Posizioni organizzative e dirigenza amministrativa: aperture di credito della Consulta per l’efficienza della P.A.
(nota a Corte Costituzionale 25 giugno 2020, n. 128 e Corte Costituzionale 24 luglio 2020, n. 164)
di Roberto Bellè
La nota esamina due recenti pronunce della Corte Costituzionale in tema di posizioni organizzative per incarichi di alta professionalità, rispettivamente presso le Regioni e le Agenzie tributarie. Il commento evidenzia come la Corte, rigettando le questioni di legittimità proposte, abbia riconosciuto l’utilità delle posizioni organizzative nel fornire alla P.A. strumenti efficaci di persecuzione del buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione. Ciò attraverso un sistema che allontana sempre più il pubblico impiego dall’istituzione della categoria dei “quadri” e che valorizza piuttosto forme temporanee di incentivo motivazionale, sotto il profilo economico e professionale, cui peraltro, almeno nella normativa sulle Agenzie fiscali, si accompagnano incentivi a favore dei dipendenti in occasione dei concorsi di accesso alla dirigenza. Incentivi ritenuti anch’essi legittimi dalla Consulta e che, risultando ragionevolmente finalizzati a valorizzare, in un assetto normativo maturo, l’imprescindibile contributo che deriva dall’assurgere alla dirigenza di personale interno, possono consentire una positiva attuazione della regola sul pubblico concorso.
Sommario: 1. Due sentenze, un’unitaria ispirazione - 2. La sentenza della Corte Cost. n. 128/2020 - 3. La sentenza della Corte Cost. n. 164/2020 - 4. Dirigenza e p.o.: profili ricostruttivi - 5. Il piano lavoristico: sempre più lontana l’ipotesi dei “quadri” nel pubblico impiego ? - 6. Corte Costituzionale e regime concorsuale della dirigenza - 7. Conclusioni.
1. Due sentenze, un’unitaria ispirazione
Le due sentenze pressoché coeve che si annotano, intervenendo in modo tra loro complessivamente coerente su questioni di fondo relative alla disciplina delle c.d. posizioni organizzative [1], anche nella delimitazione di esse rispetto alla dirigenza, tracciano un importante solco interpretativo, caratterizzato non solo dai tratti giuridico-argomentativi, di cui si dirà, ma altresì ispirato dal fine di attribuire alla P.A. margini significativi, sia per quanto attiene alle potestà organizzative, sia per quanto riguarda il transito del proprio personale migliore dalle predette posizioni di rango elevato allo status dirigenziale vero e proprio.
2. La sentenza della Corte Cost. n. 128/2020
La sentenza n. 128 riguarda la disciplina toscana (Legge Regione Toscana 7 maggio 2019, n. 22, artt. 1, 2 e 3), con la quale si è regolata la complessa vicenda del transito di personale destinatario di incarichi di alta professionalità dalle province e città metropolitane alla Regione, rispetto al quale la normativa statale (art. 1, co. 800, L. 205/2017) consentiva un incremento di fondi degli enti di destinazione, a condizione del rispetto di regole da stabilirsi, tra l’altro, con apposito d.p.c.m. Contestualmente il C.C.N.L. di comparto del 2018 aveva previsto (art. 14) una nuova regolamentazione per l’attribuzione delle posizioni organizzative, stabilendo la proroga di quelle preesistenti non oltre il 18 maggio 2019. Nelle more della definizione del citato d.p.c.m. e considerando la prossima scadenza della proroga disposta dal C.C.N.L., la legge regionale ha autonomamente disposto una propria proroga di tali posizioni, fino al completamento delle procedure di attribuzione che sarebbero conseguite allorquando il d.p.c.m. fosse entrato in vigore.
La Corte Costituzionale, raggiunta dal ricorso per conflitto di attribuzioni sollevato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, lo ha rigettato, ritenendo - per quanto qui interessa - che la normativa regionale non avesse avuto ad oggetto la materia, riservata allo Stato, dell “ordinamento civile” (art. 117 lett. l Cost.), ovverosia delle obbligazioni e diritti derivanti da un dato rapporto di lavoro pubblico, quanto la potestà organizzativa degli enti, rientrante nell’ambito della competenza residuale regionale. L’esercizio della potestà legislativa è stato poi ritenuto non irragionevole, perché coerente con l’esigenza di disciplinare, in una prospettiva di buon andamento della P.A. ed attraverso l’assicurazione di continuità all’attività amministrativa, la necessaria transizione verso il riassetto conseguente alle citate deliberazioni centrali.
L’asse argomentativo è convincente, in quanto la possibilità per la contrattazione collettiva di destinare, nell’ambito dei comparti, «apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità» (art. 40, co. 2, d. lgs. 165/2001), da cui si desume la possibilità di costituire posizioni organizzative, non significa certamente che essa sia preclusiva rispetto alla decisione del singolo ente sul se e come istituire le medesime, la cui definizione ad opera della P.A. (e qui, anzi, direttamente ad opera della legge quanto a proroga temporale delle posizioni pregresse) è discrezionale[2], in applicazione dell’assetto delineato dal d. lgs. 165/2001 (art. 40, co. 1 [3]), esprimendo l’intenzione datoriale di perseguire un certo risultato, attraverso quella modalità, ovverosia preponendo a certi uffici di alta professionalità, con potestà esterne e corrispondenti responsabilità, le persone dei livelli impiegatizi più elevati[4].
3. La sentenza della Corte Cost. n. 164/2020
L’altra pronuncia in commento riguarda una parimenti intricata vicenda normativa, relativa agli assetti apicali delle Agenzia delle Entrate e di quella delle Dogane.
I prodromi di essa risalgono al fatto che tali Agenzie hanno provveduto, nel corso degli anni, a sopperire alla vacanza di posti dirigenziali attraverso una norma del proprio regolamento che consentiva, per inderogabili esigenze di funzionamento, la copertura mediante contratti a tempo determinato con funzionari del medesimo ente, fino all’attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza e, comunque, entro un termine finale reiteratamente prorogato a partire dal 2006 e fino al 31.12.2012, con delibere del Comitato di gestione delle Agenzie. L’art. 8, co. 24 d.l. 16/2012, conv. con mod. in L. 44/2012, oltre a far salvi i contratti stipulati in passato con i funzionari, consentì l’ulteriore attribuzione di tali incarichi a tempo determinato[5], in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso, ma con successive proroghe normative dei contratti (art. 1, co. 14 d.l. 150/2013 conv. con mod. in L. 15/2014 e art. 1, co. 8, d.l. 192/2014) fino al 30.6.2015. Corte Costituzionale 17 marzo 2015, n. 37, chiamata dal Consiglio di Stato a valutare la predetta normativa, ne dichiarò l’illegittimità, per contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 Cost., in quanto attraverso essa si era «determinato un indefinito protrarsi nel tempo di un’assegnazione asseritamente temporanea di mansioni superiori, senza provvedere alla copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura aperta e pubblica», con aggiramento della regola del concorso pubblico e della stessa legittimità di una reggenza, ammissibile per la temporanea copertura di posizioni dirigenziali in attesa di concorso, ma non compatibile con reiterare proroghe dei corrispondenti incarichi.
Il legislatore è quindi intervenuto per regolare nuovamente la medesima esigenza organizzativa, stabilendo, con l’art. 1, comma 93, L 205/2017, che le Agenzie fiscali potessero istituire posizioni organizzative di elevata professionalità (POER), da conferire a personale interno con almeno cinque anni di esperienza nella terza area, chiamato a svolgere, in esito ad apposita selezione, incarichi di elevata responsabilità, alta professionalità o particolare specializzazione. Tali incarichi, espressamente definiti come di natura non dirigenziale, contemplano il potere di adottare atti e provvedimenti amministrativi, anche a rilevanza esterna, poteri di spesa e di acquisizione delle entrate, con responsabilità dell’attività amministrativa, della gestione e dei risultati dei propri uffici, da perseguire mediante autonomi poteri di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo, il tutto assistito dalla previsione di appositi benefici, attraverso voci retributive di posizione e di risultato. Il sistema si completa poi con la ulteriore previsione per cui l’istituzione delle POER deve avvenire nei limiti del risparmio di spesa conseguente alla riduzione di posizioni dirigenziali, sicché, in sostanza, essa è complementare ad una diminuzione quantitativa della dirigenza, quale conseguenza di una rimodulazione organizzativa degli assetti apicali degli enti interessati.
La Corte Costituzionale, con la sentenza 164/2020 qui in commento, ha ritenuto questa volta infondata la questione rimessa dal T.A.R. del Lazio, argomentando, da un primo punto di vista, sulla effettiva natura non dirigenziale degli incarichi inerenti le POER e rilevando, in ricostruzione della normativa di dettaglio, come, nonostante l’ampiezza dei poteri attribuiti in tal modo ai funzionari, mancasse quella responsabilità «esclusiva» (art. 4, co. 2, d. lgs. 165/2001) ed «autonoma» che caratterizza la dirigenza. Pertanto, persisteva il nesso gerarchico – e di potenziale corresponsabilità - rispetto ai dirigenti, che giustificava la classificazione giuridica delle POER in uno status non parificabile a quello apicale massimo, ma da riportare ancora, come si dirà, all’area non dirigenziale di formale inquadramento. Da ciò la conseguenza che tali incarichi non comportavano quel mutamento di status che avrebbe imposto il pubblico concorso aperto agli esterni e che aveva giustificato la pronuncia di incostituzionalità della precedente normativa.
4. Dirigenza e p.o.: profili ricostruttivi
Le due sentenze in commento convergono poi espressamente tra loro nel delineare le POER come posizioni create «per sottrazione» rispetto alle funzioni dirigenziali, cui non sono pertanto equiparabili per la fisionomia dei contenuti.
Esse aggiungono tuttavia un ulteriore importante considerazione, consistente nel fatto che le POER, per quanto soggette ad un termine, potrebbero essere oggetto di revoca («anche prima del tempo indicato» si legge nella sentenza n. 164) [6], in relazione a intervenuti mutamenti organizzativi o in conseguenza di valutazione negativa della performance individuale.
Non vi è dubbio che qui la valutazione della performance viene richiamata nel suo versante oggettivo[7], ovverosia come espressione della mancata riuscita della scelta organizzativa (essendo palese che, ove si guardasse al versante soggettivo, ovverosia quello di un’eventuale responsabilità disciplinare del dipendente, essa non potrebbe costituire tratto differenziale rispetto alla dirigenza) così confluendo nell’argomentazione di fondo che ispira le due pronunce della Consulta, in quanto volte ad assicurare alla P.A. uno strumento di flessibilità organizzativa.
Le POER sono infatti intese come forme di maggior articolazione settoriale e territoriale degli uffici, con parallela riduzione quantitativa della dirigenza, cui viene però attribuito uno spessore direzionale se si vuole ancora maggiore, perché destinato ad operare attraverso il coordinamento ed il controllo di importanti unità, il cui rilievo amministrativo risulta significativamente incrementato.
La razionalità del sistema e della scelta appare evidente e la sentenza n. 164 si fa carico di precisare come essa si fondi sull’avallo istruttorio dato alla Consulta dall’audizione di esperti che ne hanno saputo sottolineare la coerenza rispetto a report e studi ufficiali di livello internazionale (OCSE e FMI).
5. Il piano lavoristico: sempre più lontana l’ipotesi dei “quadri” nel pubblico impiego ?
In tale complesso e stimolante scenario, un dato non può sfuggire.
Come sostiene ampiamente la sentenza n. 164, anche le POER non configurano una nuova area intermedia, perché i compiti ed i requisiti per esse delineati non possono ritenersi estranei a quelli propri dei funzionari dell’area non dirigenziale di appartenenza, confermando anzi espressamente, la stessa Consulta, la temporaneità ed il principio di turnazione [8] che sono ritenuti caratterizzanti e che palesemente contrastano con l’inserimento di essi in un’autonoma area.
L’impostazione normativa, sotto il profilo classificatorio, mantiene le posizioni organizzative come incarichi temporanei, revocabili o modificabili in ragione di eventuali mutamenti organizzativi, se esse risultino in concreto inidonee agli scopi per i quali siano di tempo in tempo istituite.
Il favore va dunque più verso l’elasticità organizzativa della P.A., che non verso la introduzione di nuove aree, confermando lo sfavore verso l’istituzione di figure apicali di carriera, in continuità con l’inclinazione che già accompagnò l’eliminazione della c.d. vicedirigenza [9] e che non ha mai permesso la creazione nell’ambito del pubblico impiego della figura dei quadri [10].
Il sacrificio rispetto alla stabilità di “carriera” che ne deriva, trova tuttavia un equilibrio, nel dinamismo che sottende l’intero sistema, oltre che attraverso la portata economicamente e professionalmente incentivante di tali incarichi[11], mediante regole concorsuali di favore per l’accesso alla dirigenza, coinvolte nella seconda parte della sentenza n. 164.
6. Corte Costituzionale e regime concorsuale della dirigenza.
Sostrato analogo è infatti da ravvisare allorché la Corte Costituzionale affronta la materia sotto il diverso tema, sollecitato anch’esso dall’ordinanza di rimessione, della legittimità del sistema di reclutamento della dirigenza degli enti tributari, contestualmente introdotto dalla medesima disposizione censurata.
Costituisce dato acquisito quello per cui l’accesso alla dirigenza, comportando tra l’altro l’acquisizione di uno status autonomo, soggiace anch’esso alla regola del pubblico concorso (art. 28 e 28-bis, d. lgs. 165/2001) e non avviene per mera progressione verticale dei dipendenti interni.
La questione del caso di specie si è incentrata sull’esonero dalla prova selettiva, che la norma, nel regolare i concorsi pubblici per la dirigenza, ha previsto a favore del personale interno qualificato (dipendenti che abbiano svolto negli ultimi due anni mansioni dirigenziali o incarichi di POER; personale assunto con pubblico concorso e con dieci anni di anzianità nella terza area), nonché sulla riserva del 50 % dei posti sempre a favore del personale assunto con pubblico concorso e con dieci anni di anzianità nella terza area.
La sentenza n. 164 disattende la prima questione ritenendo che l’esperienza pregressa così valorizzata, sia profilo meritevole di apprezzamento da parte del legislatore, non in contrasto con il principio di buon andamento, anche perché i beneficiari dell’esonero sono comunque tenuti poi a superare le prove concorsuali.
Quanto alla seconda questione, la pronuncia apre con l’affermazione, vera, ma assai significativa nel contesto interpretativo in cui essa si inserisce, per cui la giurisprudenza della Corte Costituzionale «non è mai pervenuta ad escludere l’ammissibilità di riserve parziali», in favore dei dipendenti, «poiché ciò comporterebbe un sostanziale disconoscimento del potere di fare eccezione alla regola attribuito al legislatore dallo stesso art. 97, quarto comma, Cost.».
Potendo la Corte poi concludere agevolmente nel senso che una riserva del 50 % dei posti [12] e non la previsione di concorsi riservati (quella sì, non legittima [13]), costituisce un ragionevole punto di equilibrio tra il principio del pubblico concorso e l’interesse a consolidare pregresse esperienze lavorative presso la stessa P.A. Ciò per la coerenza rispetto alla norma generale dell’art. 52, co. 1-bis, d. lgs. 165/2001 (secondo cui «le progressioni fra le aree avvengono tramite concorso pubblico, ferma restando la possibilità per l'amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti per l'accesso dall'esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50 per cento di quelli messi a concorso) a propria volta calibrata su precedenti indicazioni della stessa giurisprudenza costituzionale.
Da quest’ultimo punto di vista, nulla quindi di effettivamente nuovo, ma nell’insieme il sistema delineato dal legislatore ed avallato dalla Consulta appare sufficientemente elastico per consentire alla P.A. di valorizzare le proprie professionalità interne.
Se si considera l’importanza che può avere l’esperienza di settore necessaria per un efficace conduzione della dirigenza, si può anzi affermare che la soluzione non preclusiva adottata sia sintomo di un grado di maturazione più avanzato dell’ordinamento, meno condizionato da una reazione a tutti i costi verso eventuali automatismi di carriera del passato.
7. Conclusioni
Il quadro complessivo, legislativo ed interpretativo, è dunque chiaramente indirizzato nel senso di assicurare alla P.A. strumenti agili di gestione[14].
Una dirigenza ridotta, associata ad incarichi di alta professionalità al personale di maggior qualifica, ma con moduli temporalmente flessibili, esprime senza dubbio una apprezzabile duttilità organizzativa. E’ del resto chiaro che gli effetti positivi della privatizzazione del pubblico impiego non possono che esprimersi in presenza di forme elastiche e dinamiche di organizzazione datoriale[15].
D’altra parte, la necessità di non deprimere le aspettative di chi sia già dipendente va coniugata con la capacità di dare ingresso anche ad esterni muniti delle qualifiche necessarie e di dimostrata capacità. Il che ad esempio imporrà un esercizio consapevole della discrezionalità, con riferimento, ad esempio, al grado di rigore da destinare alle preselezioni degli esterni, da cui gli interni sono esonerati, onde evitare di tradurre il beneficio in una sorta di esclusiva.
Senza dubbio, al di là delle norme, comunque di portata strumentale[16], saranno quindi i fatti, i comportamenti e le persone ad essere decisivi e a permettere di verificare se l’apertura di credito del legislatore, così indubbiamente concessa, risulterà realmente funzionale all’auspicato – e sinceramente non rimandabile in un paese evoluto - buon andamento (inteso come efficiente funzionamento) del sistema amministrativo.
[1] Sulle posizioni organizzative, in generale, v. V. Tenore, Il manuale del pubblico impiego privatizzato, Roma, 2020, 218 ss., nonché A.M. Perrino, L’inquadramento, le mansioni, lo ius variandi e le progressioni, in AA.VV., Lavoro pubblico, Milano, 2018, 228 ss.
[2] V. Cass. 29 maggio 2015, n. 11198 e, più di recente, Cass. 25 ottobre 2019, n. 27384; analogamente, rispetto all’istituzione della c.d. vicedirigenza, v. Cass. 2 dicembre 2019, n. 31378 e Cass. 6 novembre 2018, n. 28247.
[3] V. G. Mammone, art. 40, in Commentario breve alle leggi sul lavoro, fondato da M Grandi e G. Pera, a cura di R. De Luca Tamajo e O. Mazzotta, 1713.
[4] Una ricostruzione del tema delle posizioni organizzative, con ampio richiamo anche ai precedenti di legittimità, è contenuta in Cass. 3 aprile 2018, n. 8141, nel cui contesto si rintraccia anche la conclusione per cui «ove il dipendente venga assegnato a svolgere le mansioni proprie di una posizione organizzativa, previamente istituita dall'ente, e ne assuma tutte le connesse responsabilità, la mancanza o l'illegittimità del provvedimento di formale di attribuzione non esclude il diritto a percepire l'intero trattamento economico corrispondente alle mansioni di fatto espletate, ivi compreso quello di carattere accessorio, che è diretto a commisurare l'entità della retribuzione alla qualità della prestazione resa».
[5] Cass. 10 luglio 2020, n. 14814 ha recentemente chiarito che «il conferimento di un incarico dirigenziale a termine ai funzionari dell'Agenzia delle Entrate, ai sensi dell'art. 24 del regolamento di organizzazione dell'ente e poi dell'art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 44 del 2012, si innesta su un rapporto di lavoro subordinato già esistente ed in quanto equiparabile all'ipotesi della reggenza, o dell'esercizio di mansioni superiori, non determina la costituzione di un rapporto dirigenziale a termine assimilabile a quello con i soggetti non appartenenti ai ruoli dirigenziali della P.A. ex art.19, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001».
[6] Peraltro, le regole sulla revocabilità delle posizioni organizzative dipendono anche dalle previsioni della contrattazione collettiva. V. in proposito, Cass. 2 settembre 2010, n. 19009, secondo cui «in materia di incarichi dirigenziali per le posizioni organizzative del personale degli enti locali, l'art. 9 del C.C.N.L. comparto Regioni ed autonomie locali - personale non dirigente - del 31 marzo 1999 consente la revoca dell'incarico prima della scadenza solo con atto scritto e motivato ed in relazione ad intervenuti mutamenti organizzativi o in conseguenza dello specifico accertamento di risultati negativi; ne deriva l'illegittimità dell'atto che revochi anticipatamente l'incarico in difetto di tali presupposti, anche se non vi sia dequalificazione ma la restituzione a compiti rientranti della qualifica posseduta; analogamente, Cass. 18 aprile 2017, n. 9728 ha ritenuto che la revoca della posizione organizzativa prima della scadenza può essere disposta, ai sensi degli artt. 109 del d.lgs. n. 276 del 2000 e 9, comma 3, del c.c.n.l. del 31 marzo 1999, per casi determinati, correlati a profili disciplinari o al mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati, sicché è illegittima se motivata sulla base del mero mutamento dell'organo investito del potere di nomina.
[7] In argomento, con riferimento alla performance dei dirigenti, v. V. Tenore, Il Manuale del pubblico impiego, cit. , 793
[8] Su tutti i predetti punti la Corte Costituzionale si allinea con l’orientamento consolidato della S.C.: v. Cass. 30 marzo 2015, n. 6367 e, poi Cass. 10 luglio 2019, n. 18561, citata anche dalla Corte Costituzionale.
[9] Per la ricostruzione dell’intera vicenda, v. ancora V. Tenore, Il Manuale del pubblico impiego, cit. , 769 ss.
[10] V. sul tema, Cass. 5 luglio 2005, n. 1089, in Lav. p.a., 2006, 1089, con nota di P. Matteini, La Cassazione e i "quadri" nel settore pubblico.
[11] Sulle posizioni organizzative quali strumenti utile alla motivazione del personale più capace, v. G. Nicosia, L’accesso alle amministrazioni e la “carriera” dei dipendenti pubblici nel prisma delle procedure selettive e concorsuali, in Lav. p.a., 2012, 139.
[12] Sui concorsi con riserva di posti, v. A.M. Perrino, L’inquadramento, cit., 222
[13] v. Corte Costituzionale 1 luglio 2013, n. 167, in Giur. Cost., 2013, 2487; Corte Costituzionale 21 aprile 2005, n. 159, in Giur. Cost., 2005, n. 1290, con annotazione di R. Alesse, Corte Costituzionale 16 maggio 2002, n. 194, in Giur. Cost., 2002, 1521, con nota di F. Giglioni; Corte Costituzionale 4 gennaio 1999, n. 1, in Giur. Cost., 1999, 1.
[14] V. A. Bianco, Gli incarichi di posizione organizzativa per la Corte Costituzionale, in www.paefficace.it, 2020.
[15] L. Zoppoli, La dirigenza pubblica tra mancata riforma e persistenti equivoci, in La riforma dei rapporti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, a cura di M. Esposito, V. Luciani, A. Zoppoli, L. Zoppoli, sottolinea come dovrebbe essere la duttilità organizzativa ad esprimere oggi il significato «più autentico, per non dire corretto, della c.d. privatizzazione del pubblico impiego».
[16] V. R. Ruffini, Percorsi di innovazione dell’organizzazione pubblica, in Lavoro pubblico fuori dal tunnel, a cura di C. Dell’Aringa e G. Della Rocca, Roma, 2017, 413, che plasticamente sottolinea come il processo di cambiamento possa trovare innesco dalle riforme, generando un cambiamento dall’alto al basso, ma per effettivamente fornire risultati imponga un mutamento delle routine organizzative di base che manifestino, secondo un andamento inverso, ovverosia dal basso, l’effettiva modificazione delle strategie e degli assetti organizzativi.