GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Doveri dell’uomo da Mazzini ad oggi: opinioni a confronto. Luigi Salvato

    Doveri delluomo da Mazzini ad oggi: opinioni a confronto*

    *Editoriale

    Intervista di Roberto Conti a Luigi Salvato

    1. Caro Luigi, secondo Te, il nostro tempo ha bisogno di tornare a riflettere sui doveri dell’uomo, tema assai caro a Giuseppe Mazzini che ad esso dedicò il suo celebre saggio?

    «Diritto e dovere sono come il retto e il verso di una medaglia. [...]. Nella storia del pensiero morale e giuridico questa medaglia è stata guardata più dal lato dei doveri che da quello dei diritti», almeno fino a quando è maturata la transizione dal codice dei doveri al codice dei diritti, «dalla priorità dei doveri alla priorità dei diritti». Queste considerazioni di Norberto Bobbio sintetizzano icasticamente la relazione tra diritto e dovere, la complessità delle questioni alla stessa sottese, la preminenza del primo nella «età dei diritti», emergendo tuttavia nell’attuale fase storica l’opportunità di una riflessione sull’equilibrio tra gli stessi.

    L’affermazione della priorità dei diritti rispetto ai doveri è stata imposta dall’esigenza di rovesciare il rapporto tra governanti e governati, di riguardarlo dalla parte del popolo, non del principe. L’enunciazione di ciascun diritto ha rappresentato «l’antitesi di un abuso di potere che si voleva combattere»», necessaria per garantire e realizzare «nuove libertà contro vecchi poteri», per affermare «che l'uomo ha dei diritti preesistenti alla istituzione dello Stato» (Norberto Bobbio).

    A questa concezione si è accompagnato il convincimento che obiettivo dello sviluppo economico-sociale è l’espansione delle libertà reali di cui godono gli esseri umani. Risultata vincente l’idea liberale, avremmo dovuto addirittura considerare «la possibilità che la stessa storia sia finita» (Francis Fukuyama). La storia, come sappiamo, non è finita (lo ha ammesso in questi giorni lo stesso Fukuyama nel commentare la crisi tra Russia ed Ucraina); non ha, non può avere, una fine.

    L’età dei diritti è permeata da una concezione individualistica che connota anche la società, ma è dubbio che si tratti di un esito necessitato ed ineluttabile. È noto il dibattito in ordine alla relazione tra diritto e dovere, riassumibile (con sintesi estrema, con le semplificazioni e gli errori in questa insiti) nella contrapposizione tra le concezioni secondo cui «il diritto dell'uno esiste solo presupponendo il dovere dell'altro» e quella che ritiene quest’ultima insufficiente a rendere conto del modo in cui l’ordinamento considera gli individui.

    Senza sottovalutare la complessità della questione, può ritenersi che la concezione individualistica sia viziata per difetto. Non coglie infatti che il diritto, la libertà, in quanto riconosciuti all’interno della società, che costituisce «un insieme in cui le varie componenti sono interdipendenti», sono legati da una stretta relazione ai doveri inerenti all’appartenenza alla società. Quando, ancora Norberto Bobbio, sottolinea che «l'enorme importanza del tema dei diritti dell'uomo dipende dal fatto che è strettamente connesso con i due problemi fondamentali del nostro tempo, la democrazia e la pace», fa emergere chiara l’impossibilità di scindere i diritti dai doveri. La considerazione dei soli diritti non basta per fondare l’etica pubblica; di ciò era convinto Giuseppe Mazzini, che osservava (nei Doveri dell’uomo): «Colla teoria dei diritti possiamo insorgere e rovesciare gli ostacoli; ma non fondare forte e durevole l'armonia di tutti gli elementi che compongono la Nazione».

    La crisi della società e le grandi tragedie del secolo scorso – della guerra, dei lager nazisti, delle stragi etniche, continuate anche dopo il ‘900 – hanno rafforzato la primaria esigenza di custodire la dignità dell’uomo ed i diritti fondamentali, non adeguatamente soddisfatta dagli sviluppi successivi alla loro proclamazione.

    La storia ci ha consegnato una società (non soltanto quella del nostro Paese) troppo intrisa della convinzione che l’uomo sia pressoché esclusivamente soggetto di bisogni e che la sua esistenza abbia per fine il benessere individuale; quindi, una società permeata da una concezione che rischia di trasformare i cittadini in monadi isolate, disposti a sacrificare, sull’altare dell’interesse personale, legami umani e vincoli sociali, di renderli meri consumatori, spesso dimentichi che «la libertà non è mai un soffice cuscino sul quale ci si possa adagiare o dare a un godimento passivo; è sempre una sfida all’attività».

    Quando l’apatia prende il posto della partecipazione attiva alla comunità, è alto il rischio di cadere «in una sorta di autoritarismo involontario. I cittadini dormono e i governanti fanno quel che vogliono» (Ralf Dahrendorf). Proprio perché l’importanza dei diritti e delle libertà è indiscussa, gli individui hanno oggi «fondato motivo per chiedersi che cosa dovrebbero fare per aiutarsi reciprocamente a tutelare o a promuovere le rispettive libertà»; per riflettere sul fatto che anche coloro i quali non sono responsabili della loro violazione, «ma che si trovano nella condizione di dare un contributo, hanno ragione per interrogarsi su ciò che dovrebbero fare». Riconoscere i diritti umani, le libertà individuali, significa «comprendere che, se una persona si trova in una posizione da cui può intervenire in modo efficace per scongiurare la violazione di un certo diritto, essa ha una buona ragione per procedere in tal senso» (Amartya Sen). Il cittadino deve essere attivo; dal cittadino va pretesa un’azione positiva, che rinviene fondamento nei doveri inerenti all’essere parte della società (più in generale, all’appartenenza all’umanità).

    L’età dei diritti è stata saldamente fondata sull’esigenza di rovesciare il rapporto governanti-governati e, tuttavia, per garantirne l’attuazione, occorre altresì arginare una concezione esclusivamente individualistica con essa in antitesi; quindi, si ripropone il tradizionale interrogativo: che fare?

    Individuare la soluzione è difficile; non spetta a me neppure accennarvi (non ne ho la forza e la capacità), ma sono convinto che passi anche attraverso la rivalutazione dei doveri, ricordando che Norberto Bobbio, alcuni anni dopo avere indicato nell’età dei diritti il «signum prognosticum del progresso morale dell’umanità», scrisse: «se avessi ancora qualche anno di vita, che non avrò, sarei tentato di scrivere “L’età dei doveri”».

    La riflessione di Giuseppe Mazzini sui doveri resta dunque centrale, anche se deve essere attualizzata, occorrendo cogliere «il suo sentimento etico della vita come missione al servizio di grandi ideali» (sono le parole pronunciate dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, in occasione dell’incontro con una delegazione del Consiglio regionale della Toscana ed una rappresentanza di studenti toscani per presentare la pubblicazione su Giuseppe Mazzini "i doveri dell'uomo", 1° dicembre 2005) e la valorizzazione che egli ne fa per ripensare la complessità dell’ordinamento e ricomporre l’unione tra diritti, libertà e responsabilità, in vista della piena realizzazione di quei mirabili equilibri consegnatici dai Costituenti, nelle istituzioni democratiche e nella coscienza dei cittadini.

    2. Per Mazzini i doveri dell’uomo sono quelli che consentono di trovare il punto di equilibrio fra i diversi diritti. È attuale la sua ricostruzione e quanto essa deve misurarsi con il concetto di bilanciamento dei diritti, con la dottrina della atirannicità dei diritti umani?

    Per le considerazioni svolte nel rispondere alla prima domanda, sono attuali gli interrogativi con cui Giuseppe Mazzini (nell’introduzione ai Doveri dell’uomo), si chiedeva: se «l’idea dei diritti inerenti alla natura umana è oggimai generalmente accettata: accettata a parole e ipocritamente anche da chi cerca nel fatto, eluderla. Perché dunque la condizione del popolo non ha migliorato?»; «dove i diritti vengono a contrasto con quelli d’un altro, come sperare di conciliarli, di metterli in armonia, senza ricorrere a qualche cosa superiore a tutti i diritti?».

    Mazzini dà risposta a detti interrogativi individuando nei doveri lo strumento di equilibrio, elaborando una strategia cui è sotteso il convincimento che l’esclusiva rivendicazione dei diritti rischia di sostituire ai passati sistemi oppressivi altri nuovi, non meno oppressivi, basati sulla forza, che oggi appare essere soprattutto quella economica. In lui era radicato il timore che l’enfatizzazione dei diritti potesse tramutarsi in retorica, timore amplificato (per alcuni, significativi, aspetti) dalla globalizzazione, se lasciamo che questa sia dominata da una logica eminentemente mercantile. Ed in tale logica può scivolare, nonostante le migliori intenzioni possibili, anche la libertà che, quando assoluta, esclusiva e senza limiti, finisce con dare «un valore economico ad ogni bene della vita» (Cesare Salvi), innescando una spirale inflattiva che rischia di condurre ad un’incongruente normativizzazione dei desideri.

    I rischi insiti in una valutazione atomistica dei diritti sono stati colti dalla Corte costituzionale, affermando: «[t]utti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri […]. Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona» (tra le più recenti, sentenza n. 33 del 2021). Si impone dunque una «valutazione sistemica», imprescindibile per evitare che un diritto possa pregiudicare gli altri (per tutte, sentenza n. 25 del 2019). Il rischio di un tale esito è insito nell’apprezzamento atomistico che istituzionalmente spetta ad una Corte esclusivamente dei diritti, quale la Corte EDU, benché appaia dubbio che anche per questa sia davvero l’unico praticabile e necessitato. L’immanenza di detto rischio spiega e giustifica il successo della tecnica del bilanciamento, assurta ad una sorta di novella pietra filosofale in grado di garantire gli equilibri richiesti dallo Stato costituzionale, pur con le note difficoltà ed incertezze insite nella stessa.

    Anche Mazzini era attento a detto equilibrio, da lui ricercato volgendo lo sguardo ai doveri, ma non verso i governanti, bensì verso la verità ed il bene comune. Egli avverte infatti gli «operai Italiani, fratelli miei», che «la conoscenza […] dei diritti non basta agli uomini per operare un miglioramento importante e durevole» e appunto per questo precisa: «non chiedo che rinunziate a questi diritti: dico soltanto che non sono se non una conseguenza dei doveri adempiti». In tal modo egli pone in luce l’insufficienza (oggi profetica) di un’attenzione focalizzata pressoché esclusivamente sui «miglioramenti materiali» ed elabora la teoria della «solidarietà dei doveri».

    È dunque identificabile un profilo comune ed uno di diversità con l’attuale tecnica del bilanciamento. Nell’operazione di bilanciamento rinvenibile nella teorica mazziniana l’accento tonico ricade sui doveri; in quella della Corte costituzionale verte essenzialmente sui «valori», essendo altresì note le posizioni di chi, autorevolmente, ritiene che «[i]l bilanciamento è sempre tra i diritti fondamentali» (Gaetano Silvestri). Nondimeno, in coerenza con l’espressa previsione nella Carta fondamentale non soltanto dei diritti, ma anche dei doveri e con la considerazione che «tutti gli esseri umani […] sono egualmente dotati di dignità e di diritti “inalienabili”, cioè indisponibili, oltre che gravati di doveri sociali» (Valerio Onida), dalla giurisprudenza costituzionale emergono precisi segnali (che ragioni di spazio impongono di enunciare in modo assiomatico) nel senso della necessità del confronto (e bilanciamento) dei diritti anche con i doveri.

    Può convenirsi con l’affermazione secondo cui non è pensabile che «l’interesse collettivo possa travolgere la sfera della tutela soggettiva» (Beniamino Caravita di Torritto), ma ciò non impedisce che occorra adeguatamente considerare l’esigenza di valorizzare nell’operazione di bilanciamento i doveri. E questi sono, nella dimensione costituzionale, ma già nel pensiero di Mazzini, quelli che si hanno nei confronti della società, prima ancora dell’umanità. Se così è, occorre chiedersi – lo dico problematicamente, per dare corpo ad un interrogativo – se non occorra più attentamente valorizzarli nell’operare il richiamato bilanciamento, per realizzare un ragionevole equilibrio negli ambiti (esemplificativamente, con riguardo ad alcuni di più stringente attualità) della tutela della salute (dando quindi il giusto rilievo al dovere di concorrere alla salute pubblica), del diritto penitenziario (interrogandosi sulla possibilità di ritenere che i doveri verso la società giustifichino la pretesa di una positiva dimostrazione della recisione dei legami con il mondo della criminalità e l’impossibilità del loro ripristino), del diritto alla privacy (che oggi  richiede, come accenno di seguito, l’attenzione soprattutto ai doveri che gravano coloro che acquisiscono, specie per ragioni economiche, una massa smisurata di informazioni). 

    3. Mazzini, ad un certo punto si chiede: E dove i diritti di un individuo, di molti individui, vengono in contrasto coi diritti del paese, a che tribunale ricorrere? In questa domanda si coglie secondo Te la diversità netta fra diritti e doveri dell’uomo? Oppure si tratta di una domanda retorica, che presuppone l’assenza di una risposta in chi la pone? Ed ancora, esiste un piano diverso e non sovrapponibile, in punto di tutela, fra l’attuazione dei diritti umani e quello dei doveri?

    Ai piani sui quali si svolgono e trovano attuazione i diritti ed i doveri si è accennato nella risposta alla domanda che precede; in quella alla prima domanda si è fatto riferimento alla relazione tra gli stessi. Colgo dunque in questa domanda soprattutto il tema dell’effettività dei diritti, inscindibilmente legata alla loro tutela; al riguardo basta ricordare la nota affermazione secondo cui «non è utile proclamare diritti se non c’è chi è in grado di difenderli» (Thomas Hobbes) della quale (come accenno nella risposta alla sesta domanda) è possibile rinvenire un riferimento nel pensiero di Mazzini, allorché pone in luce l’essenzialità della giurisdizione ai fini della tutela delle libertà.

    La questione della tutela dei diritti si è complicata a seguito della globalizzazione e del mutamento della concezione della sovranità dello Stato seguita alla trasformazione del diritto internazionale (divenuto anche il diritto degli individui) ed alla realizzazione dell’ordinamento multilivello. Queste trasformazioni hanno condotto all’istituzione di corti internazionali, cui gli individui possono rivolgersi per conseguire forme di tutela dei loro diritti fondamentali (Alessandro Pizzorusso), risultando in tal modo garantita l’effettività dei diritti anche mediante l’accesso diretto del singolo alle stesse.

    In Mazzini, per ragioni intuitive e per quanto si dirà nel rispondere alla settima domanda, è arduo trovare un accenno espresso alla possibilità di ricorrere, per la tutela delle libertà, a tribunali diversi da quelli dello Stato di appartenenza. La domanda fa tuttavia trasparire la questione, sopra accennata, del rischio della saturazione degli ordinamenti giuridici (con continue richieste di tutela iperindividualistiche) e del riconoscimento di nuovi diritti che, siccome non fondati su istanze stabili e universali, potrebbero risultare irragionevoli, refrattari a qualunque bilanciamento e frutto, come detto, di una logica mercantile che può condurre alla accennata «normativizzazione dei desideri».

    Le questioni in campo sono quelle complesse, ampiamente indagate, che richiedono di stabilire: come distinguere tra pretese fondate e meri desideri; a chi spetti il riconoscimento dei diritti; dell’equilibrio tra potere legislativo e giudiziario, per evitare di «consegnare i diritti fondamentali alla mercé del consenso» e di alimentare la cd. juristocracy, termine utilizzato «per sottolineare la tendenza un po’ aristocratica di individuare nelle aule giudiziarie le sedi più appropriate per le decisioni sui diritti fondamentali» (tendenza di cui ha dato conto Marta Cartabia), con il rischio (paventato da Francesco Gazzoni) di soluzioni «arbitrarie», appunto per questo, scarsamente tolleranti.

    A tali questioni può essere data risposta (almeno in parte) mediante un’accorta valutazione dei doveri, ricostruendo la trama che li lega ai diritti.

    4. Antonio Ruggeri, più volte impegnato nella ricostruzione della teoria dei diritti fondamentali, nel delineare la struttura complessa dei diritti fondamentali ha sostenuto che essa, “riguardata sotto la luce della dignità, appare essere composita, in ciascun diritto e in tutti assieme, nel loro fare “sistema” e porsi al servizio della dignità, potendosi a mia opinione cogliere una componente deontica, resa palese dall’osservazione delle relazioni che l’individuo intrattiene con gli altri individui e l’intera società, conformandosi al canone della solidarietà (art. 2 cost.). La componente in parola è, ancora prima e di più, singolarmente evidente proprio nella dignità, da cui quindi si alimenta e per il cui tramite si diffonde, beneficamente contagiandoli, agli “altri” diritti fondamentali.”

    La componente deontica dei diritti fondamenti ai quali Ruggeri accenna riconduce tutti i diritti alla dignità umana. Mazzini, per converso, sembra individuare nei Doveri dell’uomo la colla che tiene uniti i diritti per una comunità che diventa Stato. Così almeno sembra fare quando osserva che occorre “trovare un principio educatore superiore a siffatta teoria (quella dei diritti n.d.r.) che guidi gli uomini al meglio, che insegni loro la costanza nel sacrificio, che li vincoli ai loro fratelli senza farli dipendenti dall’idea d’un solo o dalla forza di tutti”. Quanto secondo Te questa prospettiva si ritrova nell’art.2 Cost. allorché si sofferma sui doveri di solidarietà e quanto se ne differenzia e quanto le due prospettive sono realmente fra loro diverse? E ancora, a Tuo giudizio, può dirsi che la Carta costituzionale sia, almeno in parte, debitrice nei riguardi della lezione mazziniana sui doveri, specie per ciò che concerne il rilievo centrale assegnato al principio di solidarietà?

    La risposta a questa domanda – in particolare, al secondo dei due, densi, quesiti nei quali si articola – potrebbe essere affidata alle parole del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi: «è importante che soprattutto i giovani riscoprano il pensiero di Mazzini, leggano e studino le sue opere perché esse ci aiutano a comprendere il significato autentico dei valori posti a fondamento della nostra Costituzione repubblicana».

    Quando Mazzini scrive: «l’origine dei vostri Doveri sta in Dio. La definizione dei vostri Doveri sta nella sua Legge», svolge una considerazione che, depurata del profilo religioso del suo pensiero, pone in luce una fonte trascendente dei doveri ed una finalità degli stessi che ne evita la valenza di strumento oppressivo e li rende anzi argine contro lo svuotamento del contenuto dei diritti ed una deriva marcatamente individualistica che può metterli in crisi.

    I doveri, come declinati da Mazzini, danno contenuto alla cittadinanza quale «conquista quotidiana che richiede un dare e un avere […] adesione consapevole a una comunità intessuta di affetti, e non solo di interessi […] compartecipazione emotiva e simbolica, il cui collante primario è la solidarietà dei doveri, su rinnovate basi culturali e politiche» (Edoardo Crisafulli). I richiami alla coscienza come ad «un lume che le rompa d’intorno la tenebra, d’una norma che ne verifichi e diriga gli istinti» fissano quale finalità dell’agire il conseguimento di un alto interesse generale, che è quello della Umanità. Egli indica infatti «il nostro primo dovere» nel «concorrere a che l’Umanità salga prontamente quel grado di miglioramento e di educazione, al quale Dio e i tempi l’hanno preparata».

    Il riferimento ad un’entità sovrannaturale è frutto della concezione religiosa che impronta il suo pensiero. Nondimeno, è possibile offrirne una lettura laica ed attuale, soprattutto perché Mazzini osserva che la Legge deve essere «scoperta» «linea per linea»; ciò è possibile «quanto più s’accumula l’esperienza educatrice delle generazioni, quanto più cresce in ampiezza e in intensità l’associazione fra le razze, fra i popoli, fra gli individui», nel convincimento che «i primi doveri […] sono verso l’Umanità».

    I doveri, nella ricostruzione di Mazzini, sono finalizzati ad evitare che ogni uomo, concentrato esclusivamente nel soddisfacimento dei propri desideri e nella tutela dei propri diritti, possa diventare «quasi estraneo al destino di tutti gli altri». Permettono quindi di scongiurare il rischio – posto in luce anche da altri pensatori e che oggi appare particolarmente forte – del rifluire dell’uomo in una dimensione in cui «i suoi figli e i suoi amici formano per lui tutta la specie umana; quanto al rimanente dei suoi concittadini, egli è vicino ad essi, ma non li vede; li tocca ma non li sente affatto; vive in se stesso e per se stesso» (Alexis De Tocqueville).

    In definitiva, i doveri, nel pensiero mazziniano, costituiscono strumenti necessari a proiettare l’uomo «in una dimensione comunitaria che lo costringe a fare i conti con l’alterità e con interessi sovrastanti la propria egoistica ed edonistica individualità» (Paolo Grossi).

    I richiami alla circostanza che «i più importanti doveri sono positivi» («Non basta il non fare: bisogna fare», «Non basta il non nuocere: bisogna giovare ai vostri fratelli») radicano la c.d. «solidarietà dei doveri» e l’etica della responsabilità, stella polare che deve guidare il cammino dei cittadini.

    Per queste considerazioni traspare il legame del pensiero di Mazzini con alcuni dei valori consacrati nella Costituzione, specie laddove questa contiene precisi richiami ai doveri, tema che non ha attirato lo stesso interesse dei diritti, anche per l’asimmetria che ha caratterizzato l’età dei diritti.

    L’art. 2 Cost. recita: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». E’ chiaro e preciso il richiamo ai doveri, giustificato, nel corso dei lavori della Costituente, con la considerazione che «poiché l'uomo è “animale sociale” e non può essere giuridicamente considerato se non in quanto tale, ai diritti naturali fanno riscontro, nell'articolo, i correlativi doveri, senza il rispetto dei quali non è possibile l'umana convivenza; e anche questi doveri non sono soltanto quelli specificati nei successivi articoli della Costituzione; sono doveri naturali, al pari dei diritti (rispetto della vita altrui, della libertà di movimento altrui, dell'onore altrui, ecc., ecc.)». Emerge evidente la relazione con il pensiero di Mazzini, frutto della concezione dell’uomo quale «animale sociale», perciò necessariamente calato in una dimensione collettiva e cooperativistica e, appunto per questo, espressamente richiamato dal Presidente della Commissione dei settantacinque (Meuccio Ruini), il quale mise in luce tale matrice ed il legame tra diritti e doveri. Legame che «certo non si traduce in una corrispondenza biunivoca tra situazioni giuridiche soggettive attive e passive», ma «è più complesso e trova ragion d’essere nella funzionalità dei doveri costituzionali alla sopravvivenza di un ordinamento orientato all’affermazione e al mantenimento delle condizioni di sviluppo della persona umana, della quale i diritti di libertà risultano indefettibili declinazioni» (Alessandro Morelli).

    Il dovere di solidarietà sociale era dunque immanente al pensiero mazziniano; basta considerare, per avere riguardo a profili, per così dire, concreti, la proposta che egli avanzò di una riforma tributaria ispirata alla tassazione del superfluo, tramite l’intervento legislativo dello Stato, in grado di assicurare «ricompense» proporzionate al lavoro e di garantire l’occupazione anche con una politica di lavori pubblici. È sufficiente tale accenno per evidenziare alcune ragioni di attualità della sua concezione della società. In una fase storica in cui sembra ineluttabile il primato del mercato (perché locus naturalis, mentre è un locus artificialis, Natalino Irti) ed il c.d. «orientamento naturalistico dell’economia», quindi una concezione dalla quale traspare «il volto più sincero dell’economicismo [che] è nell’anti-politica e nell’anti-ideologia» (Natalino Irti), occorre riflettere sulla attualità di una frase di Luigi Einaudi, ricordata dal Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro («l’economia è ancella della politica»), per garantire che i diritti non siano ridotti a mera proclamazione.

    5. Il collegamento che Mazzini fa dei doveri a Dio come deve intendersi e quanto è secondo Te oggi attuale in una società intesa come laica per Costituzione? E per altro verso, la radice divina che sembra potere orientare l’uomo verso la legge giusta o ingiusta che pure traspare dalle pagine mazziniane è ancora oggi attuale quando si parla di disobbedienza civile alle leggi in nome di valori fondamentali?

    Dopo gli eventi storici del febbraio 1834, Mazzini impresse un carattere marcatamente religioso al suo pensiero politico, giungendo a ritenere sterile e dannosa una politica non intimamente connessa ad un principio religioso. La religione in Mazzini, ha scritto Maurizio Viroli, non costituisce però «un sistema di dogmi o di verità scritte in questo o quel libro sacro bensì un principio che spinge gli uomini a trovare nuove forme politiche e sociali, il concetto che innalza l’individuo, lo purifica dell’egoismo e lo rende capace di agire nella storia per realizzare un fine morale». Dunque, il «Dio che Mazzini addita al popolo quale ente supremo che orienta le sorti del mondo è “un termine […] a cui può aderire qualunque coscienza di credente”»; è «un principio di giustizia (o di amore) che guida la storia», nel rifiuto dell’immutabilità del dogma, di una religione cristallizzata in una rivelazione fissata per l’eternità e della «pretesa della gerarchia ecclesiastica della interpretazione della rivelazione divina» (Massimo Scioscioli).

    Si tratta di conclusioni che emergono chiare quando Mazzini scrive: «noi vogliamo Associazione: come ottenerla sicura se non da fratelli che credano negli stessi principi regolatori, che s’uniscano nella stessa fede, che giurino nello stesso nome?», rimarcando che «vogliano formare Nazione: come riescervi, se non credendo in uno scopo comune, in un dovere comune?» e sottolineando di credere «nell’Umanità sola interprete della legge di Dio sulla terra».

    Il riferimento è dunque ad un principio di giustizia, che può essere depurato dal richiamo ad un determinato credo. Tanto, soprattutto laddove egli, attribuendo il compito di individuarlo all’intera Umanità piuttosto che alle gerarchie clericali, permette di fare riferimento ad una religione civile, anziché ad un dato credo. Lo status di cittadino non è poi correlato ad una determinata religione, tenuto conto della declinazione da lui offerta delle libertà. Tra queste include infatti la «libertà di credenza religiosa», sottolineando: «Nessuno ha diritto […] di legislazione esclusiva sulle vostre opinioni religiose; nessuno fuorché la grande pacifica voce dell’Umanità ha diritto di frapporsi fra Dio e la vostra coscienza».

    Per questi profili, il suo pensiero conserva elementi di modernità e costituisce ancora un valido insegnamento. La sua concezione permette infatti di definirlo apostolo di una religione laica, ispirata all’etica della responsabilità, soprattutto quando ammonisce che non v'è «patria senza un diritto uniforme» e non v'è patria «dove l'uniformità di quel diritto è violata dall'esistenza di caste, di privilegi, d'ineguaglianze», finalizzando i doveri e l’impegno di ciascuno per il conseguimento di uno scopo di coesione sociale, al fine di garantire il rispetto dei diritti di tutti.

    Qui si esauriscono tuttavia gli elementi di modernità del pensiero di Mazzini e la possibilità di rinvenire un collegamento con i valori costituzionali, specie quello di solidarietà.

    È difficile negare che il fortissimo sentimento religioso che permea la sua visione è, in larga misura, dissonante rispetto al carattere laico del nostro ordinamento costituzionale. Il distacco si rivela forte quando egli pone in guardia i lettori da quanti affermano che «la politica è una cosa, la religione un’altra. Non le confondete», ammonendoli: «Di quei che così vi parlano […] non amano Dio», per aggiungere, qualche pagina dopo, «possono dirvi cosa che non sia di Dio? Nulla è di Cesare, se non in quanto è conforme alla legge divina. Cesare, ossia il potere temporale, il governo civile non è che il mandatario, l’esecutore, quanto le sue forze e i tempi concedono, del disegno di Dio: dove tradisce il mandato è vostro, non diremo diritto, ma dovere, mutarlo».

    Emblematica in tal senso è, infine, l’affermazione «Dio v’ha dato la vita; Dio v’ha dunque dato la legge. Dio è l’unico Legislatore della Razza umana. La sua legge è l’unica alla quale voi dobbiate ubbidire». Si tratta di considerazioni marcatamente orientate che connotano la sua teoria di un «fortissimo contenuto religioso che ne costituiva l’originalità ma, in qualche misura, anche il limite e, per l’identità da lui postulata tra religione e politica, rischiava di farne qualcosa di simile a una teocrazia» (Giuseppe Monsagrati), al punto che Karl Marx si spinse a definirlo «il nuovo Maometto».

    Salve le pur importanti considerazioni iniziali, in relazione al profilo in esame appare complicato negare il distacco dell’idea di Mazzini della nostra Costituzione, benché l’osservanza dei valori fondamentali (di matrice e contenuto diverso) costituisca la fonte ed il limite che tutti (anche il legislatore, nello Stato costituzionale) sono tenuti ad osservare e dei quali va pretesa l’osservanza, ma nel nostro ordinamento con modalità ed azioni ovviamente diverse da quelle da lui prefigurate. 

    6. “Quand’io dico, che la conoscenza dei loro diritti non basta agli uomini per operare un miglioramento importante e durevole, non chiedo che rinunziate a questi diritti; dico soltanto che non sono se non una conseguenza di doveri adempiti, e che bisogna cominciare da questi per giungere a quelli.” Così Mazzini. Nel nostro tempo, secondo Te, come può concretizzarsi questa riflessione?

    Nella frase riportata nella domanda si annida l’attualità più profonda del suo pensiero, la concezione della c.d. solidarietà dei doveri e della stretta relazione che li avvince ai diritti, delle quali si è detto in precedenza. Alle considerazioni già svolte va aggiunto che nella premessa dell’Atto di fratellanza della Giovine Europa (1834) egli esplicita il convincimento secondo cui «ad ogni uomo, e ad ogni popolo spetta una missione particolare, la quale, mentre costituisce la individualità di quell’uomo, o di quel popolo, concorre necessariamente al compimento della missione generale dell’umanità». La sottolineatura della finalità dell’adempimento dei doveri può essere letta come un preciso richiamo alla necessità di una cittadinanza attiva, cui ho accennato.

    La cittadinanza è una conquista quotidiana, che richiede un dare e un avere; è una adesione consapevole a una comunità intessuta di valori, non solo di interessi; è una compartecipazione emotiva e simbolica, il cui collante è anche la solidarietà dei doveri.

    Conservano perdurante attualità non poche esortazioni mazziniane, quali: «avete il dovere d'educarvi per quanto è in voi, e diritto a che la società alla quale appartenete non v'impedisca nella vostra opera educatrice, v'aiuti in essa e vi supplisca quando i mezzi d'educazione vi manchino. La vostra libertà, i vostri diritti, la vostra emancipazione da condizioni sociali ingiuste, la missione che ciascun di voi deve compiere qui sulla terra, dipendono dal grado di educazione che vi è dato raggiungere»; «senza educazione voi non potete scegliere giustamente fra il bene e il male; non potete acquistar coscienza dei vostri diritti; non potete ottenere quella partecipazione nella vita politica senza la quale non riuscirete ad emanciparvi; non potete definire a voi stessi la vostra missione. L'educazione è il pane delle anime vostre».

    I richiami non implicano, peraltro, un preciso legame sinallagmatico tra i diritti ed i doveri. La sua concezione è, inoltre, incentrata nell’enfatizzare quello dell’educazione, della conoscenza quale fattore imprescindibile di un giusto progresso, all’interno di una precisa gradazione dei doveri.

    I «primi doveri», egli scrive, «sono verso l’Umanità» - che specifica essere «un corpo solo» - in quanto «siete uomini: cioè creature ragionevoli, socievoli, e capaci, per mezzo unicamente dell’associazione, d’un progresso a cui nessuno può assegnar limiti». Mazzini si rivela dunque predicatore di un civismo di sicura attualità, come lo è la sottolineatura che «la legge deve esprimere l’aspirazione generale, promuovere l’utile di tutti».

    Moderna ed attuale, per alcuni profili, è altresì la concezione della legge. Nell’affermazione che «il semplice voto d’una maggioranza non costituisce sovranità se avversi evidentemente alle norme morali supreme, o chiuda deliberatamente la via al Progresso futuro» sono rinvenibili le radici del costituzionalismo moderno, quale ordinamento capace di porre al riparo le minoranze dallo strapotere delle maggioranze parlamentari, che condussero alle immani tragedie della prima parte del secolo scorso.

    La declinazione delle libertà (della libertà personale, di locomozione, di credenza religiosa, «d’opinioni su tutte cose», «d’esprimere colla stampa o in ogni altro modo pacifico il vostro pensiero», di «libertà d’associazione per poterlo fecondare col contatto nel pensiero altrui», di «libertà di traffico»), dell’essere il lavoro «sacro: nessuno ha diritto di vietarlo», riassume ed anticipa le istanze che costituiscono il nucleo essenziale dei diritti di libertà, quali consacrate nella Costituzione.  

    Si tratta, peraltro, di una declinazione che non si esaurisce in mera proclamazione. Ad essa si accompagna infatti la precisa indicazione dei diritti che scaturiscono dalle libertà e dei rimedi imprescindibili per garantirne l’effettività.

    Egli sottolinea: «nessuno ha diritto, in nome della Società, d’imprigionarvi o sottomettervi a restrizioni o invigilamento, senza dirvi il perché, senza dirvelo col minore indugio possibile, senza condurvi sollecitamente davanti al potere giudiziario del paese»; «Nessuno ha diritto di persecuzione, d’intolleranza, di legislazione esclusiva sulle vostre opinioni religiose»; «La stampa dev’essere illimitatamente libera: i diritti dell’intelletto sono inviolabili, ed ogni censura preventiva è tirannide; la Società può, come tutte le altre colpe, punire soltanto le colpe di stampa, la predicazione del delitto, l’insegnamento dichiaratamente immorale: la punizione in virtù d’un giudizio solenne è conseguenza della responsabilità umana, mentre ogni intervento anteriore è negazione della libertà».

    Mi è sembrato opportuno riportare tali affermazioni, perché anticipano e riassumono il nucleo fondamentale delle garanzie costituzionali, individuando nella giurisdizione l’essenziale fattore di garanzia e tutela, sino ad anticipare, per alcuni profili, i principi del giusto processo. Di sicura attualità è altresì il riferimento al contenuto della libertà di stampa e di opinione, ma anche ai doveri alle stesse correlati, che inducono ad una riflessione con riguardo al nuovo fenomeno dei social network ed al diritto alla privacy che, per essere tutelato, richiede un rafforzamento dei doveri di non intrusione e di rispetto delle sfere soggettive individuali (specie da parte dei soggetti titolari di un potere economico immane, gestori dei cc.dd. Big data).

    La relazione tra diritto e dovere di libertà («voi avete dunque diritto alla Libertà e dovere di conquistarla») è, infine, preciso sprone verso la cittadinanza attiva, che fonda il «dovere di educazione», quale libertà che permette di ripigliare i diritti. L’evocazione del dovere come legge di vita civile non comporta una rinuncia ai diritti, ma è ammonimento ad essere cittadini attivi, per non divenire meri consumatori.

    In definitiva, la declinazione dei doveri operata da Mazzini, ponendo al centro il dovere di amare l’umanità, di superare gli interessi particolari, personali, nell’interesse generale e, quindi, di servire il bene comune costituisce presidio che concorre a difendere «la dignità della natura umana […] violata dalla menzogna e dalla tirannide». Ed il suo ammonimento deve costituire un imperativo non soltanto per i cittadini, quali persone fisiche, ma per tutti i soggetti dell’ordinamento, anche per le organizzazioni collettive – in special modo lucrative – in quanto non possono pretendere di instaurare un nuovo ordine basato solo sul profitto. 

    7. Nella nostra società, sempre più plurale, sempre più aperta e porosa verso esperienze sovranazionali e sempre più impegnata nel coltivare la cooperazione fra Paesi diversi, quanto è attuale il concetto mazziniano di Patria? E, per altro verso, il parimenti continuo richiamo all’umanità aiuta a spiegare meglio il significato della prospettiva della doverosità che Mazzini propugna? 

    Nel quadro internazionale di oggi che vede sempre più intensi i vincoli discendenti da tale principio e interconnesse le relazioni tra gli Stati, ritieni dunque che la lezione mazziniana possa o, addirittura, debba esser motivo d’ispirazione per lo svolgimento delle relazioni stesse, come pure di quelle che si svolgono tra i consociati e tra questi e i pubblici poteri?

    La domanda evoca in me ricordi dell’infanzia e mi sollecita una risposta da dare con il cuore piuttosto che con la ragione. Ho frequentato le scuole elementari nei primi, lontanissimi, anni sessanta del secolo scorso, in cui il c.d. ‘sussidiario elementare’, nella parte dedicata alla storia, prestava rilevante attenzione al Risorgimento, celebrato ogni anno in un’apposita giornata (nella quale apponevamo sul grembiulino una coccarda tricolore). Una delle figure centrali era infatti quella di Giuseppe Mazzini; fu così che in me si radicò il convincimento, essenzialmente emotivo, che quel signore barbuto raffigurato nel mio libro era appunto uno dei Padri dell’Italia.

    Al di là dei ricordi della memoria, è certo che la Patria è centrale nella concezione di Mazzini. Si tratta tuttavia di una concezione ben lontana da quella (distorta) che impronta i movimenti che enfatizzano antistoriche (ovviamente, esecrabili) divisioni tra gli Stati, separati da rigidi, invalicabili, confini al cui interno ciascuno è sovrano e non dovrebbe rendere conto a nessun altro. Soltanto un misunderstanding può far rinvenire nel suo pensiero gli elementi dei più rozzi nazionalismi del secolo scorso (e di quello attuale), frutto invece di una manipolazione che fece «del mazzinianesimo ciò che non era mai stato: il viatico a una politica di potenza e di affermazione della nazionalità italiana nello scontro con le altre nazioni d’Europa» (Giuseppe Monsagrati).

    Giuseppe Mazzini è stato sicuramente uno dei Padri dell’unità d’Italia, ma egli vedeva in tale unità il passaggio fondamentale verso la realizzazione dell’unità europea attraverso l’affratellamento di tutti i popoli europei nel segno della democrazia. Ancora una volta, è sufficiente ricordare le parole di due Presidenti della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi (lo «onoriamo come uno tra i Padri più nobili e lungimiranti della nostra Patria, l'Italia repubblicana, una, indivisibile e democratica», ma anche «dell’Europa unita») e Antonio Segni (il quale, nel discorso di insediamento, in un tempo vicino alla nascita della Comunità europea, ricordò: «Questa unità fondamentale dell’Europa fu intuizione ed aspirazione di uno dei più grandi spiriti del nostro Risorgimento, Giuseppe Mazzini»).

    La Patria, per Mazzini, costituiva dunque strumento per l’integrazione dei popoli e per la difesa dei diritti inviolabili dell’uomo. Al centro della sua costruzione vi è infatti essenzialmente la «associazione», da lui additata quale «dovere e diritto per voi» e che, in alcuni passaggi, si distacca altresì dalla nozione di Patria nazionale.

    Egli, infatti, scrisse: «Taluni a limitarne il diritto fra i cittadini, vi diranno che l’associazione è lo Stato, la Nazione: che voi ne siete e dovete esserne tutti membri; e che quindi ogni associazione parziale tra voi è o avversa allo Stato o superflua. Ma lo Stato, la Nazione non rappresentano se non l’associazione dei cittadini in quelle cose, in quelle tendenze che sono comuni a tutti gli uomini che ne sono parte».

    Si tratta di considerazioni che pongono al centro della sua visione «l’associazione», quale «metodo dell’avvenire». Sottolineando che questa deve essere «progressiva», «non contraria alle verità conquistate per sempre dal consenso universale dell’Umanità», «pacifica», «deve rispettare in altrui i diritti che sgorgano dalle condizioni essenziali dell’umana natura», egli ne delinea i caratteri che, in larga misura, sono quelli che connotano le moderne organizzazioni di cooperazione tra gli Stati.

    Una dimensione sovranazionale del suo progetto ed il carattere aperto  dell’associazione sono altresì precisamente fissati quando scrive (nell’Atto di fratellanza della Giovine Europa) che «La riunione delle Congreghe Nazionali, o dei delegati d’ogni Congrega costituirà la Congrega della Giovine Europa. Gli individui che compongono le tre associazioni sono fratelli. Ognuno di essi adempirà coll’altro ai doveri di fratellanza» (punto 5), sottolineando che «Qualunque popolo vorrà partecipare ai diritti ed ai doveri della fratellanza stabilita fra i tre popoli collegati in quest’atto, aderirà formalmente all’atto medesimo, firmandolo per mezzo della propria Congrega Nazionale» (punto 8).

    L’universalità della sua visione è stata puntualmente rimarcata, ricordando che nei suoi scritti politici e nelle sue lettere «è impossibile trovare quei giudizi sprezzanti per i popoli non europei o quelle giustificazioni dei massacri compiuti da talune potenze europee». Al riguardo, è stato ricordato che il Pandit Nehru, nel 1933, dal carcere additò alla figlia Giuseppe Mazzini quale esempio da seguire (Massimo Scioscioli), che pone in luce un’anticipazione dei tempi addirittura straordinaria, se si pensa che le sue riflessioni erano svolte in un tempo dominato dalle politiche colonialiste degli Stati europei. La sua esortazione, ricordata dal Presidente Ciampi, «ad essere apostoli della Fratellanza delle Nazioni e dell'unità del genere umano» («In qualunque terra voi siate, dovunque un uomo combatte pel diritto, pel giusto, pel vero, ivi è un vostro fratello: dovunque un uomo soffre, tormentato dall'errore, dall'ingiustizia, dalla tirannide, ivi è un vostro fratello. Liberi e schiavi, SIETE TUTTI FRATELLI») è di sicura attualità in questi giorni in cui sull’Europa soffiano nuovamente tragici venti di guerra.

    Il valore e la grandezza dell’insegnamento europeo di Giuseppe Mazzini non stanno, tuttavia, nella concezione, sostanzialmente vaga, della sua Europa, e neppure nella convinzione (che non ebbe) di una unità sovranazionale, benché avesse sottolineato che cercava di «verificare non una Europa, ma gli Stati Uniti d’Europa». L’europeismo di Mazzini, è stato convincentemente osservato, derivava dal profondo concetto dell’unità della cultura europea, «nello spirito, nell’anima morale di tutta la sua attività, interamente volta a mostrare – e a vivere una tale convinzione – che la democrazia, la libertà, la difesa della dignità dell’uomo sono solidali a livello europeo, o sono destinate a perire» (Andrea Chiti-Batelli), nell’intuizione (puntualmente segnalata da Pasquale Costanzo) della necessità di «equilibrare le differenze che separano un mercato da un altro». Per questa concezione, «non c’è contraddizione alcuna fra amore della propria città e regione, amor di patria, amore d’Europa» (sono parole del Presidente Ciampi nel Messaggio di fine anno agli italiani del 31 dicembre 2000), se solo si considera che lo stesso motto dell’Unione europea («Uniti nella diversità»), secondo la spiegazione ufficiale offerta nel sito web della stessa, «sta ad indicare come, attraverso l'UE, gli europei siano riusciti ad operare insieme a favore della pace e della prosperità, mantenendo al tempo stesso la ricchezza delle diverse culture, tradizioni e lingue del continente».

    8. L’opera mazziniana si conclude con questa frase: L’emancipazione della donna dovrebb’essere continuamente accoppiata per voi coll’emancipazione dell’operaio e darà al vostro lavoro la consacrazione d’una verità universale. Quali reazioni Ti suscita questa affermazione, da giurista e da magistrato?

    I Doveri dell’uomo sono espressamente dedicati agli operai italiani ed il pensiero politico di Mazzini è strettamente connesso con l’interesse per la questione sociale. Egli tentò infatti di coinvolgere l’intero popolo in un’iniziativa rivoluzionaria volta ad un «miglioramento delle classi più numerose e più povere», spronandolo all’azione e chiarendo i diritti e i vantaggi che avrebbe potuto trarre dal nuovo assetto sociale, nel convincimento che i cittadini potevano essere chiamati a sacrificare la vita e la quiete soltanto «proponendo loro uno scopo di perfezionamento collettivo, di miglioramento morale e materiale comune a tutti, di educazione fraterna senza eccezione».

    Giuseppe Mazzini si batté per l’aumento dei salari e per la riduzione della giornata lavorativa; auspicò  forme speciali di credito per gli operai, per agevolare l’accesso alla proprietà dei mezzi di produzione; la sola forma di proprietà da lui accettata fu quella proveniente dal lavoro, che doveva deve essere resa accessibile al maggior numero di cittadini: «Non bisogna abolire la proprietà, perché oggi è di pochi; bisogna aprire la via perché i molti possano acquistarla» (così scrive nei Doveri dell’uomo).

    Per Mazzini, la soluzione più efficace alla questione operaia poteva derivare soltanto dal fermento rinnovatore rappresentato dall’associazione e dalla sua definizione in senso cooperativistico; appunto per questo, assunse grande rilievo l’impegno politico verso le «classi operose», che avrebbe dovuto tradursi in uno sforzo organizzativo per la creazione di società di mutuo soccorso e per la loro politicizzazione in senso democratico.

    Il programma operaio di Mazzini restava, comunque, essenzialmente focalizzato su «una progressiva elevazione morale e culturale della classe operaia» (Nello Rosselli), in coerenza con il suo complessivo pensiero, scarsamente attento agli aspetti economici (particolarmente polemica la considerazione di Giuseppe Garibaldi secondo cui Mazzini non aveva esperienza delle reali condizioni del popolo, non avendolo mai conosciuto da vicino) e che fu alla base delle aspre, note, polemiche con Marx e Bakunin.

    È dunque sufficiente ricordare che alcuni hanno ritenuto che le sue considerazioni sulla questione sociale ed operaia prefiguravano in realtà un mero «libro dei sogni» (Enrico Galavotti); altri hanno invece rinvenuto nel suo pensiero le radici del «modello forse impropriamente definito “socialdemocratico”» che, con diverse varianti, ha guidato lo sviluppo delle economie dei paesi europei (Massimo Scioscioli), emergendo, in ogni caso, l’attualità di una perdurante riflessione sul suo pensiero.

    I Doveri dell’uomo, espressamente dedicati, come detto, agli operai, hanno altresì quale destinatario la donna e si inquadrano, storicamente, in un’epoca in cui vedevano la luce i primi giornali a questa dedicati. La concezione della Repubblica di Mazzini è focalizzata sull’idea di uno Stato non più basato sui privilegi di nascita, di censo, di sesso, il cui principio cardine è il suffragio universale, esteso perciò anche alla donna.

    Già solo tale notazione vale ad evidenziare la modernità di Mazzini anche in relazione alla situazione della donna, soprattutto se si tiene conto di quella esistente al suo tempo.

    Accanto a tale sicura modernità si accompagnano però considerazioni chiaramente datate, soprattutto con riguardo alla famiglia, in relazione alla quale (nel capitolo dedicato ai doveri verso la stessa) egli ripropone una risalente (all’epoca, radicata e tradizionale) visione che vede la donna essenzialmente quale «Angelo della Famiglia» e che, in nuce, contiene il germe di una concezione oppressiva, fortunatamente superata dall’evoluzione successiva, a tutti nota alla quale non è dunque necessario accennare.

    Non poche sono tuttavia le riflessioni – alcune di sicura attualità ed ancora oggi condivisibili – con le quali sottolinea l’esigenza di realizzare un’eguaglianza effettiva di genere. Anziché attardarsi nell’esegesi del suo pensiero, è sufficiente ricordare che egli scrive: «Non cercate in essa solamente un conforto, ma una forza, una ispirazione»; «cancellate dalla vostra mente ogni idea di superiorità: non ne avete alcuna. Un lungo pregiudizio ha creato, con una educazione disuguale e una perenne oppressione di leggi quell’apparente [l’enfasi è di Mazzini] inferiorità intellettuale dalla quale oggi argomentano per mantenere l’oppressione». «Non esiste disuguaglianza fra l’uno e l’altra»; «abbiatela eguale nella vostra vita civile e politica».

    La profonda religiosità di cui è intriso non gli impedì, inoltre, di scrivere: «La Bibbia mosaica ha detto: Dio creò l’uomo e dall’uomo la donna; ma la vostra Bibbia, la Bibbia dell’avvenire dirà: Dio creò l’Umanità manifestata nella donna e nell’uomo».

    Si tratta infatti di considerazioni univocamente espressive del convincimento più profondo dell’eguaglianza di genere, la cui realizzazione esige che si dia corso al dovere di tutti di praticarla.

    9. E infine, la recente riforma degli artt. 9 e 41, con i richiami fatti all’ambiente ed all’ecosistema, la cui salvaguardia viene riconosciuta come espressiva di un principio fondamentale dell’ordinamento, può, a Tuo avviso, per la sua parte concorrere a far rivedere sotto una luce diversa dal passato il dovere di solidarietà in parola, in ciascuna delle sue molteplici forme espressive ed in tutte assieme?

    La domanda è assai interessante, ma con sincerità devo dire che è arduo rinvenire un collegamento con il pensiero di Mazzini e, quindi, suggerisce riflessioni sul significato della riforma costituzionale, che è opportuno restino riservate ai costituzionalisti coinvolti in questa iniziativa – in particolare, ad Antonio Ruggeri ed Alessandro Morelli –, i quali, diversamente da me (sicuramente più di me), hanno titoli e sapienza per svolgerle. Dunque, ritengo senz’altro più proficuo ed utile (per me e per tutti i lettori), leggere le loro considerazioni.

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