Modelli di accesso e garanzie di trasparenza (nota a Consiglio di Giustizia per la Regione Siciliana, 1 febbraio 2022, n. 154)
di Fabiola Cimbali
Sommario: 1. Premessa - 2.1. Trasparenza e forme di accesso - 2.2. Tipologie di accesso ed “intensità” della pretesa conoscitiva - 3. Diritto di accesso e qualificazione della funzione pubblica - 4. Tratti identificativi del modello di accesso “documentale” - 5. Diritto di accesso, funzione pubblica e giurisdizione amministrativa - 6. Brevi considerazioni conclusive.
1. Premessa
La vicenda giuridica sulla quale si innesta la pronuncia del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana trae origine dal rigetto di alcune istanze di accesso concernenti specifici documenti detenuti dalla Commissione parlamentare d’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia e della corruzione in Sicilia istituita presso l’Assemblea Regionale dell’Isola ad opera della l.r. Sicilia 14 gennaio 1991, n. 4.
La fattispecie oggetto di sindacato giurisdizionale ha sullo sfondo il saldo legame tra trasparenza ed accesso, profondamente rimodulato per effetto della rivisitazione concettuale di entrambi i “termini” della relazione.
Com’è noto, si deve alla legge 7 agosto 1990, n. 241 il netto superamento della “regola del segreto” cui la pubblica amministrazione, fino a quel momento, aveva conformato il suo operato, posta a baluardo delle burocrazie concepite quali titolari di specifiche competenze tecniche e, perciò, ritenute custodi in via esclusiva dell’interesse pubblico.[1]
Rivoluzionando tale rigida impostazione, l’art. 1 della legge sul procedimento amministrativo ha imposto alla pubblica amministrazione il rispetto dei principi di pubblicità e di trasparenza, quali criteri generali dell’azione amministrativa, che si inverano anche nell’esercizio del diritto di accesso[2].
Tuttavia, in ragione delle trasformazioni che, specialmente a partire dall’art. 1, d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, hanno interessato il principio di trasparenza, l’inquadramento del diritto di accesso, che ne è diretta proiezione, pur rinvenendo nella disciplina del 1990 una fondamentale e solida base di riferimento, non può certamente essere sganciato dall’impianto normativo delineatosi in virtù di successivi interventi normativi[3].
L’acquisizione di una piena consapevolezza dei profili definitori delle differenti forme di accesso presenti nell’attuale scenario giuridico consente, perciò, una concreta percezione del contenuto del principio di trasparenza nel rispetto del quale la pubblica amministrazione è chiamata ad operare e ad articolare la sua struttura organizzativa.
La democratizzazione dell’attività amministrativa, permeando progressivamente il quadro ordinamentale, ha slegato l’accesso da una concezione conflittuale del rapporto fra cittadino e soggetto pubblico e ne ha consolidato una che percepisce la trasparenza in termini di “accessibilità totale” di dati e di documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni.
Il principio di trasparenza può, dunque, essere letto come fine rispetto al quale la pubblicità e il diritto di accesso acquisiscono una posizione strumentale ed, al contempo, come strumento idoneo a scoraggiare la violazione delle regole della concorrenza e la produzione di fenomeni corruttivi[4].
Ciò nondimeno, le ulteriori forme di accesso che si aggiungono a quella regolamentata dalla legge n. 241/1990 non sembrano esaurire il ventaglio di quelle possibili. Il carattere “aperto” dei modelli di accesso è il risvolto della facoltà riconosciuta alle Regioni ed agli Enti locali di “prevedere livelli ulteriori di tutela” in relazione al genus disciplinato dalla legge sul procedimento amministrativo, nonché a quello contemplato nelle discipline di settore.[5]
In questa cornice la “soluzione” adottata dal Consiglio di giustizia per la Regione Siciliana consente di apprezzare una declinazione “inedita” del rapporto tra trasparenza ed accesso per via di due distinti fattori condizionanti. Il primo fa leva sulla natura (politica o amministrativa) del potere dal cui esercizio promana il diniego opposto all’istanza di accesso; il secondo, dipende dal “rango” della fonte dalla quale trae origine la norma deputata ad individuare i limiti e le modalità di utilizzo di siffatto istituto.
La correlazione fra trasparenza ed accesso approfondita alla luce delle due proposte prospettive condiziona il radicamento della giurisdizione ed incide sulla tutela delle situazioni giuridiche sottostanti.
2.1. Trasparenza e forme di accesso
Il sostanziale mutamento che ha interessato il principio di trasparenza ha avuto inevitabili ripercussioni sul diritto di accesso che ne è emblematica proiezione, condizionandone anche le modalità di espletamento.
Il principio di trasparenza entra in modo espresso nel tessuto normativo della legge n. 241/90 – che inizialmente annoverava soltanto quello di pubblicità – andando ad aggiungersi ai principi generali dell’azione amministrativa, soltanto con la legge 11 febbraio 2005, n. 15[6].
Il riformulato impianto legislativo, però, ha reso indispensabile una riconsiderazione del fondamento giuridico e della consistenza del diritto di accesso, sino ad allora “agganciato” al principio di pubblicità e lontano dalla qualificazione in termini di strumento per attuare un controllo diffuso da parte dei cittadini sull’agere amministrativo.
Il processo volto alla ridefinizione contenutistica del principio di trasparenza è stato successivamente segnato dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale) attraverso il quale, principalmente nell’ottica di garantire «la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale», è divenuta obbligatoria per tutte le pubbliche amministrazioni la predisposizione dei propri siti informatici con l’inserimento di specifici dati ed informazioni.
Soltanto a seguito della legge 4 marzo 2009, n. 15 e del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 il principio di trasparenza può essere letto in termini funzionali ad assicurare l’accessibilità totale dei documenti amministrativi, così da incoraggiare, in aderenza ai principi di buon andamento e di imparzialità, forme diffuse di controllo sull’attività e sui profili organizzativi della pubblica amministrazione. La trasparenza è, dunque, protesa al conseguimento dell’efficienza della pubblica amministrazione e, parimenti, agevola i cittadini nella “decriptazione” dei dati concernenti, da un lato, la performance dell’ente, dei funzionari e dei servizi pubblici, dall’altro, di quelli riguardanti i procedimenti e gli assetti organizzativi utilizzati[7].
Lungo questa scia si inserisce, altresì, la legge 6 novembre 2012, n. 190 che, in chiave di prevenzione dei fenomeni corruttivi, rinviene nella trasparenza un fondamentale metodo per scongiurare mediante l’accessibilità totale a dati e documenti detenuti dalle amministrazioni il sopraggiungere di eventi di tal guisa.
In funzione rafforzativa dell’obiettivo della c.d. legge anticorruzione può leggersi, inoltre, il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 mediante il quale il legislatore si è espresso sugli obblighi di pubblicazione attraverso un organico intervento ricognitivo e sistematico delle discipline di settore.
Nella stesura originaria del d.lgs. n. 33/2013 l’accesso civico «si presentava come un semplice corollario del numerus clausus di obblighi di pubblicazione tassativamente indicati» ed il suo perimetro di operatività coincideva con quello esattamente da questi ultimi delimitato[8].
Le critiche rivolte a siffatta formulazione normativa, supportate ed integrate da proposte di introduzione nel nostro ordinamento di istituti ispirati al modello del c.d. “Freedom Information Act” (F.O.I.A.) ed in linea con l’ordinamento comunitario[9], hanno posto le basi per la elaborazione dell’art. 7, comma1, lett. h), della legge 7 agosto 2015, n. 124 (c.d. “legge Madia”) in sede di delega al Governo per la modifica del d.lgs. n. 33/2013.
In attuazione di tale criterio direttivo, l’art. 5, comma 2, d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97 ha affrancato l’accesso civico dai casi tassativi di obblighi di pubblicazione, attribuendogli una valenza generale. Rispetto a tale tratto si pone a corredo la legittimazione a poter invocare l’accesso riconosciuta in capo a chiunque, nonché la previsione secondo cui ne possano formare oggetto dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni ulteriori rispetto a quelli per i quali è disposta la pubblicazione[10].
La descritta evoluzione ordinamentale delinea, dunque, distinte tipologie di accesso che operano in base a disposizioni ed a presupposti fondamentalmente diversi.
La pubblica amministrazione, nel valutare se consentire o meno l’accesso, è chiamata ad effettuare un bilanciamento fra eterogenei (e spesso contrapposti) interessi alla luce di parametri che presentano consistenti tratti differenziali nell’accesso (documentale) contemplato dalla l. n. 241 del 1990 ed in quello di tipo generalizzato. Nel primo modello «la tutela può consentire un accesso più in profondità a dati pertinenti», nel secondo le esigenze di controllo diffuso del cittadino implicano una larga conoscibilità (e diffusione) di dati, documenti e informazioni idonea a consentire una “conoscenza” meno approfondita (se del caso, in relazione all’operatività dei limiti), ma più estesa[11].
La platea di soggetti legittimati a poter esercitare il diritto di accesso così come la consistenza del corredo motivazionale posto a supporto dell’istanza mutano a seconda della forma di accesso.
In quella disciplinata dalla legge n. 241/1990 l’accesso deve essere basato su una richiesta adeguatamente motivata e la legittimazione a poterlo esercitare ricade su soggetti titolari di interessi qualificati - diretti, concreti ed attuali - corrispondenti ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento che si vuole conoscere. Nell’accesso civico generalizzato, invece, l’istanza non deve essere supportata da una approfondita motivazione e può essere avanzata da chiunque, indipendentemente dalla sussistenza di una posizione giuridica specifica.
Entrambe le forme, pur rinvenendo nel principio di trasparenza la roccaforte della loro cittadinanza ordinamentale ed implicando una delicata coniugazione fra i temi legati al diritto di prendere visione degli atti - di cui è in possesso l'amministrazione – e quelli correlati alla altrui riservatezza, avallano funzioni dell’accesso non collimanti.
Ciò nondimeno, ad avviso del Consiglio di Stato l’ontologica diversità delle tipologie di accesso non ne esclude il concorso giacchè la pretesa ostensiva può essere contestualmente formulata dal privato con riferimento tanto al genusdocumentale quanto a quello civico generalizzato purchè il richiedente non abbia inteso espressamente far valere e limitare il proprio interesse “cognitorio” solo all’uno o all’altro aspetto[12].
2.2. Tipologie di accesso ed “intensità” della pretesa conoscitiva
L’attuale scenario giuridico propone figure di accesso distintamente concepite, “calibrate” in ragione dei bisogni «riconosciuti e fatti propri dal contenuto di situazioni giuridiche soggettive differenziate». Nell’accesso documentale, in particolare, l’interesse pubblico alla trasparenza trova protezione allorchè combaci con l’esigenza di tutela di un interesse individuale, risultando conseguentemente condizionato dai limiti di azionabilità della sottostante situazione soggettiva. Diversamente, in quello civico semplice ed in quello generalizzato vengono attuate forme diffuse di controllo sull’espletamento delle funzioni istituzionali e sull’impiego delle risorse pubbliche.
Ciò posto, una riflessione sui tratti distintivi dei suddetti modelli di accesso ha significative implicazioni sulle modalità e sui limiti della protezione dell’interesse alla conoscenza principalmente laddove si consideri – come è stato prospettato – il rischio di una potenziale sovrapposizione dell’oggetto della pretesa nel caso dell’accesso procedimentale ex l. 241/1990 e dell’accesso civico generalizzato[13].
Sebbene entrambe le tipologie di accesso (documentale da un lato, e civico semplice /generalizzato dall’altro) siano espressione del principio di trasparenza ed abbiano a fondamento una analoga “pretesa cognitiva”, esse si diversificano sul fronte della legittimazione, del corredo motivazionale richiesto a sostegno della richiesta, sulle finalità al cui conseguimento protendono[14].
Da altra angolazione, le due figure, tenuto conto della ratio sottesa a ciascuna di essa, soggiacciono a differenti limiti. Questi ultimi, con riferimento all’accesso civico, sono articolati secondo una logica lontana da quella propria dell’accesso documentale, che non può essere concepito quale strumento volto a promuovere meccanismi di controllo diffuso sull’operato delle pubbliche amministrazioni. L’interesse individuale alla conoscenza, quindi, può essere adeguatamente soddisfatto nella misura in cui a ciò non ostino ragioni d’interesse pubblico.
L’accesso contemplato nel d.lgs. n. 33 del 2013 è, invece, proteso alla promozione di un metodo di controllo democratico sull’attività amministrativa, così da verificare il reale perseguimento delle funzioni istituzionali e l’effettivo utilizzo delle risorse pubbliche, nonché da promuovere la partecipazione al dibattito pubblico[15].
La diversificata “intensità” delle forme di accesso è il riflesso di una disciplina che introduce specifiche tecniche di composizione del conflitto dell’interesse protetto alla conoscenza con altri di diversa natura.
Nello specifico, infatti, la potenziale divergenza fra l’interesse alla conoscenza - veicolato attraverso lo strumento dell’accesso civico - ed altri (contrapposti) interessi di tipo pubblico o privato, ne rende indispensabile una attenta ponderazione che l’art. 5 bis, d. lgs. n. 33/2013, affida alla pubblica amministrazione, demandandole, allorchè accerti un possibile “pregiudizio”, onde evitare l’effettivo verificarsene, di optare per il diniego della richiesta di accesso.[16]
Tuttavia, diversamente da quanto avviene per quello civico, l’operatività dei limiti stabiliti per l’accesso documentale può ritenersi eventuale dipendendo, più che dall’esito di una valutazione discrezionale da parte della pubblica amministrazione che ne è destinataria, dall’adozione di un regolamento che ne contempli astrattamente la possibilità.
Il bilanciamento fra opposte esigenze - che è ancora più complesso nei casi in cui l’interesse alla conoscenza si contrapponga a quello posto a presidio della riservatezza - andrebbe effettuato, dunque, con riferimento alla specifica fattispecie e soltanto nel caso dell’accesso civico generalizzato, in prima battuta dall’amministrazione ed, in seconda, dal giudice,.
Al di fuori di questa ipotesi, la composizione del conflitto graverebbe sul legislatore al quale compete l’individuazione dell’interesse prevalente, operazione quest’ultima che spetterebbe alla pubblica amministrazione soltanto in via eccezionale limitatamente ad ipotesi permeate da contrasti con interessi super sensibili[17].
3. Diritto di accesso e qualificazione della funzione pubblica
Nel caso sottoposto al sindacato giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana la Commissione parlamentare dell’Assemblea Regionale siciliana, pur accordando l’accesso relativo a taluni degli atti richiesti, si opponeva al rilascio sia della documentazione contenente la trascrizione stenografica di audizioni rese in data 11 dicembre 2013 da taluni soggetti, nonché di quelle concernenti attività del Nucleo Ecologico dei Carabinieri (NOE) svolte nella qualità di polizia giudiziaria in quanto (entrambi) coperti da segreto; sia del documento denominato Relazione per la Commissione d’inchiesta quale atto interno destinato esclusivamente a quest’ultimo “organismo”.
Contestando tale rifiuto l’istante si rivolgeva al Tar siciliano affinchè gli venisse permesso di “conoscere” il contenuto di tutti i documenti richiesti.
Il proposto ricorso giurisdizionale trovava accoglimento e per l’effetto veniva ordinato all’Assemblea Regionale siciliana l’esibizione integrale della relazione resa dall’ex Assessore per l’energia e i servizi di pubblica utilità nel corso dell’audizione pubblica del 22 ottobre 2019, nonché l’esibizione della trascrizione dell’audizione degli Ufficiali dei Carabinieri svolta nella seduta del 3 dicembre 2019 pur con esclusione di quelle parti che, vertendo su indagini in corso, erano coperte da segreto istruttorio.
L’Assemblea Regionale siciliana, soccombente in primo grado, proponeva appello eccependo il difetto assoluto di giurisdizione ed articolando una serie di motivi basati sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e 24, legge n. 241/1990, sulla carenza dell’interesse ad agire, nonché sulla violazione di specifiche disposizioni del regolamento interno della Commissione d’inchiesta.
In ordine alla prima censura l’appellante invocava l’insindacabilità dell’attività svolta dalla Commissione parlamentare sulla quale trovava giustificazione il parziale diniego contenuto nel provvedimento impugnato. Su tali premesse si fondava, ad avviso dell’Assemblea Regionale Siciliana, «l’inapplicabilità dell’istituto dell’accesso agli atti di cui alla legge n. 241 del 1990 per gli atti, i documenti e le delibere emesse dal predetto organo assembleare».
In merito al secondo rilievo l’interesse all’accesso veniva contestato in ragione di quanto previsto tanto dal regolamento interno dell’Assemblea Regionale Siciliana, quanto dalle specifiche disposizione contenute nella legge n. 241/1990 (artt. 22 e ss.).
Il terzo motivo di gravame poggiava sulla asserita qualifica di atto interno e, pertanto, riservato della Relazione per la Commissione d’inchiesta a norma di quanto disposto dall’art. 19 del regolamento del predetto “organismo”. Ed, infatti, il documento richiesto non sarebbe stato allegato ai sensi dell’art. 21, comma 2 del regolamento interno, né sarebbe stato oggetto di pubblicazione secondo quanto sancito dal comma 1 della medesima disposizione. In ogni caso, ad avviso dell’Assemblea Regionale Siciliana, sul fronte delle audizioni rese in merito all’attività del NOE, non sarebbe ricaduto sulla Commissione un obbligo di trascrizione, rimanendo il “rapporto stenografico” «funzionale ai lavori e non anche alla loro pubblicità».
Alla luce del combinato disposto degli articoli 13 e 21 del regolamento – che ne prevedono rispettivamente le modalità ed i limiti – la pubblicità, infatti, sarebbe assicurata attraverso sommari “inserirti” nel bollettino delle Commissioni.
Ciò tanto più che l’audizione degli ufficiali del NOE avrebbe riguardato circostanze riconducibili all’espletamento di funzioni giudiziarie coperte da segreto istruttorio in quanto oggetto di indagini (non concluse) condotte della Procura della Repubblica agrigentina.
L’appellato, costituitosi in giudizio, contestava le difese formulate dalla controparte, concludeva per il rigetto del proposto gravame, richiesta quest’ultima che veniva disattesa dal giudice amministrativo siciliano di secondo grado che, invece, accoglieva il ricorso ritenendo fondata l’impugnazione.
4. Tratti identificativi del modello di accesso “documentale”
L’analisi delle argomentazioni giuridiche sulle quali il giudice amministrativo di appello ha fondato la sua decisione sottolinea l’utilità di soffermarsi sulla forma di accesso in essa considerato tracciandone sinteticamente il relativo perimetro definitorio e la pertinente disciplina.
L’accesso contemplato nella legge n. 241/1990 consente ai soggetti interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi in costanza di un procedimento amministrativo (accesso c.d. endoprocedimentale o “interno” o “partecipativo”), o indipendentemente dall’esistenza di un percorso procedimentale in fieri (accesso c.d. esoprocedimentale o “esterno” o “informativo”)[18] .
Tale distinzione non influisce sulla qualificazione giuridica dell’accesso, ma sulla legittimazione attiva riconosciuta nel modello ex art. 10, legge n. 241/1990 a favore dei soggetti di cui agli art. 7 e 9 dello stesso testo normativo e con riferimento a quello di cui all’art. 22, legge n. 241/1990 in capo a «tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso», prescindendo dalla qualificazione in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo (art. 22, comma 1, lett. b), l. n. 241/1990) [19].
I destinatari dell’istanza di accesso sono i soggetti i quali hanno formato il documento di cui si chiede l’ostensione o che lo detengono stabilmente, non assumendo importanza la loro natura giuridica (pubblica o privata), ma il carattere (pubblico) dell’interesse sotteso all’attività da essi svolta (art. 25, comma 2, l. n. 241/1990)[20].
Da questa posizione differisce quella dei controinteressati che, individuati o facilmente individuabili alla luce del dato documentale, riscontrano nell’altrui istanza di accesso un potenziale pregiudizio del proprio diritto alla riservatezza atto a fondarne la loro opposizione alla ostensione[21].
La “qualità” di controinteressato nei cui confronti la legge rivolge apposita tutela può evincersi testualmente dal provvedimento o può desumersi dalla titolarità di una qualificata situazione giuridica soggettiva “connessa” al contenuto dell’atto oggetto di accesso[22].
Sul fronte dei limiti, pur di fronte ad una loro espressa elencazione normativa, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di puntualizzare come l’accesso non possa trovare preclusioni legate all’indole giuridica, pubblica o privata, dell’ente che ha emanato il documento o dell’atto di cui si chiede l’ostensione. Occorre, piuttosto, attribuire rilevanza al collegamento diretto fra contenuto del documento, cui si chiede di accedere, ed esercizio di un’attività di pubblico interesse[23].
Tuttavia, accanto ad un gruppo di limiti riconducibili alla segretezza delle informazioni confluite nei documenti, vi è quello ascrivibile alla riservatezza.[24] Per quanto entrambe le categorie di limitazioni siano connesse alla qualità ed alla tipologia di informazioni presenti nel documento amministrativo, a loro volta espressione di interessi meritevoli di tutela, la segretezza è proiettata alla protezione di interessi pubblici o generali, diversamente la riservatezza è protesa alla tutela di interessi privatistici, riconducibili alla sfera personale del singolo.
5. Diritto di accesso, funzione pubblica e giurisdizione amministrativa
La fattispecie di accesso sulla quale è stato chiamato ad esprimersi il Consiglio di giustizia per la Regione Siciliana concerne il modello delineato nella legge n. 241/1990 con quanto ne consegue sul piano della operatività dei limiti che precludono l’accoglimento della relativa istanza.
La vicenda specifica, tuttavia, deve la sua singolarità alla natura giuridica dell’attività svolta dal soggetto che al documento ha dato vita ed alla possibilità che a quest’ultimo offre l’ordinamento, secondo il regolamento che ne disciplina i suoi “meccanismi di funzionamento”, di fissare le “modalità di esercizio” del diritto di accesso. Siffatta prerogativa mette in condizione il soggetto che ne è titolare di individuare i casi nei quali sussistono ragioni di segretezza che precludono a terzi di conoscere dati ed informazioni contenuti nei documenti espressione delle funzioni dal medesimo esercitate.
Sul fronte, poi, della giurisdizione, posto che la qualificazione della funzione dal cui svolgimento promanano gli atti rileva quale criterio per individuare il giudice chiamato ad esprimere la sua determinazione, il decidente non ha ritenuto meritevole di accoglimento la proposta eccezione di difetto assoluto di giurisdizione. Specificamente non ha considerato applicabile l’ultima parte del comma 1 dell’art. 7, c.p.a. secondo cui sono sottratti al sindacato giurisdizionale gli atti che, pur soggettivamente e formalmente amministrativi, hanno una inequivocabile indole politica, in quanto espressione della fondamentale funzione di direzione e di indirizzo politico del Paese[25].
Posto che nel caso di specie il diniego parzialmente opposto all’istanza di accesso agli atti non è ritenuto frutto dell’esercizio del potere politico, ma espressione di attività amministrativa, difettano le condizioni che consentono di escluderne la sottoposizione al sindacato del giudice amministrativo.
Né ad avviso del giudice siciliano di appello, i presupposti per prevenire a conclusioni opposte sarebbero «ritraibili da diverse fonti normative che in qualche modo potrebbero determinare la non assoggettabilità al vaglio giurisdizionale, per escludere la sua sindacabilità dinanzi al giudice amministrativo».
Le riferite conclusioni sono ulteriormente argomentante adducendo l’inconfigurabilità in capo all’Assemblea Regionale Siciliana di poteri di autodichia con la conseguenza che le deroghe rispetto alla giurisdizione comune avrebbero carattere eccezionale e per tale ragione non si presterebbero ad alcuna estensione analogica[26].
È, dunque, saldamente radicata la giurisdizione amministrativa nella controversia proposta avverso il diniego di accesso ai documenti opposto dalla Commissione parlamentare d’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia e della corruzione in Sicilia giacchè quello amministrativo, in sede di giurisdizione generale di legittimità, è il giudice naturale chiamato ad esprimersi sulla legittimità della funzione pubblica esercitata.
Propendendo per una soluzione diversa la posizione soggettiva rispetto alla quale è chiesta espressa tutela rimarrebbe, senza che sussistano valide e fondate ragioni di ordine giuridico, sprovvista di protezione giurisdizionale.
Espressosi nei suddetti termini sul fronte della giurisdizione, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana procede, poi, a verificare alla luce della normativa vigente la fondatezza del diritto dell’istante di poter accedere agli atti richiesti.
A tale proposito l’autorità giurisdizionale amministrativa di appello formula alcune preliminari considerazioni sulla sfera di autonomia riconosciuta dallo Statuto all’Assemblea Regionale Siciliana.
L’utilità di tali osservazioni si scorge agevolmente allorchè si consideri come lo Statuto della Regione Siciliana, avente peraltro rango costituzionale, attribuisca – secondo quanto disposto dal relativo art. 4 - all’Assemblea Regionale Siciliana una riserva di regolamento, rimettendo alla sua autonomia la facoltà di stabilirne il contenuto.
Tale peculiarità esclude una assimilazione dei suddetti atti normativi ai «comuni regolamenti adottati dagli organi amministrativi delle PP.AA.,» pertanto la loro collocazione rispetto alle fonti primarie li inserisce in seno ad un rapporto permeato dal principio di separazione per effetto del quale essi soggiacciono soltanto ai limiti costituzionali e statutari[27].
L’art. 2, comma 2, l.r. Sicilia 14 gennaio 1991, n. 4, in particolare, riserva al regolamento interno sulle modalità di esercizio delle funzioni della Commissione di inchiesta anche la previsione di apposite diposizioni concernenti le forme di pubblicità sia dei lavori, sia degli atti e dei documenti posseduti dalla stessa.
La posizione di prevalenza nel sistema delle fonti di tali disposizioni regolamentari - che hanno visto la luce nella seduta n. 4 del 29 maggio 2018 - rispetto a quelle confluite nella disciplina generale dipende, dunque, dalla specialità della loro indole normativa.
Principalmente per tale motivo esse costituiscono un fondamentale parametro normativo all’insegna del quale verificare la legittimità del diniego all’accesso e, conseguentemente, in base al quale il giudice amministrativo di secondo grado ha ritenuto fondato nel merito l’appello proposto dall’Assemblea Regionale Siciliana.
A norma dell’art. 21 del regolamento interno alla Commissione parlamentare compete all’Ufficio di Presidenza l’individuazione degli atti e dei documenti che possono essere pubblicati sia nel corso dei lavori della stessa, sia in allegato alle relazioni esitate a chiusura delle singole inchieste o indagini.
Ciò nella misura in cui la legge istitutiva della Commissione ed il regolamento interno di quest’ultima non prevedano limiti che ne inibiscano la pubblicazione per ragioni di segretezza.
In ogni caso, secondo quanto previsto dall’art. 13, comma 1, e fermi restando i limiti di cui all’art. 21 del richiamato regolamento, la pubblicità dell’attività e dei lavori della Commissione è garantita attraverso “l’inserimento” dei relativi sommari nell’apposito Bollettino.
Sul riferito percorso argomentativo si fonda la decisione del Consiglio di giustizia per la Regione Siciliana di accogliere appello e, pertanto, riformata l’impugnata sentenza, di concludere per «l’integrale rigetto del ricorso proposto in primo grado».
Alla luce del ragionamento sviluppato dal giudice, il parziale diniego di accesso disposto dalla Commissione in ragione di quanto prescritto dal regolamento interno della Commissione parlamentare risulta, infatti, privo di vizi che ne possono compromettere la legittimità.
6. Brevi considerazioni conclusive
La legge sul procedimento amministrativo, soprattutto ad esito delle modifiche alla stessa apportate dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, nel qualificare l’accesso alla stregua di principio generale dell’attività amministrativa, per un verso, ne consacra le due anime e, per un altro, ne esalta una sorta di sua “copertura” costituzionale.
Nella prima accezione esso si presenta nella veste di strumento idoneo sia a favorire la partecipazione dei soggetti interessati al procedimento amministrativo, sia ad assicurare l’imparzialità e la trasparenza dell’operato della pubblica amministrazione (art. 22, comma 2, legge n. 241/1990).
Nella seconda articolazione l’istituto afferisce ai «livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione» (art. 29, comma 2bis).
Da questa prospettiva, pertanto, la pronuncia in commento mantiene vivo l’interesse sulla questione concernente la misura entro la quale le Regioni e gli Enti locali possano prevedere deroghe alla disciplina statale che, però, non si sostanzino in preclusioni o complicazioni all’esercizio del diritto di accesso.
A riguardo l’art. 29, comma 2, legge n. 241/1990 ha chiarito che nell'ambito delle rispettive competenze è consentito alle Regioni ed agli Enti locali di regolare le materie disciplinate dalla legge n. 241/1990 nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dallo stesso corpus normativo. E’ escluso, dunque, che tale prerogativa si risolva nel prevedere «garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati dalle disposizioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui ai commi 2-bis e 2-ter», mentre per converso nessun ostacolo si riscontra nel sancire “livelli” ulteriori di tutela[28].
È evidente, dunque, l’importanza di una riflessione sulla collocazione sistematica dell’istituto in esame nell’attuale panorama giuridico, nell’ambito del quale la logica della differenziazione può avere una considerevole incidenza anche sul modo di declinare il rapporto tra trasparenza ed accesso[29].
La riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, disegnando un sistema permeato dall’apprezzamento delle realtà territoriali pare avere favorito, anche tramite l’accesso, una maggiore trasparenza dell’operato della pubblica amministrazione incoraggiando la nascita di rapporti più diretti e lineari fra quest’ultima ed il cittadino.
Il diritto di accesso e la tutela della trasparenza intesa come “interesse primario” devono, invero, inevitabilmente passare attraverso una adeguata concezione e delimitazione dell’autonomia regolamentare offerta a riguardo ai soggetti pubblici.
È, pertanto, indispensabile immaginare un sistema istituzionale che sia in grado di coniugare adeguatamente logiche unitarie di garanzia della trasparenza ed esigenze di differenziazione dei modelli di accesso.
Tuttavia la ricerca di un delicato equilibrio fra contrapposte vocazioni è una impresa tanto stimolante quanto complicata soprattutto nei casi in cui le questioni riguardanti le modalità di esercizio e i limiti del diritto di accesso siano affrontate nell’ambito di un contesto ordinamentale – come quello siciliano - che si presenta “inconsueto” anche per via del rango della fonte destinata ad accogliere la disciplina di tale istituto.
L’analisi della pronuncia all’insegna del descritto quadro ordinamentale consente di metterne in risalto un ulteriore profilo di “originalità” riconducibile al “dato” secondo cui l’esclusione dell’accesso non dipende dall’esigenza di proteggere dati ed informazioni per ragioni di riservatezza. La pretesa alla conoscenza, infatti, rinviene insormontabile ostacolo in motivi di interesse pubblico che conformano i contenuti dell’accesso.
Dette peculiarità condizionano l’approccio all’insegna del quale affrontare la questione trattata nella decisione in commento, consentendo di affrancare l’interesse conoscitivo sotteso all’accesso dalla “consueta logica” del contrasto tra trasparenza e riservatezza.
Nella particolare vicenda sottoposta al suo sindacato, il TAR Siciliano, pur escludendo in linea teorica la natura politica della funzione pubblica confluita nell’atto di diniego dell’accesso, nei fatti non si esprimere sulla conformazione del diritto di accesso ad opera della fonte regolamentare regionale.
La conseguenza è che la soluzione cui perviene il giudice amministrativo palermitano sembra “sconfessare nei fatti” quanto premesso in via teorica.
Ciò dal momento che l’esclusione in sede giurisdizionale della connotazione politica del diniego non sembra trovare una inequivocabile copertura giuridica nella insindacabilità della conformazione del diritto di accesso operata per effetto della fonte regolamentare.
Tale ultima circostanza finisce, quindi, per mettere in ombra l’indole amministrativa dell’atto di diniego lasciando margini per ipotizzarne una vocazione politica
Quanto osservato, indipendentemente dalla condivisione della scelta adottata in sede giurisdizionale dal TAR Sicilia, è indicativo di come i nuovi confini della trasparenza, la corretta concezione dell’autonomia normativa dei soggetti pubblici, nonché la necessità di garantire momenti unitari nella disciplina esprimano le potenzialità del tema oggetto di riflessione nell’inquadramento della correlazione fra principio di trasparenza e diritto di accesso.
Sul piano della tutela, infine, se, da un lato, la tesi della insindacabilità degli atti espressione del potere politico ed il saldo radicamento nel tessuto processuale del binomio giurisdizione amministrativa/funzione amministrativa trovano ovviamente conferma anche nei casi di controversie in materie di accesso; dall’altro, non arretra la ricorrente esigenza di assicurare effettive forme idonee di protezione allorchè si contesti mediante l’impugnazione di illegittimi provvedimenti di diniego dell’accesso la violazione dei principi di trasparenza e di pubblicità.
L’esaltazione dei “valori giuridici” ascrivibili alla trasparenza, infatti, è un obiettivo prioritario e costante in un contesto come quello attuale in cui la chiarezza e l’intellegibilità dell’operato della pubblica amministrazione è destinato a scoraggiare il proliferare di casi di maladmistration e di corruzione.
Da questi punti di vista, dunque, l’accesso rappresenta una valida occasione per sperimentare la prospettiva della “differenziazione” adeguatamente valorizzata in sede costituzionale, purchè tale “operazione” non conduca alla elaborazione di modelli che “intacchino i “livelli essenziali” da assicurare a favore di tutti i cittadini e relativamente ai quali l’ordinamento è chiamato a prevedere ed a garantire idonei ed effettivi strumenti di tutela giurisdizionale[30] .
[1] A norma dell’art. 15, d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (T.U. delle disposizioni concernenti gli impiegati civili dello Stato), l’accesso agli atti amministrativi era consentito solo in ipotesi tassativamente previste dalla legge.
Sulle argomentazioni utilizzate per limitare, se non addirittura escludere, la conoscibilità degli atti e dell’operato della pubbliche amministrazioni in nome della tutela di interessi privati e di carattere generale F. Manganaro, Evoluzione ed involuzione delle discipline normative sull’accesso a dati, informazioni ed atti delle pubbliche amministrazioni, in Dir. amm., 2019, 743 ss. Sui legami tra regime autarchico e segreto, nonchè tra sistema democratico e trasparenza G. Corso, Potere politico e segreto, in F. Merloni (a cura), La trasparenza amministrativa, Milano, 2008, 268.
[2] Secondo A. Barone, R. Dagostino, La trasparenza e il diritto di accesso, in A. Barone (a cura di), Cittadini, imprese e pubbliche funzioni, Bari, 2018, 172, «L’accesso ai documenti amministrativi costituisce quindi uno degli snodi essenziali dell’evoluzione in senso (tendenzialmente) pari ordinato dei rapporti fra cittadini e pubbliche amministrazioni».
[3] Il mutamento del principio di trasparenza che ha preso avvio con l’art. 1, d.lgs. n. 150/2009, si è ulteriormente implementato attraverso il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, successivamente modificato dal d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97. Per una analisi dei contenuti del principio di trasparenza che consenta di apprezzarne anche la sua evoluzione concettuale R. Villata, La trasparenza dell’azione amministrativa, in Dir. proc. amm., 1987, 529; G. Arena, Trasparenza amministrativa, in Enc. giur., Agg., IV, Roma, 1995, R. Marrama, La pubblica amministrazione tra trasparenza e riservatezza nell’organizzazione e nel procedimento, in Dir. proc. amm., 1989, 416; F. Manganaro, Evoluzione del principio di trasparenza, in www.astridonline.it, anche in Studi in memoria di Roberto Marrama, Napoli, 2012; M. Occhiena, I principi di pubblicità e trasparenza, in M. Renna, F. Saitta (a cura di), I principi di diritto amministrativo, Milano, 2012; M.R. Spasiano. I principi di pubblicità, trasparenza e imparzialità, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2011, 83; F. Patroni Griffi, La trasparenza della Pubblica Amministrazione tra accessibilità totale e riservatezza, in www.federalismi.it, 2013; M. Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, in Giorn. dir. amm. 2013, 797 ss.; M.C. Cavallaro, Garanzie della trasparenza amministrativa e tutela dei privati, in Dir. amm., 2015; S. FOA’, La nuova trasparenza amministrativa, in Dir. amm., 2017, 65. Più recentemente ne coglie gli aspetti evolutivi legati al processo di informatizzazione che ha coinvolto la pubblica amministrazione A.G. Orofino, La trasparenza oltre la crisi. Accesso, informatizzazione e controllo civico, Bari, 2020.
[4] F. Merloni, La trasparenza come strumento di lotta alla corruzione tra legge n. 190 del 2012 e d.lgs. n. 33 del 2013, in B. Ponti (a cura di), La trasparenza amministrativa dopo il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, Rimini, 2013, 18; F. Manganaro, Evoluzione del principio di trasparenza, cit., 3; M. D’Alberti (a cura di), Combattere la corruzione. Analisi e proposte, Soveria Mannelli, 2016; G.M. Racca, Corruzione (dir. amm.), in Dig. disc. pubbl., Agg., 2017, 208.
[5] Emblematico sono i casi degli appalti pubblici, dell’ambiente, degli Enti locali.
[6] Secondo art. 22, comma 2, l. n. 241/1990, così come riformulato dalla l. n. 15/2005 «l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art 117, secondo comma lett. m), della Costituzione».
[7] D.U. Galetta, La trasparenza, per un nuovo rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione:un’analisi storico-evolutiva, in una prospettiva di diritto comparato ed europeo, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2016, 1045.
A riguardo M.C. Cavallaro, Garanzie della trasparenza amministrativa e tutela dei privati, cit., 127, osserva come «(…) nella riforma del 2009, il legislatore collega l’accessibilità totale delle informazioni della pubblica amministrazione alle modalità di misurazione e valutazione delle performances (individuali e collettive) dei dipendenti pubblici, laddove dispone che la piena conoscibilità delle informazioni relative all’organizzazione, all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali è finalizzata a favorire forme diffuse di controllo nel rispetto dei principi di buon andamento ed imparzialità (art. 11 d.lgs. n. 150/2009)».
Su questi profili, R. Perez (a cura di), Il «Piano Brunetta» e la riforma della pubblica amministrazione, Rimini, 2010.
[8] Così testualmente A. Barone, R. Dagostino, La trasparenza e il diritto di accesso, cit., 200.
[9] L’accesso concepito nei termini suddetti si allinea alla normativa comunitaria (art 15 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) ed, in particolare, alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (artt. 41 e 42 della c.d. Carta di Nizza), che lo considera un diritto fondamentale dei cittadini e lo ricollega al diritto a una buona amministrazione.
[10] A. Porporato, Il “nuovo” accesso civico “generalizzato” introdotto dal d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97, attuativo della riforma Madia e i modelli di riferimento, in www.federalismi.it, 2017.
[11] Cfr. Cons. St., Ad. pl., 2 aprile 2020, n. 10.
[12] Secondo Cons. St., sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503, «nulla infatti, nell’ordinamento, preclude il cumulo anche contestuale di differenti istanze di accesso». A tale proposito Cons. St., Ad. pl., 2 aprile 2020, n. 10, precisa che «l’art. 5, comma 11, del d. lgs. n. 33 del 2013 ammette chiaramente il concorso tra le diverse forme di accesso, allorquando specifica che restano ferme, accanto all’accesso civico c.d. semplice (comma 1) e quello c.d. generalizzato (comma 2), anche “le diverse forme di accesso degli interessati previste dal capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241”».
«(…) La coesistenza dei due regimi e la possibilità di proporre entrambe le istanze, anche uno actu, è certo uno degli aspetti più critici dell’attuale disciplina perché, come ha bene messo in rilievo l’ANAC nelle Linee guida di cui alla delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016 (par. 2.3, p. 7) – di qui in avanti, per brevità, Linee guida – l’accesso agli atti di cui alla l. n. 241 del 1990 continua certamente a sussistere, ma parallelamente all’accesso civico (generalizzato e non), operando sulla base di norme e presupposti diversi, e la proposizione contestuale di entrambi gli accessi, può comportare un «evidente aggravio per l’amministrazione (del quale l’interprete non può che limitarsi a prendere atto), dal momento che dovrà applicare e valutare regole e limiti differenti» (Cons. St., sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503)». Osserva altresì l’Adunanza plenaria «che, in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale della l. n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990, non può esaminare la richiesta di accesso civico generalizzato, a meno che non sia accertato che l’interessato abbia inteso richiedere, al di là del mero riferimento alla l. n. 241 del 1990, anche l’accesso civico generalizzato e non abbia inteso limitare il proprio interesse ostensivo al solo accesso documentale, uti singulus».
[13] Su questi aspetti amplius F. Francario, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione retorica, in www.federalismi.it, n. 10/2019, il quale, partendo dall’astratta sovrapponibilità delle due tutele, osserva come tale circostanza metta «l’interprete di fronte all’alternativa di chiarire se si è di fronte soltanto ad un problema di mancato coordinamento, da parte al legislatore, della nuova figura di accesso introdotta dal d. lgs. 97 del 2016, con la preesistente forma di accesso procedimentale disciplinata dalla l. 241/1990; ovvero se si sia voluta effettivamente mantenere la distinzione tra le due figure precisandone, in tal caso, quale sia il significato».
[14] In ordine al primo profilo, come in precedenza evidenziato, l’accesso di cui alla legge n. 241/1990 presuppone la titolarità in capo all’istante di un interesse specifico, immediato e diretto, correlato ad una situazione giuridicamente tutelata dall’ordinamento, alla conoscenza degli atti e dei documenti amministrativi produttivi di effetti giuridici nella sua sfera giuridica. L’accesso contemplato nel d.lgs. n. 33 del 2013, invece, può essere promosso da “chiunque” e non richiede alcun supporto sul piano motivazionale della “pretesa conoscitiva”.
[15] Art. 5, d. lgs. n. 33/2013.
[16] A tale riguardo A.N.AC., determinazione n. 1309 del 28 dicembre 2016.
[17] A riguardo F. FRANCARIO, Il diritto di accesso deve essere una garanzia effettiva e non una mera declamazione retorica, cit., 19 ss., il quale, peraltro, evidenzia che «L’introduzione della nuova figura di accesso civico secondo il modello FOIA assorbe e soddisfa l’interesse pubblico alla realizzazione del principio di trasparenza condizionando e facendo dipendere la soddisfazione dell’interesse all’accesso dalla valutazione discrezionale dell’amministrazione.L’accesso classico esercitabile ai sensi della legge 241 rimane invece focalizzato sulla strumentalità defensionale e, in questa prospettiva, in quanto volto a consentire il soddisfacimento di bisogni di tutela riconosciuti e protetti da norme primarie, non può ritenersi più condizionato dalla discrezionalità amministrativa».
[18] A norma dell’art. 22, comma 1, lett, d), l. n. 241/1990, deve considerarsi documento amministrativo «ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale» (art 22, comma 1, lett d).
Sull’accesso, senza pretesa di esaustività, ma fondamentali ai fini di un inquadramento sistematico G. Arena (a cura di), L’accesso ai documenti amministrativi, Bologna 1991; M. Clarich, Diritto d’accesso e tutela della riservatezza: regole sostanziali e tutela processuale, in Dir. proc. amm., 1996, 430; C.E. Gallo, S. Foà, Accesso agli atti amministrativi, in Dig. disc. pubbl., Agg., Torino, 2000, 1 ss.; M.A. Sandulli, Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi, in Enc. dir., Agg., IV, 2000, 1 ss.; A. Sandulli, Accesso ai documenti amministrativi, in Giorn. dir. amm. 2005, 494 ss.; G. Clemente Di San Luca, Diritto di accesso ed interesse pubblico, Napoli, 2006.
[19] In Cons. Stato, Ad. pl. 18 aprile 2006, n. 6 l’accesso quale «pretesa a conoscere il contenuto di determinati documenti amministrativi ha natura strumentale dal momento che non riconosce utilità finali, ma poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (diritti o interessi)». Su questa pronuncia M. Occhiena, Diritto d’accesso, «sua natura camaleontica» e Adunanza Plenaria 6/06 (Nota a Cons. Stato, ad. plen., 18 aprile 2006, n. 6), in Foro it., 2006, III, 378 ss.
In dottrina sulle questioni legate alla legittimazione A. Romano Tassone, A chi serve il diritto di accesso (riflessioni su legittimazione e modalità d’esercizio del diritto di accesso nella l. n. 241 del 1990), in Dir. amm., 1995, 315.
[20] In merito Cons. Stato, Ad. pl., 5 settembre 2005, n. 5.
[21] Art. 22, comma1, lett. c), l. n. 241/1990. A riguardo M. Mazzamuto, La tutela del segreto ed i controinteressati al diritto di accesso, in Dir. proc. amm., 1995, 96.
[22] A questo proposito art. 3, d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184.
[23] Secondo quanto prescrive l’art. 22, comma 3, l. 241/1990 sono accessibili tutti i documenti amministrativi, salvo quelli indicati nell’art. 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6.
In base all’art. 24, comma 1, l. n. 241/1990 l’accesso è precluso ove riguardi a) documenti coperti dal segreto di Stato o la cui divulgazione sia vietata per legge; b) documenti relativi a procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano; c) atti prodromici all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione; d) nell’ambito dei procedimenti selettivi, documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relative a terzi (si tratta di atti esclusi per specifica indicazione di legge).
In base a quanto prescritto dall’art. 24, commi 2, 5, e 6, al di fuori delle ipotesi sopra elencate, la legge prevede che la scelta di sottrarre all’accesso altri atti possa essere rimessa alla pubblica amministrazione ovvero che la individuazione di tali atti possa avvenire mediante apposito regolamento governativo.
Viene, infatti, consentito al Governo mediante la predisposizione di apposito regolamento ex art. 17 comma 2, l. n. 400/1988, di sottrarre all’accesso ulteriori documenti amministrativi laddove sussistano ragioni legate alla necessità di tutelare di interessi pubblici prevalenti e antitetici. Ciò potrebbe verificarsi allorchè si tratti di documenti da cui possa derivare un pregiudizio a) alla difesa nazionale, all’esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni internazionali; b) ai processi di formazione della politica monetaria e valutaria; c) alla tutela dell’ordine pubblico, della prevenzione e della repressione della criminalità, con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione, e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini; d) alla riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale; e) attività connesse alla contrattazione collettiva nazionale (art. 24, comma 6).
«Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’art 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale» (art. 24, comma 7, l. n. 241/1990).
Sul punto Cons. Stato, Adunanze plenarie nn. 4 e 5 del 22 marzo del 1999.
[24] In A. Barone, R. Dagostino, La trasparenza e il diritto di accesso cit., 195, evidenziata la connotazione essenzialmente dinamica del diritto alla riservatezza, viene sottolineato come il raccordo fra le discipline sul diritto di accesso e sulla protezione dei dati personali sia garantito dagli artt. 59 e 60 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (codice della privacy). Ciò dal momento che il d.lgs. n. 196/2003 ha distinto tre categorie di dati personali, (c.d. comuni della persona, c.d. sensibili, c.d. supersensibili) rispetto ai quali accorda una tutela differenziata connessa alla maggiore o minore sensibilità dell’informazione contenuta nel documento amministrativo oggetto di accesso.
Tenuto conto che allorquando il documento contenga dati che consentono di identificare, anche indirettamente, un soggetto non sorgono peculiari esigenze di tutela, trovano applicazione le prescrizioni riportate nella legge n. 241/1990, per cui il soggetto interessato ad esercitare il diritto di accesso dovrà limitarsi a dimostrare di essere titolare di un interesse concreto, diretto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata, collegata al documento di cui si chiede l’ostensione (art. 22 l. n. 241/1990).
Nelle ipotesi in cui, invece, il documento oggetto di istanza di accesso contenga dati «idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale», ovvero giudiziari, l’accesso potrà essere ammesso soltanto ove sia necessario per la tutela di interessi giuridici propri del richiedente, e nella misura in cui sia strettamente indispensabile .
Ove, infine, l’accesso verta su documenti contenenti dati ed informazioni sullo stato di salute e la vita sessuale della persona, esso potrà essere consentito solo ad esito di una apposita ponderazione da parte della pubblica amministrazione dalla quale emerga la parità di rango fra la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare ed i diritti dell’interessato, oppure laddove detta situazione si sostanzi in un diritto della personalità o in altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile.
Del potere valutativo da parte della pubblica amministrazione in materia di accesso difensivo si è recentemente occupato Cons. Stato, Ad. pl., 18 marzo 2021, n. 4.
[25] E’ stato chiarito in sede consultiva da Cons. Stato, sez. I, 19 settembre 2019, n. 2483, che per comprendere se un atto amministrativo è sindacabile occorre accertare la concreta conformazione della norma posta a fondamento della funzione esercitata e dalla quale esso promana. Ad avviso del Consiglio di Stato, infatti, «ciò che rileva ai fini della impugnabilità o meno dell’atto non è tanto che esso promani da un organo di vertice della pubblica amministrazione e che concerna le supreme scelte in materia di costituzione, salvaguardia e funzionamento dei pubblici poteri, ma che sussista una norma che predetermini le modalità di esercizio della discrezionalità politica o che, comunque, la circoscriva».
[26] Cfr. Cons. giust. Reg. Siciliana, 7 dicembre 2021, n. 1032.
[27] Il regolamento per l’accesso agli atti ed ai documenti amministrativi dell’Assemblea Regionale Siciliana è stato pubblicato sulla G.U.R.S. n. 28 del 20 giugno 2008.
[28] Art. 29, comma 2-quater, l. n. 241/1990.
[29] Sulle potenzialità del criterio costituzionale della “differenziazione” I.M. Marino, Sulla funzione statutaria e regolamentare degli enti locali, in I.M. Marino, Aspetti della recente evoluzione del diritto degli enti locali, Palermo, 2002.
[30] Le questioni problematiche che si pongono a proposito della tutela processuale del diritto di accesso sono molteplici, sullo specifico fronte di quella cautelare, ovviamente senza pretesa alcuna di esaustività, sia consentito il rinvio a A.G. Orofino, F. Cimbali, Sulla tutela cautelare nel rito in materia di accesso: spunti di riflessione e analisi di recenti orientamenti, in corso di pubblicazione su www.federalismi.it