Sommario: 1. Un ricordo, l’umanesimo del XV secolo. - 2. La monografia di Giovanni Gallone, Riserva di umanità e funzioni amministrative. - 3. La centralità dell’uomo nella nostra Costituzione. - 4. Le ambiguità esistenti tra la posizione della dottrina e dei codici etici di utilizzo dell’intelligenza artificiale da una parte, e i progetti politici in corso dall’altra parte; tre esempi di digitalizzazione massiva in materia di scuola, salute e giustizia. - 5. La riserva di umanità quale limite all’uso dell’intelligenza artificiale e della digitalizzazione massiva. - 6. La necessità di un ritorno all’umanesimo, che oggi può declinarsi quale umanesimo digitale.
“Di tutte le cose misura è l’uomo, di quelle che sono, per ciò che sono, di quelle che non sono, per ciò che non sono”
(PROTAGORA, V secolo a.C.)
1. Un ricordo, l’umanesimo del XV secolo
Vorrei iniziare con un ricordo.
L’insegnante di lettere ci spiegava l’umanesimo.
Diceva che l’umanesimo era stato un vasto movimento culturale nato alla fine del XIV secolo, il quale, caratterizzato da un rinnovato fervore per lo studio dell’antichità, poneva l’uomo al centro dell’universo, artefice della propria vita.
Questa era la grande novità dell’umanesimo: mentre la società medioevale era teocentrica, ovvero metteva Dio al centro dell’Universo, l’umanesimo era antropocentrico, ovvero metteva l’uomo al centro dell’universo, con la sua libertà e la sua individualità.
Non che gli umanisti fossero atei; tutto al contrario essi credevano in Dio; ma credevano ad un Dio che voleva gli uomini liberi.
L’insegnante diceva che andava considerato il precursore dell’umanesimo Francesco Petrarca, il quale, insofferente verso il sapere medioevale, si mise a studiare i classici latini e greci quale strumento di rinascita culturale, così peraltro ponendo le basi della moderna filologia.
Egli per primo, in quel contestò, affermò la dignità dell’uomo per le sue sole e proprie capacità intrinseche.
Poi, tutti gli umanisti arrivarono alle stesse conclusioni, avvalendosi delle riflessioni dei filosofi greci, delle opere del teatro ellenico, della letteratura romana, primi fra tutti Cicerone e Seneca.
Di nuovo l’uomo, per tutti questi studiosi, doveva stare al centro del mondo, al di sopra della natura, una macchina perfetta creata da Dio a sua immagine e somiglianza.
L’insegnante, per far meglio comprendere a noi ragazzi questo messaggio, quasi emozionata, riferiva dei passi degli stessi umanisti.
Tra questi, Coluccio Salutati, considerato il filosofo della libertà e del primato delle scienze pratiche su quelle teoretiche “La vita attiva, in quanto si distingue dalla speculativa, è da preferirsi in ogni modo”; Giannozzo Manetti, che scrisse il saggio De dignitate et excellentia homines: “Non c’è atto umano, dal quale l’uomo non tragga almeno un piacere trascurabile…..In tal modo, tutte le opinioni e le sentenze sulla fragilità appariranno frivole, vane, inconsistenti”; Marsilio Ficino, che con la sua Theologia platonica esaltò l’uomo e lo elogiò per la sua capacità di piegare la natura al proprio volere, rendendosi autosufficiente: “l’uomo di per se stesso, cioè con il suo senno e la sua abilità, governa se stesso, per nulla circoscritto entro i limiti della natura corporea, ed emula le singole opere della natura superiore”; e soprattutto Giovanni Pico della Mirandola, con la sua celeberrima Oratio de hominis dignitate, del 1486, il manifesto dell’umanesimo, e per la quale: “Ti posi nel mezzo del mondo perché di là meglio tu potessi scorgere tutto quello che è nel mondo, perché di tu stesso, libero e sovrano artefice, ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto”.
L’insegnante ci spiegava che Pico della Mirandola, considerato eretico, fu costretto a riparare in Francia per sfuggire all’inquisizione; rientrò a Firenze nel 1487 e si avvicinò a Savonarola, e nel 1494, poco più che trentenne, morì avvelenato in circostanze ancora oggi non chiare.
2. La monografia di Giovanni Gallone, Riserva di umanità e funzioni amministrative
E un piacere per me recensire la monografia di Giovanni Gallone, Riserva di umanità e funzioni amministrative, Cedam, 2023, pagg. 223.
2.1. L’oggetto dello studio è chiarissimo e Giovanni Gallone lo precisa fin dalla introduzione: si tratta del rapporto tra essere umano e intelligenza artificiale nelle funzioni amministrative; si tratta quindi di un tema attualissimo, di primissima importanza.
V’è da chiedersi, scrive subito Giovanni Gallone “con un occhio anche al futuro” quale sia la posizione che l’essere umano deve tenere a fronte della prospettiva, ormai realtà, di far funzionare la pubblica amministrazione con algoritmi e altri strumenti informatici; v’è da chiedersi, in sostanza, se possiamo cedere a delle macchine, anche integralmente, l’adempimento di compiti e la soluzione di questioni che fino ad ieri erano nostro personale e esclusivo appannaggio, oppure se è necessario che qualcosa resti pur sempre nelle nostre mani, e ciò al di là di ogni scoperta tecnico/scientifica, al di là di ogni possibilità robotica.
2.2. Il libro, che tratta questa tematica e risponde a questa domanda, è diviso in tre parti e in sette capitoli.
Nella prima parte l’A. affronta il fondamento del principio di riserva di umanità in ambito generale; lo analizza in base alle sue radici culturali (capitolo primo), con l’esegesi delle disposizioni che si trovano nella nostra Costituzione e nelle fonti sovranazionali (capitolo secondo), e l’analizza infine sotto il profilo più propriamente dottrinale (capitolo terzo).
Segue poi la parte seconda, ove l’A. approfondisce gli aspetti più propriamente legati al diritto amministrativo: esamina le basi del diritto positivo tra diritto interno e diritto eurounitario (primo capitolo), approfondisce le modalità dello svolgimento delle funzioni amministrative automatizzate (capitolo secondo) e analizza infine le possibili conseguenze della violazione del principio di riserva di umanità, ovvero si chiede quali possano essere le conseguenze giuridiche di un atto della pubblica amministrazione interamente dato da una macchina (capitolo terzo).
Infine si arriva alla parte terza ed ultima del volume, nel quale l’A., in un unico capitolo, cerca conferma delle sue tesi svolgendo lo sguardo al processo, ovvero rilevando come soprattutto l’attività giurisdizionale debba rispondere al principio di riserva di umanità, e non sia possibile rendere giustizia con l’uso massivo di macchine e/o algoritmi e/o intelligenza artificiale.
L’idea di fondo dell’A. è la seguente: “la tutela e la promozione della persona umana devono rappresentare misura e fine dello sviluppo tecnologico. Ciò esclude in radice che la macchina possa assumere un rilievo diverso da quello di mero instrumentum al servizio dell’uomo: essa deve assolvere ad una funzione, appunto, servente, di supporto e non sostitutiva dell’umanità” (pag. 35).
2.3. Per l’A. questa posizione è quella della nostra Costituzione.
In verità, l’A. ha ben chiaro che la nostra Costituzione non ha affrontato l’argomento, essendo evidente che alla fine della seconda guerra mondiale problemi di questo genere non vi erano; tuttavia egli avverte parimenti che la nostra carta costituzionale ha “dimostrato, in oltre settanta anni di storia, di essere capace di offrire risposte anche ai quesiti inediti che pone la modernità” (pag. 41), e certamente essa ha fatto della dignità umana il principio fondante della nuova Repubblica.
La dignità umana, poi, è stata assunta a “pietra angolare anche dei cataloghi sovranazionali di diritti umani essendo posta in apertura tanto della Dichiarazione universale dei Diritti Umani del 1948, quanto della Carta di Nizza” (pag. 53). E poi la si trova ancora, a parere dell’A., nell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: “L’art. 6 C.E.D.U., nel suo applicarsi, richiedere in via mediata che l’Amministrazione conservi un volto umano, risultando, quindi, inaccettabile, anche nella prospettiva convenzionale, la sottoposizione della persona a decisioni totalmente automatizzate” (pag. 63).
E ancora: “Queste sollecitazioni e riflessioni sono state, da ultimo, raccolte, a livello unionale, nella Dichiarazione europea sui diritti e i principi digitali per il decennio digitale, comunicazione adottata dalla Commissione Europea il 26 gennaio 2022, che reca la proposta al Parlamento europeo e al Consiglio di sottoscrivere una dichiarazione sui diritti e i principi che guideranno la trasformazione digitale nell’U.E.. Essa ruota attorno all’obiettivo di “mettere le persone al centro della trasformazione digitale”, e di garantire la “libertà di scelta” della persona” (pag. 68).
2.4. Il problema, infatti, per l’A., è che l’intelligenza artificiale ha tre punti critici, che devono essere ben chiari: a) “Il primo è rappresentato dalla tracciabilità dei processi decisionali”, ed esattamente, nei moderni sistemi di intelligenza artificiale: “la sequenza delle istruzioni non è predeterminata ma si ridefinisce in base ai dati esperienziali che li alimentano. Ne consegue che, pur conoscendo per intero la sequenza base, non è possibile stabilire (neppure da parte dello sviluppatore del software) quale sarà il percorso logico seguito dall’elaboratore: una parte di esso rimarrà in ombra e sfuggirà al dominio (e al controllo) del destinatario della decisione adottata sulla base del risultato computazionale finale” (pag. 28/29). b) “Il secondo punto critico è rappresentato dalla gestione dei big data”, poiché essi “pongono inediti problemi in tema di protezione dei dati personali” c) “In ultimo, l’impiego di forme di intelligenza artificiale resta esposto al rischio di bias cognitivi non dissimili da quelli che possono inficiare i processi valutativi umani”, poiché la macchina “può restare vittima di forma di distorsione della valutazione causata dal pregiudizio, giungendo, inconsapevolmente, a conclusioni fallaci”(pag. 31).
2.5. V’è quindi “l’esigenza di tracciare il perimetro di una riserva di umanità” (pag. 27), e deve essere chiara la contrapposizione tra intelligenza artificiale e coscienza: “La coscienza, intesa come consapevolezza della propria e altrui esistenza e delle conseguenze del proprio operato, resta così l’ultimo tratto davvero caratterizzante l’io e l’umano, che lo rende irriducibile ad una macchina. E la coscienza è il presupposto ineliminabile per il rapportarsi secondo morale ed etica in qualsiasi decisione………Ne discende che non è ammissibile che un’entità morale sia sottoposta al giudizio ed alla decisione di un’entità non morale o, comunque, incapace, come la macchina dotata di forme di intelligenza artificiale, di formulare giudizi morali” (pag. 35/6).
Peraltro la posizione sembra corrispondente a quella già indicata dal Consiglio di Stato ”con la nota pronuncia n. 8472 del 13 dicembre 2019”, che fissa i tre principi di “conoscibilità”, di “non discriminazione algoritmica”, e di “non esclusività della decisione algoritmica” (pag. 115/6), in quanto, afferma il Consiglio di Stato: “deve comunque esistere nel processo decisionale un contributo umano capace di controllare, validare ovvero smentire la decisione automatica” (pag. 117). E infine: “Sul piano globale queste riflessioni si sono concretizzate con l’adozione, il 24 novembre 2021, da parte della Conferenza Generale dell’U.N.E.S.C.O. di una Raccomandazione sull’etica dell’Intelligenza Artificiale”, ovvero “I sistemi robotici e le AI devono essere complementari ai professionisti e non sostituirli” e gli stessi “non devono contraffare l’umanità” (pag. 38).
2.6. Ciò premesso, desidero porre poi fin d’ora un’ultima precisazione tra intelligenza artificiale e digitalizzazione, e ciò anche in funzione di quanto mi permetterò di aggiungere.
L’A. volge la sua attenzione soprattutto all’intelligenza artificiale, ma è ovvio che il discorso coinvolge necessariamente anche la digitalizzazione, trattandosi, l’uno e l’altro, di fenomeni strettamente connessi fra loro.
Sotto questo profilo, direi, se non si vuole ritenere che l’intelligenza artificiale altro non è se non un sotto-fenomeno della digitalizzazione, e quindi che tra i due debba darsi una relazione di contenente a contenuto, può affermarsi che mentre l’intelligenza artificiale procede a realizzare un ragionamento che in realtà poteva esser fatto dall’uomo, la digitalizzazione, al contrario, non sostituisce l’uomo in un ragionamento, ma consente allo stesso di porre in essere certe attività senza contatti diretti con gli altri essere umani, ovvero a distanza, con l’ausilio del computer.
E’ evidente, però, non solo che le due cose possano contestualizzarsi, nel senso che ad un’attività digitalizzata può seguire un ragionamento fatto da un robot o viceversa, ma anche che entrambi questi aspetti interferiscono con il principio di riserva di umanità: - nel caso dell’intelligenza artificiale perché il ragionamento non è dell’uomo ma della macchina; - nel caso della digitalizzazione perché l’attività è spersonalizzata e posta in essere senza contatto umano.
Va da sè, allora, che la dimensione giuridica dell’intelligenza artificiale non può prescindere da quella della digitalizzazione, e quindi d’ora in avanti le tratterò congiuntamente.
3. La centralità dell’uomo nella nostra Costituzione
Ora, premesso tutto ciò, vorrei in primo luogo condividere il pensiero dell’A. in ordine alla centralità della dignità umana in base alla nostra Costituzione.
La dignità umana è certamente il valore primo e assoluto di tutti gli altri diritti inalienabili della persona, voluto fortemente dai nostri costituenti dopo il periodo tragico del fascismo e della seconda guerra mondiale.
L’A. ha quindi ragione a ritenere che la riserva di umanità, che si potrebbe anche indicare come centralità dell’uomo o dell’essere umano, costituisce uno spazio costituzionale intoccabile, il primo fra tutti gli altri, assoluto.
E’ vero che i nostri costituenti non si occuparono del rapporto uomo-macchina: “i Costituenti del 1947 avevano di fronte a sé un mondo ben diverso da quello attuale” (pag. 41); tuttavia l’idea di mettere la persona al centro del sistema costituzionale era ben chiaro a tutta l’Assemblea Costituente, e trovò infatti unanimità in tutte le forze politiche di allora.
Scrive l’A. che: “Non v’è, in particolare, dubbio che si possa scorgere, lungo tutto il dettato della Costituzione, un’assoluta centralità della persona umana, portato diretto del compromesso raggiunto, in sede di adozione, tra le tradizioni politiche e costituzionali delle sinistre, del pensiero liberale e democratico e di quello cattolico” (pag. 42).
Ovviamente, la centralità della persona non veniva affermata in contrasto all’intelligenza artificiale o alla digitalizzazione; l’esigenza scaturiva dalla volontà di chiudere con il fascismo, che per venti anni aveva negato ogni diritto naturale della persona.
Tuttavia penso si possa essere d’accordo che non è rilevante valutare le ragioni politiche per le quali, tra il 1946 e il 1948, fu costituzionalizzato il principio della centralità dell’uomo, poiché par evidente che questa anteriorità della persona, fortemente segnata nella nostra carta costituzionale, non muta, ne’ assume diversi connotati, se mutano le ragioni contingenti che, a seconda dei momenti storici, le si pongano a fronte.
In ogni caso l’A. sottolinea come: “la proposta inziale a firma di Giorgio La Pira” fu poi “il prodotto di due emendamenti identici a cura di esponenti di spicco dei due principali partiti, Fanfani per la Democrazia Cristiana e Amendola per il Partito Comunista” (pag. 52).
Orbene, poiché ritengo questo aspetto fondamentale, mi sia consentito qui richiamare, senza alcuna pretesa di completezza, gli interventi che i nostri costituenti tennero nel corso di quei lavori, e per come essi risultano dagli stessi verbali.
- Giorgio La Pira, sottocommissione del 75, 9 settembre 1946: “E’ necessario che alla costituzione sia premessa una dichiarazione dei diritti dell’uomo……..deve essere ammessa soprattutto come affermazione solenne della diversa concessione dello Stato democratico, che riconosce i diritti sacri, inalienabili, naturali del cittadino, in opposizione allo Stato fascista”. Premesso questo La Pira: “illustra l’articolazione proposta, facendo presente che nel primo articolo viene determinato il fine della Costituzione: tutela dei diritti originari ed imprescrittibili della persona e delle comunità naturali…..diritto alla libertà personale, ai giudici naturali, alla libertà di circolazione, alla libera espressione del proprio pensiero, ecc……..”.
La posizione veniva condivisa da tutta la Commissione, e qui ricordo ulteriori interventi:
- Ottavio Mastrojanni: “Ha seguito con compiacimento la dotta relazione del collega La Pira e non ho nulla da obiettare in ordine alla necessità di creare una netta antitesi tra la concezione dello Stato fascista e quella dello Stato democratico. L’affermazione dei diritti dell’individuo, secondo la tradizione del 1789, è stata esattamente posta in evidenza e logicamente deve costituire il preambolo della nuova Costituzione”.
- Giuseppe Dossetti: “Si vuole o non si vuole affermare l’anteriorità della persona…….? Questo concetto fondamentale dell’anteriorità della persona, che dovrebbe essere gradito alle correnti progressiste qui rappresentate, può essere affermato con il consenso di tutti”.
- Palmiro Togliatti: “E’ d’accordo che un regime politico, economico e sociale, è tanto più progredito, quanto più garantisce lo sviluppo della personalità umana”
- Roberto Lucifero: “La costituente deve dar vita ad uno Stato nel quale non si possa ripetere la tragedia del fascismo. Quindi un’affermazione chiara di quelle che sono le libertà dell’uomo, dirette o derivate, è necessaria”.
- Aldo Moro: “Uno Stato non è pienamente democratico se non è al servizio dell’uomo, se non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l’autonomia della persona umana, se non è rispettoso di quelle formazioni sociali nelle quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali essa integra la propria personalità”.
Non è questa la sede per una disamina più approfondita.
Possiamo però convenire, oltre ogni ragionevole dubbio, che i nostri costituenti considerarono la persona come il centro ineludibile del sistema giuridico, e quindi possiamo di nuovo condividere l’A. quando afferma che “L’uomo è, nella sua irriducibile unicità, il protagonista assoluto della Carta” (pag. 52).
4. Le ambiguità esistenti tra la posizione della dottrina e dei codici etici di utilizzo dell’intelligenza artificiale da una parte, e i progetti politici in corso dall’altra parte; tre esempi di digitalizzazione massiva in materia di scuola, salute e giustizia
Ora, dato ciò, e premesso che la centralità dell’essere umano è confermata non solo dalla nostra Carta Costituzionale bensì anche, in vario modo e a vario titolo, dalla Dichiarazione universale dei Diritti Umani del 1948, dalla Carta di Nizza, dall’art. 6 CEDU, dalla Comunicazione adottata dalla Commissione Europea il 26 gennaio 2022, e infine dalla raccomandazione della Conferenza Generale dell’UNESCO del 24 novembre 2021 sull’etica dell’intelligenza artificiale, io credo si possa tutti convenire che l’idea dell’A. di ritenere la riserva d’umanità un’esigenza irrinunciabile a fronte della intelligenza artificiale sia senz’altro corretta.
Peraltro, direi, la posizione è altresì del tutto corrispondente a quella del Codice etico dell'Unione Europea dell' 8 aprile del 2019, che contiene le linee guida sull’utilizzo e lo sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale.
Il documento asserisce che l'intelligenza artificiale deve rispettare la dignità dell'uomo, le libertà individuali, la democrazia, la giustizia, l’eguaglianza e la non discriminazione, ovvero deve rispettare quei principi che l’A. ha ricompreso nel concetto di riserva di umanità.
Ed ancora, direi, questa posizione mi sembra trovi consenso pressoché unanime nella dottrina, visto che tutti (o quasi tutti) asseriscono infatti che "le applicazioni della giustizia digitale non possono sostituire il giudizio dell’uomo, ma solo essere serventi …………. Non sono quindi devolvibili alla macchina l’attività interpretativa, né tutte quelle valutazioni che presuppongono l'applicazione di concetti elastici o di clausole generali o ancora che impongono il ricorso a un giudizio per valori. ………. Non è, in definitiva, devolvibile ad una macchina la decisione del caso specifico” (così S. Silvestri, nell’intervento conclusivo del convegno Intelligenza artificiale, giustizia e diritti umani organizzato il 20 settembre 2022 da Magistratura democratica, www.questione giustizia.it).
Il problema, però, a me sembra, che a fronte di queste posizioni, vi sia invece una precisa e determinata volontà politica, italiana come europea, che spinge al contrario verso una forte digitalizzazione e ad un uso massivo della intelligenza artificiale; e trovo, pertanto, una divergenza, una contrapposizione, a volte anche molto marcata, tra quello che teoricamente viene affermato, e quello che in concreto si va a fare, o si ha intenzione di fare di qui a breve.
Per meglio comprendere questa sfaldatura vorrei fornire qui qualche esempio, e lo farei con riferimento a tre ambiti che credo, insieme alla pubblica amministrazione ampiamente trattata dall’A., costituiscono le fondamenta della nostra convivenza sociale; questi sono: scuola, sanità e giustizia.
4.1. In ambito scolastico abbiamo oggi il c.d. piano scuola 4.0., ovvero un programma di ampia e massiva digitalizzazione della scuola.
Il Piano Scuola 4.0. è diviso in quattro sezioni: la prima sezione Bachground, definisce il contesto dell’intervento; la seconda e la terza, Framework, hanno ad oggetto la progettazione degli ambienti di apprendimento innovativi (Next Generation Classrooms) e dei laboratori per le professioni digitali del futuro (Next Generation Labs); infine la quarta Roadmap, illustra e sintetizza gli step di attuazione della linea di investimento.
Verranno digitalizzate le aule scolastiche, e a tal fine il progetto Next Generation Classrooms intende adattare centomila aule ai nuovi “ecosistemi di apprendimento”, ovvero avvalersi “delle pedagogie innovative quali apprendimento ibrido, pensiero computazionale, apprendimento esperienziale, insegnamento delle multiliteracies e debate, gamificatione” e ciò lungo tutto il corso dell’anno scolastico “trasformando la classe in un ecosistema di interazione, condivisione, cooperazione, capace di integrare l’utilizzo proattivo delle tecnologie per il miglioramento dell’efficacia didattica e dei risultati di apprendimento”.
Si interverrà altresì sui laboratori già presenti nelle scuole per adeguarle alle professioni digitali del futuro, con spazi espressamente dedicati a: “robotica e automazione; intelligenza artificiale; cloud computing; cybersicurezza; internet delle cose; making e modellazione e stampa 3D/4D; creazione di prodotti e servizi digitali; creazione e fruizione di servizi in realtà virtuale; comunicazione digitale; elaborazione, analisi e studio dei big data; economia digitale e-commerce e blockchain”.
Infine, alla luce del principio della Didattica digitale, i docenti dovranno essere divisi in sei livelli di competenza digitale: “A1 Novizio; A2 Esploratore; B1 Sperimentatore; B2 Esperto; C1 Leader; C2 Pioniere”.
Dunque, questo progetto di digitalizzazione della scuola non può non esser analizzato a fronte del principio di riserva di umanità.
In particolare v’è da chiedersi se esso non si ponga in contrasto con il principio di libertà d’insegnamento, in quanto tutte le scuole e tutti gli insegnanti dovranno condividere questo piano e ritenere sia la cosa migliore per la scuola del futuro: “Ciascuna istituzione scolastica adotta il documento Strategia Scuola 4.0., che declina il programma e i processi che la scuola seguirà”; ed inoltre il programma potrebbe porsi in contrasto con il diritto costituzionale dei nostri ragazzi a ricevere dalla scuola pubblica lo sviluppo della persona umana, attraverso una libera e ragionata formazione culturale, attraverso relazioni umane dirette e personali, e attraverso un programma di studi che favorisca la crescita spirituale degli allievi e non la neghi a profitto di apprendimenti meramente pratici e mnemonici e ricevuti a distanza.
4.2. In ambito sanitario v’è da realizzare il programma c.d. piano salute, e ciò entro il 2026.
Al momento non si conoscono i dettagli di detto piano; tuttavia fin d’ora si sa che anch’esso sfrutterà le nuove possibilità date dall’intelligenza artificiale e dalla digitalizzazione; infatti già fin d’ora si parla di telemedicina, di fascicolo sanitario elettronico, di teleassistenza, e infine di telemonitoraggio.
Ad esempio, esiste già un progetto c.d. wearable, il quale, grazie a particolari sensori del quale è fornito, ha la possibilità di svolgere il ruolo di un vero e proprio dispositivo medico per il controllo dei parametri del paziente e per la somministrazione di cure a distanza, e quindi ha la possibilità di esercitare e mettere in atto nuove forme di terapie digitali.
Con riguardo alla c.d. telemedicina, inoltre, si immagina un ricorso alla televisita, al teleconsulto e alla telerefertazione, e in questo contesto si inserisce il c.d. fascicolo sanitario elettronico, ovvero un strumento di raccolta on line di dati e informazioni sanitarie dei cittadino, realizzato dai medici che li hanno in cura nell’ambito del servizio sanitario nazionale.
Ebbene, se si analizzano i neologismi utilizzati per indicare la medicina del futuro, si vede che ogni parola è anticipata da un tele, tutto è tele, telemedicina, televisita, teleassistenza, telemonitoraggio, ecc…….quindi tutto si immagina a distanza, ovvero in assenza di relazioni umane dirette, o meglio con le sole relazioni umane strettamente necessarie.
Ma la conseguenza abbastanza evidente dell’uso delle macchine digitali nell’attività medica sarà quella della degradazione della funzione del medico, poiché con la telemedicina, probabilmente, più che un medico, sarà sufficiente avere un semplice assistente sanitario.
In questi termini, il rapporto duale medico/paziente, si potrebbe trasformare in un rapporto triale professionista-sanitario/macchina/paziente/; e conseguentemente il rapporto personale e diretto con il proprio medico, la riservatezza in ordine alla propria salute, il diritto alla libertà di cura, intesa sia nella libertà del medico di stabilirla, sia nel diritto del paziente di sceglierla, potrebbero entrare in crisi a fronte della nuova digitalizzazione del mondo sanitario.
4.3. Discorso non diverso può esser fatto per la giustizia.
E’ chiaro che il nuovo processo telematico è sostanzialmente rispettoso del principio di riserva di umanità, in quanto ha ad oggetto, per lo più, la digitalizzazione di attività materiali.
Tuttavia, anche per la giustizia, sussiste un programma di digitalizzazione e di uso dell’intelligenza artificiale che certo, al contrario, può suscitare perplessità.
Si tratta del piano europeo c.d. Action Plan European e-Justice, che ha come obiettivi, tra i tanti, quelli di: a) sviluppare strumenti utilizzando tecnologie di intelligenza artificiale per anonimizzare o pseudonimizzare automaticamente le decisioni giudiziarie ai fini del riutilizzo; b) sviluppare uno strumento di intelligenza artificiale per l’analisi delle decisioni giudiziarie; c) sviluppare un chatbot in grado di aiutare gli utenti ed indirizzarli verso le informazioni che cercano; d) scambiare informazioni, buone pratiche e tecnologie per rendere possibile la videoconferenza transfrontaliera;
Il Ministero della Giustizia precisa che: “Nel rispetto del ruolo di servizio assegnatogli dalla Costituzione, i progetti di ricerca già avviati dal Ministero sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale applicata alla giustizia non mirano a realizzare processi decisionali alternativi (giudice robot) a quelli, costituzionalmente vincolati, basati sull’autonomia ed indipendenza del giudice umano”; però da altra parte si rileva parimenti che “per una giustizia più rapida ed efficiente si sta inoltre lavorando alla costituzione di aule virtuali, con dotazione di adeguati strumenti software e hardware che permettano la celebrazione di udienze virtuali, in modalità online ed ibrida, integrati con la Consolle del Magistrato onde agevolare la successiva trasmissione e pubblicazione all’interno del fascicolo informatico”.
La posizione non sembra pertanto lineare, poiché, di nuovo, se da un lato si riconosce il principio di riserva di umanità studiato dall’A., dall’altra tuttavia si prospettano nuovi strumenti che difficilmente potranno considerarsi rispettosi di detta riserva, e certo si arrivasse ad immaginare delle macchine che pongono in essere i primi controlli di ammissibilità degli atti giudiziari, o ancora delle macchine che aiutino il giudice nella stesura della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, o si pensasse all’integrale abolizione, o forte riduzione, delle udienze in presenza per sostituirle con udienze da svolgersi in aule virtuali, lì è evidente che la centralità dell’uomo nelle attività giudiziarie potrebbe perdersi.
Al riguardo, credo che ancor oggi possa essere illuminante la contrapposizione che posero i nostri costituenti con l’art. 110 Cost., tra servizi relativi alla giustizia, che potevano essere gestiti dal Ministero della Giustizia come attività meramente materiali, e attività invece appartenenti più propriamente all’esercizio della funzione giurisdizionale.
Oggi diremmo, le prime più facilmente digitalizzabili, le seconde da non digitalizzare.
5. La riserva di umanità quale limite all’uso dell’intelligenza artificiale e della digitalizzazione massiva
Ora dunque, ciò posto, non possiamo far finta di non essersi accorti che vi è un progetto politico ben preciso di digitalizzazione massiva di ampi ambiti delle relazioni umane (scuola, sanità, giustizia sono stati solo degli esempi).
Si tratta di un progetto che non può non preoccuparci, anche perché, come detto, in contrasto sia con il pensiero della dottrina, sia, soprattutto, con la raccomandazione UNESCO e con il Codice etico europeo sull’utilizzo e lo sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale.
Di nuovo, si tratta di studiare il tutto alla luce del principio di riserva di umanità.
Per l’A., abbiamo visto, riserva di umanità significa “assoluta centralità della persona umana” (pag. 42).
Egli rivolge soprattutto lo sguardo agli atti della pubblica amministrazione, visto che deve restare: “sempre ferma ed inderogabile la necessità che sia garantito un minimum di umanità nello svolgimento della funzione amministrativa” (v. ancora pag. 146); però, al tempo stesso, l’A. asserisce altresì che: “Si impone una lettura allargata della riserva di umanità tra procedimento e processo amministrativo, piani da sempre tra loro intercomunicanti” (pag. 204), e quindi che il limite di riserva di umanità non è strumento che governa necessariamente il solo compimento degli atti amministrativi, ma è principio generale dell’ordinamento che può imporsi anche in altri ambiti.
E allora, io credo, il principio di riserva di umanità può essere analizzato sotto diversi punti di vista, i quali semplicemente costituiscono aspetti integranti della medesima regola costituzionale e comunitaria della centralità dell’uomo.
In questo ambito mi permetto di indicare almeno quattro sotto-dimensioni nelle quali il principio di riserva di umanità può, a mio sommesso parere, articolarsi.
5.1. La prima è che il principio è incompatibile con l’idea di una possibile calcolabilità del diritto secondo la tesi per primo proposta da Max Weber.
La calcolabilità del diritto è prospettiva, a mio parere, del tutto incostituzionale, poiché il diritto non può procedere secondo gli schemi della matematica.
Direi che avverso la teoria della calcolabilità del diritto dovrebbe ancora oggi suonare forte il monito di Salvatore Satta, il quale diceva: “Se la forza della matematica è quella di non essere un’opinione, la forza del diritto è invece proprio quella di essere un’opinione”.
Credo che questa contrapposizione tra matematica e diritto debba mantenersi, come pure debba mantenersi l’idea che il diritto costituisce in molti momenti un’opinione.
Peraltro, vorrei che fosse chiaro che la contrapposta idea della certezza del diritto è un valore solo se non portato alle estreme conseguenze, poiché, al contrario, ove le conseguenze dovessero essere assolute, la certezza del diritto si renderebbe invece un fatto pregiudizievole.
E’ infatti connaturato al concetto di giustizia un margine di umana opinabilità, senza la quale, altrimenti, la giurisprudenza non potrebbe evolversi, i cittadini, con i loro difensori, non potrebbero liberamente esprimersi, gli aspetti umani e/o di semplice equità non potrebbero più essere portati all’attenzione del giudice, il pensiero dottrinale si perderebbe, e i diritti soggettivi si trasformerebbero in meri interessi di soggetti tutti eguali e obbedienti.
Ove, per ipotesi, tutto fosse davvero matematico, lì non avremmo solo compromesso il principio di riserva di umanità, lì avremmo compromesso la nostra stessa libertà, che ha la necessità, per esistere, non solo dell’ordine, ma anche dell’opinabilità di quell’ordine.
5.2. La seconda precisazione attiene alla necessità che le macchine non creino eccessiva distanza tra uomo e uomo, ovvero non alterino in modo rilevante quella che è l’essenza delle relazioni umane.
E’ evidente che l’uso della macchina di per sé crea una frattura della relazione umana; il principio di riserva di umanità deve però porsi quale limite oltre il quale questa frattura non è più accettabile, deve porsi quale criterio di misurazione di ciò che non può essere oltrepassato.
Ad esempio, una udienza può essere fatta a distanza, ma sarebbe contrario al principio di riserva di umanità fare un intero processo a distanza, in un meccanismo digitale che impedisca alle parti di conoscere la persona del giudice; egualmente, una visita medica può farsi a distanza, ma sarebbe contrario ad un principio di riserva di umanità immaginare che il paziente non abbia conoscenza personale del suo medico, o addirittura ignori chi sia perché sempre integralmente sostituito da una macchina; ed ancora una lezione si può fare a distanza, ma sarebbe contrario ad un principio di riserva di umanità immaginare che l’istruzione nel suo insieme possa darsi a distanza e con l’uso di intelligenza artificiale, e tanto più la cosa si porrebbe in contrasto con la necessità della personalizzazione delle relazioni umane, quanto più si pretenda che questa digitalizzazione coinvolga, come nella scuola, soggetti minori, se non addirittura piccoli bambini, che evidentemente hanno l’inviolabile necessità di incontrarsi fisicamente tra loro per crescere in modo equilibrato e corretto.
Dunque, il principio di riserva di umanità non contrasta con l’uso della macchina e/o con la digitalizzazione del compimento di attività umane; costituisce tuttavia un limite invalicabile quando questa digitalizzazione dovesse assumere misure eccessive, se non addirittura assolute, poiché resta imprescindibile “il rispetto del principio personalistico come valore fondante del nostro ordinamento” (pag. 223).
5.3. La terza precisazione, ancora, attiene alla necessità che le macchine non danneggino l’uomo, ovvero non ne compromettano la struttura sua propria, le capacità, la personalità.
Anche in questo caso credo che degli esempi siano necessari per comprendere il limite dato dal principio di riserva di umanità.
Ad esempio, se io uso l’intelligenza artificiale per risolvere una questione, evidentemente non uso più la mia personale intelligenza per risolvere quella medesima questione; questa prassi, inevitabilmente, comporterà una riduzione dell’uso dell’intelligenza umana, sostituita in sempre più occasioni da quella artificiale; ciò ancora, comporterà lo svilupparsi di una pigrizia dell’uso dell’intelligenza umana; col tempo, il rischio è che il ridotto uso dell’intelligenza umana incida sulle stesse capacità cognitive e intellettuali delle persone, ovvero comporti un rimbambimento generalizzato, in grado di pregiudicare la personalità degli esseri umani.
Il principio di riserva di umanità deve dare l’equilibrio di queste due contrapposte situazioni.
Altro esempio: se io ho una macchina che è in grado di darmi ogni tipo di informazione, diventerà allora superfluo in molti casi studiare, assimilare nozioni, formarsi, acculturarsi.
Ci si chiederà: che necessità vi è di studiare e faticare per sapere questo e quest’altro, quando tutto, in un attimo, mi può essere riferito ed elaborato da una macchina?
E’ evidente che in una società interamente digitalizzata il valore della cultura cadrebbe in secondo piano, ed anzi probabilmente sarebbe visto di mal occhio, in quanto sapere che si contrappone al sapere della macchina.
Ai giovani non si chiederebbe più di studiare, le scuole e le università potrebbero considerarsi in parte superflue, e in ogni caso interamente da rivedere.
E’ ovvio che il venir meno del concetto di cultura potrebbe compromettere la personalità degli esseri umani, la loro possibilità di differenziarsi gli uni dagli altri, di avere delle idee e delle nozioni proprie che non necessariamente coincidano con quelle della macchina; e la distruzione della cultura potrebbe, a mio sommesso parere, porsi quindi in contrasto con il principio di riserva di umanità.
Ultimo esempio: la macchina, date certe informazioni, produce normalmente, e come regola, il medesimo risultato: “partendo dagli stessi dati in input, si ottengono i medesimi risultati in output” (pag. 18); un essere umano, al contrario, non necessariamente, dati certi dati, perviene a eguali risultati, poiché l’essere umano, evidentemente, ha delle caratteristiche individuali e personali che consentono elaborazioni differenti degli stessi elementi sui quali si pone il percorso logico.
Potremmo dire così che la sostituzione sempre più massiva dell’uso dell’intelligenza artificiale a quella umana comporta il progredire dell’idea che, dato un problema, la soluzione di quel problema non è che uno.
In questi termini, si comprende, l’uso massivo dell’intelligenza artificiale tende a compromettere il pluralismo delle idee, e tanto più si farà uso delle macchine, tanto più si affermerà il concetto che su una questione, solo quella, e non altre, può essere la risoluzione; parimenti l’uso della macchina tenderà a rendere oggettivo, e non più soggettivo, l’opinione che su una questione si possa avere.
Questi meccanismi comprometteranno il pluralismo, la diversità di idee, la stessa libera manifestazione del pensiero, e tenderanno al contrario a fortificare il c.d. pensiero unico/oggettivo.
Anche questo percorso potrà, a mio parere, considerarsi in contrasto con il principio di riserva di umanità ove dovesse assumere dimensioni di una certa rilevanza; e la cosa, addirittura, potrebbe avere altresì una ricaduta macrosociale, in quanto la contrazione del pluralismo delle idee potrebbe pregiudicare la stessa democrazia di un paese.
5.4. E qui arriviamo, così, all’ultima sotto-categoria, che attiene al rapporto tra pubblico e privato.
E’ di tutta evidenza che l’intelligenza artificiale e la digitalizzazione possono essere strumenti a disposizione dei pubblici poteri; ciò non è necessariamente un male, poiché anzi, tutto al contrario, la digitalizzazione è strumento assai efficace per contenere la commissione di delitti e per imporre il rispetto della legge.
Però è evidente che al tempo stesso la digitalizzazione consente un’invadenza della sfera pubblica nella vita privata che fino ad ieri era del tutto impensabile.
V’è da chiedersi, allora, fino a che punto questa invadenza può darsi, e a qual punto invece essa deve arrestarsi poiché contraria al principio di riserva di umanità.
Con i nuovi strumenti digitali si potrebbe arrivare presto a tracciare interamente la vita delle persone; esagerando con un esempio si potrebbe dire che, se fino ad oggi il braccialetto elettronico era una misura di punizione penale, domani l‘idea che ogni movimento umano debba essere tracciato e controllato potrebbe diventare la regola fuori da ogni dimensione di diritto penale.
In ipotesi di questo genere, certo, la possibilità di commettere reati e di compiere altre attività vietate dalla legge si ridurrebbe fortemente, ma al tempo stesso anche tradire il coniuge, mangiare troppa carne, svegliarsi tardi la mattina, attraversare la strada fuori dalle strisce pedonali, lavorare poco o molto, fare o non fare sport, seguire o non seguire certi programmi televisivi, frequentare o non frequentare certe persone, manifestare o non manifestare certe idee ecc…. sarebbero tutte cose la cui conoscenza ai pubblici poteri sarebbe consentita.
Vorrei sottolineare che a questo fine sussiste ampia discussione in dottrina tra intelligenza artificiale e privacy, ma si tratta, a mio sommesso avviso, di un dibattito incompleto poiché il controllo delle libertà individuali è questione di privacy solo nei rapporti tra privati, mentre se il controllo è in mano ai pubblici uffici, lì la questione non è di privacy, ma attiene allo stesso diritto inviolabile della libertà personale.
Dunque, il principio di riserva di umanità deve costituire altresì un limite a questa invadenza, poiché tutti noi abbiamo il diritto di non essere controllati o tracciati nelle attività della nostra vita quotidiana.
Peraltro, ciò corrispondente esattamente al Codice etico dell'Unione Europea dell' 8 aprile del 2019, il quale asserisce che l'intelligenza artificiale deve rispettare la dignità dell'uomo, le libertà individuali, la democrazia.
6. La necessità di un ritorno all’umanesimo, che oggi può declinarsi quale umanesimo digitale
Qualche appunto conclusivo.
6.1. Né l’A. né io mettiamo in dubbio i vantaggi che provengono dall’uso dell’intelligenza artificiale: “Non v’è, quindi, dubbio che l’intelligenza artificiale rappresenti per la pubblica amministrazione una risorsa irrinunciabile per la realizzazione degli obiettivi di buon andamento, economicità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa” (pag. 26).
E, direi, nell’ottica più ampia con la quale ho voluto impostare questa mia recensione, l’intelligenza artificiale e la digitalizzazione rappresentano una risorsa irrinunciabile non solo per il buon andamento della pubblica amministrazione bensì in tutti gli ambiti di relazioni umane.
Tuttavia sarebbe miope limitarsi a lodare, se non addirittura esaltare, questi nuovi strumenti tecnologici senza al contempo sottolinearne i rischi e i pericoli.
Guillaume Pitron, nel suo volume su l’Enfer numérique, Paris, 2023, sintetizzava la sua ricerca sulle moderne digitalizzazioni con una frase secondo la quale “Il nostro avvenire è una gara tra la potenza crescente della nostra tecnologia e la saggezza con la quale la utilizzeremo”; e direi che su questa stessa posizione si trova il nostro Giovanni Gallone, per il quale è necessario rilanciare “un approccio antropocentrico al futuro, che inauguri una nuova stagione di umanesimo digitale, come inedita declinazione dell’umanesimo giuridico” (pag. 34).
Penso anch’io, come loro, in conclusione, che sia infatti necessario un nuovo umanesimo, un nuovo umanesimo giuridico, un umanesimo digitale.
Deve essere chiaro che non possiamo inevitabilmente seguire ogni sorta di nuova scoperta tecnologica e farla necessariamente entrare nella nostra vita senza alcuna riflessione, senza alcun approccio critico, senza alcuna autodeterminazione di ciò che vogliamo e di ciò che non vogliamo.
E’, e deve restare, l’uomo, la misura di tutto; niente si antepone all’uomo, neanche la scienza, neanche la tecnica; è l’uomo, con le parole di un umanista immortale che libero e sovrano artefice, determina la forma prescelta, e stabilisce ciò che vuole e ciò che non vuole.
La digitalizzazione deve rimanere un mezzo e non un fine, uno strumento e non un obiettivo, altrimenti v’è il rischio: “che il genere umano, nel coltivare l’antica ambizione di dominare il mondo e proseguire sulla via dello sviluppo sociale ed economico, possa finire col rendere superfluo sé stesso” (pag. 33).
Non dobbiamo, così, aver paura di difendere la nostra cultura e le nostre tradizioni; non dobbiamo aver paura a metter noi stessi avanti tutto.
E’ una conclusione necessaria poiché, par evidente, l’intelligenza artificiale e la digitalizzazione potrebbero altrimenti ben costituire in un prossimo futuro i perfetti strumenti di negazione e alterazione della individualità nonché soppressione e smantellamento di ogni libertà costituzionale..
Ricordiamoci di Immanuel Kant, che, nel suo breve saggio Che cos’è l’illuminismo, scriveva: “Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza”.
Serviamoci, dunque, della nostra intelligenza prima di adoperare quella artificiale; non facciamoci rendere minoritari dalle macchine.
6.2. Ciò dato, si tratta infine di sintetizzare in concreto quali possano essere i limiti di utilizzo dell’intelligenza artificiale e della digitalizzazione alla luce del principio di riserva di umanità.
E’ importante offrite queste indicazioni in un momento nel quale ancora, direi, non esistono normative specifiche, ne’ italiane ne’ europee, che regolino questi fenomeni.
Io credo che le osservazioni da porre stiano su due piani, uno più generale e uno più specifico.
6.3. Sul piano generale, a me sembra, di nuovo, che debba essere vietato:
a) adottare, in futuro, strumenti o tecniche volte a trasformare la risoluzione di questioni di diritto in operazioni di calcolo matematico;
b) alterare in modo rilevante le relazioni personali tra le persone;
c) compromettere, oltre una certa misura, le capacità intellettuali, la personalità dell’essere umano e la sua cultura;
d) consentire che la digitalizzazione possa trasformarsi in uno strumento a disposizione dei pubblici poteri per il tracciamento e il controllo della vita personale dei cittadini.
Quest’ultimo punto lo ritengo il più importante; ricordo al riguardo un passo di Kate Crawford, Ne’ intelligente ne’ artificiale, Il Mulino, 2023, 256/8: “L’intelligenza artificiale è inevitabilmente progettata per amplificare e riprodurre le forme di potere che deve ottimizzare” E’ necessaria: “una rinnovata politica di rifiuto al –se si può fare sarà fatto-…… Sfidiamo le strutture che l’intelligenza artificiale attualmente rafforza e creiamo le basi per una società diversa”.
6.4. Per quanto invece concerni più specificatamente l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, credo si possa solo ribadire, semmai trasformando in principio generale quello che l’A. ha affermato con più specifico riferimento alla pubblica amministrazione, che: “Il rispetto della riserva di umanità impone che il provvedimento finale sia adottato dal funzionario persona fisica, secondo le regole generali, anche ove si sia optato per l’automazione della funzione amministrativa e venga in rilievo un’attività tout court vincolata” (pag. 165).
Dunque, niente può esser fatto senza la presenza dell’uomo e l’apporto dell’essere umano, e di questa posizione, ancora, è lo stesso Conseil Constituitionnel, il quale “ha escluso la possibilità di utilizzare, come fondamento unico di una decisione amministrativa, algoritmi in grado di rivedere da soli le regole che applicano, senza il controllo e la convalida del responsabile del trattamento” (pag. 130).
Ma, oltre, ciò, e sempre muovendo all’analisi dell’A., io credo si possa altresì individuare due diversi modi di agire della stessa intelligenza artificiale.
Precisamente, seppur, di base, l’intelligenza artificiale ragiona calcolando, e ciò “vale a fondare la nozione teorica della calcolabilità” (pag. 18), v’è però da aggiungere che: “mentre la sequenza algoritmica è predefinita, i software di intelligenza artificiale non si limitano ad eseguire regole predeterminate ma sono in grado di eseguire taluni compiti con modalità che imitano, sotto taluni profili, percorsi logici propri dell’intelligenza umana……..La macchina apprende dalle operazioni svolte in precedenza in maniera non dissimile da come l’intelligenza umana apprende dalla realtà” (pag. 20). Ed inoltre: “Una particolare forma di approccio al Machine Learning è, poi, costituita dal Deep Learning (il c.d. apprendimento profondo). Esso si basa su diversi livelli di rappresentazione, corrispondenti a gerarchie di caratteristiche di fattori o concetti, dove i concetti di alto livello sono definiti sulla base di quello di basso, sicché il software, operando a cascata, utilizza, al livello successivo, come input, l’uscita (output) del livello precedente” (pag. 21).
Esattamente, così, allora a me sembra che:
a) in un primo ambito possiamo ricomprendere le ipotesi nelle quali l’intelligenza artificiale provvede a dare dei risultati di mero calcolo, obiettivi, privi di valutazioni discrezionali o di scelta per l’intelligenza umana, e quindi di basso livello.
A titolo di esempio in questo ambito possono essere ricomprese le attività di mero calcolo matematico, di analisi di transazioni bancarie o finanziarie, di determinazione dell’ammontare del premio per una polizza assicurativa, ecc….
b) Accanto a questo utilizzo dell’intelligenza artificiale v’è però un’utilizzazione più elevata, o più profonda che dir si voglia, e in questi casi essa dà invece un risultato che è frutto di una scelta discrezionale, e lo fa elaborando concetti di più lato livello, che presentano, a confronto dell’intelligenza umana, margini di scelta.
Ad esempio se la macchina procede alla determinazione dell’esito di una lite o all’esito di una cura medica, o valuta il rischio di una recidiva o della pericolosità sociale di una persona, o infine valuta l’ammissibilità o meno di una azione giudiziaria, ecc………
Nelle prime ipotesi, così, la macchina offre un’operazione che per l’intelligenza umana non potrebbe che essere quella; nell’altro caso la macchina offre invece un risultato che viceversa per l’intelligenza umana ha una certa discrezionalità; e questa distinzione, se si vuole, può considerarsi un semplice rinvio alla contrapposizione che la filosofia della scienza pone tra discorsi dimostrativi (matematica, fisica) e discorsi argomentativi (diritto, politica).
Credo che la legislazione futura debba dare regole sull’uso dell’intelligenza artificiale tenendo conto di questa differenza: nel primi casi, ovviamente, l’uso dell’intelligenza artificiale può essere libero e senz’altro ammesso; nei secondi casi, al contrario, esso deve essere escluso oppure ponderatamente limitato, e in ogni caso assistito imprescindibilmente dall’intervento umano.