GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    La sentenza n. 44 del 2021 della Corte costituzionale sui vitalizi dei Consiglieri regionali siciliani: una decisione in prudente attesa di nuove questioni di Luciano Ciafardini

    La sentenza n. 44 del 2021 della Corte costituzionale sui vitalizi dei Consiglieri regionali siciliani: una decisione in prudente attesa di nuove questioni di Luciano Ciafardini

    La sentenza n. 44 del 2021 della Corte costituzionale sui vitalizi dei Consiglieri regionali siciliani: una decisione in prudente attesa di nuove questioni 

    di Luciano Ciafardini

    Sommario: 1. L’oggetto del giudizio – 2. Le misure previste dalla legge di bilancio per il 2019 – 3. La natura dei vitalizi nella giurisprudenza costituzionale – 4. La disciplina parlamentare – 5. La disciplina regionale – 6. In particolare, l’attuazione dell’intesa nella Regione Siciliana – 7. La sentenza n. 44 del 2021 della Corte costituzionale – 8. Uno sguardo al futuro prossimo.

    1. L’oggetto del giudizio

    Con la sentenza n. 44 del 2021[1], la Corte costituzionale ha deciso, nel senso dell’accoglimento, alcune questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Presidenza del Consiglio dei ministri contro la legge della Regione Siciliana 28 novembre 2019, n. 19 (Disposizioni per la rideterminazione degli assegni vitalizi).

    Oggetto d’impugnativa, in particolare, erano i commi 12 e 13 dell’art. 1, ritenuti in contrasto, soprattutto, con gli articoli 3 e 117, terzo comma, della Costituzione, quest’ultimo con riferimento ai principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica dettati dall’art. 1, commi da 965 a 967, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio per il 2019), nonché con il principio di leale collaborazione.

    In base alle disposizioni statali indicate come parametro interposto, entro il 30 maggio 2019 le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano – previa intesa da raggiungere in sede di Conferenza permanente – avrebbero dovuto provvedere a rideterminare, secondo il metodo di calcolo contributivo, la disciplina dei trattamenti previdenziali e dei vitalizi già in essere in favore di coloro che avessero ricoperto la carica di Presidente della Regione, di Consigliere o Assessore regionale.

    Nel dare attuazione a tale previsione, tuttavia, la legge regionale impugnata restringeva l’efficacia temporale della misura ad un periodo di cinque anni[2], introducendo un trattamento differente rispetto a quello previsto da tutte le altre Regioni.

    Tutto ciò al cospetto di disposizioni statali che disegnano, invece, una disciplina a regime priva di confini temporali e che conviene rapidamente riassumere.

    2.  Le misure previste dalla legge di bilancio per il 2019

    Con la legge n. 145 del 2018, lo Stato ha imposto alle Regioni, «ai fini del coordinamento della finanza pubblica e del contenimento della spesa pubblica», di provvedere alla rideterminazione dei trattamenti previdenziali e dei vitalizi già in essere, nei confronti di coloro che abbiano rivestito le cariche di Presidente della Regione, di Consigliere regionale o di Assessore regionale, sulla base di criteri e parametri da definire con intesa sancita in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

    Per il mancato adempimento nei termini dettati dalla legge stessa, quest’ultima prevede l’applicazione di una specifica sanzione nei confronti degli enti interessati, consistente nella decurtazione di una quota pari al venti per cento dei trasferimenti erariali al netto di quelli destinati al finanziamento del Servizio sanitario nazionale, delle politiche sociali e per le non autosufficienze e del trasporto pubblico locale[3].

    Come accennato, al fine di «favorire l’armonizzazione delle rispettive normative», la definizione dei criteri e dei parametri per la rideterminazione dei trattamenti previdenziali e degli assegni vitalizi è demandata ad una apposita intesa da adottare in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

    In data 3 aprile 2019, la Conferenza Stato-Regioni, presieduta dal Ministro per gli affari regionali, ha sancito la prevista intesa tra il Governo e le Regioni.

    Per la rideterminazione degli assegni sulla base del metodo contributivo (precisato con apposita nota metodologica allegata all’intesa), sono stati approvati i seguenti criteri e parametri:

    a) la rideterminazione si applica agli assegni vitalizi comunque denominati, diretti, indiretti o di reversibilità, considerando il loro importo lordo, senza tenere conto delle riduzioni temporanee disposte dalla normativa vigente[4];

    b) la rideterminazione si applica agli assegni vitalizi in corso di erogazione e a quelli non ancora erogati, con esclusione dei trattamenti previdenziali il cui ammontare è stato definito esclusivamente sulla base del sistema di calcolo contributivo;

    c) la spesa per gli assegni vitalizi rideterminati non può superare la spesa che la Regione avrebbe sostenuto per l’erogazione dei medesimi assegni ricalcolati sulla base della nota metodologica allegata all’intesa, incrementata fino al 26 per cento e comunque di un importo necessario a garantire che gli assegni vitalizi ricalcolati non siano inferiori a due volte il trattamento minimo INPS;

    d) l’ammontare dell’assegno vitalizio, a seguito della rideterminazione, non può comunque superare l’importo erogato ai sensi della normativa vigente;

    e) gli importi dei vitalizi derivanti dalla rideterminazione sono soggetti a rivalutazione automatica annuale, a partire dall’anno successivo all’applicazione della rideterminazione, sulla base dell’indice ISTAT di variazione dei prezzi al consumo.

    Il punto 2 dell’intesa ha attribuito alle Regioni la facoltà di approvare, di comune accordo, «un documento di indirizzo al fine di evitare disomogeneità nell’applicazione della presente intesa», ciò che è avvenuto, sempre il 3 aprile 2019, in forza di una specifica determinazione volta ad armonizzare le normative regionali, grazie all’applicazione, in sede di rideterminazione degli assegni vitalizi, di specifiche clausole di salvaguardia al fine di tutelare i principi di proporzionalità, ragionevolezza e tutela dell’affidamento.

    In particolare, la Conferenza delle Regioni ha stabilito che l’assegno vitalizio ricalcolato con il metodo contributivo, in base alla nota metodologica allegata all’intesa, non può essere inferiore all’importo ottenuto applicando all’assegno vitalizio spettante in base alla previgente normativa le aliquote stabilite da una apposita Tabella (allegata al documento)[5].

    Sempre in un’ottica di armonizzazione delle rispettive normative regionali, anche la Conferenza dei Presidenti delle assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome ha approvato, in data 17 aprile 2019, un proprio documento d’indirizzo, con il quale ha adottato uno schema comune di testo di legge attuativo dell’intesa, da utilizzare come riferimento nella stesura delle leggi regionali.

    3. La natura dei vitalizi nella giurisprudenza costituzionale

    Il vitalizio per i parlamentari vede la luce negli anni Cinquanta del secolo scorso, parallelamente all’istituzione di una Cassa di previdenza al Senato (1954) e di una Cassa di previdenza alla Camera (1956) – entrambe successivamente soppresse dopo essere state accorpate in un’unica Cassa di previdenza dei parlamentari (1960)[6] – e, sin dal 1968, la relativa disciplina è stata rimessa ad appositi regolamenti adottati con deliberazioni degli Uffici di Presidenza dei due rami del Parlamento.

    Il vitalizio – unitamente all’assegno di fine mandato (quest’ultimo sostanzialmente corrispondente al trattamento di fine rapporto corrisposto in occasione della cessazione degli ordinari rapporti di lavoro) – è considerato espressione del principio del pari accesso alle cariche elettive, dal momento che, come ideale prosecuzione del principio fissato nell’art. 69 Cost. (“I membri del Parlamento ricevono un’indennità stabilita dalla legge”), persegue lo scopo di consentire l’esercizio del mandato parlamentare «libero da timori anche futuri di difficoltà economiche»[7].

    L’assegno vitalizio è stato poi variamente introdotto e disciplinato anche dalle leggi regionali in favore degli ex consiglieri regionali.

    La giurisprudenza costituzionale, pur riconoscendo al vitalizio una funzione previdenziale (in quanto comunque preordinato a provvedere alle esigenze di vita successive alla cessazione del mandato, anche in ragione dell’età del percipiente), ha sempre considerato questa indennità concettualmente distinta dagli istituti propriamente pensionistici, non essendo essa strutturalmente conseguente ad un rapporto di impiego[8].

    Si fa riferimento, in particolare, alla pronuncia n. 289 del 1994, che dichiarò incostituzionale la disposizione che prevedeva, ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, un trattamento tributario privilegiato degli assegni vitalizi, a favore sia dei membri del Parlamento che dei Consiglieri regionali, consistente nell’abbattimento della base imponibile al sessanta per cento del reddito percepito.

    Nella citata sentenza, la Corte affermò che tra i vitalizi e le pensioni ordinarie derivanti da rapporti di pubblico impiego non sussiste «una identità né di natura né di regime giuridico, dal momento che l’assegno vitalizio, a differenza della pensione ordinaria, viene a collegarsi ad una indennità di carica goduta in relazione all’esercizio di un mandato pubblico: indennità che, nei suoi presupposti e nelle sue finalità, ha sempre assunto, nella disciplina costituzionale e ordinaria, connotazioni distinte da quelle proprie della retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego».

    Per la giurisprudenza costituzionale, dunque, i vitalizi e le pensioni ordinarie dei lavoratori subordinati presentano solo alcuni punti in comune, differenziandosi nettamente per il resto.

    Dal punto di vista funzionale, hanno entrambi una connotazione previdenziale.

    Dal punto di vista strutturale, però, solo le pensioni si collegano un rapporto di lavoro dipendente, mentre i vitalizi seguono l’esercizio di un mandato rappresentativo che, per definizione e per esplicita previsione costituzionale (art. 67), esclude qualunque forma di vincolo[9].

    Si è osservato[10], tuttavia, che le due forme di remunerazione a cui pensioni e vitalizi sono collegati (retribuzione e indennità), pur essendo ontologicamente diverse, «realizzano all’atto pratico una funzione del tutto analoga, rappresentando entrambe un reddito per il percipiente, che può per mezzo di questo far fronte alle esigenze di vita proprie e dei familiari», sicché la «stessa identità di funzione è riferibile ai rispettivi trattamenti pensionistici».

    4. La disciplina parlamentare

    La disciplina parlamentare prima e, successivamente, le legislazioni regionali, sulla spinta di norme statali di coordinamento della finanza pubblica, hanno progressivamente avvicinato i vitalizi agli istituti pensionistici.

    Quanto ai vitalizi dei Parlamentari, tra il 2011 e il 2012 la Camera modificava profondamente il regime previdenziale dei Deputati, superando l’istituto dell’assegno vitalizio e introducendo[11], a partire dal 1° gennaio 2012, un trattamento basato sul sistema di calcolo contributivo, sostanzialmente analogo a quello vigente per i pubblici dipendenti[12] e certamente meno favorevole per il beneficiario della prestazione rispetto al precedente metodo retributivo[13].

    Con le delibere parlamentari sopra ricordate, il sistema contributivo veniva applicato integralmente ai Deputati eletti dopo le rispettive date di adozione, mentre per quelli in carica, nonché per coloro che erano già cessati dal mandato ed erano stati in seguito rieletti, si applicava un sistema pro rata, basato, in parte, sulla quota di vitalizio definitivamente maturata al 31 dicembre 2011, in altra parte, sulla quota calcolata con il nuovo sistema, riferita agli anni di mandato svolti a partire dal 2012[14].

    Il progressivo avvicinamento del vitalizio alla disciplina previdenziale ordinaria, perseguito con l’adozione del criterio del calcolo contributivo (che, risultando più sostenibile dal punto di vista finanziario, concorre a realizzare una più equa distribuzione inter-generazionale delle risorse), non aveva però sopito le pulsioni “anticasta” proprie del dibattito politico dell’epoca, tanto che si era manifestata un’ulteriore spinta tendente al ricalcolo anche dei vitalizi già concessi con il precedente regime.

    Del resto, già nel corso della XXVII legislatura un tentativo in tal senso era stato effettuato tramite un disegno di legge di iniziativa parlamentare, (c.d. “legge Richetti”: proposta di legge C 3225) recante «Disposizioni in materia di abolizione dei vitalizi e nuova disciplina dei trattamenti pensionistici dei membri del Parlamento e dei consiglieri regionali», il quale avrebbe previsto l’applicazione del nuovo sistema anche ai titolari di cariche elettive già cessati dall’incarico. La proposta, presentata il 9 luglio 2015, approvata alla Camera e trasmessa al Senato il 27 luglio 2017 (A.S. n. 2888), non è stata approvata da quest’ultimo ramo del Parlamento, che pure aveva confezionato un fitto calendario di audizioni di esperti giuridici per approfondire i problemi legati alla natura della fonte cui affidare la disciplina degli ex parlamentari e, per quanto qui rileva, alla legittimità di una normativa che avesse imposto ai percettori un ricalcolo in peius retroattivo.

    Il risultato è stato infine ottenuto con due decisioni dell’Ufficio di presidenza della Camera dei deputati e del Consiglio di presidenza del Senato[15], le quali hanno però fissato delle soglie minime al di sotto delle quali l’assegno non può essere ridotto: per chi ha svolto un solo mandato, la prestazione non può essere inferiore a 980 euro; per chi ha svolto più di un mandato, se il ricalcolo contributivo causasse un taglio superiore al cinquanta per cento dell’importo prima goduto, l’assegno verrebbe comunque mantenuto a 1.470 euro[16].

    Contro tali delibere sono stati proposti numerosi ricorsi agli organi di giurisdizione domestica di Camera e Senato da ex parlamentari che hanno maturato il diritto al trattamento, vedendosi però ridurre notevolmente l’ammontare della somma loro spettante: i ricorrenti mirano all’annullamento delle delibere e al conseguente accertamento del diritto a percepire la somma originaria[17].

    Va segnalato come anche il Tribunale di primo grado dell’Unione Europea sia stato chiamato a pronunciarsi sulla specifica questione della riduzione dei vitalizi parlamentari, in forza del meccanismo di rinvio che lega, almeno fino al 2008, il trattamento pensionistico dei parlamentari europei a quello dei parlamentari degli Stati membri di appartenenza[18] e che ha condotto il Parlamento europeo a recepire e applicare, nei confronti di alcuni ex parlamentari europei eletti in Italia, le delibere del 2018 degli Uffici di presidenza delle Camere del Parlamento italiano in tema di riduzione retroattiva dei vitalizi.

    I ricorsi sono stati però respinti, con due sentenze dell’ottava sezione, la prima del 15 ottobre 2020[19] e la seconda del 5 maggio 2021[20].

    5. La disciplina regionale

    Analoga a quella dei parlamentari è stata l’evoluzione dei vitalizi di cui beneficiano gli ex consiglieri regionali.

    Adeguandosi all’obbligo imposto dal legislatore nazionale con l’art. 14, comma 1, lettera f), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, le Regioni[21] hanno abolito le rendite vitalizie per transitare ad un sistema previdenziale contributivo, che contempla il sorgere del diritto alla percezione del trattamento a partire dai 60 anni, per chi è stato Consigliere regionale per più di una legislatura, e dai 65 anni per chi abbia versato contributi per una sola legislatura.

    La citata disposizione del d.l. n. 138 del 2011 ha imposto alle Regioni di adeguare i propri ordinamenti prevedendo il «passaggio ad un sistema previdenziale contributivo per i consiglieri regionali»: la prescrizione è completata dall’art. 14, comma 2, che dispone conseguenze di carattere sanzionatorio in caso di mancato adeguamento delle Regioni a tale misura di contenimento della spesa.

    Successivamente, il decreto-legge n. 174 del 2012 (art. 2, comma 1, lettera m) ha rafforzato la portata dell’obbligo contenuto nelle citate norme del d.l. n. 138 del 2011, stabilendo che il loro mancato rispetto avrebbe determinato, a decorrere dal 2013, ulteriori sanzioni (consistenti, fra le altre, nel blocco di una quota, pari all’ottanta per cento, dei trasferimenti erariali – tranne quelli destinati a specifiche finalità – a favore delle Regioni).

    Erano però esclusi dall’ambito di applicazione della nuova normativa i “trattamenti già in essere”.

    Pur definito dalla legislazione regionale successiva al 2012 come «pensione», il trattamento di quiescenza dei politici regionali – al pari di quello previsto per i parlamentari nazionali – conserva marcati caratteri differenziali rispetto al trattamento pensionistico derivante dal rapporto di lavoro pubblico o privato.

    In particolare, come osservato in dottrina[22], restano evidenti gli indici di un regime di favore: l’assegno vitalizio viene maturato prima[23], non è sottoposto alla gestione generale dell’Inps[24], ma è erogato direttamente dalla Regione e, soprattutto, è cumulabile rispetto ad altri trattamenti previdenziali (oltre che, naturalmente, rispetto ad altri vitalizi per ulteriori e diversi incarichi politici).

    Il trattamento di quiescenza dei politici regionali, quindi, non può essere assimilato a quello ordinario, e non solo per il collegamento funzionale con l’indennità di carica attribuita per lo svolgimento di un pubblico mandato, ma soprattutto per il carattere “speciale”, e generalmente più benevolo, della relativa disciplina, sicché non pare perdere di attualità la distinzione operata nella giurisprudenza costituzionale a partire dalla sentenza n. 289 del 1994: nonostante il vitalizio sia ormai alimentato con contributi commisurati alla suddetta indennità di carica, quest’ultima non costituisce il corrispettivo di una prestazione lavorativa (nell’ambito di un rapporto sinallagmatico disciplinato da un contratto), bensì una condizione per rendere accessibili le cariche pubbliche a tutti i cittadini, secondo l’operare congiunto degli artt. 51 e 69 Cost.

    Del resto, la giurisprudenza comune pare porsi sulla medesima linea di pensiero.

    La Corte di Cassazione riconosce, in linea di principio, che il vitalizio è «la proiezione economica dell’indennità parlamentare per la parentesi di vita successiva allo svolgimento del mandato», sicché la sua corresponsione svolge comunque una funzione previdenziale[25] ed è «sorretta dalla medesima ratio di sterilizzazione degli impedimenti economici all’accesso alle cariche di rappresentanza democratica del Paese» (Cassazione, sezioni unite, 10 novembre 2020, n. 25211). Tuttavia, ha continuato ad affermare che l’assegno vitalizio previsto dalla legislazione regionale in favore del Consigliere regionale dopo la cessazione del mandato non può essere assimilato alla pensione del pubblico dipendente, in quanto: «i consiglieri regionali non sono prestatori di lavoro, ma titolari di un munus previsto dalla Costituzione; il Consiglio regionale non è un datore di lavoro del consigliere regionale; l’investitura del consigliere regionale avviene per elezione e non consegue alla assunzione per pubblico concorso. La diversità tra assegno vitalizio e trattamento di quiescenza costituisce un dato acquisito nella giurisprudenza della Corte costituzionale e di questa Corte»[26].

    Nessuna norma vigente – si afferma ancora – attribuisce testualmente natura pensionistica all’assegno vitalizio[27], che resta diverso, sotto il profilo funzionale e strutturale, dal trattamento di quiescenza derivante dal rapporto di lavoro[28].

    Analoghe valutazioni vengono operate dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento ai vitalizi spettanti agli ex parlamentari[29].

    Sulla medesima lunghezza d’onda pare attestata la giurisprudenza amministrativa, la quale, sempre con riferimento ai trattamenti vitalizi regionali, sostiene la «natura non pensionistica dell’assegno e la sua diversità di finalità e di regime rispetto alle pensioni»[30].

    D’altra parte, si osserva in dottrina[31] che, pur assolvendo alla stessa funzione (previdenziale) della pensione ordinaria, il trattamento di quiescenza dei politici regionali presenta elementi di indubbio vantaggio, tali da assimilarlo, al più, sotto il profilo strutturale e funzionale, alle pensioni di anzianità, che, in passato, hanno consentito il fenomeno del c.d. baby pensionamento[32].

    Successivamente, anche i “trattamenti già in essere” hanno seguito analoga sorte rispetto ai vitalizi parlamentari.

    Già il disegno di legge c.d. “Richetti” – di cui si è dato conto in precedenza – stabiliva che le Regioni e le Province autonome avrebbero dovuto adeguare la propria normativa nei confronti dei Consiglieri regionali.

    Nonostante la sopravvenuta decadenza del progetto di legge, alcune Regioni vi avevano dato comunque seguito, stabilendo, però, solo “riduzioni temporanee” dei vitalizi[33], considerate alla stregua di “contributi di solidarietà” e, dunque, da applicare in via transitoria, in ossequio ai principi espressi dalla sentenza della Corte costituzionale n. 173 del 2016[34] (e di recente ribaditi dalla sentenza n. 234 del 2020)[35].

    A seguito delle ricordate delibere adottate nel 2018 dei due Presidenti delle Camere, con le quali si è disposto il ricalcolo dei trattamenti di quiescenza degli ex parlamentari, il legislatore statale, con la legge di bilancio per il 2019 innanzi illustrata, ha esteso anche alle Regioni l’obbligo di procedere – secondo criteri fissati in sede di intesa sancita in conferenza Stato-Regioni – alla riduzione dei trattamenti di quiescenza in essere, diretti e di reversibilità, dei politici regionali, imponendo interventi in peius con effetti retroattivi.

    Le leggi regionali[36] attuative dell’intesa sancita in sede di Conferenza permanente Stato-Regioni sono intervenute con una riduzione del trattamento previdenziale già goduto dagli ex Consiglieri regionali, determinando effetti sfavorevoli definitivi che vanno dunque tenuti nettamente distinti rispetto a quelli conseguenti agli interventi limitati nel tempo, come i contributi di solidarietà o il blocco della perequazione automatica, volti a imporre un prelievo temporaneo sulle pensioni o a raffreddarne la dinamica rivalutativa.

    Sia la legge statale che le normative regionali di attuazione dell’intesa, infatti, nel disciplinare il ricalcolo dei vitalizi con il sistema contributivo, determinano una modifica delle modalità di computo che, pur valendo pro futuro (nel senso che non sono previste restituzioni di quanto già percepito), comporta definitivi effetti peggiorativi, perché produce – generalmente – una riduzione irreversibile degli importi corrisposti fino alla data di entrata in vigore della nuova normativa.

    In altre parole, chi subisce l’applicazione delle disposizioni finora prese in esame si vede applicato un calcolo economico diverso rispetto a quello applicato nel momento in cui ha maturato il diritto; e si tratta di un calcolo che modifica definitivamente in senso negativo l’entità di quanto percepito.

    6. In particolare, l’attuazione dell’intesa nella Regione Siciliana

    Proprio l’attuazione dell’intesa da parte della Regione Siciliana ha dato luogo al contenzioso costituzionale sfociato nella sentenza n. 44 del 2021.

    Va, in primo luogo, ricordato che anche l’Assemblea Regionale Siciliana (ARS), con il regolamento adottato nella seduta n. 38 del 2012[37], in adempimento dell’obbligo introdotto dalla legislazione statale in precedenza ricordata, ha abrogato il c.d. vitalizio – a decorrere dal 1° gennaio 2012 – e ha disegnato una disciplina che intende regolamentare un trattamento definito “pensionistico”, calcolato secondo il sistema contributivo, previo accertamento della ricorrenza di requisiti oggettivi[38].

    Dalla stessa data, in effetti, è stato istituito un sistema previdenziale contributivo, simile a quello previsto per i pubblici dipendenti, in base al quale il deputato cessato dalla carica riceve, al momento in cui matura il relativo diritto, una pensione commisurata all’ammontare dei contributi versati[39].

    Tale regolamento assembleare del 2012, a tutt’oggi, non si estende ai deputati regionali che abbiano conseguito il diritto al trattamento pensionistico in epoca antecedente al 1° gennaio 2012 e che non siano stati successivamente rieletti (art. 1, comma 1).

    Pertanto, alla luce della normativa vigente, è ancora possibile distinguere: a) la categoria degli assegni vitalizi integralmente maturati precedentemente al 1° gennaio 2012 con il sistema retributivo; b) la categoria delle “pensioni pro rata”, maturate in diversa percentuale con il sistema retributivo e con l’attuale sistema contributivo (disciplinate dall’art. 4 del regolamento); c) la categoria delle “pensioni” interamente maturate con l’attuale sistema contributivo, per i deputati il cui mandato parlamentare abbia avuto inizio successivamente al 1° gennaio 2012.

    In attuazione della legge regionale n. 19 del 2019 impugnata dallo Stato, con decreto del Presidente dell’Assemblea regionale siciliana n. 752 del 28 dicembre 2019, è stata disposta, a decorrere dal 1° dicembre 2019 e per un periodo di soli cinque anni, la riduzione degli assegni vitalizi diretti e di reversibilità non calcolati interamente con il sistema contributivo, applicando al loro importo lordo le seguenti percentuali di riduzione progressive per scaglione: 9,40 per cento fino a 37.000,00 euro lordi annui; 14,40 per cento da 37.000,01 a 62.000,00 euro lordi annui; 19,40 per cento oltre i 62.000,00 euro lordi annui.

    Se non fosse intervenuta la sentenza n. 44 del 2021 della Corte costituzionale, dunque, scaduto il suddetto quinquennio, sarebbero state nuovamente applicate le regole ancora vigenti in base al regolamento delle pensioni approvato dall’ARS nel 2012.

    7. La sentenza n. 44 del 2021 della Corte costituzionale

    Il Governo, come era naturale attendersi, non aveva mosso nessuna censura ai commi da 1 a 11 dell’art. 1 della legge regionale n. 19 del 2019, che stabiliscono i criteri per il ricalcolo dei vitalizi degli ex deputati regionali, in esecuzione dell’intesa.

    La questione di costituzionalità prospettata dallo Stato contestava esclusivamente la competenza legislativa regionale a stabilire la temporaneità del ricalcolo e non toccava il presupposto sostanziale, né delle determinazioni legislative regionali né, a monte, di quelle statali.

    Del tutto ininfluenti sulla decisione della questione – perché appunto estranee al thema decidendum – sarebbero apparse, dunque, eventuali considerazioni in merito alle scelte complessive, operate dalle legislazioni nazionale e regionali, circa il ricalcolo dei vitalizi secondo il metodo contributivo.

    Questa la ragione per la quale la Corte, in via preliminare, perimetra i confini della decisione da assumere, osservando come le disposizioni statali evocate come parametro interposto – integrate dall’intesa sancita in sede di Conferenza permanente Stato-Regioni – richiedono che le leggi regionali stabiliscano una riduzione, permanente e perciò a regime, del trattamento previdenziale già goduto da ex Presidenti, Assessori e Consiglieri regionali, sicché non vengono in rilievo interventi limitati nel tempo, sul genere dei c.d. contributi di solidarietà (che impongono prelievi occasionali sulle pensioni) o dei provvedimenti di blocco della perequazione automatica (che frenano temporaneamente la dinamica di rivalutazione dei trattamenti previdenziali).

    Oggetto di discussione, in buona sostanza, è solo la legittimità costituzionale delle disposizioni regionali introduttive di un limite temporale agli effetti del ricalcolo mediante il sistema contributivo, alla luce degli invocati principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica.

    La sentenza n. 44 del 2021 accoglie le doglianze statali, nei limiti in cui sono state proposte, qualificando le norme interposte evocate in ricorso alla stregua di principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica: per la Corte, infatti, il legislatore statale ha operato una “scelta di fondo”, consistente nell’estendere anche ai vitalizi maturati anteriormente al 2012 un meccanismo di quantificazione legato all’ammontare dei contributi versati, equiparando, così, la posizione degli ex Consiglieri, Presidenti e Assessori – cessati dalla carica prima del 2012 – a quella di coloro che abbiano acquisito il diritto successivamente a tale data. Ciò in vista di un obiettivo di risparmio, da conseguire uniformemente sull’intero territorio nazionale, attraverso la riduzione dei “costi della politica”, qui individuati, in relazione al funzionamento degli organi elettivi, nelle indennità spettanti agli ex Consiglieri, Presidenti e Assessori regionali.

    Trattandosi di principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, essi – secondo un principio ormai definitivamente acquisito alla giurisprudenza costituzionale (tra le tante, sentenze n. 130 del 2020, n. 241, n. 172, n. 159 e n. 103 del 2018, n. 154 del 2017) – sono vincolanti anche per le autonomie speciali, sicché, per usare le parole della Corte, «non compete ad una legge regionale declinare nelle forme di una riduzione di durata temporanea il ricalcolo imposto a regime dai principi fondamentali della normativa statale».

    8. Uno sguardo al futuro prossimo

    L’indagine può ora spingersi ad immaginare le questioni che potranno essere sottoposte alla Corte costituzionale per la via incidentale, in ordine agli effetti della modifica in peius dei rapporti di durata, con particolare riferimento alla materia previdenziale.

    È facilmente pronosticabile, infatti, che numerosi saranno i ricorsi proposti dagli ex Consiglieri regionali che si sono visti decurtare l’entità del vitalizio già in godimento.

    Allo stato, ad esempio, consta che il Tribunale di Torino[40], in funzione di giudice del lavoro, con sentenza n. 974 del 16 giugno 2021, abbia rigettato il ricorso proposto dal beneficiario di assegno vitalizio a carico della Regione Piemonte dal 2002, in qualità di ex consigliere regionale. Il ricorrente chiedeva l’accertamento del proprio diritto a percepire l’assegno vitalizio nella misura integrale, e dunque senza il “taglio” dell’importo in godimento avvenuto a seguito dell’applicazione della L.R. 25 settembre 2019 n. 21, emanata proprio in attuazione dei principi espressi dall’art. 1, commi 965, 966 e 967, della legge di bilancio statale per il 2019. In questa occasione, tuttavia, il Tribunale non ha ritenuto di investire la Corte costituzionale, ritenendo manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale prospettate dal ricorrente[41]. Il giudice torinese, con approccio che non appare condivisibile, ha tra l’altro ritenuto che, in seguito alla sentenza n. 44 del 2021 della Corte costituzionale, i principi dettati dalla legge n. 145 del 2018 abbiano già superato il vaglio di legittimità costituzionale, essendo stati utilizzati «come parametro per la valutazione della conformità a Costituzione della disciplina regionale sottoposta al vaglio di legittimità»: secondo il tribunale, infatti, «la Corte stessa – ove avesse dubitato della legittimità costituzionale anche di tali norme interposte – avrebbe sollevato avanti a sé la relativa questione di legittimità costituzionale».

    In realtà, la sentenza n. 44 del 2021 della Corte costituzionale, per i limiti da essa stessa imposti al proprio decisum, non “pregiudica” in alcun modo eventuali questioni che potranno essere sollevate, sia in ordine alla razionalità complessiva della “scelta di fondo” operata dal legislatore statale, sia in relazione alle normative di attuazione adottate dalle singole Regioni, a valle dell’intesa raggiunta in sede di Conferenza permanente.

    Per costante giurisprudenza costituzionale, del resto, la possibilità che la Corte sollevi in via incidentale una questione davanti a sé – potere che la Corte stessa definisce “eccezionale” (sentenza n. 49 del 2021) – sussiste solo allorché dubiti della legittimità costituzionale di una norma, diversa da quella impugnata, che sia chiamata necessariamente ad applicare nell’iter logico per arrivare alla decisione sulla questione che le è stata sottoposta: in altri termini, si deve trattare di una questione che si presenti pregiudiziale alla definizione della questione principale e strumentale rispetto alla decisione da emanare (tra le ultime, sentenze n. 203 del 2021 e n. 24 del 2018). Nel caso della sentenza n. 44 del 2021, invece, veniva in rilievo un giudizio in via principale, che si atteggia, in genere, come semplice actio finium regundorum delle competenze statali e regionali in certe materie, ciò che può prescindere del tutto dalla valutazione di conformità della normativa oggetto di giudizio a parametri costituzionali di natura “sostanziale”.

    Piuttosto, va evidenziato che, in materia di vitalizi spettanti ad ex Consiglieri regionali, la Corte costituzionale, pur non avendo affrontato ex professo la questione relativa alla legittimità costituzionale di norme impositive di un ricalcolo dei trattamenti correnti secondo il metodo contributivo, con la sentenza n. 108 del 2019[42] ha ribadito, di recente, principi costantemente affermati nella propria giurisprudenza, ricordando che le esigenze di ragionevolezza e di bilancio possono legittimare un ridimensionamento delle prestazioni in godimento, purché nel rispetto di certe condizioni irrinunciabili.

    In termini generali, ha ricordato che al legislatore non è precluso di intervenire per introdurre un trattamento deteriore con effetti sulle prestazioni ancora da erogare, pur se assistite da diritti soggettivi perfetti, come appunto avvenuto nella vicenda in esame.

    In quella medesima occasione ha ribadito, peraltro, come siano ammissibili addirittura interventi sulle prestazioni già erogate (ossia che impongano, in ipotesi, la restituzione di quanto già percepito), perché il principio dell’irretroattività[43] contenuto nella legge ordinaria – all’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, secondo cui la legge «non dispone che per l’avvenire» – può essere disatteso dal legislatore (ovviamente in ambiti diversi da quelli presidiati dall’art. 25 Cost. che riserva una tutela privilegiata alla materia penale), per perseguire altri e diversi obiettivi che richiedono di ri-valutare il passato, in ragione di interessi prevalenti connessi a beni di rilievo costituzionale, la cui esigenza di protezione può giustificare l’incisione delle posizioni giuridiche soggettive individuali.

    Con particolare riferimento alla materia previdenziale, la Corte costituzionale ha ribadito che il legittimo affidamento nella sicurezza giuridica non può essere leso «da disposizioni retroattive, che trasmodino in un regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori» (sentenza n. 446 del 2002, secondo cui tale sarebbe un intervento che, ad esempio, eliminasse il diritto alla pensione già maturato, rendendone indebita l’erogazione; nello stesso senso, sentenza n. 211 del 1997).

    Il diritto alla pensione, invece, ben può essere disciplinato in maniera più restrittiva e la sua misura può essere ridotta ad opera di leggi sopravvenute, per salvaguardare gli equilibri di bilancio e contenere la spesa previdenziale (da ultimo, sentenza n. 234 del 2020; in precedenza, sentenze n. 127 del 2015, n. 264 del 2012, n. 1 del 2011, n. 446 del 2002, n. 417 e n. 361 del 1996, n. 240 del 1994 e n. 822 del 1988), come pure per ripristinare condizioni di uguaglianza e solidarietà all’interno del sistema previdenziale (n. 156 del 2014) o per armonizzare i trattamenti pensionistici (sentenza n. 228 del 2010).

    La Corte costituzionale, infatti, ha ritenuto legittime le misure che modificano in peius i trattamenti previdenziali, autorizzando interventi legislativi su posizioni giuridiche soggettive (stipendi, salari, pensioni, indennità, eccetera) già in essere, modificandole o riducendole (sentenza n. 390 del 1995), purché nei limiti della ragionevolezza e della tutela dell’affidamento (sentenze n. 241 del 2019, n. 89 del 2018, n. 236 del 2017, n. 149 e n. 16 del 2017, n. 108 del 2016, n. 216 e n. 56 del 2015, n. 310 e n. 92 del 2013, n. 166 del 2012 e n. 236 del 2009).

    Tirando le fila, può ben affermarsi che la necessità di perseguire interventi equitativi, rispetto a trattamenti maturati secondo criteri di (oggettivo) favore, potrebbe consentire – in astratto – il sacrificio di posizioni giuridiche di vantaggio, risultando recessivo l’interesse a preservare l’aspettativa individuale ad un trattamento migliore, poiché – sempre per usare le parole della Corte – «l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, pur aspetto fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto, non è tutelato in termini assoluti e inderogabili» ed «è sottoposto al normale bilanciamento proprio di tutti i diritti e valori costituzionali».

    È sempre necessario, però, che le disposizioni che modificano in senso peggiorativo per gli interessati la disciplina (soprattutto) di questi rapporti giuridici, non trasmodino in un regolamento irrazionale, «frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto» (così, da ultimo, sentenza n. 210 del 2021).

    Il principio dell’affidamento, in particolare, può essere inteso come ragionevole fiducia dei destinatari del beneficio nel suo mantenimento, specie se la disciplina che lo istituisce e lo prevede si è protratta per un periodo sufficientemente lungo nel tempo.

    Ovvio, allora, che la legittimità del sacrificio di posizioni giuridiche individuali vada vagliata in base all’analisi del concreto provvedimento legislativo che lo ha previsto, condotta secondo il criterio dello “scrutinio stretto”, che impone un grado di ragionevolezza complessiva ben più elevato di quello che, di norma, è affidato alla mancanza di arbitrarietà. In altri termini, è richiesta non già la mera assenza di scelte normative manifestamente arbitrarie, ma l’effettiva sussistenza di giustificazioni ragionevoli dell’intervento legislativo (sentenza n. 432 del 1997).

    A tale proposito, appare evidente che il problema di cui ci stiamo occupando concerne soprattutto i vitalizi di più antica attribuzione, sicché, per questi ultimi, lo scrutinio di legittimità dovrà essere progressivamente più stretto, maggiore essendo l’impatto della legge sul tempo passato.

    Si tratta di un aspetto che introduce un altro elemento meritevole di considerazione, ovvero l’età del percipiente: quanto più è elevata l’età del beneficiario, tanto più la riduzione dell’importo del vitalizio produce effetti deteriori sulle condizioni di vita di soggetti che difficilmente possono sopperire all’innovazione – soprattutto se repentina – con un mutamento dello stile e delle condizioni di vita.

    La questione, peraltro, è resa più intricata dal fatto che, nella maggior parte dei casi, le Regioni avevano già operato delle consistenti “riduzioni” degli importi originari, sebbene con misure aventi carattere temporaneo, considerate “contributi di solidarietà” posti a carico degli assegni vitalizi: in molti casi, dunque, rispetto all’entità del vitalizio percepito negli anni immediatamente precedenti all’adozione delle leggi regionali di attuazione dei principi statali più volte ricordati, le somme come rideterminate dal gennaio 2020 sono risultate, in alcuni casi[44], significativamente più favorevoli, anche perché l’operazione, in forza dell’intesa raggiunta in sede di Conferenza permanente, ha considerato l’importo lordo dei vitalizi, senza tenere conto delle suddette riduzioni temporanee.

    Ne deriva che il ricalcolo ha inciso in senso deteriore non tanto sulle condizioni in atto al momento della rideterminazione, quanto piuttosto sull’aspettativa di ottenere gli importi originari, ossia nella misura antecedente a quella ridotta in forza di provvedimenti temporanei.

    Ma proprio l’imposizione – e per periodi non brevi – di tali contributi di solidarietà rende palese la circostanza che l’intervento del legislatore (prima statale e poi regionale) potesse non risultare del tutto imprevedibile agli occhi degli stessi destinatari interessati.

    In ogni caso, ciò che sarà necessario accertare – al lume dell’art. 3 Cost. – è il profilo della ragionevolezza dell’intervento normativo complessivo, considerando cioè l’insieme degli effetti prodotti dalle disposizioni statali di principio e da quelle regionali di attuazione.

    Un altro profilo, poi, va attentamente preso in considerazione.

    Pur muovendo dal presupposto della non assimilabilità fra le due situazioni, si deve riconoscere che indennità di carica (per i “politici”) e retribuzione (per i “lavoratori”) da un lato, vitalizio e pensione ordinaria dall’altro, sono accomunati dal fatto di costituire risorse per i soggetti percipienti, i quali vi fanno affidamento per provvedere al proprio sostentamento e a quello dei familiari.

    Ciò che, evidentemente, involge anche il profilo del quantum di riduzione ammissibile del vitalizio, da determinare tenendo conto sia della durata del mandato svolto sia dell’età del beneficiario, anche nel rispetto dell’altro fondamentale canone della proporzionalità – pure richiesto dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 210 del 2021) per interventi di questo tipo – il quale impone al legislatore di preferire le misure meno invasive per conseguire gli obiettivi prefissati, raffrontando i benefici attesi dall’intervento normativo con i sacrifici imposti.

    Del resto, ove si riconosca una funzione previdenziale a trattamenti (sebbene non pensionistici) pur sempre di quiescenza, occorrerebbe anche accertare il perdurante rispetto della garanzia posta dall’art. 38, secondo comma, Cost., volta ad assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita, nonché del principio di proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita[45] (art. 36, primo comma, Cost.).

    Vero che la Corte non ha finora ancora abbandonato una sorta di ambiguità di fondo che ha sempre contraddistinto le pronunce in tema di vitalizi, nelle quali si sono costantemente rimarcati gli aspetti differenziali tra questi peculiari assegni e le pensioni ordinarie, senza mai prendere una netta posizione sulla reale natura dei primi[46]. Ma è altrettanto vero che la funzione – se non la struttura – previdenziale di tali assegni non è mai stata disconosciuta dalla giurisprudenza costituzionale.

    È evidente, infine, che l’eventuale riconoscimento della legittimità costituzionale del sistema di ricalcolo dei vitalizi regionali imposto dalla legge di bilancio per il 2019, magari alla luce del principio dell’equità inter- e intra-generazionale, potrebbe avere effetti riflessi sul dibattito politico intorno all’opportunità di procedere al ricalcolo anche dei trattamenti pensionistici ordinari di importo più elevato, maturati e calcolati con il metodo retributivo, nettamente più favorevole rispetto a quello contributivo[47]. Si è però osservato che l’eterogeneità delle due situazioni, del parlamentare (come di ogni altro titolare di funzioni pubbliche elettive) e del lavoratore, «permette di superare l’obiezione, strumentale, di chi ritiene che l’applicazione retroattiva del nuovo criterio di calcolo costituisca un precedente per il trattamento pensionistico di tutti gli italiani. Tra attività politica dei titolari di funzioni pubbliche elettive e rapporto di lavoro (pubblico e privato) non v’è omogeneità in senso tecnico-giuridico, perché – e nonostante le assimilazioni legislativamente disposte – diversa è e resta la causa ovvero la ratio che sorregge i relativi istituti e le conseguenti previsioni normative»[48].

     

    *Magistrato ordinario. Assistente di studio presso la Corte costituzionale.

    [1] Per un primo commento sulla pronuncia, V. De Santis, Il ricalcolo dei vitalizi in Sicilia e quello che il thema decidendum non consente di dire: considerazioni sulla sent. n. 44 del 2021, in Forum di Quaderni Costituzionali, 3, 2021.

    [2] L’art. 1 (rubricato «Ricalcolo assegni vitalizi») della legge regionale impugnata, al comma 12, dispone: «Gli effetti di risparmio discendenti dalle modalità di calcolo contributivo previste dal presente articolo alla data di entrata in vigore della presente legge sono rapportati in percentuale rispetto alla spesa complessiva consolidata alla stessa data per assegni vitalizi diretti in corso di erogazione. Tale percentuale, diminuita del 26 per cento, costituirà il valore di riduzione individuale degli assegni vitalizi diretti e di reversibilità per un periodo di cinque anni dalla data di entrata in vigore della presente legge».

    Il medesimo articolo, al successivo comma 13, stabilisce: «La percentuale di riduzione individuale degli assegni vitalizi diretti derivante dall'applicazione del comma 12 è incrementata di una quota aggiuntiva del 5 per cento per la parte eccedente l’importo di 37.000 euro lordi annui e di un’ulteriore quota aggiuntiva del 5 per cento per la parte eccedente l’importo di 62.000 euro lordi annui, per il medesimo periodo di cinque anni di cui al comma 12».

    [3] Si tratta di una quota di trasferimenti erariali tutto sommato ridotta, in quanto la spesa sanitaria assorbe in media l’83,33% della spesa corrente nelle Regioni a statuto ordinario e il 46,10% di quelle a statuto speciale. Per questi rilievi, V. De Santis, Trattamenti pensionistici dei consiglieri regionali: riparto di competenze, disposizioni retroattive e contenimento della spesa pubblica, in Le Regioni, Fascicolo 1, gennaio-febbraio 2019, 94. I medesimi dati si traggono dal Dossier del 27 dicembre 2018 predisposto dagli uffici parlamentari, in vista dell’approvazione della legge di bilancio per il 2019.

    [4] Come si dirà tra breve, infatti, molte Regioni avevano già previsto, in passato, “contributi di solidarietà” a carico degli assegni vitalizi.

    [5] Le aliquote si applicano sulla base della quota differenziale tra l’assegno vitalizio spettante in base alla previgente normativa e l’assegno vitalizio derivante dal ricalcolo con il metodo contributivo sulla base della nota metodologica allegata all’intesa. Qualora l’applicazione della predetta Tabella non consentisse il pieno rispetto del limite di spesa sopra indicato, la Regione è tenuta ad incrementare le aliquote di base sino al raggiungimento del risparmio di spesa.

    Qualora, ancora, a seguito della rideterminazione, l’assegno vitalizio risulti di importo inferiore a due volte il trattamento minimo INPS, lo stesso è incrementato sino al raggiungimento di tale importo.

    Infine, a fronte della rideterminazione degli assegni vitalizi regionali, la medesima determinazione dà indicazione di procedere all’abrogazione, laddove previsti, dei divieti che in alcune Regioni impedivano di cumulare più assegni vitalizi. In tali casi non si applicano le predette clausole di salvaguardia.

    [6] Sul punto, G. Canale, Le ordinanze “gemelle” sui vitalizi parlamentari: cronaca di un problema irrisolto (Nota a Corte di Cassazione, sezioni unite civile, nn. 18265 e 18266 del 2019), in Osservatorio AIC, fasc. 3/2020, 2 giugno 2020; M. Orofino, Indennità e rappresentanza, Torino, 2020, 109-115. Si veda altresì G. Vasino, Alcune riflessioni sulla “riforma” dei vitalizi parlamentari tra vecchie questioni e nuove criticità, in Forum di Quaderni costituzionali: rassegna, 2018, 9, 2.

    [7] U. Zampetti, Art. 69, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1986, 263.

    [8] La Corte costituzionale ha chiaramente escluso, con riferimento alle cariche elettive, «qualsiasi assimilazione a un rapporto di pubblico impiego» e, conseguentemente, ha evidenziato la natura peculiare dell’indennità che si presenta differente «nei presupposti e nelle finalità» (sentenza n. 454 del 1997).

    [9] Così, M. Luciani, Testo dell’audizione resa il 26 settembre 2017 innanzi alla Commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica, nel corso dell’esame del disegno di legge n. 2888 A.S. presentato durante la XVII Legislatura e recante «Disposizioni in materia di abolizione dei vitalizi e nuova disciplina dei trattamenti pensionistici dei membri del Parlamento e dei consiglieri regionali», approvato dalla sola Camera dei deputati il 26 luglio 2017 e sul quale v. infra nel testo.

    [10] E. Menegatti, Testo dell’audizione resa il 3 ottobre 2017 innanzi alla Commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica, nel corso dell’esame del citato disegno di legge n. 2888.

    [11] Con le deliberazioni dell’Ufficio di Presidenza del 14 dicembre 2011 e del 30 gennaio 2012.

    [12] Secondo S. Mabellini, La “controversa questione” dei vitalizi e del loro giudice: le dimensioni parallele dello Stato e delle Regioni, in Liber Amicorum per Pasquale Costanzo, 2020, la natura del trattamento avrebbe trovato consacrazione regolamentare con la riforma del 2012, con la quale si fa ricorso all’espressione “pensionistico” per qualificare il trattamento economico erogato ai parlamentari cessati dalla carica, introducendo altresì il sistema contributivo e inasprendo i requisiti di accesso al trattamento stesso.

    [13] Con il metodo retributivo, infatti, il trattamento pensionistico percepito è indipendente dai versamenti contributivi effettuati, rinvenendo il parametro di calcolo in una media ponderata delle retribuzioni percepite nell’ultimo periodo di attività; viceversa, il metodo contributivo si fonda su una sorta di conto individuale nel quale confluiscono tutti i versamenti contributivi accantonati nel corso della vita lavorativa e che, rivalutati sulla base di un indice legato all’andamento del PIL, vengono convertiti in pensione secondo coefficienti correlati all’età di pensionamento.

    [14] Al termine del mandato parlamentare il diritto a percepire il vitalizio si matura al compimento del sessantacinquesimo anno d’età, a condizione che il mandato stesso sia stato svolto per (almeno) una intera legislatura (che equivale a quattro anni, sei mesi e 1 giorno). Per ogni anno di mandato in più, l’età richiesta per ottenere il vitalizio si riduce di un anno, ma non può comunque oltrepassare la soglia limite dei 60 anni. Il contributo versato ai fini del vitalizio è pari all’8,8% dell’indennità parlamentare lorda.

    [15] Deliberazione dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati n. 14 del 12 luglio 2018, recante «Rideterminazione della misura degli assegni vitalizi e delle quote di assegno vitalizio dei trattamenti previdenziali pro rata nonché dei trattamenti di reversibilità, relativi agli anni di mandato svolti fino al 31 dicembre 2011»; deliberazione del Consiglio di presidenza del Senato della Repubblica, n. 6 del 16 ottobre 2018, recante «Rideterminazione della misura degli assegni vitalizi e delle quote di assegno vitalizio dei trattamenti previdenziali pro rata nonché dei trattamenti di reversibilità, relativi agli anni di mandato svolti fino al 31 dicembre 2011».

    [16] L’intervento sui vitalizi già in essere è stato adottato sulla base di dati forniti dall’INPS e dall’ISTAT, che hanno elaborato appositi coefficienti di trasformazione e moltiplicazione del monte contributivo maturato dai percettori delle prestazioni previdenziali per gli anni anteriori al 1996 (data di introduzione nel nostro ordinamento del sistema contributivo) e per le età inferiori ai cinquantasette anni e superiori a settanta anni. Sul punto, J. ROSI, Prime osservazioni sui recenti provvedimenti di rideterminazione degli assegni vitalizi per gli ex parlamentari e per i consiglieri regionali, in Osservatorio sulle fonti, 3/2018, 2.

    [17] La Commissione contenziosa del Senato, in data 25 giugno 2020, con decisione n. 660 depositata in data 30 settembre 2020, ha annullato in gran parte la deliberazione del Consiglio di presidenza del Senato della Repubblica, n. 6 del 16 ottobre 2018; il Consiglio di Garanzia del Senato in secondo grado, il 30 ottobre 2020, ha però sospeso l’efficacia della decisione della Commissione contenziosa.

    Il Consiglio di giurisdizione della Camera dei Deputati, invece, con decisione n. 2/2020/CG del 22 aprile 2020, ha attribuito al Collegio dei deputati Questori e allo stesso Ufficio di presidenza della Camera un margine di apprezzamento delle circostanze che possono determinare una modulazione differente delle clausole di salvaguardia già previste dalla deliberazione dell’Ufficio di presidenza della Camera dei deputati n. 14 del 12 luglio 2018. Con ordinanza n. 37 del 16 giugno 2021, il Collegio di appello ha sospeso la decisione del Consiglio di Giurisdizione.

    [18] La disciplina di riferimento è quella contenuta nell’art. 28 dello Statuto dei deputati europei e degli artt. 75 e 76 nelle sue misure di attuazione, i quali prevedono, per il periodo anteriore al 2009, il rinvio al trattamento post-mandato operante a livello nazionale: con note dell’11 aprile 2019, l’Unità “Retribuzione e diritti sociali dei deputati” della DG delle Finanze del Parlamento europeo ha ritenuto di applicare, sulla base dell’art. 2, paragrafo 1, dell’allegato III della regolamentazione SID, una riduzione dei trattamenti pensionistici analoga a quella nazionale.

    [19] Nelle cause riunite da T 389/19 a T 394/19, T 397/19, T 398/19, T 403/19, T 404/19, T 406/19, T 407/19, da T 409/19 a T-414/19, da T-416/19 a T 418/19, da T 420/19 a T 422/19, da T 425/19 a T 427/19, da T 429/19 a T 432/19, T 435/19, T 436/19, da T 438/19 a T 442/19, da T 444/19 a T 446/19, T 448/19, da T 450/19 a T 454/19, T 463/19 e T 465/19, M.T. Coppo Gavazzi e altri contro Parlamento europeo.

    [20] Nella causa T 695/19, E. Falqui contro Parlamento europeo.

    [21] L’Abruzzo con la L. R. 21 ottobre 2011, n. 36; la Basilicata con la L. R. 13 dicembre 2011, n. 24; la Calabria con la L. R. 7 ottobre 2011, n. 38; la Campania con la L. R. n. 1/2012; l’Emilia-Romagna con la L. R. 13/2010; il Friuli-Venezia Giulia con la L. R. 18/2011; il Lazio con la L. R. 23 dicembre 2011, n. 19; la Liguria con la L. R. n. 35/11; la Lombardia con la L. R. n. 21 del 13 dicembre 2011; le Marche con la L. R. n. 27 del 23 dicembre 2011; il Molise con la L. R. n. 2/2012; il Piemonte con la L. R. 28 dicembre 2011, n. 25; la Puglia con la L.R. n. 38/2011; la Sardegna con delibera n. 147 del 17 novembre 2011 dell’Ufficio di Presidenza; la Sicilia con delibera del Consiglio di Presidenza del dicembre 2011; la Toscana con la L.R. n. 66 del 27/12/2011 “Legge Finanziaria per l’anno 2012”; il Trentino-Alto Adige con la L. R. n. 4/2004; l’Umbria con la L. R. n. 20/2011; la Valle d’Aosta con la L.R. n. 28/1999; il Veneto con la L. R. 13 gennaio 2012, n. 4.

    [22] De Santis, Trattamenti pensionistici cit., 98.

    [23] All’età di 65 anni, nel caso di svolgimento di una legislatura o a 60 anni, nel caso di svolgimento di più legislature.

    [24] Detratta la quota di contributi a carico del Consigliere, la restante parte (che per le pensioni ordinarie viene generalmente versata dal datore di lavoro) grava sulla fiscalità generale.

    [25] L’assegno vitalizio, infatti, svolge anche la funzione di assicurare agli ex Consiglieri una fonte di sostentamento in una età in cui è potenzialmente venuta meno la loro capacità di produrre reddito tramite attività lavorative e tuttavia, chiarisce la giurisprudenza di legittimità, «l’ambito materiale delle pensioni – in relazione alle quali soltanto opera la giurisdizione della Corte dei conti – non coincide con quello dei trattamenti previdenziali in senso lato, costituendo le prime, connesse ad una condizione pregressa di lavoro pubblico non rinvenibile in chi ha ricoperto un ufficio elettivo, solo una species del genus rappresentato dai secondi» (Cassazione, sezioni unite, 20 luglio 2016, n. 14920).

    [26] Ancora Cassazione, sezioni unite, 20 luglio 2016, n. 14920; in senso conforme, successivamente, Cassazione, sezioni unite, 18 novembre 2016, n. 23467.

    [27] In tal senso, anche Corte dei Conti, Lombardia, 24 giugno 2015, n. 117.

    [28] Cassazione, sez. trib., 10 febbraio 2017, n. 3589.

    [29] Cassazione, sezioni unite, 10 novembre 2020, n. 25211, 27 gennaio 2020, n. 1720 e 8 luglio 2019, n. 18266; Cass., sez. prima, 20 giugno 2012, n. 10177.

    [30] Tra le più recenti, TAR Emilia-Romagna, 19 ottobre 2020, n. 641; TAR Lombardia, 10 aprile 2019, n. 797; Consiglio di Stato, sez. V, 20 aprile 2017, n. 1852; TAR Toscana, 18 gennaio 2016, n. 89.

    [31] De Santis, op. cit., 118 e ss.

    [32] Tale disciplina è stata abolita dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 ma, prima di eliminare il regime di evidente favore, il legislatore nei primi anni Novanta del secolo scorso era intervenuto con disposizioni ad effetto retroattivo, volte a scoraggiare il fenomeno. Su tali interventi, la Corte costituzionale è stata chiamata ad esprimersi con la sentenza n. 417 del 1996, che ha confermato la legittimità dell’iniziativa legislativa statale, in ragione di inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica.

    [33] Ad esempio, la Regione Umbria ha approvato la legge regionale 23 aprile 2018, n. 3, recante «Riduzione temporanea dell’assegno vitalizio. Ulteriori modificazioni alla legge regionale 15 gennaio 1973, n. 8 (Norme sulla previdenza dei consiglieri regionali)». La normativa prevede che gli assegni vitalizi e di reversibilità in pagamento subiscano una riduzione temporanea, per la durata di 36 mesi, così articolata: un taglio del 5 per cento per gli importi fino a mille euro; dell’8 per cento per la parte oltre i mille e fino a duemila euro; del 10 per cento da duemila a quattromila; del 12 per cento per la parte da quattro fino a seimila euro e del 15 per cento per la parte oltre i seimila euro. È inoltre disposta l’esenzione per i redditi lordi complessivi annui fino a diciottomila euro.

    Per analoghi interventi legislativi assunti in precedenza dalle altre Regioni cfr. www.parlamentiregionali.it.

    [34] Secondo tale pronuncia, è indispensabile che la legge assicuri il rispetto di alcune condizioni, atte a configurare l’intervento ablativo «come sicuramente ragionevole, non imprevedibile e sostenibile».

    In primo luogo, ammonisce la Corte, il contributo deve operare all’interno dell’ordinamento previdenziale, come misura di solidarietà “forte”, «mirata a puntellare il sistema pensionistico, e di sostegno previdenziale ai più deboli, anche in un’ottica di mutualità intergenerazionale, siccome imposta da una situazione di grave crisi del sistema stesso», indotta da vari fattori (crisi economica internazionale, impatto sulla economia nazionale, disoccupazione, mancata alimentazione della previdenza, riforme strutturali del sistema pensionistico), solo al ricorrere dei quali è consentito derogare (in termini accettabili) al principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento pensionistico già maturato.

    Anche in un contesto siffatto, tuttavia, un contributo sulle pensioni costituisce una misura del tutto eccezionale, tollerabile solo se una tantum e non ripetitivo e, soprattutto, incidente esclusivamente sulle “pensioni più elevate” (in rapporto alle pensioni minime), sebbene sempre entro livelli sostenibili, per non infrangere il principio di proporzionalità.

    [35] In precedenza, era stato adottato, il 10 ottobre 2014, un ordine del giorno della Conferenza dei Presidenti della Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome (n.08/2014) contenente “Linee guida sull’istituto dell’assegno vitalizio”, con cui erano previste alcune misure per la riduzione temporanea e circostanziata dei vitalizi relativamente al triennio 2014(5)-2017. Tali indicazioni erano state recepite in molte Regioni a cavallo tra il 2014 ed il 2015, con la decurtazione temporanea degli assegni vitalizi (come risulta dallo schema allegato all’odg del 22 gennaio 2018 della medesima Conferenza).

    [36] Per l’Abruzzo, L.R. 17 giugno 2019, n. 9; per la Basilicata, L.R. 5 agosto 2019, n. 13; per la Calabria, L.R. 31 maggio 2019, n. 13; per la Campania, L.R. 30 maggio 2019, n. 7, per l’Emilia-Romagna, L.R. 30 maggio 2019, n. 4; per il Friuli-Venezia Giulia, L.R. 7 giugno 2019, n. 8; per il Lazio, L.R. 29 maggio 2019, n. 9; per la Liguria, L.R. 29 maggio 2019, n. 12; per la Lombardia, L.R. 6 giugno 2019, n. 10; per le Marche, L.R. 30 maggio 2019, n. 14; per il Molise, L.R. 29 maggio 2019, n. 6; per il Piemonte, L.R. 25 settembre 2019, n. 21; per la Puglia, L.R. 7 giugno 2019, n. 20; per la SARDEGNA, L.R. 12 luglio 2019, n. 11; per la Toscana, L.R. 31 maggio 2019, n. 27; per il Trentino-Alto Adige, L.R. 15 novembre 2019, n. 7; per l’Umbria, L.R. 29 maggio 2019, n. 3; per la Valle d’Aosta, L.R. 28 maggio 2019, n. 6; per il Veneto, L.R. 29 maggio 2019, n. 19.

    [37] Il regolamento di previdenza per i deputati dell’Assemblea regionale siciliana è emanato ai sensi dell’art. 167 del regolamento interno dell’Assemblea (il cui fondamento normativo risiede nell’art. 4 dello statuto regionale).

    [38] Art. 2 (Requisiti per conseguire il diritto alla pensione). «1. I deputati cessati dal mandato conseguono il diritto alla pensione al compimento dei 65 anni di età e a condizione di aver svolto un periodo effettivo di mandato per almeno 5 anni. 2. Per ogni anno di contribuzione oltre il quinto l’età richiesta per il conseguimento del diritto alla pensione è diminuita di un anno, con il limite all’età di 60 anni. 3. La frazione di anno si computa come anno intero, se la durata non è inferiore a 6 mesi e un giorno».

    [39] Art. 1, comma 2, del regolamento, come sostituito con deliberazione del Presidente dell’ARS n. 1 del 14 gennaio 2020, in applicazione della legge Reg. Sicilia n. 19 del 2019.  Il nuovo regolamento delle pensioni prevede a carico del deputato una trattenuta mensile pari all’8,80 per cento dell’indennità lorda. A domanda del deputato interessato, da presentare entro il termine perentorio di 30 giorni dalla data di insediamento, la contribuzione previdenziale è effettuata mediante trattenute anche sulla diaria a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Palermo. I trattamenti (sia diretti che di reversibilità) sono erogati per 12 mensilità.

    Viene prevista la sospensione del pagamento del trattamento qualora il deputato sia rieletto all’ARS, o sia eletto al Parlamento nazionale, al Parlamento europeo o ad un Consiglio regionale o ricopra determinate cariche pubbliche.

    È altresì prevista la sospensione del trattamento nei casi di condanna definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione che comportino interdizione dai pubblici uffici (come stabilito dall’articolo 11, comma 2, della legge regionale 4 gennaio 2014 n. 1, in attuazione dell’articolo 2, comma 1, lettera n, del decreto-legge 10 ottobre 2012 n. 174, come convertito).

    [40] La sentenza è reperibile nella banca dati Giuffré DeJure.it

    [41] Il ricorrente deduceva la illegittimità costituzionale delle disposizioni legislative, nazionale e regionale, per violazione degli artt. 42 e 117 Cost., quest’ultimo con riferimento all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (disposizioni entrambe rivolte alla tutela del diritto di proprietà), sostenendo anche la violazione del principio dell’affidamento sulla intangibilità del diritto acquisito a percepire l’assegno vitalizio in misura integrale.

    [42] Si trattava, in quella occasione, di scrutinare la legittimità costituzionale di una legge regionale, autoqualificatasi di interpretazione autentica, recante in realtà una modifica delle modalità di calcolo di una parte dei vitalizi percepiti dai consiglieri della Regione Trentino Alto-Adige, in tal modo operando una rilevante diminuzione degli importi (con conseguente obbligo restitutorio della differenza già percepita), ma facendo salva la facoltà di optare, in luogo dell’assegno originario, per l’immediata liquidazione delle somme attualizzate corrispondenti ai futuri vitalizi, per la parte eccendente rispetto alla soglia fissata per legge, in tal modo ottenendo una sorta di anticipazione in conto capitale di una quota dei vitalizi futuri. Su tale pronuncia, F. F. PAGANO, La rideterminazione del vitalizio dei Consiglieri regionali del Trentino-Alto Adige alla prova del legittimo affidamento, in Giurisprudenza italiana, n. 10/2019, pp. 2236 ss.

    [43] Per una compiuta disamina dei rapporti tra legge e tempo, appare utile la lettura dei contributi contenuti nel volume Le leggi retroattive nei diversi rami dell’ordinamento, a cura di C. Padula, Napoli, 2018. Imprescindibile, comunque, è il richiamo a M. Luciani, Il dissolvimento della retroattività. Una questione fondamentale del diritto intertemporale nella prospettiva della vicenda delle leggi di incentivazione economica, in Giurisprudenza italiana, n. 4/2007, pp. 1827 ss., che critica la distinzione tra norme retroattive e non retroattive, come pure quella tra retroattività propria e impropria, dando rilievo, piuttosto, alla nozione di «retrovalutazione giuridica» del passato, che accomunerebbe tutte le norme giuridiche (ivi compresa quella che regoli una fattispecie affatto nuova) e non sarebbe affatto propria della sola norma «retroattiva», potendosi (ed anzi dovendosi) operare una classificazione solo sul piano degli effetti (o, meglio, delle conseguenze giuridiche) di questa rivalutazione: anche quando statuisce solo per il futuro (come nel caso che qui ci occupa), il legislatore opera sempre una valutazione giuridica del passato, nel senso che constata l’esistenza di fatti (normalmente giuridici) preesistenti e ne detta la regolazione normativa. Ciò che il diritto positivo ha disciplinato, non sarebbe lo (sfuggente) concetto di retroattività, quanto piuttosto un divieto di produrre determinati effetti: il principio di irretroattività, in altri termini, in quanto indirizzato al legislatore, lo obbligherebbe a strutturare il rapporto tra la legge nuova e il passato in modo tale da evitare che l’incidenza nel passato determini effetti pregiudizievoli per i precetti costituzionali ai quali quel principio, appunto, di volta in volta si salda (certezza giuridica e affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, su tutti). Ciò che sposta la questione sul «diverso piano della determinazione della nozione di affidamento meritevole e di pregiudizio “tollerabile”», e dunque sul rapporto tra valori costituzionali, sul loro bilanciamento e sui criteri cui questo deve attenersi.

    [44] Come appunto in quello vagliato dal Tribunale di Torino nella snetenza n. 974 del 2021 sopra ricordata.

    [45] Per la qualificazione delle indennità di fine rapporto, sia nel settore pubblico che in quello privato, in termini di retribuzione differita, si può ricordare la recente sentenza della Corte costituzionale n. 159 del 2019.

    [46] Non è implausibile ipotizzare che una tale ritrosia trovi la sua ragion d’essere nelle dirompenti conseguenze di sistema che si manifesterebbero nell’ipotesi in cui la Corte costituzionale, abbandonando ogni riserva sul punto, definisse ore rotundo gli assegni vitalizi come appartenenti alla categoria dei trattamenti pensionistici (riempiendo di sostanza le “autoqualificazioni” già in tal senso esibite dai regolamenti parlamentari e dalle legislazioni regionali più recenti). Conseguenze che investirebbero – peraltro limitatamente ai soli assegni di quiescenza spettanti agli ex consiglieri regionali – sia il profilo della giurisdizione sulle relative controversie sia l’ascrivibilità della disciplina alla competenza statale esclusiva in materia previdenziale (art. 117, secondo comma, lettera o, Cost.), con ulteriore compressione dell’autonomia regionale, già “soffocata” dalla tendenza espansiva della competenza concorrente statale in materia di coordinamento della finanza pubblica. Non è un caso, quindi, che nella già ricordata sentenza n. 108 del 2019, la Corte abbia definito il vitalizio «un istituto […] fuori dall’ordinario», quasi a volerne rimarcare i tratti di assoluta unicità nel panorama ordinamentale.

    [47] Nell’attuale XVIII Legislatura, alla XI Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, era iniziata la discussione su una proposta di legge (A.C. n. 1071) recante «Disposizioni per favorire l’equità del sistema previdenziale attraverso il ricalcolo, secondo il metodo contributivo, dei trattamenti pensionistici superiori a 4500 euro mensili». La proposta, ad ogni modo, risulta ritirata in data 3 luglio 2019.

    [48] Morrone A., Testo dell’audizione resa il 4 ottobre 2017 innanzi alla I Commissione del Senato della Repubblica, nel corso dell’esame del disegno di legge n. 2888.


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