Costituzione e Carte dei diritti fondamentali
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La verifica di legittimità costituzionale delle leggi elettorali parlamentari

La verifica di legittimità costituzionale delle leggi elettorali parlamentari. Come tutelare il diritto del cittadino a votare in conformità alla Costituzione 

di Felice Besostri

Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 177/2020 abbiamo una legge elettorale applicabile alla riduzione del numero dei parlamentari conseguente alla legge cost. n. 1/2020, con 400 deputati, di cui 8 della Circoscrizione estero e 200 senatori, di cui 4 della Circoscrizione estero da eleggere con un sistema elettorale misto maggioritario e proporzionale, con prevalenza di quest’ultimo. Non sono venuti meno i dubbi di costituzionalità della legge n. 165/2017, con  la quale è stato rinnovato il Parlamento nel 2018, la cui scadenza naturale è prevista nel 2023. I dubbi sono aumentati con le modifiche apportate dalla legge n. 51/2019 e dalla riduzione del numero per le modalità con cui è stata attuata la riduzione specialmente al Senato, che comportano uno squilibrio non giustificato nella rappresentanza. Per la prima volta si pone il problema di una possibile incostituzionalità di una norma di rango incostituzionale, come prospettato dalla Consulta con la sentenza n. 1146/1988. Esiste il rischio concreto che si possano tenere elezioni anticipate addirittura prima del semestre che precede l’elezione del Presidente della Repubblica a partire dal gennaio 2022. Sarebbe la quinta elezione con una legge di sospetta costituzionalità dopo quelle del 2006, 2008 e 2013 con il Porcellum (legge n. 270/2005) e quella del  2018 con il Rosatellum (legge n. 165/2017). Per poterlo evitare occorre portare la legge in Corte Costituzionale. con un’ordinanza di rimessione ex art. 23 legge n. 87/1953 e che la stessa si possa pronunciare prima della convocazione delle elezioni, per evitare che si insedi un Parlamento eletto con una legge elettorale incostituzionale visto il precedente della sentenza n. 1/2014, che ha fatti salvi i parlamentari proclamati eletti, malgrado l’incostituzionalità della legge elettorale. Una lotta contro il tempo, la lunghezza dei processi e il ridotto numero dei tribunali competenti solo quelli dove ha sede l’Avvocatura dello Stato, mentre si dovrebbe poter contare sui tutti i Tribunali civili, come giusto per la tutela di un diritto costituzionale fondamentale, che si esercita nel Comune di residenza. Una scelta che spetterebbe al Governo favorire o ostacolare tramite l’Avvocatura della Stato e ai giudici applicare su impulso degli avvocati degli elettori. La legge elettorale vigente formalmente non attribuisce un premio di maggioranza, annullato nelle versioni precedenti di un premio attribuiti senza una soglia minima (sent. n. 1/2014) o in seguito a ballottaggio tra le prime due liste (sent. 35/2017), ma sempre senza garanzia di rappresentatività effettiva del corpo elettorale. Si pongono tuttavia problemi di rispetto dell’art. 48 Cost. in ordine ai parametri costituzionali dell’uguaglianza, della libertà e della personalità del voto, che si applicano anche ai sistemi misti, con prevalenza del voto proporzionale, 5/8 dei seggi, rispetto a 3/8 maggioritari e apparentemente senza premi di maggioranza. I dubbi di costituzionalità sulla legge elettorale vigente sono amplificati dall’entrata dei nuovi collegi e circoscrizioni elettorali in applicazione del taglio del Parlamento. Le incostituzionalità della legge elettorale sono amplificate dalla legge cost. n. 1/2020 di taglio lineare del Parlamento del 36,50%, va eccepita la sua incostituzionalità, come atto presupposto, argomentando ex sent. n.1146/1988 della Corte costituzionale?

Sommario: 1. Antecedenti e presupposti - 2. La revisione costituzionale di riduzione dei parlamentari – 3. Le parti processuali e il privilegio del foro erariale – 4. I dubbi di costituzionalità della legge elettorale vigente – 5. La violazione dell’art. 48 Cost. sotto diversi profili – 6. Esclusione della questione della legittimità costituzionale della legge costituzionale n. 1/2020 dalle azioni giudiziarie per l’accertamento del diritto dei cittadini di votare in conformità della Costituzione.

1. Antecedenti e presupposti

Con la pubblicazione del d.lgs. 23 dicembre 2020 n. 177 “Determinazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, a norma dell'articolo 3 della legge 27 maggio 2019, n. 51.” nella G.U. Serie Generale n. 321 del 29-12-2020 - Suppl. Ordinario n. 45 si conclude l’iter della legge elettorale 27 maggio 2019, n. 51 “Disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari” in conseguenza dell’entrata in vigore il 5 novembre 2020 della legge costituzionale 19 ottobre 2020, n. 1 ”Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari.  (G.U. Serie Generale n.261 del 21-10-2020). La legge costituzionale è stata promulgata dal Presidente della Repubblica con la formula “La  Camera dei  deputati  ed  il  Senato  della  Repubblica  hanno approvato;   Il referendum indetto in data 17  luglio  2020  ha  dato  risultato favorevole;” prevista dall’art. 25 della legge n. 352/1970, qualora sia stato chiesto, entro 3 mesi dalla pubblicazione in G.U. n. 240 del 12 ottobre 2020 del testo della legge costituzionale approvata a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi delle Camere,  il referendum costituzionale previsto dall’art. 138 Cost. e lo stesso dichiarato ammissibile con ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione[1]. Nel caso di specie l’iter, già complesso è stato vieppiù complicato dalla pandemia COVID-19, perché il referendum costituzionale, indetto con d.p.r. del 28 gennaio 2020 per il giorno di domenica 29 marzo 2020, si è invece tenuto nei  giorni  di  domenica  20 settembre e di lunedì  21 settembre 2020 in seguito al d.p.r. del 17 luglio 2020 in G.U. Serie Generale n.180 del 18-07-2020, senza che il termine previsto dall’art. 15 c.2 legge n. 352/1970, fosse formalmente modificato, a differenza di quello del primo comma, cui si era provveduto con l'articolo  81  del  decreto-legge  17  marzo  2020,  n.  18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, portato da 60 a 240 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza di ammissione dell’UCR del 23 gennaio 2020.

In applicazione dei principi affermati con le sentenze della Corte Cost. n. 1/2014 di annullamento parziale della legge elettorale n. 270/2005 e n. 35/2017 di annullamento parziale della legge elettorale n. 52/2015 è aperto per i cittadini elettori il ricorso per l’accertamento del loro diritto di votare in conformità alla Costituzione nel caso che la normativa elettorale vigente ingeneri un dubbio in proposito dell’estensione del loro diritto. Le sentenze n. 1/2014 e n. 35/2017 hanno avuto come antecedenti presupposti le sentenze n. 15 e n. 16 del 2008 in materia di ammissibilità di referendum abrogativo di leggi elettorali, dichiarato ammissibile, ma con avvertimento proprio sulla legittimità di un premio di maggioranza svincolato da una soglia minima in voti o seggi. I limiti al referendum abrogativo in materia elettorale sono stati precisati da due decisioni di inammissibilità la n. 13/2012 sulla legge n. 270/2005 di merito e più recentemente la n. 10/2020 in procedura sul referendum promosso da 8 consigli regionali per sostituire il sistema misto maggioritario/proporzionale con integralmente maggioritario di collegi uninominali da assegnare al candidato più votato. Le leggi elettorali sono considerate leggi “costituzionalmente necessarie” dovendosi intendere in particolare la cosiddetta auto-applicatività della normativa di risulta alla stregua di «una disciplina in grado di far svolgere correttamente una consultazione elettorale in tutte le sue fasi, dalla presentazione delle candidature all'assegnazione dei seggi» (sentenze n. 16 e n. 15 del 2008). La medesima esigenza si è posta anche nel caso di parziale illegittimità costituzionale delle leggi elettorali della Camera e del Senato (sentenze n. 35 del 2017 e n. 1 del 2014). Gli annullamenti parziali sono stati possibili perché l’impianto della legge era proporzionale, corretto da un premio di maggioranza predeterminato in un numero minimo di seggi da attribuire in più alla lista o coalizione vincitrice, annullato il quale, si aveva una legge applicabile. Le discrepanze derivavano dalle differenze inevitabili della base elettorale nazionale per la Camera dei deputati in proporzione alla popolazione delle circoscrizioni e regionale per il Senato, con la previsione di un numero minimo di senatori a prescindere dalla popolazione per un gruppo di regioni, più che dalla diversa composizione del corpo elettorale.

2. La revisione costituzionale di riduzione dei parlamentari

Tuttavia, rispetto al passato i ricorsi non possono evitare di misurarsi con la legge costituzionale n. 1/2020 di riduzione del numero dei parlamentari specialmente per quanto riguarda il Senato della Repubblica. A causa dell’equiparazione delle Province autonome di Trento e Bolzano (non espressamente nominate) alle Regioni, non prevista da nessun testo di legge costituzionale a cominciare da quello assunto quale testo base (ddl cost. A.S.n.515 Calderoli-Perilli), ma introdotto come emendamento del relatore. La conseguenza è che il Trentino-Alto Adige/Südtirol con 6 senatori, 3 per ogni Provincia autonoma, si trova ad essere sovra rappresentato nel Senato rispetto a Regioni più popolose, comprese Regioni a statuto speciale (Sardegna e Friuli-Venezia Giulia) caratterizzate da lingue minoritarie riconosciute e tutelate dalla legge 15 dicembre 1999, n. 482 “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche” in G.U. Serie Generale n.297 del 20-12-1999, che costituisce ritardata attuazione dell’art. 6 Cost. e della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali di Strasburgo 1995, STE n. 157 del Consiglio d’Europa, autorizzazione alla ratifica e ordine di esecuzione in Italia dati con legge n. 302 del 28 agosto 1997, (Gazzetta Ufficiale n. 215 S.O. del 15 settembre 1997).

 Il Trentino- Alto Adige/Südtirol, che aveva 7 senatori come Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Umbria e Basilicata, ora avrà 2 senatori in più di Abruzzo e Friuli-Venezia Giulia, ma anche 1 senatore in più di Liguria, Marche e Sardegna e lo stesso numero della Calabria, pur avendo al censimento 2011 una popolazione di 1.029.475 abitanti, la minore tra quelle delle regioni sopra nominate, tra le quali si distaccano la Sardegna con 1.639.362 e la Calabria con 1.959.050. In teoria vi possono essere norme di rango costituzionale incostituzionali in caso di violazione di principi supremi dell’ordinamento costituzionale (sent. n. 1146/1988 della Corte Cost.), ma come sottoporre il quesito alla Corte Cost. attraverso una questione di legittimità costituzionale in via incidentale prima dell’applicazione della legge in caso di elezioni parlamentari è un problema, non semplice.

3. Le parti processuali e il privilegio del foro erariale

Il Presidente della Repubblica è irresponsabile per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, salvo che per alto tradimento e attentato alla Costituzione (art.90 Cost.) e nessun suo atto è valido se non controfirmato dai ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità (art. 89 c.1 Cost.) e gli atti aventi valore legislativo, decreti-legislativi (art. 76 Cost.) e decreti-legge (art. 77 c. 2 Cost.), sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 89 c. 2 Cost.). Il d.lgs. n. 177/2020 è contro-firmato dal Presidente del Consiglio, dal Ministro dei Rapporti col Parlamento e dal Ministro dell’Interno che pertanto vanno evocati in giudizio, con notifica del ricorso ex art. 702 bis c.p.c. o dell’atto di citazione presso l’Avvocatura Generale o le Avvocature Distrettuali della Stato, che assicurano la difesa ex lege del Governo senza necessità di delega e facendo scattare il privilegio del Foro erariale, con spostamento del giudice naturale, che non è più il tribunale ordinario competente in base alla residenza del cittadino elettore, bensì il tribunale del Comune capoluogo del distretto di Corte d’Appello, dove ha sede l’Avvocatura Distrettuale dello Stato (art. 25 c.p.c. Foro della pubblica amministrazione), che come primo effetto ha quello di incidere sul diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost. e proprio in materia di tutela di un diritto costituzionale fondamentale, il diritto di voto in una Repubblica democratica nella quale la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione (art. 1 Cost.) precipuamente come corpo elettorale partecipando a elezioni e referendum. Questo è pur sempre un vantaggio rispetto al tentativo iniziale dell’Avvocatura dello Stato di concentrare le azioni sulle leggi elettorali presso il Tribunale Civile di Roma applicando l’art. 19 c.p.c., cioè il Foro generale delle persone giuridiche e delle associazioni non riconosciute, respinto dalla Cassazione con l’argomentata ordinanza della Sesta Sezione Civile n. 3395/18, che dichiara la competenza, su parere conforme della P.G. presso la Corte suprema, del Tribunale del Comune di residenza dei cittadini elettori ricorrenti, cioè dove il diritto viene esercitato.

Si riporta il passo pertinente dell’Ordinanza: “Ne consegue che la posizione soggettiva fatta valere deve essere valutata non nella sua astrattezza, ma necessariamente correlata all'esercizio, e l'effettività della tutela richiama necessariamente profili della tempestività e dell'accessibilità, nel rispetto dell'art.25 Cost. e dell'art.6 CEDU”[2] . La controversia, siccome appunto avente ad oggetto l'esercizio del diritto di voto, deve ritenersi radicata nel luogo ove si esercita il diritto, ovvero nel comune di residenza, nelle cui liste elettorali  sono  iscritti  i  ricorrenti,  spostandosi se del caso la competenza ai sensi del primo comma dell'art. 25  c.p.c.”[ns. evidenziazione in grassetto].

Non essendo previsto l’accesso diretto alla Corte Costituzionale il numero di ricorsi in Tribunali diversi aumenta la probabilità di trovare un giudice sensibile alle questioni incidentali di costituzionalità e pertanto è pregiudiziale accertare se il Foro della Pubblica Amministrazione, se applicabile, costituisca una competenza territoriale inderogabile (ex art. 28 c.p.c.), quindi accertabile anche d’ufficio, derogabile, quindi eccezione soggetta a decadenza se non tempestivamente posta nel primo atto difensivo dell’Avvocatura dello Stato (art. 38 cpc).

Per poter tranquillamente promuovere il maggior numero di giudizi, senza dover affrontare pregiudizialmente la questione della competenza territoriale, rispetto all’invio in Corte Costituzionale, è necessario, non tanto che la competenza dell’art. 25 c.p.c., sia derogabile[3], quanto che non sia applicabile al caso di specie, come si potrebbe evincere a contrario proprio dall’eccezione di competenza territoriale ex art. 19 c.p.c. del Tribunale di Roma, sollevata dall’Avvocatura dello Stato.

L’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3 Cost.), il diritto di difesa in ogni stato e grado per la tutela dei diritti (e degli interessi legittimi) (art. 24 Cost.), di non essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.), fanno parte dei principi supremi, altrettanto essenziali e fondamentali sono il diritto di voto personale ed uguale, libero e segreto (art. 48 Cost.), di candidarsi in condizioni di uguaglianza (art. 51 Cost.) e che il processo si svolga in contraddittorio tra le parti in condizioni di parità (art. 111 c. 2 Cost.) la Corte Costituzionale deve poter essere posta in grado di esercitare il controllo di costituzionalità ex art. 134 Cost., malgrado l’art. 66 Cost. e l’art. 25 c.p.c..

Resta il fatto, che si concentra di fatto il controllo eventuale di costituzionalità sulle leggi elettorali in non più di 26 Tribunali, quanti sono i distretti di Corte d’Appello di norma uno per regione salvo Lombardia, Campania, Puglia e Calabria con due e la Sicilia con quattro si limita la possibilità dell’esercizio di questo controllo. Il minimo sarebbe di poter investire tutti i circondari di Tribunale per comprendere almeno i Tribunali dei capoluoghi di Provincia.

 Il Presidente del Consiglio e i ministri per entrare in carica devono prestare giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica (art. 93 Cost.) e la formula dell'art. 1, comma 3, della legge n. 400/88 è di chiarezza esemplare: “Giuro di  essere  fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi  e di  esercitare  le  mie  funzioni  nell'interesse   esclusivo   della nazione". “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi” è un obbligo per tutti i cittadini posto dall’art. 54 c. 1 Cost., che è completato dal secondo comma, per il quale tutti i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche le devono adempiere con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge. Il rispetto della Costituzione è compito comune, eppure l’accesso alla Corte Costituzionale non è favorito, ma ostacolato: non si comprende quale sia l’interesse, tanto più dopo l’introduzione del processo telematico e la conseguente libertà di domiciliazione, che dovrebbe superare il privilegio del foro erariale, nato se non sbaglio nel 1863 quando la capitale era ancora Torino.

Il privilegio è stato mantenuto ed è regolato dal R.D. n. 1161/1933, un’epoca di Stato forte, autoritario, anzi totalitario dopo le leggi del 1939, con cui non va dimenticato mai, che ai cittadini italiani di ascendenza ebraica fu vietato di essere iscritto ad albi e ordini professionali, avvocatura compresa. Ora siamo cittadini di una REPUBBLICA DEMOCRATICA (art. 1 Cost.), membro della U.E., che si fonda sui valori della democrazia (art. 2 TUE), quindi non più sudditi e pertanto i diritti costituzionali fondamentali non possono essere violati da norme di leggi ordinarie e, tra di loro, quelli, che sono principi supremi, neppure da norme di rango costituzionale (Corte Cost. sent. n. 1146/1988).

Appare quindi meritevole di attenzione una massima tratta dalla recente sentenza Cass. civ., Sez. Unite, Sent., 18/12/2020, n. 29106: “La portata letterale della riportata disposizione normativa è inequivoca nell'escludere che l'esperimento dell'azione debba comportare il conseguimento di uno specifico beneficio in favore di colui (o di coloro) che la propone (o la propongono) e, quindi, implica l'ammissibilità di un rimedio impugnatorio (con lo strumento del reclamo) sotto forma di azione collettiva, che si inquadra nel più ampio "genus" dell'azione popolare (peraltro già ritenuta proponibile dallo stesso CNF in precedenti sentenze, come la n. 40/2011 e la n. 84/2018; tale ammissibilità è stata ammessa, in materia di contenzioso elettorale, anche dalla sentenza di questa Corte n. 11893/2006).

L'azione popolare, secondo l'inquadramento teorico assolutamente predominante, rappresenta una ipotesi di azione eccezionalmente concessa dal legislatore, allo scopo di tutelare un interesse pubblico, attraverso l'attribuzione di una legittimazione diffusa, che, perciò, prescinde dalla specifica titolarità di una situazione giuridica soggettiva qualificata in capo all'attore (o agli attori). La rilevanza di tale interesse, e quindi la sua tutelabilità in funzione del soddisfacimento di un fine dotato di una connotazione pubblicistica (di ripristino della legalità), è riconosciuta "ex ante" dal legislatore e non richiede, pertanto, un accertamento da parte del giudice, nel senso che l'interesse ad agire deve presumersi sussistente, una volta verificata la pertinenza al soggetto dell'interesse di cui si lamenta la lesione.”[4]

4. I dubbi di costituzionalità della legge elettorale vigente

La legge elettorale vigente è costituita dalla legge n. 165/2015 (Rosatellum), come modificato ed integrato dalla legge n. 51/2019, completata dal d.lgs. n. 177/2020, a differenza delle leggi n. 270/2005 (Porcellum) e

n. 52/2015 (Italicum), esaminate dalla Corte Costituzionale e dalla stessa dichiarate parzialmente, ma in aspetti essenziali, incostituzionali configura un sistema elettorale misto con i 3/8 dei seggi attribuito in collegi uninominali maggioritari al candidato più votato[5] e i 5/8 dei seggi a liste bloccate plurinominali in proporzione ai voti ricevuti e apparentemente senza premio di maggioranza.

Il premio di maggioranza nazionale o regionale, nei due casi precedenti, veniva attribuito alla lista o alla coalizione proporzionalmente più votata in un unico turno nel Porcellum, invece, nell’Italicum alla lista più votata alla sola Camera dei deputati, se superava il 40% dei voti validi al primo turno ovvero al secondo turno previo ballottaggio tra le due liste (non erano più consentite le coalizioni) immodificabili più votate nel primo turno e il blocco delle liste non era totale, ma riguardava il solo capolista, pluricandidabile fino a 10 volte.

Tuttavia, i principi affermati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 1/2014 si applicano, non in via di logica interpretativa, ma espressamente alla nuova legge. Bisogna avere presente un passo della sentenza, che è fondamentale per la motivazione della sentenza, perché nell’opinione del giudice delle leggi il nostro ordinamento non avrebbe costituzionalizzato il sistema elettorale, al pari dell’ordinamento tedesco, alla cui giurisprudenza costituzionale del Tribunale Costituzionale Federale (Bundesverfassungsgericht)[6] è costretta a far riferimento, in assenza di propri precedenti per l’interpretazione consolidata dell’art. 66 Cost. data dalla magistratura amministrativa (Cons. Stato, sez. IV, n. 1053/2008) e dalla Suprema Corte (Cass. SS.UU., 16 maggio 2006, n. 11623).

La Corte Cost., dopo aver affermato il principio fondamentale di eguaglianza del voto (art. 48, secondo comma, Cost.), che pur non vincolando il legislatore alla scelta di un determinato sistema elettorale, ritiene che tale principio “esige comunque che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi (sentenza n. 43 del 1961) ed assume sfumature diverse in funzione del sistema elettorale prescelto) e formula la motivazione principale dell’annullamento[7] in termini applicabili anche a un sistema elettorale misto.

5.La violazione dell’art. 48 Cost. sotto diversi profili

a) La mancanza dello “scorporo” dei seggi maggioritari uninominali e il trasferimento del voto tra candidati uninominali e liste plurinominali viola il principio di uguaglianza del voto (artt. 3 e 48 Cost.).

La legge n. 165/2017, come già detto, prevede un sistema elettorale misto con una parte uninominale maggioritaria (3/8) e “altri seggi” che “sono assegnati nei collegi plurinominali” e che “sono attribuiti, con metodo proporzionale,…”(5/8).   Tale meccanismo è assolutamente estraneo alla volontà dell’elettore ed il suo voto cessa di essere “personale e libero” come prescritto dagli artt. 48, comma 2, 56 comma 1 e 58, comma 1 Costituzione, e “diretto e libero”, come enfaticamente stabilisce l’incipit della nuova normativa.

Gli effetti di questo meccanismo assumono contenuti paradossali nel caso in cui il Candidato uninominale sia (come consentito) collegato con una pluralità di liste; 

b) questo meccanismo produce ingiusti vantaggi per la coalizione di liste e le liste che la compongono.

 La coalizione di liste e le liste coalizzate sono ulteriormente e -come vedremo- irragionevolmente avvantaggiate in violazione dell’art. 48 Cost., perché le liste coalizzate, anche se sotto la soglia nazionale del 3% dei voti validi, portano in dote alla coalizione i loro voti, purché pari almeno al 1%, mentre le liste non coalizzate devono raggiungere il 3% (art. 83 c. 1 lettere c) e e) d.p.r. n.361/1957 come modificato dall’art.1  c. 26 l.n. 165/2017.

La legge elettorale n. 165/2017 (art.1 c. 7) ha modificato l‘art. 14 bis e si possono fare coalizioni tra liste di partiti senza avere né un capo, né un programma in comune.

In caso di coalizione di liste regolate dall’art. 14 bis dpr n. 361/1957, come modificato dalla legge elettorale n. 270/2005, poteva essere legittima la presunzione che il voto per il candidato uninominale si conteggiasse per la coalizione e viceversa, perché la coalizione doveva avere un programma comune e un capo politico unico. Non essendoci più questo obbligo è irragionevole questa disparità di trattamento, che viola l’art. 3 Cost. oltre che l’art. 48;

c) il voto congiunto obbligatorio a pena di nullità è la base del voto di scambio politico, perché i capi dei listini possono essere candidati nei collegi uninominali, rafforzati dal voto congiunto obbligatorio a pena di nullità (art. 59 bis c. 3 dpr n 361/1957, come modificato dall’art. 1 c. 21 legge cit.) di punizione di quegli elettori, che vogliono esercitare il loro diritto costituzionale di voto diretto, libero e personale;

d) la contrarietà alla Costituzione del meccanismo  delle liste bloccate è palese ed è stata  statuita dalla Corte Costituzionale con la Sentenza n. 1-2014 ove afferma la possibilità di “liste bloccate solo per una parte” e comunque “in circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati sia talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali)”  (Cfr. Corte Cost. N. 1/2014, considerato in diritto, sub. par. 5.1.– La questione è fondata nei termini di seguito precisati);

e) con il trasferimento del voto a favore di candidati in collegi e circoscrizioni diverse da quelli di espressione dei voti si nega la conoscibilità dei candidati, un principio che la Corte Costituzionale ha affermato essere un requisito essenziale per una legge elettorale aderente ai principii costituzionali. La ragione è quella di utilizzare in un sistema proporzionale tutti i voti validi, ma non può essere creata artificialmente con l’introduzione di soglie d’accesso e altre limitazioni al numero dei candidati, perché in siffatto sistema elettorale - che prevede lo slittamento dei seggi “eccedentari” o non assegnati verso altri Collegi o addirittura Circoscrizioni interprovinciali o regionali – la conoscibilità è impossibile e si altera il rapporto tra popolazione e seggi assegnati, in base alla popolazione dei collegi e circoscrizioni, sempre per la Camera dei deputati fino al taglio dei Parlamentari e nella maggior parte delle Regioni nel Senato della Repubblica, cioè con esclusione delle Regioni con un numero fisso o minimo di Senatori ex art. 57 c. 3 Cost., stravolto dalla legge cost. n. 1/2020.[8]

La causa di ciò risiede nella circostanza che il legislatore ha introdotto con la L. 165/2017 l’irragionevole prescrizione secondo la quale il numero dei candidati di ciascuna lista in ogni collegio plurinominale “non può essere inferiore alla metà, con arrotondamento all’unità superiore dei seggi assegnati al collegio”, e, “in ogni caso …non può essere inferiore a due né superiore a quattro” ( art. 18 bis c. 3 dpr n. 361/1957,come  modificato dall’art. 1 c.10 lett. d) legge cit.), ciò anche nel caso in cui il numero di candidati eleggibili in ciascun collegio plurinominale sia maggiore, fino a 8, il doppio del numero massimo di candidati, che si possono candidare 5 volte, un uninominale e 4 plurinominali.

Massima della BVerG: “nessun candidato può essere danneggiato o favorito da comportamento elettori di altra circoscrizione”;

f) l’art. 51 c. 1 e 2 Cost. dispone che “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge.

A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.    La previsione di liste bloccate, voto congiunto obbligatorio e pluri/multi-candidature, esclude che ci si possa candidarsi in condizione d’uguaglianza;

g) L’art. 18 bis del dpr n. 361/1957 e l’art. 9 del d.lgs. 533/1993, come modificati, rispettivamente, dagli artt. 1 e 2 l. n. 165/2017 prevedono esenzioni dalla raccolta di firme per la presentazione di liste che favoriscono soltanto le formazioni già presenti nelle Camere uscenti a svantaggio di nuove formazioni violando principi ex sent. CGCE 23 aprile 1986 nella causa 294/83, Parti écologiste «Les Verts» vs Parlamento Europeo, per i quali le formazioni che fanno parte del Parlamento europeo non possono attribuirsi vantaggi in vista di elezioni, che impediscano o, comunque, ostacolino la partecipazione competitiva di nuovi soggetti;

h) le minoranze linguistiche e le minoranze politiche hanno un trattamento differenziato, benché l’art. 3 c. 1 Cost. stabilisca che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Non solo, ci sono differenziazioni anche tra le minoranze linguistiche riconosciute dalla legge n. 482/999, in attuazione molto tardiva dell’art. 6 Cost.[9], non giustificate dalla loro consistenza numerica, ma unicamente dalla collocazione geografica delle minoranze stesse e quindi dei collegi o circoscrizioni di presentazione di liste rappresentative delle minoranze. Infatti, norme speciali elettorali sono previste unicamente per le liste rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, “presenti in circoscrizioni comprese in regioni ad autonomia speciale il cui statuto o le relative norme di attuazione prevedano una  particolare  tutela di tali minoranze linguistiche” (art. 14 bis c. 2 dpr n. 361/1957, come sostituito dall’art. 1 c. 7 l.n. 165/2017)[10].

La normativa di tutela di minoranze linguistiche non è di per sé violazione dell’art. 3 Cost. e di essa non si sentiva alcun bisogno, quando si votava con una legge elettorale proporzionale. Con legge elettorale con soglie di accesso nazionali, 4% con la n. 270/2005 e 3% con la n. 165/2017 le liste rappresentative di minoranze linguistiche sarebbero state escluse a priori, anche con la soglia del 2% per le liste coalizzate del Porcellum, contraddicendo i principi affermati con la sent. della Corte Cost. n. 356/1998[11], considerato che il partito rappresentativo della minoranza germanofona, la SVP, presente da sempre nel Parlamento italiano, ha una percentuale nazionale media nel periodo 1996-2018 intorno allo 0,40%, che nel 2006 fu decisiva per attribuire il premio di maggioranza all’Ulivo e a Prodi[12]. Un trattamento differenziato per ragioni linguistiche viola l’art. 3 Cost., quando è discrezionale, al limite arbitrario, come è evidente per l’elezione dei membri spettanti all’Italia nel Parlamento europeo ex legge n. 18/1979, dopo l’introduzione della soglia di accesso nazionale del 4% con la legge n. 10/2009, perché le norme speciali per le liste rappresentative di minoranze linguistiche si applicavano a tre lingue e tre territori, cioè alle minoranze francese della Valle d’Aosta, tedesca della provincia di Bolzano e slovena del Friuli-Venezia Giulia (artt.12 c. 8; 20 c. 1 n. 1) e 2); 21 c. 1 nn. 1), 2) e 22 c. 2 e 3 legge n. 18/1979 e s.m.i.) ignorando le altre minoranze tutelate dalla legge n. 482/1999, in vigore da circa 10 anni tra cui la lingua sarda, la più consistente tra le lingue minoritarie e la lingua friulana, seconda minoranza linguistica collocata nella stessa Regione autonoma della lingua slovena e nella stessa circoscrizione elettorale europea, Italia Nord-orientale delle lingue slovena e tedesca e nella circoscrizione Italia Nord-occidentale, la stessa della Val d’Aosta, l’occitano e il franco-provenzale delle valli piemontesi.[13]

Nella legge europea e nel Rosatellum la violazione dell’art. 3 c. 1 Cost. emerge per tabulas (cfr. nota 13);

h) dopo due annullamenti consecutivi del premio di maggioranza il “legislatore incostituzionale” si è fatto accorto, pertanto ha preferito rinunciare apparentemente al premio di maggioranza piuttosto che alle liste bloccate, ma sono corte (massimo 4 candidati) e poi ci sono 3/8 di seggi uninominali, che tecnicamente non sono liste e la conoscibilità del candidato è massima: tutto vero, almeno apparentemente, ma si tratta di una mezza verità e, come insegna il Talmud  una mezza verità è una bugia intera: col voto congiunto obbligatorio

a pena di nullità tutte le candidature sono bloccate. Il voto non è più diretto, libero e personale e, quindi si realizza un’alterazione del rapporto tra i voti “in entrata” e i seggi “in uscita”, censurato al par. 3. 1, cpv. XI della sent. n. 1/2014.  

Questa disproporzionalità si è verificata nelle elezioni del 2018 e come vedremo sarà amplificata con la riduzione del numero dei seggi, perché a parità di popolazione la riduzione del numero dei seggi, aumenta la popolazione di ogni singolo collegio e/o circoscrizione, con l’effetto, pertanto nei collegi uninominali, che aumenta il valore assoluto dei voti delle liste concorrenti privo di effetti, che collegato alle incostituzionalità denunciate nelle precedenti lettere b) e c) rende la fattispecie censurabile sotto il profilo della violazione degli artt. 3 e 48 Cost. sull’uguaglianza potenziale degli effetti del voto in un sistema misto, garantita nel complesso nel Mattarellum, dalla doppia scheda e dal voto disgiunto, anche in presenza da una netta prevalenza dei seggi assegnati col maggioritario, 3/4, cioè il doppio del Rosatellum.    

Le elezioni del 2018 confermano l’effetto distorsivo attraverso il solo esame della Tabella 3 dell’articolo della prof. Lara Trucco dell’Università di Genova[14], per la rivista Costituzionalismo, di fascia A, nella quale è evidenziata la disproporzionalità tra i seggi assegnati e quelli spettanti in base alla percentuale complessiva. La coalizione di CDX alla Camera di 630 seggi con il 37,1% ottiene 265 seggi, 31 seggi in più dei 234, che le spetterebbero in un sistema proporzionale, cioè il 13,2% di seggi in più. Al Senato di 315 membri elettivi con il 37,5% (+ 0,4% rispetto alla Camera) conquista 137 seggi, invece di 118 con un incremento del 16,1% (+2,9% rispetto alla Camera) a dimostrazione dell’effetto della riduzione dei seggi. L’effetto viene Confermato daI risultati della seconda lista beneficiaria, il M5S, che alla Camera con il 32,7% prende il 10,2% di seggi in più mentre al Senato con una percentuale inferiore (- 0,5%), ottiene il 10,9% dei seggi in più (+ 0,7%).

Le liste perdenti amplificano le perdite, come dimostra la coalizione di CSX alla Camera, che con il 22,8% ha 112 seggi invece di 144, cioè il 14,6% di seggi in meno.            Al Senato, con una percentuale, leggermente superiore, 22,9%, i seggi assegnati sono 60, in luogo di 72, ma la perdita percentuale in seggi è ben il 16,7%, quindi -2,1%, rispetto alla Camera. Con la riduzione a 400 dei deputati e 200 dei senatori la disproporzionalità viene artificialmente aumentata, anche grazie al metodo di calcolo della percentuale dei seggi alla Camera dove l’arrotondamento a danno del maggioritario si fa all’unità inferiore ( art. 1 c. 1, lett. a) n.1), l.n. 51/2019) e al Senato  a favore all’unità più prossima (art. 2  c. 1, lett. a) n.1), l.n. 51/2019) e nella circoscrizione regionale Trentino-Alto Adige/Südtirol i 6 seggi sono tutti assegnati in collegi uninominali maggioritari, mentre con il criterio generale Senato avrebbero dovuto essere 2 su 6.

Il trattamento delle liste minoritarie politiche rispetto alle liste rappresentative di minoranze linguistiche è ancora più deteriore. LeU con 991.159 voti, il 3,3%, al Senato ha avuto 4 seggi invece di 10, cioè – 60%, mentre la SVP  128.282 voti, 0,4%, 3 seggi, in luogo di 1, +200% [15].

Il premio di maggioranza nel Rosatellum è nascosto e implicito nel sistema di voto (coalizioni, soglia di accesso nazionale, applicata anche al Senato in violazione dell’art. 57 c. 1 Cost.[16], voto congiunto obbligatorio a pena di nullità), per scattare occorre che la coalizione o lista di maggioranza relativa abbia una distribuzione media omogenea sul territorio, perché in tal caso alla Camera può dare la maggioranza assoluta anche con il 30% dei voti e al Senato col 35%, tutte percentuali inferiori al 40% dell’Italicum, previsto per l’assegnazione del premio in un turno unico.

Il vincitore delle future elezioni con la legge elettorale e numero di parlamentari vigente sarebbe padrone, pur non avendo la maggioranza assoluta dei voti validi e, comunque, dei votanti, della revisione costituzionale ex art. 138 Cost. in assenza di verifica del rispetto dell’art. 139 Cost. e dei principi costituzionali enunciati nella sentenza n. 1146/1988[17].

 6. Esclusione della questione della legittimità costituzionale della legge costituzionale n. 1/2020 dalle azioni giudiziarie per l’accertamento del diritto dei cittadini di votare in conformità della Costituzione.

Le ragioni sono molteplici procedurali e di opportunità. Con il gruppo di avvocati anti-Italikum, circa un centinaio in 22 distretti di Corte d’appello, abbiamo maturato un’esperienza particolare, spesso un giudice si trova a dover affrontare, per la prima volta materie totalmente estranee a quelle affidate di norma alla sezione di appartenenza, sovraccaricarlo della questione di legittimità  costituzionale di un atto presupposto potrebbe dilatare i tempi, tanto più, che le questioni non sono solo  della legge costituzionale, ma di atti presupposti quali l’indizione del referendum in connessione con elezioni regionali, che coinvolgevano più di un terzo del corpo elettorale su due giorni, quando nella concitazione  ci si è dimenticati, persino, di modificare formalmente il secondo comma dell’art. 15 della legge n. 352/1970, che prevede che “La data del referendum è fissata in una domenica compresa tra il 50° e il 70° giorno successivo all'emanazione del decreto di indizione”.

Non c’è dubbio, che la riduzione del numero dei parlamentari abbia accentuato aspetti già costituzionalmente problematici della legge elettorale vigente, accennati nel paragrafo 2) e passim negli altri, ma le questioni svolte, in particolare nel paragrafo 5), ne prescindono e riguardano essenzialmente le leggi n. 165/2015 e n. 51/2019 e di riflesso il d.lgs. n.177/2020 e sarebbero stati prospettabili negli stessi termini, anche con un diverso esito referendario. Si aggiunga che nell’unico ricorso presentato da una Regione, la Basilicata particolarmente colpita dal taglio al Senato, essendo passata come l’Umbria da 7 a 3 senatori, non si sono messi in discussione il nuovo numero dei deputati, 400, né dei senatori elettivi, 200, ma di quest’ultimi solo la distribuzione tra le Regioni dei senatori. In sintesi, l’equiparazione delle Province autonome alle Regioni ai soli fini del numero minimo di senatori ex art. 57 c. 3 Cost., avrebbe presupposto una contestuale modifica dell’art. 57 c. 1 Cost. e una diversa e non contradditoria formulazione del quarto comma dell’articolo stesso. In ogni caso non risulta giustificata la violazione di un principio supremo, come quello dell’uguaglianza dei cittadini e dei loro diritti costituzionali fondamentali, se non nei termini già consentiti e per le finalità dei costituenti, per la rappresentanza nel Senato della Repubblica delle Regioni minori.

 Le Province autonome di Trento e Bolzano non sono, a differenza delle Regioni, parti costitutive della Repubblica ex art. 114 Costituzione.

Ultima, ma non meno importante ragione, il popolo si è pronunciato e i costituzionalisti si sono pronunciati in modo variegato, mentre è necessario che vi sia partecipazione vasta e nell’opposizione alla legge elettorale vigente comprendere il maggior numero di soggetti senza escludere nessuno a priori, quindi chi abbia votato SI’, NO o si sia astenuto.

[1] La verifica di legittimità della richiesta referendaria è per l’art. 12 c. 2 della legge n. 352/1970 limitata: “L'Ufficio centrale per il referendum verifica che la richiesta di referendum sia conforme alle norme dell'articolo 138 della Costituzione e della legge”, inspiegabilmente senza alcun riferimento all’art. 139 Cost., che costituisce un limite insuperabile alla revisione costituzionale, mentre per il referendum abrogativo ex art 75 Cost. è demandata alla Corte Cost., ex combinato disposto degli artt. 32 c. 2 e 33 della legge n. 352/1970 il rispetto del secondo comma dell’art. 75, che stabilisce le materie sottratte al referendum abrogativo, ampliate dalla giurisprudenza costituzionale al di là della lettera della legge (sent. n. 16/1978).

[2] Un riferimento importante al giudice naturale precostituito per legge e alla C.E.D.U., cioè al suo art. 6.

[3] Perché anche in assenza di eccezione dell’Avvocatura dello Stato, il giudice ordinario potrebbe essere di diverso e rilevarla d’ufficio. Se competente fosse l’AGA si applicherebbe l’art. 13 c.p.a., che non lascia dubbi in materia di inderogabilità della competenza territoriale, ma in materia di diritti elettorali dei cittadini la competenza è del giudice ordinario, anche nel caso che le operazioni elettorali, compresa la proclamazione degli eletti siano impugnabili ex art. 126 e ss. c.p.a. (Cass. SS.UU. Civili, ord. n. 21262/16).

[4] Non a caso le azioni per l’accertamento del diritto di votare secondo costituzione non sono soggette al Contributo Unificato, e ciò ai sensi del combinato disposto dell'art. 10 del DPR n. 115-2002 (Esenzioni: "Non è soggetto al contributo unificato il processo già esente, secondo previsione legislativa e senza limiti di competenza o di valore, dall'imposta di bollo o da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura, .... ), e dell'art. 1 del DPR 642-1972, Allegato B (atti, documenti e registri esenti dall'imposta di bollo in modo assoluto: "Petizioni agli organi legislativi; atti e documenti riguardanti la formazione delle liste elettorali, atti e documenti relativi all'esercizio dei diritti elettorali e dalla loro tutela sia in sede amministrativa che giurisdizionale").[ns. evidenziazione in grassetto].

[5] Cosiddetto maggioritario a turno unico “all’inglese”o “first-past-the-post” od anche “plurality” per distinguerlo da quello “alla francese” o “majority” ove il candidato deve conquistare la maggioranza assoluta dei votanti al primo o al secondo turno previo ballottaggio.

[6] Non a caso citata più volte negli scritti difensivi degli attori, in quanto il nostro art. 48 era sovrapponibile all’art. 38 GG (Grundgesetz), la legge Fondamentale tedesca, che tiene luogo della Costituzione della Germania.

[7]In ordinamenti costituzionali omogenei a quello italiano, nei quali pure è contemplato detto principio e non è costituzionalizzata la formula elettorale, il giudice costituzionale ha espressamente riconosciuto, da tempo, che, qualora il legislatore adotti il sistema proporzionale, anche solo in modo parziale, esso genera nell’elettore la legittima aspettativa che non si determini uno squilibrio sugli effetti del voto, e cioè una diseguale valutazione del “peso” del voto “in uscita”, ai fini dell’attribuzione dei seggi, che non sia necessaria ad evitare un pregiudizio per la funzionalità dell’organo parlamentare (BVerfGE, sentenza 3/11 del 25 luglio 2012; ma v. già la sentenza n. 197 del 22 maggio 1979 e la sentenza n. 1 del 5 aprile 1952).” (sent. 1/2014, par. 3.1.– La questione è fondata, cpv.XI).

[8] Con un emendamento del relatore nel corso della prima approvazione al Senato della Repubblica, senza una discussione adeguata alla rilevanza dell’argomento sono state equiparate le Province Autonome, che sono solo quelle di Trento e Bolzano, non nominate, alle Regioni, che hanno diritto al numero minimo di senatori, peraltro ridotto da 7 a 3, senza modificare l’elezione “a base regionale” prevista dall’art. 57 c. 1 Cost., né l’art. 114 Cost., che non prevede le Province autonome tra le parti costitutive della Repubblica, ma solo che costituiscono ex art. 116 c. 2 Cost. la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol.

[9] L’Italia non ha ancora ratificato la “Carta europea delle lingue regionali o minoritarie” (STE n. 148), fatta a Strasburgo il 05/11/1992, entrata in vigore il 01/03/1998 e firmata dall’Italia il 27/06/2000. Ha ratificato, invece, con la legge n. 302/1997 la “Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali” (STE n. 157), fatta a Strasburgo il 01/02/1995, entrata in vigore il 01/02/1998 e firmata dall’Italia il 03/11/1997.

[10] Con questa norma il Rosatellum ha posto fine a un’anomalia, che non consentiva alla maggiore minoranza linguistica riconosciuta dalla l.n. 482/1999, quella sarda, di beneficiare della normativa speciale, perché lo Statuto speciale della Sardegna, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, non prevedeva norme di tutela linguistica.

[11] Frutto di una norma speciale di tutela delle minoranze linguistiche consiliari di accesso diretto alla Corte Cost., l’art. 56 del dpr n. 670/1972 T.U. leggi costituzionali Statuto Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol.

[12] Camera dei deputati, Italia (Valle d’Aosta esclusa); Romano Prodi, totale coalizione voti 19.002.598, 49,81% con 340 seggi, di cui SVP (Südtiroler Volkspartei-Partito Popolare Sudtirolese) voti 182.704, 0,48 , con 4 seggi; Silvio Berlusconi, totale coalizione voti 18.977.843, 49,74% con 277 seggi. Differenza voti 19.002.598 - 18.977.843=24.755 < 182.704, differenza percentuale 49,81% - 49,74%= 0, 07% < 0, 48%.     

[13] Nelle elezioni europee 2009 di prima applicazione della soglia la SVP con 143.509 voti, 0,47%, ebbe 1 seggio, restarono escluse le liste di Sinistra Europea e Sinistra e Libertà rispettivamente con 1.037.862 voti, 3,39% e 957.822 voti, 3,13%, che avevano superato la soglia del 4% la prima in 2 Circoscrizioni e la seconda in una. Nelle elezioni 2014 la SVP 138.037 voti, 0,50% e 1 seggio, mentre Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale nessun seggio con 1.006.513 voti e 3,67%, con supero della soglia in 2 circoscrizioni. Infine, nelle elezioni 2019 la solita SVP ebbe 1 seggio con 142.185 voti e lo 0,53%, mentre non conseguì alcun seggio +Europa con 833.443 voti e il 3,11%. Questa volta nessuna lista esclusa aveva superato la soglia in almeno una circoscrizione perché gli elettori di liste sotto-soglia hanno progressivamente smesso di andare a votare: nel 2009 i votanti furono 34.359.339 pari al 69,73 %, 10 anni dopo i votanti erano scesi a 27.780.855, il 54,50 % con 997.123 schede non valide, 3,58%. In cifre assolute: 1) elettori (2019) 50.974.994 – elettori (2009) 50.342.153=+ 632.841; 2) votanti (2019) 27.780.855 - votanti (2009) 34.359.339= - 6.578.484; 3) voti validi senza rappresentanza di liste con voti maggiori di SVP: 2.320.690, che senza soglia avrebbero eletto almeno un parlamentare europeo.

[14] Trucco L., Rosatellum-bis e la forma di governo “leadercratica” sul far del nascere della XVIII legislatura, Fascicolo 3/2018-Rotture e Continuità nell’Avvio della XVIII Legislatura, https://www.costituzionalismo.it/rosatellum-bis-e-la-forma-di-governo-leadercratica-sul-far-del-nascere-della-xviii-legislatura/

[15] I  3 seggi SVP sono tutti concentrati nella Provincia autonoma di Bolzano, 504.643 abitanti (cens. 2011), quindi un senatore ogni 168.214 abitanti, quando la media nazionale è di 297.169, calcolando i seggi fissi di Val d’Aosta, 1, e Molise, 2, che abbassano la media. La concentrazione territoriale del voto è in vantaggio che spiega il vantaggio in seggi della coalizione di CDX prevalente nel Settentrione e della  lista M5S nel Meridione e Isole.

[16] Perché si aggiunge per le liste minoritarie politiche alla soglie implicite delle Regioni, tutte superiori al 3%, eccetto che in Lombardia con 315 senatori elettivi e che non riguarda le minoranze linguistiche.

[17] Secondo il prof. Pasquale Costanzo alla revisione costituzionale recentemente approvata, cfr. Costanzo P., QUANDO I NUMERI MANIFESTANO PRINCIPI OVVERO DELLA PROBABILE INCOSTITUZIONALITÀ DELLA RIDUZIONE DEI PARLAMENTARI, Consulta ON LINE, 

 

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