Il Ministero per la promozione della Virtù e la prevenzione del Vizio
di Maria Teresa Covatta
E' notizia di questi giorni che i talebani al potere in Afghanistan hanno chiuso il Ministero degli Affari Femminili e lo hanno sostituito con quello per la promozione della Virtù e la prevenzione del Vizio.
In realtà non si tratta di un una istituzione ex novo ma del ripristino di un dicastero che già esisteva durante il precedente regime talebano cessato nel 2001, ben noto per l'imposizione di rigide regole religiose, portato di un'altrettanto rigida interpretazione della sharia, che imponeva agli uomini di partecipare alle preghiere e di non tagliarsi la barba ma, ben più duramente, proibiva alle donne qualsiasi partecipazione alla vita pubblica, intesa come divieto, persino, di camminare per strada se non accompagnate da un maschio con stretti vincoli di parentela.
Come in passato la struttura del ministero si completa con la cosiddetta Polizia della Moralità, incaricata di assicurare l'assoluto rispetto della sharia e nota per garantirlo con l'uso della frusta, della carcerazione e della lapidazione.
Tracotanza o cecità ?
Il nome del ministero, che già di per sè, è tutto un programma, non stride con tutto quello che sta accadendo in Afghanistan e quindi, purtroppo, non desta particolare sorpresa .
La caccia alle donne, specialmente quelle istruite, per non parlare di quelle che esercitano professioni quali l'avvocatura e la magistratura o quelle che si occupano di tutela dei diritti umani e tutto quell'insieme di violazioni dei diritti immediatamente perpetrate fin dal primo momento della conquista del potere sono ormai noti a tutti
E' sorprendente, invece, che questa iniziativa, insieme a quella di riaprire le scuole, siano esse primarie, medie e superiori, solo per studenti maschi e solo con docenti maschi o quella di dare la caccia alle cicliste, nel mirino del regime perchè "evidentemente non più vergini", sia adottata in questo particolare momento storico-politico in cui l'Afghanistan è al centro del dibattito internazionale, nell'ambito del quale i talebani stanno cercando di rappresentare se stessi come profondamente diversi da quelli che persero il potere nel 2001.
Il contesto internazionale
Il 20 settembre ha avuto inizio la 76esima Assemblea Generale ONU e naturalmente, oltre ai temi già programmati quali clima e pandemia, la crisi afgana si è collocata al centro dell'agenda dei lavori. Oltre 100 capi di stato e di governo si stanno occupando del collasso afgano e dei gravi problemi che ha sollevato, dalla crisi umanitaria al crollo delle istituzioni di un Paese di grande importanza strategica, affrontando i timori dati dalla posizione geopolitica dell'Afghanistan e dal pericolo del riaffermarsi di forze estremiste radicali armate, su cui hanno dibattuto in particolare, il 22 settembre, i capi delle diplomazie dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza
Nello stesso contesto si sono svolti anche incontri bilaterali che hanno posto il focus sul problema specifico delle donne afgane oltre che sul rispetto dei diritti umani in generale.
I talebani non hanno mancato di farsi sentire.
La loro richiesta è, evidentemente, il riconoscimento internazionale.
Chiedono la parola all'Assemblea Generale, sottolineando che l'Afghanistan e' membro dal 1946.
Chiedono la riapertura di tutte le ambasciate straniere,quale forma anticipata di riconoscimento internazionale
In una lettera inviata al Segretario Generale Guterres chiedono di far intervenire immediatamente il ministro degli affari esteri designato dal nuovo regime in luogo del rappresentante del governo Ghani, affermando che questi, secondo le regole del diritto internazionale, non può sedere in Assemblea poichè quel governo è ormai deposto e non può più essere riconosciuto dalla comunità internazionale.
La richiesta non potrà essere accolta poichè dovrà essere sottoposta al vaglio del Comitato ONU per la valutazione delle credenziali, che si riunirà a fine novembre, ma rappresenta plasticamente la volontà del regime talebano di acquisire una dignità internazionale rispetto alla quale sono tutt' altro che disinteressati.
La situazione afgana sarà al centro del G20 Straordinario sul quale la presidenza del Consiglio italiana sta lavorando da tempo, predisponendo un vertice dei leader G20 sul futuro dell'Afghanistan che sembra ormai in via di definizione e che sta subendo una forte accelerazione anche durante l'Assemblea Generale
Si è già svolto un G7 straordinario che ha riunito i ministri degli esteri dei Paesi membri e il 7 ottobre è convocato dalla commissaria per gli affari interni della Commissione UE Ylva Johansson un forum di alto livello, cui parteciperanno , oltre all'Alto Rappresentante Borrell e ai rappresentanti degli Stati membri anche i rappresentanti di USA, Canada, Regno Unito e di molte organizzazioni internazionali
Insomma l'attenzione della comunità internazionale sull'Afghanistan non è calata e anzi fornisce la misura di quali siano i timori di destabilizzazione dell'area, dell'affluenza incontrollata dei profughi e del pericolo del riaffermarsi del terrorismo
In tutti questi contesti la parola d'ordine è "badare ai fatti più che alle dichiarazioni" : e i fatti sono, attualmente, che sul terreno i mullah continuano a tradire le promesse di un approccio moderato e inclusivo , anche in termini di tutela dei diritti umani e delle donne in particolare, sostanzialmente non corrispondendo, nei fatti appunto, a nessuna delle richieste della comunità internazionale di cui hanno un bisogno assoluto, dato il contesto attuale del Paese
Il contesto nazionale
L'Afghanistan è un Paese a rischio fame. Non a caso si parla di emergenza nell'emergenza. La siccità minaccia sette milioni di afgani e se entro ottobre i contadini non potranno seminare si rischia il fallimento dei prossimi raccolti, prospettiva allarmante se si pensa che l'80% degli afgani vive di agricoltura .
La FAO ha fornito e fornisce assistenza che non è tuttavia sufficiente a garantire tutti e neppure la maggior parte di loro . Le analisi dicono che almeno il 30 % del bestiame è a rischio;
i 3,5 milioni di sfollati all'interno a causa dell'irruzione dei talebani ha aumentato a dismisura la pressione sulle città e diminuito drasticamente la comunità degli allevatori e degli agricoltori costretti ad abbandonare le loro attività e a spostarsi verso i centri urbani dove vivono in situazioni di povertà estrema e ad incalcolabile rischio di malattie
Il sistema sanitario è al collasso: mancano le forniture mediche, anche le più basiche, mancano le medicine e la benzina per le autoambulanze. La pandemia è fuori controllo
L'ONU ha stanziato 45 milioni di dollari in aiuti umanitari per far fronte all'emergenza , che saranno gestiti da OMS e da UNICEF. Stanziamenti umanitari provengono anche da altri Paesi ma rappresentano una goccia nel mare dei bisogni attuali della popolazione afgana
La nuova situazione politica pone problemi di diritto internazionale che potranno incidere anche sulla situazione economica del Paese, dal rischio della denuncia degli accordi stipulati dagli Stati occidentali con la Repubblica Islamica afgana, che prevedevano finanziamenti a lungo termine in favore del precedente governo al taglio dei fondi di sviluppo ( in poche parole le sovvenzioni fatte direttamente ai governi per l'attuazione di progetti di sviluppo) in favore di aiuti umanitari alle popolazioni (che non vengono gestiti dai governi).
Concludendo, sembrano esserci due certezze: il regime talebano ha assoluto bisogno della comunità internazionale, il regime talebano non sta facendo nulla per corrispondere alle richieste della comunità internazionale di cui ha bisogno.
Questa antitesi neppure si risolve con l'accusa, molto (e giustamente ) diffusa che i talebani mentono e che mentire all'evidenza sia uno stile consolidato. Perchè la menzogna, per quanto rozza, per essere "accettabile", in genere è si ammanta di un minimo di apparente verità che la renda, almeno apparentemente credibile.
La pericolosa certezza di essere nel giusto
Come si possano conciliare tra loro questi aspetti è difficile dire, forse anche per osservatori politici di grande spessore ed per esperti di geopolitica e degli equilibri internazionali
Da profana lettrice di stampa nazionale ed internazionale, mi ha colpito, però, una recente intervista rilasciata al Corriere della Sera da Zabihullah Mujahid, portavoce dei talebani,che parrebbe suggerire una risposta che non fa ben sperare.
Afferma Mujahid che l'Afghanistan ha assoluto bisogno del mondo esterno. " Noi abbiamo bisogno del vostro aiuto . Ma voi dovete capire il nostro Paese e rispettare i nostri valori. . Per noi taliban la nostra tradizione è insuperabile, compresa la nostra concezione della donna"
Questa visione è stata velatamente criticata persino - è tutto dire- dal premier del Pakistan, Paese che com'è noto, non brilla per la tutela dei diritti delle donne posto che, tanto per dirne una, il Gender Equality Forum lo colloca al penultimo gradino della scala di valutazione sotto il profilo del rispetto della parità di genere.
Il premier pakistano, forse anche perchè (si potrebbe maliziosamente pensare) particolarmente interessato agli ingenti aiuti che gli stanno arrivando dall'Europa e dagli Stati membri per il sostegno ai profughi afgani , ha detto infatti che il divieto di far studiare le donne non ha nulla a che vedere con la religione islamica
Si potrebbe concludere, sempre da profani osservatori alla finestra, che se la certezza granitica di essere nel giusto e di agganciare le proprie convinzioni alla tradizione ed alla legge di dio è medioevale, agganciarla al rispetto di valori non condivisi e non condivisibili perchè estranei a valori universali è pericolosa e senza via di uscita.
Per questo anche il "semplice" mutamento del nome di un ministero è una terribile minaccia