Il d.d.l. Zan e le sue implicazioni
di Giuseppe Savagnone
Sommario: 1. Letture confliggenti - 2. Il valore del corpo - 3. La portata simbolica ed educativa del d.d.l. Zan - 4. Le buone ragioni - 5. Dalla tutela delle persone alla teorizzazione dell’indifferenza sessuale - 6. Le linee guida per la scuola della Regione Lazio - 7. Uscire dalla logica degli slogan e delle etichette.
1. Letture confliggenti
Sul ddl Zan se ne sono dette di tutti i colori, trasformandolo – soprattutto per chi non ha avuto la pazienza di leggere il testo – in un oggetto misterioso. Lo si è esaltato come una elementare misura di civiltà, che ci mette finalmente al passo con gli altri Paesi europei; lo si è accusato di contenere una normativa superflua e soprattutto liberticida, che introduce la censura delle idee; ultimamente - con sorpresa generale, questa volta l’opposizione è venuta da ben 17 associazioni femministe, tra cui Arcilesbica - lo si è rimesso in discussione perché non rispettoso della identità femminile.
A sostenere la prima interpretazione è tutta l’area che potremmo chiamare di “sinistra”, in particolare il Pd, che, col suo segretario, si è compattato a difesa del nuovo provvedimento. Oppositori acerrimi i partiti della “destra”, soprattutto la Lega, e la Conferenza Episcopale italiana, anche se il suo presidente, il card. Bassetti, proprio in questi giorni, in un veloce scambio di battute con i giornalisti, è sembrato voler correggere il tiro e – pur continuando a negare la necessità di una normativa specifica per l’omofobia - ha riconosciuto che il testo esprime in sé un’esigenza condivisibile e perciò non va affossato, ma modificato.
Sul carattere liberticida del ddl continua ad insistere Salvini, anche dopo l’introduzione di un emendamento, contenuto nell’art.4, dove si dice espressamente: «Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimento di opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a de-terminare il concreto pericolo del compi-mento di atti discriminatori o violenti».
L’aggiunta di questo riconoscimento esplicito del pluralismo non impedisce che circolino sul web panzane terroristiche, che danno per inevitabile, se il ddl Zan diventerà legge, l’arresto e la condanna di un prete che dal pulpito o durante il catechismo insegna la dottrina cattolica sul matrimonio.
Molto più seria e radicale è la critica che viene al testo dalle associazioni femministe. Il punto cruciale è la centralità, nel ddl, dell’identità di genere. «Per “identità di genere”», spiega il disegno di legge «si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso».
2. Il valore del corpo
E’ questo sganciamento dell’identità di genere da quella biologica del sesso a costituire, secondo la critica delle femministe, un misconoscimento dell’identità delle donne. Nel documento in cui le 17 associazioni si dissociano dal ddl, leggiamo: «Si vuole che la realtà dei corpi – in particolare quella dei corpi femminili – venga fatta sparire. È la premessa all’autodeterminazione senza vincoli nella scelta del genere a cui si intende appartenere», rendendo insignificante il ruolo del sesso biologico ed esponendosi ad ogni sorta di confusione.
Si cita anche un caso concreto: «In California 261 detenuti che “si identificano” come donne chiedono il trasferimento in carceri femminili. Il “genere” in sostituzione del “sesso” diviene quindi il luogo in cui tutto ciò che è dedicato alle donne può essere occupato dagli uomini che si identificano in “donne” o che dicono di percepirsi “donne”».
Si tratta, in realtà, di un problema che i critici delle concezioni centrate unilateralmente sul “genere” hanno da sempre sollevato e che risorge ogni volta che, dal doveroso rispetto per le persone omosessuali, si passa alla teorizzazione della perfetta equivalenza tra omosessualità e eterosessualità, demandando la scelta alla percezione soggettiva dell’individuo, senza alcun riferimento al dato biologico del sesso. I corpi, con la loro struttura biologica e morfologica, hanno un loro racconto che deve essere ascoltato e non può essere messo tra parentesi, affidandosi solo a una esperienza puramente psicologica come «l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso».
3. La portata simbolica ed educativa del d.d.l. Zan
Al di là di queste diverse letture, il ddl Zan in sé comporta soltanto l’estensione ai comportamenti violenti «fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità» le aggravanti che già il nostro ordinamento prevede per quelli che riguardano i reati «commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso» (artt. 604-bis e 604-ter del Codice penale).
Qualcuno si è chiesto con stupore come mai una innovazione così contenuta abbia trovato tanta resistenza e ancora stia accendendo in simile vespaio di polemiche. La risposta è che la vera posta in gioco, qui, non sono gli anni in più o in meno che un eventuale omofobo violento dovrebbe scontare, ma il carattere fortemente simbolico e pedagogico che la nuova legge avrà.
La legislazione di un Paese non mira solo a regolamentare singole situazioni, bensì a influenzare la mentalità e il costume, plasmando così il volto di una società e delle persone che vivono in essa. Le norme giuridiche, insomma, in quanto rendono lecito o illecito un certo comportamento, additandolo pubblicamente come espressione di un valore o di un dis-valore, hanno anche una funzione educativa. Aristotele non faceva che dar voce al buon senso quando scriveva che «i legislatori rendono buoni i cittadini creando in loro determinate abitudini» (Etica Nicomachea, 1103 b).
Per questo, a quanti fanno notare che già nel nostro ordinamento è ampiamente assicurata una tutela dei diritti delle persone – inclusi, ovviamente, gli omosessuali - , e che questa nuova normativa è dunque superflua, i sostenitori del ddl Zan replicano che manca però una specifica menzione – con relativo aggravamento di pena – dei reati legati all’omofobia, che è presente nella legislazione di molti altri Paesi, e che qui è in gioco un problema di “civiltà”.
Non basta, insomma, che gli individui siano tutelati come persone: sono la loro «identità sessuale» e i loro «orientamenti sessuali» che devono esserlo, additandoli come valori riconosciuti dalla collettività e ormai indiscutibili.
Con una immediata, evidente ricaduta sull’immagine condivisa della famiglia, prima ancora che sul suo regime giuridico, a cominciare dal diritto morale, proprio di ogni coppia, di avere dei figli. Diritto che in Paesi “civili” comporta il ricorso alla pratica dell’ “utero in affitto” (nel nostro ancora esclusa dalla legge e mai menzionata dal ddl Zan), di per sé utilizzata anche da coppie etero, ma per ovvi motivi particolarmente appropriata a quelle gay.
Probabilmente, non saranno molti gli omofobi che si asterranno, in futuro, dai loro squallidi comportamenti persecutori, del resto già punibili a termini di Codice penale, perché intimoriti dalle aggravanti di pena previste dalla nuova legge. Ma da ora in poi l’omosessualità entrerà ufficialmente, a pieno diritto, nella sfera dei comportanti “normali”, anzi con il fascino che hanno le cose un tempo proibite e ora rivalutate.
4. Le buone ragioni
Alla luce di questo carattere simbolico, si può capire perché tanti caldeggino la definitiva approvazione del disegno di legge. La nostra storia passata e presente è piena di «pregiudizi, discriminazioni, violenze» nei confronti di gay, lesbiche, transessuali. Le persone omosessuali sono state – e spesso sono ancora - derise, umiliate, emarginate, a volte anche perseguitate. Le si è costrette a nascondersi, a mascherare la loro vera identità e a darle libera espressione solo nell’oscurità di ambienti ambigui e violenti, privati del diritto di avere una vita affettiva – non solo sessuale! – come tutti gli altri. E ancora oggi suscita scandalo in tanti la presa di posizione di papa Francesco, quando afferma che «gli omosessuali sono figli di Dio», esattamente come gli etero, portatori come loro dell’immagine di Dio impressa nei loro volti.
Si capisce allora che alla base del disegno di legge ci sia non solo e non tanto la volontà di combattere, assumendoli come reati, comportamenti spregevoli ancora tristemente riscontrabili nella cultura diffusa, ma soprattutto quella di rivendicare la dignità umana di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali. Sorprende che, da parte di tanti cattolici, che dovrebbero essere particolarmente sensibili al rispetto delle persone, quale che sia la loro condizione esistenziale, sia sfuggito questo aspetto, per concentrarsi solo sugli aspetti problematici e precludendosi così la possibilità di una diversa stesura, condivisa, del testo.
5. Dalla tutela delle persone alla teorizzazione dell’indifferenza sessuale
Resta il fatto che, così com’è, il ddl non si limita a difendere i diritti delle persone omosessuali, ma, proprio per il suo carattere simbolico e pedagogico, pone le basi per una educazione capillare alla cultura dell’indifferenza sessuale.
Se si guarda al ddl Zan sotto questo profilo, si può facilmente prevedere che i suoi effetti non si manifesteranno nelle aule dei tribunali, ma in tutte le sedi in cui si realizza un’opera educativa.
Acquista allora il suo pieno significato l’art. 6, che istituisce la Giornata nazionale contro l’omofobia - che sarà celebrata il 17 maggio – in cui saranno organizzate «cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile, anche da parte delle amministrazioni pubbliche e nelle scuole».
Quale messaggio sarà proposto in questa occasione e in tutte le alte che indubbiamente, all’ombra di quella, si moltiplicheranno? È abbastanza ovvio. Che è una questione di “civiltà” riconoscere la perfetta equiparazione etica e giuridica tra omosessualità ed eterosessualità, con la consegente irrilevanza dell’essere biologicamente di sesso maschile o femminile. E poiché espressamente si è voluto che questo messaggio giungesse non solo agli studenti della scuola secondaria, maggiormente in grado di valutarlo criticamente, ma a quelli di ogni ordine e grado, fin dalle elementari, gli effetti, in termini di condizionamento, sono garantiti. Né sarà possibile sottrarre i propri figli più piccoli a questa campagna “civilizzatrice”, perché in Parlamento è stato espressamente respinto un emendamento che chiedeva fosse introdotta la condizione del consenso dei genitori.
6. Le linee guida per la scuola della Regione Lazio
Ma per questa deriva non c’è stato neanche bisogno di attendere l’approvazione formale del ddl Zan. Nelle linee guida appena diffuse dalla Regione Lazio per le scuole di ogni ordine e grado, col titolo «Strategie di intervento e promozione del benessere dei bambini e degli adolescenti con varianza di genere», si dice, nell’introduzione, che negli ultimi anni si è assistito al «superamento del concetto di “binarismo sessuale” che prevede l’esistenza di solo due generi (maschile e femminile), sostituito da quello di “spettro di genere” secondo il quale il genere si presenta in un’infinita varietà di forme, dimensioni e tonalità».
Il nuovo punto di riferimento sembra diventare l’identità di genere, definita nel testo come «sensazione di appartenere al genere maschile, femminile, entrambi o nessuno dei due». In base ad essa, si prevede la possibilità dell’«assegnazione di un’identità provvisoria, transitoria e non consolidabile» a chi non si ritrova a suo agio con la propria struttura maschile o femminile. Anche l’uso dei nomi e dei pronomi dovrà adeguarsi a questa scelta, permettendo allo studente «di sentirsi riconosciuto nella propria identità di genere». Una nota specificamente organizzativa è l’individuazione di bagni e spogliatoi non connotati per genere.
Regole per casi particolari o “piano inclinato” che faciliterà lo smarrimento della propria originaria identità maschile/femminile di ragazzini/e, in un momento delicatissimo del loro sviluppo? È inquietante l’esperienza del Regno Unito, all’avanguardia su questo fronte, dove, secondo dati ufficiali del sistema sanitario inglese, solo nel 2015, fra aprile e dicembre, 1.013 minorenni inglesi sono stati sottoposti a terapie per il “disordine dell’identità di genere”, trattamenti che vanno dalla consulenza psicologica fino al bombardamento ormonale per bloccare lo sviluppo del paziente in vista del cambiamento chirurgico del sesso. Cinque anni fa, nel 2009-2010, i minorenni trattati in questi modi erano 97.
Si spiega perché nel dicembre scorso l’alta Corte britannica abbia imposto uno stop a queste pratiche sempre meno controllabili, motivandolo con la considerazione che è «altamente improbabile» che un adolescente – specie al di sotto dei 16 anni – possa comprendere in maniera «appropriata» gli effetti a medio e lungo termine del cambio di genere e fornire a chi lo prende in cura per la transizione da un sesso all’altro un adeguato «consenso informato».
Una scuola dove si insinua il dubbio sistematico sulla identità sessuale non rischia di essere la migliore preparazione a questo tipo di derive?
7. Uscire dalla logica degli slogan e delle etichette
Il ddl Zan, ovviamente, non ha immediatamente a che fare con questi sviluppi, se non perché prevede esso stesso un intervento nelle scuole e, soprattutto, per il montare di un’onda di favore nei suoi confronti, entro cui si collocano le prese di posizione di Fedez e di altri personaggi dello spettacolo.
Forse se si facesse più attenzione alle critiche delle associazioni femministe ci si chiederebbe se davvero non si possa trovare un modo di tutelare le persone omosessuali, come è più che giusto fare, che non implichi la codificazione del concetto di «identità di genere», con ciò che essa comporta. Solo che per questo ora è tardi. Bisognava pensarci prima. Non è tardi però per aprire un dibattito in cui, invece di essere in primo piano, come ora, gli slogan e le etichette - “difensori della civiltà” vs. “reazionari e bigotti” - , si guardi alla complessità dei problemi, soprattutto per le loro conseguenze sulle nuove generazioni.