei creditori concorsuali, nella consapevolezza che all’aumentare della flessibilità e all’allargarsi delle maglie per la concessione del beneficio, maggiore è il rischio per i secondi di subire la perdita totale della parte del credito non soddisfatta all’interno della procedura collettiva e più alto, di conseguenza, è il “premio” per la copertura ex ante dello stesso, che inevitabilmente si traduce in un aumento del costo del danaro.
Su di un piano generale va detto che l’esdebitazione è istituto di fonte legale, l’autorità giudiziaria limitandosi, invero, ad accertare la sussistenza delle condizioni, positive e negative, che le norme pongono per la sua concessione.
Sempre su di un piano generale sembra corretto ritenere che il rapporto obbligatorio non si estingua e che dunque sopravviva all’esdebitazione. Dato che emerge con sufficiente chiarezza dalla lettera degli artt. 14-terdecies, comma 4 l. n. 3/2012 e 143, comma 1, l.fall. nei quali si afferma che il giudice, accertate le condizioni poste dalla legge, «dichiara inesigibili nei confronti del debitore i crediti non soddisfatti integralmente»; norma replicata dal nuovo art. 278, comma 1 CCI, ai sensi del quale l’esdebitazione «comporta l’inesigibilità dal debitore dei crediti rimasti insoddisfatti». Che il rapporto obbligatorio sopravviva all’esdebitazione è poi confermato, seppure indirettamente, dell’art. 142, ult. comma, l.fall. ai sensi del quale «sono salvi i diritti vantati dai creditori nei confronti di coobbligati, dei fideiussori e degli obbligati in via di regresso»; disposizione che trova il proprio corrispondente, applicabile anche alla procedura di liquidazione controllata[3], nell’art. 278, comma 6 CCI.
L’inesigibilità del credito determinata dalla esdebitazione si atteggia come un effetto tendenzialmente definitivo, non essendo soggetto né a tempo né a condizione risolutiva (con l’entrata in vigore del CCI verrà meno anche la possibilità di revoca della concessione del beneficio, oggi prevista, ma solo nell’ambito della procedura di sovraindebitamento, dall’art. 14-terdecies, comma 5 l. n. 3/2012); ed è un effetto innescato, come si è detto, da un intervento esterno rispetto al rapporto obbligatorio che ne è investito. Caratteristiche che consentono di ricondurre l’obbligazione colpita dall’esdebitazione tra quelle naturali, ex art. 2034 c.c., il cui adempimento spontaneo non ammette la ripetizione della prestazione eseguita. Si tratta, più in particolare, di un’ipotesi di obbligazione naturale atipica sopravvenuta, che presenta più di un punto di contatto con il pagamento del debito prescritto (art. 2940 c.c.) [4].
- L’esdebitazione nel Codice della crisi e dell’insolvenza.
All’esdebitazione la legge delega n. 155/2017 dedica, con riferimento alla liquidazione giudiziale, l’intero art. 8; del beneficio si occupa, inoltre, l’art. 9, contenente i principi direttivi in tema di sovraindebitamento, confermandosi così, anche nel nuovo scenario, il sistema del doppio binario.
Il Codice della crisi e dell’insolvenza dedica all’esdebitazione il Capo X del Titolo V (artt. 278-283). La scelta del legislatore delegato è stata quella, per un verso ed in parte, di riprodurre le disposizioni ora contenute nella legge fallimentare e nella l. n. 3/2012 e, per altro verso, di innovare profondamente la disciplina attuale, andando anche al di là dei confini segnati dai principi di delega.
Dal punto di vista della struttura, il CCI si compone di un gruppo di disposizioni applicabili alla liberazione dai debiti nelle procedure concorsuali che prevedono genericamente la liquidazione dei beni del debitore e, dunque, comuni alla liquidazione giudiziale e a quella controllata (artt. 278-280); e di altri due gruppi, più circoscritti, di disposizioni che trovano applicazione alla prima (art. 281) o alla seconda (art. 282) procedura.
Qui di seguito le novità più rilevanti rispetto alla disciplina vigente.
A. Prendendo spunto dalle indicazioni provenienti dalle istituzioni comunitarie è in primo luogo stabilito che per entrambe le procedure il termine massimo per il conseguimento del beneficio è di tre anni, decorrente dalla data di apertura della liquidazione (art. 279, comma 1 CCI), salvo che la procedura si chiuda prima, nel qual caso si può ottenere con il provvedimento di chiusura.
Il beneficio dell’esdebitazione può peraltro essere ottenuto anche prima (trascorsi due anni dal momento dell’apertura della procedura), qualora il debitore abbia proposto tempestivamente – ossia nei termini stabiliti dall’art. 24 CCI – l’istanza di composizione assistita della crisi (art. 279, comma 2 CCI), dando luogo ad una ulteriore misura premiale che si aggiunge a quelle contemplate dall’art. 25 CCI.
B. In secondo luogo, la liberazione dai debiti, come auspicato nella Raccomandazione UE del 2014 e dalla proposta di Direttiva del 2016, è effetto automatico del trascorrere del tempo, ma solo per il debitore sovraindebitato (art. 282, comma 1 CCI, rubricato “Esdebitazione di diritto”, ma che, più correttamente, andrebbe qualificata come esdebitazione “d’ufficio”). Per gli altri debitori, invece, la liberazione d’ufficio sembrerebbe possibile solo in sede di chiusura della procedura di liquidazione giudiziale: è infatti richiesta l’istanza del debitore qualora siano trascorsi tre anni e la procedura non sia ancora chiusa (art. 281, comma 2 CCI).
C. Sempre nell’ottica di facilitare l’esdebitazione si colloca la novità data dalla riduzione a 5 anni del lasso temporale minimo che deve intercorrere tra una esdebitazione e l’altra [art. 280, comma 1, lett. d) CCI], che l’attuale art. 14-terdecies, comma 1, lett. c), l. n. 3/2012 fissa in 8 anni per il sovraindebitato e l’art. 142, comma 1, n. 4) fissa in 10 anni per gli altri debitori. Per tutte le categorie di debitori è poi introdotto il limite, fin qui sconosciuto, delle due esdebitazioni [“quarta opportunità” non datur: art. 280, comma 1, lett. e) CCI].
D. Degna di segnalazione è la novità contemplata dall’art. 283 CCI che disciplina quella che può definirsi l’esdebitazione totale del sovraindebitato; ossia la liberazione integrale dai debiti del debitore persona fisica che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, superandosi così il requisito, attualmente esistente, del soddisfacimento almeno parziale dei creditori.
Con riferimento a quest’ultima ipotesi – che, certo, dal punto di vista sistematico ha un impatto di non poco momento, sol che si consideri che in tal modo la procedura concorsuale da strumento di tutela del credito si trasforma, seppure una tantum, in un istituto a beneficio esclusivo del debitore – la legge fa peraltro salvo per il debitore, «l’obbligo di pagamento del debito entro quattro anni, laddove sopravvengano utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al dieci per cento».
Premesso che il termine di quattro anni sembrerebbe da ricollegare alla durata minima oggi stabilita per la procedura di liquidazione del patrimonio, non può non rilevarsi la bizzarria della disposizione, che disegna quella che, con un ardito parallelo, può definirsi una “esdebitazione modale”, del tutto sconosciuta al nostro ordinamento.
Una esdebitazione, per di più, nella quale il modus può nel caso concreto – quando cioè le utilità sopravvenute siano tali da coprire l’intero debito inizialmente oggetto di esdebitazione – assumere contorni tali da annullare completamente il beneficio iniziale per il debitore. Ciò che comporta un doppio effetto boomerang, ossia: per un verso, che per il soggetto sovraindebitato potrebbe essere più conveniente l’esdebitazione definibile “comune” piuttosto che quella integrale; per altro verso e correlativamente, che la misura si traduce in un potente disincentivo per il debitore a produrre nuova ricchezza (almeno per i primi quattro anni), raggiungendo così un risultato esattamente antitetico a quello che unanimemente si ritiene essere l’obiettivo della discharge.
Inoltre, la particolarità di tale forma di esdebitazione una tantum risiede nel fatto che è svincolata dall’apertura di qualsivoglia procedura, nel senso che il debitore presenta tramite l’OCC la domanda al giudice competente, il quale, valutata la meritevolezza del debitore e verificata l’assenza di atti in frode e la mancanza di dolo o colpa grave nella formazione dell’indebitamento, concede con decreto l’esdebitazione (ferma restando la possibilità per i creditori di proporre opposizione).
E. Strettamente collegata alla novità rappresentata dalla esdebitazione del debitore incapiente v’è poi quella della scomparsa della condizione data dal soddisfacimento, almeno parziale, dei creditori concorrenti [artt. 142, comma 2 l.fall. e 14-terdecies, comma 1, lett. f) l. n. 3/2012]. Peraltro, pur non essendo prevista espressamente come condizione per il riconoscimento del beneficio, l’esistenza stessa della disciplina della liberazione una tantum riservata ai soli debitori persone fisiche sovraindebitati sembrerebbe consentire una interpretazione sistematica in virtù della quale: a) nella liquidazione giudiziale è sempre necessario soddisfare, seppure parzialmente, i creditori concorsuali; b) il debitore sovraindebitato che accede alla procedura di liquidazione controllata deve in ogni caso soddisfare, seppure parzialmente, i creditori concorsuali, salvo sia una persona fisica e salvo che attivi, una tantum appunto, il meccanismo dell’art. 283 CCI (nel qual caso, peraltro, non è neanche necessario accedere alla procedura di liquidazione controllata).
Certo, una norma espressa sul punto, che avesse chiarito anche le modalità di soddisfacimento “minimo” che consentono al debitore di ottenere il beneficio, sarebbe stata tutt’altro che superflua.
F. Sostanzialmente immutate, rispetto alla disciplina attuale, sono invece le altre condizioni poste per l’ottenimento del beneficio, con l’art. 280 che ricalca, grosso modo, l’art. 142, comma 1 l.fall. e, in buona misura, l’art. 14-terdecies, comma 1 l. n. 3/2012.
Così come assai simile si presenta il contenuto dell’art. 278, comma 7 CCI rispetto agli artt. 142, comma 3 l.fall. e 14-terdecies, comma 3 l. n. 3/2012 [anche se di quest’ultima norma non viene replicata la lettera c), relativa ai debiti fiscali accertati successivamente all’apertura della procedura], avuto riguardo ai debiti esclusi dell’esdebitazione.
G. In tema di esdebitazione, però, la novità più rilevante recata dalla legge delega, prima, e dal CCI, poi, è senza dubbio quella che concerne l’esdebitazione delle società.
Rompendo quello che sembrava un vero e proprio dogma è infatti espressamente stabilito che ad essere destinatarie del provvedimento di esdebitazione possano essere non soltanto i debitori persone fisiche, ma anche le società, sia di persone sia di capitali (art. 280, commi 3-5 CCI).
La scelta così operata dal legislatore domestico – che rappresenta un unicum nel panorama internazionale, se si eccettua l’ordinamento cileno – pare senz’altro condivisibile, specialmente qualora si ritenga che la chiusura del fallimento della società non conduca necessariamente ed inesorabilmente all’estinzione della stessa.
Premesso che la verifica dell’esistenza dei presupposti di meritevolezza per l’ottenimento del beneficio deve essere condotta nei confronti dei soci illimitatamente responsabili e dei legali rappresentanti, con riguardo agli ultimi tre anni anteriori alla domanda cui seguita l’apertura di una procedura liquidatoria, non v’è dubbio che la possibilità riconosciuta alle società di ottenere l’esdebitazione abbia una serie di ripercussioni sul piano sistematico.
In particolare, dalla previsione del discharge delle società può ricavarsi che:
a) anche in caso di chiusura per riparto totale dell’attivo l’estinzione della società non è evento ineluttabile e che dunque il curatore non può e non deve procedere con la richiesta di cancellazione dal registro delle imprese, qualora i soci (o gli amministratori) abbiano manifestato l’intenzione di chiedere il beneficio[5];
b) l’ordinamento pacificamente riconosce l’esistenza di un valore intrinseco alla struttura organizzativa delle società, perché altrimenti nessun senso avrebbe l’esdebitazione per un ente con un patrimonio che è pari a zero.
Da questo punto di vista, la norma può essere letta in continuità con la disciplina delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, qualora la proposta preveda l’aumento di capitale con esclusione del diritto d’opzione. Le due situazioni sono, ovviamente, molto diverse, ma riflettono in fondo la stessa idea, quella che, al di là ed al di fuori del patrimonio in senso stretto, anche l’assetto organizzativo della società può avere un valore economico;
c) la riforma prospettata impone di ripensare alla ratio dell’esdebitazione, spogliandola di tutti quei profili di solidarietà e di giustizia sociale che fin dalla comparsa dell’istituto avevano costituito la base sulla quale è stata costruita la giustificazione dello spostamento di valore da un gruppo di creditori ad un altro, di cui si è detto all’inizio di questo scritto. Ed anche di ciò, ovviamente, si dovrà tener conto nella valutazione complessiva dell’istituto e nelle scelte di politica legislativa che ne conseguono, ai fini dell’equilibrato contemperamento degli interessi coinvolti;
d) diviene attuale, a questo punto, l’interrogativo in ordine all’applicabilità della disciplina dell’esdebitazione nell’ambito delle procedure di l.c.a. e di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, essendo destinato a venir meno l’unico elemento di ontologica incompatibilità, ad oggi esistente, tra l’istituto de quo e le procedure summenzionate[6].
[1] Cfr. V. Santoro, Commento sub art. 142, in A. Nigro-M. Sandulli-V. Santoro, La legge fallimentare dopo la riforma, II, Torino, 2010, p. 1864; A. Castagnola, L’esdebitazione del fallito, in Giur. comm., 2006, I, p. 448 ss.; L. Panzani, L’esdebitazione, in Trattato delle procedure concorsuali, a cura di A. Jorio-B. Sassani, III, Milano, 2016, p. 660; L. Ghia, L’esdebitazione: evoluzione storica, profili sostanziali, procedurali e comparatistici, in Trattato delle procedure concorsuali, a cura di U. Apice, II, Torino, 2009, p. 653 ss.
[2] Cfr. L. Stanghellini, «Fresh start»: implicazioni di «policy», in Analisi giuridica dell’economia, 2004, p. 442.
[3] Nel sistema attuale, nonostante la mancanza di una norma analoga all’art. 142, ult. comma, l.fall., chi scrive è giunto comunque a ritenere che anche nell’ambito dell’esdebitazione ex art. 14-terdecies l. n. 3/2012, restino comunque salvi i diritti dei creditori concorsuali nei confronti dei soggetti (coobbligati, fideiussori e obbligati in via di regresso) legati al debitore “esdebitato” dal vincolo della solidarietà passiva. Sul punto cfr. D. Vattermoli, La procedura di liquidazione del patrimonio del debitore alla luce del diritto “oggettivamente” concorsuale, in Dir. fall., 2013, I, p. 799.
[4] Conf. V. Santoro, Commento sub art. 143, cit., p. 1875.
[5] Peraltro, non è neanche detto che al termine della procedura la società abbia sicuramente un patrimonio pari a zero. È teoricamente possibile, invero, che la società, sfruttando le nuove potenzialità dell’istituto, abbia chiesto ed ottenuto l’esdebitazione durante il corso della procedura e che nel periodo di tempo intercorrente tra la concessione del beneficio e la chiusura della procedura siano entrati nuovi beni nel patrimonio dell’ente.
[6] D. Vattermoli, L’esdebitazione tra presente e futuro, in Riv. dir. comm., 2018, II, p. 495.