di Giorgio Spangher
Sommario: 1. La decisione - 2.Un passaggio stretto: le imputazioni. - 3. I limiti della tutela posticipata. - 4 Un auspicio.
1. La decisione
Accogliendo l’eccezione di illegittimità costituzionale prospettata dal gip di Roma nella vicenda Regeni, la Corte costituzionale il 26 ottobre del 2023 (c.c. 20 settembre 2023, delib. 27 settembre 2023) ha depositato la motivazione della sentenza – C. Cost. n. 192 del 2023 – con la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 420 bis, comma 3, c.p.p., per violazione degli artt. 2, 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione alla Convenzione di New York contro la tortura, nella parte in cui non prevede che il giudice procede in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura definiti dall’art. 1, comma 1, della Convenzione medesima quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo, fatto salvo il diritto dell’imputato stesso a un nuovo processo in presenza per il riesame del merito della causa.
Con questa decisione, i giudici costituzionali hanno ristretto le situazioni dell’assenza improcedibile, suscettibile di condurre all’operatività dell’art. 420 quater c.p.p., cioè alla pronuncia inappellabile di improcedibilità ed ha allargato le situazioni di cui ai commi 1, 2 e 3 (nel caso di specie) dell’art. 420 bis c.p.p. che consente, seppur in modo diversificato, di procedere in assenza dell’imputato.
È difficile negare che, per effetto delle diffuse conoscenze mediatiche della vicenda, l’interprete, ad ogni passaggio argomentativo, più o meno stretto e problematico (anche verosimilmente la stessa Corte), non abbia riflettuto sulle implicazioni, sui riflessi, sulle ricadute, nelle premesse della decisione in esame.
Va anche sottolineato che davanti alla Corte costituzionale non si è costituita l’Avvocatura dello Stato.
2. Un passaggio stretto: le imputazioni.
Concentrando l’attenzione solo sui riferiti “passaggi stretti” della decisione, un primo profilo sul quale va rivolta l’attenzione riguarda l’imputazione che dovrebbe riguardare la fattispecie di tortura. Ora, va sottolineato (e lo sottolinea anche la Corte, seppur ritenendo di poter superare la questione) che le norme richiamate e la descrizione dei fatti, sembrano richiedere qualche approfondimento (in sede di udienza preliminare), soprattutto in relazione alla puntuale declaratoria di incostituzionalità, che per tre imputati (altro profilo sottolineato dalla motivazione) le ipotesi incriminatrici sembrano avere contenuto non sovrapponibile con la conseguenza di poter non essere operativa.
I necessari riferimenti fattuali della tortura potrebbero richiedere qualche precisazione medico-legale.
Il rapporto tra il reato di tortura e la necessità del processo per evitare l’impunità anche alla luce delle Convenzioni internazionali in materia, sicuramente inderogabile stante la sua natura di crimine contro la persona e l’umanità, pur con tutte le cautele della motivazione della Corte, sembra tuttavia lasciare spazio ad altre situazioni delinquenziali, a forte impatto, e connotate dalla stesso tasso di lesione della persona (il pensiero agevolmente va alla Convenzione di Istanbul; ed anche a quella in tema di traffico di esseri umani e di criminalità organizzata legata agli stupefacenti) suscettibili di determinare ulteriori giustificazioni la derogatorie. È nota la forza delle eccezioni – variamente giustificabili – rispetto alla fermezza iniziale delle regole.
Resterebbe da approfondire se in presenza di misura cautelare, stante la gravità del fatto, non sarebbe stato possibile o preferibile operare sotto il profilo della latitanza.
3. I limiti della tutela posticipata.
Una volta riavviato il processo, naturalmente ai difensori degli imputati, ancorché d’ufficio, devono essere offerte le possibilità di esercitare il diritto di difesa nella pienezza delle previsioni processuali di garanzia.
Ora, la situazione di cui alla declaratoria di incostituzionalità, pur nella rimarcata distinzione tra “procedimento” e “processo”, appare diversa dalle altre posizioni soggettive che vengono interpolate al comma 3 dell’art. 420 bis c.p.p.
La motivazione della sentenza – la Corte ne è consapevole – sposta le garanzie attraverso “le linee interne” del processo, “senza alcun sacrificio, né condizionamenti, delle facoltà partecipative dell’imputato, prevedendo unicamente “una diversa successione temporale del loro esercizio”.
Invero, appare difficile per la difesa un pieno esercizio dei diritti difensivi, maggiormente possibili, invece, nelle altre situazioni di cui al comma 3 cit.
I difensori non devono essere solo garanti delle regolarità procedurali, ma devono essere messi nelle condizioni di esercitare compiutamente i diritti difensivi, non solo contraddicendo l’accusa e la parte civile, ovvero sollevando questioni di legittimità costituzionale (che però dovrebbero essere accolte).
Certo potrebbero avvalersi degli atti processuali posti alla base dell’archiviazione in Egitto, ma ci saranno difficoltà, ad esempio, per la lista testi, per i consulenti, per l’attività all’estero e quant’altro potrebbe risultare utile alla tutela degli imputati (che restano presunti innocenti, rectius, considerati non colpevoli: art. 27 Cost.).
Appare difficile (rectius, impossibile) che i legali possano proporre appello, stante la presenza dell’art. 581, comma 1 quater c.p.p..
La Corte è consapevole che si celebrerà un processo che, se non sarà “un simulacro” servirà (solo) per rispettare un non secondario obbligo costituzionale e sovranazionale, assistito dalla pubblicità del dibattimento.
La stessa Corte, del resto, non può non riconoscere che gli imputati, se condannati, potranno accedere “senza limiti, né condizioni” ad un nuovo processo in quanto determinato “da una prova di incolpevolezza in re ipsa”, con libero accesso alle reintegrazioni delle facoltà processuali che riterranno di esercitare (anche separatamente, ognuno di essi, verosimilmente).
La questione si porrà al momento dell’eventuale esecuzione della condanna: durante la pendenza del processo non dovrebbe trovare operatività l’art. 420 quater c.p.p. con la previsione, se rintracciati, dalla comunicazione dell’udienza ivi indicata.
Anche questa ripetizione dei processi (se mai saranno celebrati), che non dovrebbero subire l’interruzione della prescrizione, per i reati (alcuni sono già vicini alla deadline) porrà problemi per il possibile recupero di materiale probatorio irripetibile.
4. Un auspicio.
Una alterazione processuale che anche per i giudici costituzionali (ad Regeni, come è stato detto), per le considerazioni iniziali, era forse inevitabile ma che, al di là della sicura gravità del reato e del suo forte impatto mediatico, sarebbe stato preferibile non introdurre, non pienamente convincente, che forse resterà isolata (salvo quanto detto), come è accaduto storicamente per altre situazioni processuali connotate da forte eccezionalità.
* v. Processo Regeni: un passaggio stretto tra regole ed eccezione di Giorgio Spangher