GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Paesaggio, ambiente e transizione ecologica

    Paesaggio, ambiente e transizione ecologica

    Paesaggio, ambiente e transizione ecologica

    di Paolo Carpentieri, Consigliere di Stato

    Sommario: 1. Premessa2. Le ragioni profonde (culturali e giuridico-ordinamentali) della distinzione tra “ambiente” e “paesaggio”3. Le radici storiche della nozione giuridica di “paesaggio”4. Le radici storiche della nozione giuridica di “ambiente”5. I punti essenziali della distinzione6. Tracce nella giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di giustizia dell’Unione europea7. Unificazione o differenziazione delle competenze8. Decarbonizzazione e paesaggio9. Conclusioni.

    Abstract

    Sulla premessa della ancora valida – ma non da tutti condivisa – distinzione giuridica tra “ambiente” e “paesaggio”, lo scritto si domanda se l’idea della “transizione ecologica” (oggi inveratasi nella trasformazione del Ministero dell’ambiente, già “dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare”, in, per l’appunto, “Ministero della transizione ecologica”) non rischi di “fagocitare”, nell’inseguimento di chimerici obiettivi su scala “globale” di lotta ai gas climalteranti, la funzione (naturalmente “locale”) di tutela del paesaggio, presa nella trappola logica del “pensare globale – agire locale” (lo slogan degli ambientalisti industriali), in forza della quale si sacrifica quied ora, concretamente e attualmente, la bellezza dei paesaggi italiani, in nome di una speranza di riduzione su scala globale - eventuale, indiretta, futura e incerta - dei gas ad effetto serra, e dietro la quale agiscono in realtà molto concreti e potenti interessi economici locali delle imprese del settore (finanziati con lauti incentivi statali, a carico della finanza pubblica e delle bollette dei consumatori).

    La conclusione è che – ferma restando l’urgenza della lotta al mutamento climatico, la condivisibilità dell’idea dell’economia circolare[1], etc. – sarebbe auspicabile evitare che questa transizione ecologica finisca per tradursi in un ulteriore pregiudizio per la qualità dei paesaggi italiani e in un ulteriore depauperamento delle risorse ecosistemiche (e non solo alimentari) dell’agricoltura. 

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    1. Premessa.

    Il Green Deal europeo e l'avvio della transizione ecologica, sotto la spinta soprattutto del diritto dell’Unione europea, con la creazione, nel nostro Paese, del nuovo Ministero della transizione ecologica, chiamato a svolgere un ruolo cardine nel piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), riattualizza la distinzione tra “ambiente” e “paesaggio” e, lungi dal ricucire e ricomporre, allarga il contrasto che oggettivamente divide questo due campi di materia, che esprimono visioni delle cose molto diverse, anche se a tratti complementari.

    Vale la pena, dunque, tornare con alcune brevi annotazioni su questo tema, per indagare le ragioni profonde di questa distinzione e per derivarne alcune considerazioni di più attuale interesse.

    2. Le ragioni profonde (culturali e giuridico-ordinamentali) della distinzione tra “ambiente” e “paesaggio”.

    L’autonomia della nozione giuridica di “paesaggio” rispetto a quella di “ambiente”, dopo la Convenzione europea del paesaggio di Firenze del 2000 e dopo il codice di settore del 2004, non richiede (forse) di essere riaffermata, né qui illustrata[2].

    Tale autonomia, se può dirsi sostanzialmente acquisita sul piano dogmatico-ricostruttivo, non è tuttavia condivisa e unanimemente accettata sul piano delle conseguenze ordinamentali del quadro distributivo delle competenze.

    Essa, inoltre, non è compresa (e viene spesso criticata) dalle professioni non giuridiche che si occupano di territorio, di urbanistica, di paesaggio, che oppongono alle distinzioni giuridiche la comprensione olistica del territorio nelle sue varie componenti e nei suoi diversi aspetti e interessi, che (a loro dire) non possono essere compresi e gestiti se non in modo unitario. 

    Sennonché è proprio del diritto e della logica giuridica distinguere e separare (de-cidere). Nel diritto il concetto segue il regime giuridico, mentre nelle altre scienze sociali il concetto è frutto della sintesi, che segue l’analisi. In tanto si può introdurre un concetto autonomo, nel diritto, in quanto vi sia un regime giuridico unitario ed omogeneo che ne giustifichi la posizione. Nelle altre scienze sociali che si occupano di paesaggio, invece, è la pluralità dei dati dell’esperienza che conduce a formare, nella sintesi, un concetto, che dunque deriva dalla considerazione unitaria delle interrelazioni tra i diversi approcci e punti di vista. Nel diritto è il bisogno di tutela e sono i modi per il suo soddisfacimento che definiscono gli istituti giuridici. E, per il paesaggio, il bisogno di tutela e i modi per il suo soddisfacimento sono in tutto e per tutto omologhi a quelli che caratterizzano il regime di tutela dei beni culturali. 

    Non ci si deve meravigliare più di tanto, dunque, del dissidio strisciante tra la visione giuridica del paesaggio e quella degli architetti pianificatori e degli urbanisti. I tecnici vedono le interrelazioni e le connessioni. I giuristi vedono i diversi valori-beni-interessi in conflitto e devono fornire strumenti di decisione per stabilire un criterio di prevalenza (nessun valore è neutro; i valori valgono solo se prevalgono[3]; non ci sono pasti gratis in questo conflitto[4]). Per gli architetti pianificatori e gli urbanisti il territorio è uno e una deve essere la sua disciplina e l’autorità chiamata a farla applicare[5]. Per i giuristi il territorio è sede di una molteplicità di interessi (di usi alternativi) in conflitto tra loro e la sintesi – che pure deve essere trovata – non è sempre facile da definire. La nota tesi delle “tutele parallele degli interessi differenziati[6] resta valida, anche se va corretta nella formula delle “tutele convergenti degli interessi differenziati”.

    Se la nozione lata e onnicomprensiva di “ambiente” (da amb – ire, andare intorno; ciò che ci sta intorno, che ci circonda) può andar bene per le scienze della natura, nella sua eccessiva ampiezza di denotazione essa si rivela inutile per il giurista, che da sempre ne ha cercato utili specificazioni e distinzioni, sin dal fondamentale contributo di Massimo Severo Giannini del 1973, «Ambiente»: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici[7].

    Si osserva in senso contrario che grazie a un’inedita convergenza di scienze umane e scienze naturali che si va delineando in questi ultimi anni, la parola chiave sarebbe, oggi, “interconnessione”. “Antropologi e biologi, genetisti e filosofi riconoscono nel disegno della natura e in quello della storia una potente tendenza all'interconnessione (interconnectedness è la parola-chiave, che - è vero - è diventata di moda, ma con ottime ragioni dato quel che esprime)[8]. Si ricorda l’idea goethiana della cultura come “seconda natura[9], per cui “dobbiamo partire dalla cultura, intesa non come somma di inclusioni – ambiente, paesaggio, patrimonio, salute – ma come interconnessione fra questi diversi aspetti[10]. Si aggiunge che “Ormai salute, economia e cultura scientifico-umanistica sono un tutt’uno sistematico” e che “La verità è nell’holon, che in greco significa «tutto», ovverossia l’ambiente[11]. Le Encicliche di Papa Francesco, ad esempio, parlano di una ecologia integrale. Tutto vero, niente da obiettare. C’è però il rischio di cadere in tal modo nell’indiscernibile, nell’uno/tutto (“l’uno non è[12]), ciò che rischia di portare – specialmente quando si tratta di individuare il regime giuridico applicabile – alla confusione, alla notte hegeliana in cui tutte le vacche sono nere[13], a un unico regime giuridico indifferenziato per tutte le cose, ciò che è la negazione dell’utilità dei concetti e degli istituti giuridici.

    Si sostiene, da parte di autorevoli Autori, che la separazione delle competenze, soprattutto a livello statale, legata alla distinzione tra “ambiente” e “paesaggio” (ma anche e soprattutto con riguardo alla materia dell’urbanistica – governo del territorio), sia la causa prima e più grave del fallimento della tutela e della complicazione burocratica che caratterizza negativamente lo svolgimento di tali funzioni[14]. Da più parti si auspica pertanto l’unificazione delle competenze (e, si badi, sia da parte di chi sinceramente si erge a paladino della tutela e ne persegue e rivendica il potenziamento e il miglioramento, sia da parte di chi mira a depotenziare il ruolo della tutela nell’ottica della semplificazione e della sburocratizzazione, spesso intesa come abolizione dei controlli ambientali). 

    Occorre tuttavia ricordare che la sintesi e la riconduzione sotto un unico centro decisionale di ambiente e di paesaggio è una sintesi che non si fa a somma zero, ma che comporta necessariamente il ridimensionamento o il sacrificio degli uni aspetti rispetto agli altri (o viceversa). Resto pertanto convinto, contro l’opinione dominante, che sia preferibile il modello della differenziazione e del contraddittorio tra gli interessi pubblici in conflitto, per evitare che alcuni di questi interessi (i più deboli politicamente) siano fagogitati da quelli più forti (quelli più vicini alla tecnica e agli interessi industriali della crescita e dello sviluppo). Chi indica nella divisione delle competenze (anche con riguardo alla materia dell’urbanistica-governo del territorio) una delle cause dell’inefficacia dell’azione di tutela e (da un diverso punto di vista) della complicazione burocratica, ed auspica, pertanto, la creazione di un unico centro decisionale, non si avvede che in tal modo l’ambientalismo industriale della transizione ecologica sopraffà e annulla la tutela paesaggistica, che ad essa obiettivamente si contrappone, poiché i pannelli fotovoltaici nelle campagne, le pale eoliche, le dighe del micro-elettrico, gli impianti a biomasse, raramente vanno d’accordo con la tutela del paesaggio.

    D’altra parte la distinzione – culturale e storica, per certi aspetti, come vedremo, anche epistemologica – che separa “ambiente” e “paesaggio” è testimoniata dallo stesso dibattito sull’esigenza (da taluni avvertita, da altri avversata) di aggiungere la tutela dell’ambiente nell’art. 9 della Costituzione, a fianco alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione[15].

    3. Le radici storiche della nozione giuridica di “paesaggio”.

    È dunque utile (forse) spendere ancora qualche parola sul tema della distinzione tra “paesaggio” e “ambiente”, che non è affatto scontata e, come si è visto, mostra profili problematici. 

    Vorrei in particolare evidenziare che questa distinzione, come ho sostenuto in un mio recente contributo[16], affonda le sue radici (per così dire) nel jus, ossia in una risalente e ricca tradizione, culturale prima ancora che giuridica, sostanzialmente diversa rispetto a quella da cui è germogliata (più di recente) l’idea della tutela ambientale (e la nozione giuridica di “ambiente”), sicché, anche al di là della lex scripta (oggi nel codice del 2004 e nella Convenzione di Firenze del 2000), l’autonomia della nozione giuridica di “paesaggio” e la sua distinzione da quella di “ambiente” riceve una sua speciale legittimazione “forte” proprio nella diversità e specialità dell’humus storico-culturale da cui si è generata l’una, rispetto all’altra. 

    Insomma, si tratta a ben vedere di due linee di pensiero e di due tradizioni culturali marcatamente differenti tra loro. Ed è proprio in questa diversità genetica che vanno ricercate le cause dell’attuale assetto giuridico, complicato, forse, più che complesso, della materia, così come le ragioni profonde dei ricorrenti e irrisolti conflitti.

    La tutela del paesaggio nasce, in sostanza, da un movimento di idee più antico rispetto a quello, più recente, che sta alla base della tutela dell’ambiente-ecosfera e dell’odierno diritto dell’ambiente. Il paesaggio nasce e vive – pressoché esclusivamente – nell’ambito delle scienze umane e mantiene (nonostante il materialismo storicistico e l’antropo-sociologismo imperanti nella seconda metà del Novecento) un nucleo essenziale estetico[17]. L’ambiente, invece, nasce e vive pressoché esclusivamente nell’ambito delle scienze esatte e della tecnica. Il paesaggio esprime un profilo qualitativo, mentre l’ambiente esprime un punto di vista soprattutto quantitativo. Naturalmente queste affermazioni costituiscono delle generalizzazioni affrettate, qui consapevolmente proposte solo per sintesi e per chiarezza espositiva, poiché le cose sono in realtà molto più complicate e le distinzioni non sono mai così nette e marcate. Così come è vero, alla stessa stregua, che la dicotomia “scienze umane “comprendenti” vs. scienze esatte”, pur essendo superata in ambito epistemologico, rimane tuttora valida euristicamente in ambito giuridico[18] e non è scalfita dalla nota e ricorrente considerazione che la quasi totalità del paesaggio italiano è paesaggio antropico e che la distinzione tra natura e cultura va relativizzata e rivista (poiché, come già osservato, la cultura in Italia è in realtà una “seconda natura” e l’uomo, da quando Prometeo gli ha regalato il fuoco, non ha fatto altro che addomesticare la natura rendendola un ambiente artificiale adatto a sopperire alle sue carenze innate[19], secondo il mito raccontato nel Protagora di Platone)[20].

    Per evidenziare questa radice “culturale” della nozione di paesaggio è ricorrente il richiamo – quasi ormai un luogo comune nelle trattazioni della materia – della lettera del Petrarca del 1336 sull’ascesa al Monte Ventoso, che costituirebbe una delle prime attestazioni di una nozione autonoma di “paesaggio”. Altrettanto comune è in tal senso il richiamo degli affreschi del Palazzo Pubblico di Siena (quello di Guidoriccio da Fogliano, attribuito a Simone Martini, e quelli dell’Allegoria del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti)[21].

    In realtà l’idea di “paesaggio” affonda le sue radici nel topos, nell’archetipo junghiano del giardino dell’Eden, comune a molte cosmogonie e religioni nel mondo, quale luogo mitico di un’origine di equilibrio e di purezza e nel contempo fine ultimo cui tendono le speranze dell’uomo di redenzione e di raggiungimento di un orizzonte escatologico di pace e di ri-equilibrio, dopo l’alienazione terrena. Un archetipo, si deve notare, che reca in sé un’impronta estetica, insita naturalmente nell’immaginazione mitica e nella contemplazione religiosa. “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse”, recita la Bibbia[22]. Ma è un’immagine comune alla più antica mitologia delle civiltà mesopotamiche e a molte religioni orientali[23]. Analoga è l’immagine dei campi elisi della cultura greca, come analogo è l’atteggiamento spirituale sotteso al culto, diffusissimo in tutta l’antichità greca e romana, dei boschi sacri a ninfe o altre divinità, un’idea, un modo di essere dello spirito che ha ricevuto successive elaborazioni poetiche e che si può compendiare sotto il nome riassuntivo del mito dell’Arcadia, che ritroviamo in Esiodo, poi in Virgilio, in Ovidio e in tanti altri poeti dell’antichità e, risalendo nei secoli, fino al suo ritorno rinascimentale[24], nel romanticismo, nello spirito dei viaggiatori del Grand Tour e nelle scuole dei paesaggisti dell’800 (dalla maniera del paesaggio ideale e del “ruinismo” di Claude Lorrain e Nicolas Poussin alla scuola di Barbizon in Francia, da Caspar David Friedrich a Carl Blechen in Germania, da Constable e Turner e dai Preraffaelliti in Inghilterra ai macchiaioli e divisionisti in Italia[25]), fino – guardando alla storia recente italiana - al Bel Paese dell’abate Stoppani, al Touring Club Italia e al CAI[26], o all’iniziativa dei “luoghi del cuore” del FAI (che esprime, in fondo, un’idea estetico-soggettiva di godimento di luoghi capaci di evocare sentimenti, ricordi, sensazioni piacevoli, legata all’elaborazione culturale e alla conoscenza).

    Sullo stesso piano di una fruizione estetico-intellettuale si colloca anche un altro filone spirituale che alimenta l’idea di paesaggio, quello della nostalgia per la wilderness, che pure ha rivestito un rilievo di primo piano nello sviluppo dell’idea della tutela paesaggistica[27], in contrappunto all’ideale del giardino governato e conchiuso, un piccolo eden in cui l’uomo può ritrovare la serenità e astrarsi dai traffici vacui del mondo[28].

    Il sentimento estetico è dunque essenziale nella nozione di “paesaggio” ed è stato un errore quello dello storicismo materialistico degli ultimi settanta anni, che ha voluto imporre una visione “oggettivante” socio-antropologia del paesaggio e ha preteso di “depurare” la nozione di “paesaggio” dall’elemento estetico, pur così essenziale, tacciato di vieto “idealismo crociano”[29], che pure aveva caratterizzato l’approccio all’ambiente fino a tutta la prima metà del Novecento. Un punto di vista, questo, forse ingiustamente e troppo frettolosamente accantonato nel secondo dopoguerra con l’affermarsi dell’egemonia del punto di vista storico-sociale, di impronta marxiana, che ha condotto anche, parallelamente, all’evoluzione della nozione di “bene culturale”, da “cosa d’arte” alla antropologistica “testimonianza avente valore di civiltà”)[30].

    Insisto dunque nella mia critica alla Convenzione di Firenze del 2000, che nega questo dato essenziale e assume una visione socio-antropologica di “paesaggio” per cui tutto il territorio è paesaggio, ossia, come già detto, nulla è paesaggio. Certamente, come ci spiega molto bene sempre Edgar Morin[31], l’estetica generalizzata odierna mescola insieme il bello e il brutto, per cui anche la periferia degradata, a modo suo, ha un pregio estetico (del resto la street art è posta oggi, un po’ assurdamente, al vertice dell’interesse e del canone artistico contemporaneo). Ma una cosa è la democratizzazione del canone estetico e la sua evoluzione, contro ogni pretesa elitaria, ad abbracciare punti di vista più ampi e meglio diversificati, altra e diversa cosa è il rifiuto del punto di vista estetico, che resta invece essenziale e ineliminabile nella nozione di “paesaggio”, anche del paesaggio “identitario” delle periferie degradate e compromesse (che esprimono e rappresentano, a loro modo, una nuova e diversa potenzialità estetica)[32]. Va bene, dunque, il così detto “paesaggio identitario”[33], ma non dobbiamo dimenticare, né sottovalutare il nucleo estetico della nozione.

    Questo naturalmente non significa un impossibile ritorno al 1922 o al 1939. L’apporto – fondamentale – dell’antropologia e dello storicismo, con i concetti di “beni culturali-ambientali” della Commissione Franceschini del 1966 e di paesaggio “integrale” come forma del territorio di Alberto Predieri[34] del 1969, restano irrinunciabili e costituiscono un necessario completamento e arricchimento della comprensione della nozione polisemica di “paesaggio”. Per non dire della già più volte richiamata Convenzione europea di Firenze del 2000. Ma – questo è il punto che vorrei sottolineare – questo arricchimento non deve andare a discapito del nucleo essenziale estetico, in senso gnoseologico, del “paesaggio”, altrimenti si rischia di perdere il nocciolo duro della nozione, il suo cuore pulsante, e si apre a inevitabili confusioni (verso l’urbanistica-governo del territorio o la nozione onnicomprensiva di “ambiente”, per l’appunto).

    Tornando alla nostra veloce carrellata sullo sviluppo dell’idea di “paesaggio”, dando uno sguardo alla storia del pensiero, vale la pena di ricordare che nell’Enciclopedia di Diderot e D’Alembert il paesaggio, nella voce redatta da Louis Chevalier de Jaucourt, era presentato come un “genere di pittura che rappresenta le campagne e gli oggetti che vi s’incontrano[35], mentre per Alexander von Humboldt il paesaggio è l’impressione complessiva di un luogo[36].

    Anche guardando ai principali paesi esteri, in particolare all’esperienza tedesca, francese, anglosassone e nordamericana, è possibile ricostruire una linea unitaria che, già a partire dal ‘700 e, soprattutto, dall’800, lega la prima sensibilità “ambientale” a un’idea lato sensu “romantica”, a tratti anti-modernista e di critica al macchinismo industriale, incentrata dunque su un’idea di “ritorno alla natura”, di nostalgia per la wilderness e di ricerca del sublime, su un’ideale di conservazione del volto amato della Patria e di tutela della casa (oikos[37]), una sensibilità nella quale la componente estetica della bellezza svolge un ruolo spesso centrale[38].

    Si pensi a Goethe, a Humboldt e a Burckhardt in Germania, dove si è sviluppata l’idea dei Denkmaler der Natur, der Kunst, der Geschiste, che pone i monumenti della natura sullo stesso piano di quelli della cultura e della storia (idea poi recepita nell’art. 150 della Costituzione di Weimar); si pensi, sempre con riguardo alla Germania, al movimento giovanile dei Wandervogel, a Ernst Rudorff, che coniò il concetto di Heimatschutz, come tutela del paesaggio tedesco[39]. Si pensi, guardando alla Francia, a Victor Hugo[40], alla nostalgia per la natura incontaminata nel Rousseau dell’Emilio e delle Fantasticherie di un passeggiatore solitario[41], ad Antoine Quatremére de Quincy[42], alla filosofia contadina di Gustave Thibon. Si pensi, guardando all’Inghilterra, a Edmund Burke, a John Evelyn, a Gilbert White (fondatore della Selborne Societynel 1885), ai movimenti che condussero alla fondazione nel 1907 del National Trust for Places of Historic Interest or Natural Beauty e della Campaign to Protect Rural England del 1926. Si pensi, infine, guardando agli Stati Uniti, a Henry David Thoreau, a John Ruskin, John Muir, John Burroughs e George P. Marsh, a Ralph Waldo Emerson e Theodore Roosevelt[43].

    Guardando al profilo giuridico, questa vera e propria “Repubblica europea dello Spirito[44]espresse un comune sentire che produsse frutti anche sul piano legislativo, come bene ricordato dal Pres. Severini nei contributi citati[45].

    Anche l’emersione di un “bisogno” di tutela, nella storia più recente, che data alla fine dell’800 e ai primi del ‘900, appare legato, non solo in Italia, soprattutto a una percezione estetica delle bellezze paesaggistiche, a partire dal momento in cui presero a esser frequentate e amate da una cerchia sempre più ampia di persone, grazie alle prime forme di turismo “di massa” (o, forse, non più solo elitario)[46].

    Non è dunque un caso se, sin dalle prime leggi dell’Italia unita sul patrimonio culturale dei primi del Novecento, le misure di tutela dei beni culturali e dei beni paesaggistici si siano conformate entro il medesimo stampo logico-giuridico (che noi oggi chiamiamo della “eccezione del patrimonio culturale”, e che può variamente declinarsi in termini di limiti al diritto di proprietà, di dominio eminente pubblico giustapposto a quello utile privato, oppure, più di recente, nella logica dei così detti “beni comuni”). Le une e le altre misure rispondono, infatti, a un medesimo bisogno di tutela e presentano modalità analoghe di soddisfacimento di tale bisogno. E non è un caso che l’art. 9 della Costituzione parla di tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione (e non parla di “ambiente”).

    La logica di fondo degli strumenti di tutela a tal fine forgiati è la stessa: rispondere a un bisogno di conservazione di un patrimonio estetico-identitario minacciato di dispersione e di distruzione. È la logica della legge Rava del 1905 sulla tutela della pineta di Ravenna e già il Presidente della Cassazione Mariano D’Amelio[47] aveva chiarito, in un contributo del 1912, come la legge Rosadi del 1909, benché “monca” delle disposizioni sul paesaggio (proposte, ma non approvate per l’opposizione del Senato), fosse in realtà senz’altro applicabile anche al “paesaggio storico” italiano, e ciò proprio in forza della stretta commistione, sul territorio, tra monumenti culturali e naturali, tra cose di interesse storico, artistico e architettonico e cose di interesse paesaggistico[48]. È significativo, d’altra parte che la legge “Croce” 11 giugno 1922, n. 778 fosse intitolata “per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico” e avesse ad oggetto non solo “le cose immobili la cui conservazione presenta un notevole interesse pubblico a causa della loro bellezza naturale” e le “bellezze panoramiche”, ma anche le cose immobili meritevoli di tutela per la “loro particolare relazione con la storia civile e letteraria”.

    4. Le radici storiche della nozione giuridica di “ambiente”.

    Affatto diversa pare essere invece la genesi del concetto giuridico di ambiente e della tutela ambientale. 

    Il punto di partenza dell’attuale diritto dell’ambiente-ecologia si può forse rinvenire nel famoso rapporto sui limiti dello sviluppo redatto dal Club di Roma (fondato nell'aprile del 1968 dall'imprenditore italiano Aurelio Peccei e dallo scienziato scozzese Alexander King, insieme a premi Nobel, leader politici e intellettuali). Il rapporto, elaborato sulla base della prima riunione, svoltasi a Roma, presso la sede dell'Accademia dei Lincei, venne commissionato al MIT dal Club di Roma e fu pubblicato nel 1972, a cura di Donella Meadows. 

    Si inaugura in tal modo una linea di pensiero che mostra un approccio soprattutto quantitativo-matematico alle tematiche ambientali, incentrato sul calcolo dei limiti alla crescita (il rapporto era basato sulla simulazione al computer per predire le conseguenze della continua crescita della popolazione sull'ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana)[49].

    Ma già nel 1961 era stato fondato il WWF (World Wildlife Fund, Fondo mondiale per la vita selvatica), con la finalità di “bloccare la degradazione dell'ambiente naturale del pianeta e di costruire un futuro in cui l'uomo vivrà in armonia con la natura”, preservando la biodiversità, favorendo la sostenibilità dell'utilizzo delle risorse naturali, promuovendo misure dirette alla riduzione dell'inquinamento e degli sprechi di risorse.

    E già il libro del 1962 Silent Spring, di Rachel Carson, comunemente ritenuto una sorta di manifesto antesignano del movimento ambientalista, presentava un approccio che avrebbe voluto essere scientifico e che si concentrava sull’esame degli effetti nocivi degli inquinanti (basandosi su ricerche e analisi scientifiche relative ai danni provocati dal DDT e dai fitofarmaci)[50].

    Nel 1971 inizia le sue pubblicazioni la rivista Ecologia fondata e diretta da Virginio Bettini[51]. Nel 1972 venne organizzata a Stoccolma la prima conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente, su iniziativa di Olof Palme, in dialogo con Barry Commoner[52] e un gruppo di scienziati ed ecologisti. È del 1973 la Prima relazione sulla situazione ambientale del Paese, promossa dall’Eni e prodotta dalla società Tecneco[53]. Nel 1979 viene fondata la Lega per l’Ambiente dell’ARCI, che farà proprio lo slogan “pensare globale, agire locale[54]. Al 1987 risale la presentazione del rapporto Brundtland[55], che introdusse il concetto di “sviluppo sostenibile”, che è divenuto l’architrave del pensiero ambientalista scientifico (concetto non a caso non particolarmente apprezzato dai paesaggisti, che hanno sempre nutrito una profonda diffidenza verso questo termine, profondamente ambiguo, forse un ossimoro, una contraddizione in termini[56]). L’impostazione culturale dell’IPPC (International Panel on Climate Change, Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, emanazione dell’ONU) è marcatamente scientifica[57]. Anche un non recente contributo italiano degli anni ’70 del secolo scorso (A. Todisco, Breviario di ecologia, Milano, 1974), si segnala per aver posto (forse per la prima volta in Italia) il tema del bilancio ambientale.

    Ma, ben vedere, già l’origine della parola “ecologia” è legata a un contesto squisitamente scientifico. Ernst Haeckel (al quale pare si debba l’introduzione del termine “ecologia” nel 1866), era infatti un importante biologo e scienziato prussiano, che coniò il termine “ecologia” per significare lo studio scientifico della natura in quanto oikos, casa, ambiente degli uomini[58]

    Insomma, “La tutela dell’ambiente può essere gestita dagli scienziati che, rilevando e interpretando i risultati delle analisi, individuano le misure da adottare per eliminare le disfunzioni. Esistono degli incaricati di misurare i parametri ambientali dell’acqua, del suolo, dell’aria, nonché di elaborare strategie per mantenersi all’interno di essi. Il territorio è ripartito tra questi enti per l’acqua e il terreno che sono monitorati da scienziati specializzati. Dunque la tutela dell’ambiente è l’obiettivo delle moderne scienze ingegneristiche e naturali[59]

    L’idea scientista e globalista si è poi vieppiù affermata e rafforzata in ambito ambientalista sull’abbrivio della nota teoria di Gaia, il pianeta vivente, attribuita a James Lovelock[60], ma presente già da molto tempo in illustri Autori meno recenti[61].

    Anche questa, va sottolineato, è una differenza profonda di approccio, che contribuisce a spiegare molti dei conflitti tra ambiente e paesaggio: l’ambiente pensa globale e agisce locale; il paesaggio pensa locale e agisce localmente, legato alla dimensione territoriale.

    La politica europea in materia ambientale nasce su questo tronco culturale e ne costituisce una prima sintesi ed elaborazione giuridica[62]. È nota la centralità della spinta del diritto comunitario per lo sviluppo del diritto dell’ambiente e non è certo questa la sede per una sua trattazione. Si parla in proposito di una “progressiva evoluzione di un vero e proprio “diritto costituzionale europeo dell’ambiente[63]. Ma non deve dimenticarsi, né sottovalutarsi l’imprinting mercatista del diritto ambientale europeo, nato come standardizzazione dei costi ambientali internalizzati nella produzione (“chi inquina paga”) per scopi di garanzia della concorrenza e del buon funzionamento del mercato comune[64]. Oggi il principio generale contenuto nell’art. 11 del TFUE (ex articolo 6 del TCE, per cui “Le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni dell'Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile”) è significativamente confermato dall’art. 37 della Carta dei diritti fondamentali, collocato nel Capo IV, sulla Solidarietà.

    Più in generale, nel diritto internazionale la progressiva genesi e formazione del concetto – oggi oramai onnipresente, quasi “infestante” nella sua incontrollata diffusività – di “sviluppo sostenibile”, come è stato acutamente osservato[65], è stata fondata sui tre pilastri, ambientale, sociale ed economico, lasciando fuori ogni riferimento alla cultura (e, dunque, alla nozione di paesaggio, se e in quanto non ridotta a un sottoinsieme dell’ambiente).

    L’approccio soprattutto quantitativo-scientifico del diritto dell’ambiente è rivelato dalla (e racchiuso nella) nozione di inquinamento, centrale nella legislazione di tutela ambientale, oggi contenuta nella lettera i-ter) dell’art. 5 del così detto “codice ambiente” (d.lgs. n. 152 del 2006), dove è così definita: “l'introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore o più in generale di agenti fisici o chimici, nell'aria, nell'acqua o nel suolo, che potrebbero nuocere alla salute umana o alla qualità dell'ambiente, causare il deterioramento dei beni materiali, oppure danni o perturbazioni a valori ricreativi dell'ambiente o ad altri suoi legittimi usi”.

    La legge n. 349 del 1986, istitutiva del Ministero dell’ambiente, costituisce l’approdo istituzionale di questo percorso.

    5. I punti essenziali della distinzione.

    La sopra sunteggiata evoluzione di distinte elaborazioni culturali ci rafforza nella conclusione che il paesaggio è percezione, è elaborazione culturale che l’uomo fa dell’ambiente che lo circonda, e non è mai puro e semplice sostrato fisico-chimico-biologico[66]. L’esaminato retroterra filosofico culturale ci porta a dire che il paesaggio è qualcosa che attiene, per così dire, alla res cogitans, più che alla res extensa, alla semiosfera, più che alla ecosfera, riguardando la comprensione identitaria del contesto, più che la tutela delle matrici ambientali. Il paesaggio si collocherebbe (volendo operare un richiamo alla nota teoria dei tre mondi di Popper[67]), nel “mondo 3” (il mondo dei contenuti oggettivi di pensiero), piuttosto che nel “mondo 1” (il mondo degli oggetti e degli stati fisici). Il senso più profondo della distinzione “paesaggio-ambiente” può essere esplicitato nella differenza di prospettiva tra i punti di vista della prima e della terza persona, per cui l'ambiente costituisce la prospettiva della terza persona - le cose, il mondo fisico che descriviamo in modo oggettivo - mentre il paesaggio rappresenta la prospettiva della prima persona - il significato del territorio per come lo percepiamo in modo soggettivo[68]. Il paesaggio è il significato che io-noi percepiamo nel territorio, per le sue caratteristiche significanti (come bene evidenziato nella stessa definizione data dall’art. 131 del codice di settore). La nozione giuridica di paesaggio nasce, dunque, non (solo) per un atto positivo d’autorità normativa (lex), ma come prodotto della confluenza e della sintesi di diverse tradizioni e nozioni metagiuridiche sul tema e vanta pertanto profonde radici epistemiche e logiche, oltre che storiche (ius).

    Esiste, dunque, alla base della distinzione tra paesaggio e ambiente, una diversità sostanziale di orientamento di pensiero: un punto di vita soggettivo (proprio delle scienze dello spirito), e qualitativo, dal lato del paesaggio; un punto di vista oggettivo e quantitativo (proprio delle scienze esatte e della tecnica) dal lato dell’ambiente-ecologia. C’è anche una componente antilluministica e antiscientista nella genesi culturale del concetto di paesaggio[69], che si contrappone al modello illuministico-tecnologico che condurrà poi all’ambientalismo industriale. 

    Ciò nondimeno – ed è, questo, il retroterra culturale della Convenzione europea del paesaggio del 2000 – la comprensione del paesaggio deve mettere insieme tutti i diversi saperi e punti di vista che concorrono alla sintesi dell'azione di fattori naturali, umani e delle loro interrelazioni che, come recita l’art. 131 del codice di settore (riprendendo la formulazione della Convenzione europea del 2000), contribuiscono a dare la nozione complessa e plurivoca di “paesaggio”[70].

    6. Tracce nella giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di giustizia dell’Unione europea.

    È noto che nell’ultimo scorcio del secolo scorso la Corte costituzionale (dopo avere forgiato, nei decenni precedenti, il concetto della primarietà del valore estetico-culturale, ex art. 9 Cost., come limite alle competenze regionali in materia urbanistica[71]) ha introdotto (nonostante le avvertenze di autorevole Dottrina circa i diversi aspetti giuridici della nozione di ambiente[72]) una nozione unitaria di “ambiente”, comprensiva anche del paesaggio, con l’idea dell’endiadi unitaria, per cui “la tutela del bene culturale è nel testo costituzionale contemplata insieme a quella del paesaggio e dell’ambiente come espressione di principio fondamentale unitario dell’ambito territoriale in cui si svolge la vita dell’uomo (sentenza n. 85 del 1998) e tali forme di tutela costituiscono una endiadi unitaria[73]. In altre pronunce coeve[74] la Consulta ha poi proposto una nozione di paesaggio più ampia, comprensiva di “ogni elemento naturale ed umano attinente alla forma esteriore del territorio”, fino all’affermazione[75] che la tutela del paesaggio va intesa nel senso lato della tutela ecologica e si identifica con la conservazione dell’ambiente. Parimenti orientata nella direzione di una sostanziale unitarietà delle nozioni di ambiente e di paesaggio è l’ulteriore giurisprudenza costituzionale[76] sulla tutela del paesaggio improntata a globalità e integralità.

    La Corte costituzionale, dunque, se, da un lato, nel dirimere i conflitti di competenza tra lo Stato e le Regioni, ha introdotto riflessioni e concetti utili alla distinzione (sentenze n. 359 del 1985, n. 151 del 1986, n. 183 del 1987, n. 417 del 1995, n. 262 del 23 luglio 1997), dall’altro lato ha sempre posto l’accento sulla necessaria unitarietà e sintesi di visione (con la sentenza n. 478 del 26 novembre 2002, richiamando le precedenti sentenze n. 85 del 1998 e n. 378 del 2000). Più di recente, a partire dalla sentenza n. 367 del 2007[77], la Corte ha meglio distinto i diversi campi di materia («Sul territorio gravano più interessi pubblici: quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni. La tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario ed assoluto, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali»). In plurime sentenze ha altresì qualificato in termini di norme di grande riforma economico-sociale le previsioni del codice in tema di aree vincolate ex lege (art. 142), di co-pianificazione paesaggistica (art. 143), di preminenza gerarchica del piano paesaggistico (art. 145) e di autorizzazione paesaggistica (art. 146).

    Anche la Corte di giustizia dell’Unione europea ha avuto modo di recente di ammettere la distinzione giuridica tra ambiente – materia nella quale l’Unione ha una sua propria competenza – e paesaggio – materia nella quale, invece, l’Unione è priva di una sua competenza. Con la sentenza della Sez. decima, 6 marzo 2014, nella causa C-206/13, nel dichiararsi "incompetente", perché non attinente con il diritto dell'Unione, sulla questione del possibile conflitto dell’art. 167, comma 4, lett. a), del decreto legislativo n. 42 del 2004 con l’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. e con il principio di proporzionalità, ha respinto la prospettazione del remittente (Tar Sicilia, Palermo, Sezione I, ordinanza 10 aprile 2013, n. 802), secondo la quale la nozione di “ambiente”, rilevante ai fini del diritto europeo, includerebbe anche il paesaggio. La Corte UE ha invece ritenuto la materia della tutela del paesaggio sostanzialmente estranea all'ambito di operatività del diritto dell'Unione ("né le disposizioni dei trattati UE e FUE richiamati dal giudice del rinvio, né la normativa relativa alla Convenzione di Aarhus, né le direttive 2003/4 e 2011/92 impongono agli Stati membri obblighi specifici di tutela del paesaggio, come fa invece il diritto italiano. Gli obiettivi di tali normative e del decreto legislativo n. 42/2004 non sono i medesimi, anche se il paesaggio è uno degli elementi presi in considerazione per valutare l’impatto ambientale di un progetto, ai sensi della direttiva 2011/92, e rientra tra gli elementi presi in considerazione dalle informazioni in materia di ambiente, di cui alla Convenzione di Aarhus, al regolamento n. 1367/2006 e alla direttiva 2003/4")[78].

    7. Unificazione o differenziazione delle competenze

    Sul tema – di centrale rilievo - della differenziazione delle competenze mi permetto di rinviare per sintesi a un mio non recente contributo[79] nel quale ho sostenuto la tesi che, nell’ambito del confronto dialettico tra più interessi pubblici coinvolti in un affare amministrativo, il principio di differenziazione di cui all’art. 118 Cost. (che non si appiattisce su quello di adeguatezza, ma presenta una sua propria e autonoma rilevanza) si coniuga con il principio del contraddittorio, enunciato nell’art. 111 Cost. e ormai riferibile anche al procedimento amministrativo (sempre più processualizzato, come processual-procedimento[80]). Con la conseguenza che i “tre diversi aspetti” in cui si declina la nozione lata e onnicomprensiva di ambiente - ossia il paesaggio, l’ambiente/ecosfera e l’urbanistica/governo del territorio - devono avere ciascuno un proprio rappresentante, un soggetto che esprima e dia voce al diverso punto di vista di ciascuno di questi “aspetti” e che sappia difenderlo nel caso, frequente, di conflitto. Questa impostazione si lega poi all’idea, che pure sostengo da anni, che il Comune – ma penso soprattutto ai piccoli Comuni – non è il posto giusto per fare tutela, poiché il principio di prossimità e di sussidiarietà verticale vale solo per l’amministrazione erogatrice di beni e servizi, non anche per l’amministrazione di tutela, che deve mantenere una fisiologica “distanza” dal conflitto politico locale. 

    Se scorriamo l’indice del così detto “codice ambiente” (d.lgs. n. 152 del 2006) vediamo che la gran parte dei settori e degli ambiti materiali in esso ricompresi presentano un’evidente caratterizzazione tecnico-scientifica e non pongono particolari problemi di sovrapposizione diretta e di possibile confusione con il campo materiale proprio del paesaggio. È sufficiente a questo scopo leggere l’art. 1 del così detto “codice ambiente”, che definisce il suo Ambito di applicazione: “Il presente decreto legislativo disciplina . . . le materie seguenti: a) le procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS), per la valutazione d'impatto ambientale (VIA) e per l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC); b) la difesa del suolo e la lotta alla desertificazione, la tutela delle acque dall'inquinamento e la gestione delle risorse idriche; c) la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati; d) la tutela dell'aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera; e) la tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente”.

    Certamente, è ovvio, tutti gli interventi che si realizzano sul territorio – un depuratore, il movimento delle terre per la bonifica di un sito inquinato, etc. - possono avere una qualche incidenza paesaggistica, ma queste interferenze indirette non alterano la nitida distinzione dei concetti (e, in tesi, delle possibili competenze).

    Vi sono, sì, anche alcuni punti di maggiore e più frequente contatto tra “paesaggio” e “ambiente”, che sono costituiti dalla VIA e dalle aree naturali protette. Alla complessità delle relazioni tra ambiente e paesaggio corrisponde l’emersione e la presenza di una pluralità di conflitti. 

    La stessa, ampia e onnicomprensiva tematica del contenimento del consumo di suolo e del suo uso razionale, che pure potrebbe dare l’occasione di una sintesi virtuosa e di un ritorno all’unità, si presta a due diverse declinazioni, una più “ambientale” – incentrata sull’impermeabilizzazione, il Soil Sailing – l’altra più “paesaggistica” (o, se vogliamo, anche urbanistica) – incentrata sull’uso del suolo, sulla sua occupazione e trasformazione antropica, il Land Take.

    8. Decarbonizzazione e paesaggio

    Sicuramente il settore che ha dato luogo a maggiori conflitti tra ambiente e paesaggio e che rende più immediatamente percepibile la diversità di approccio di questi due campi di materia, confinanti, ma distinti, è quello dello sviluppo degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili: eolico, fotovoltaico, biomasse, mini-idroelettrico.

    Soprattutto l’eolico ha generato forti conflitti e vede normalmente su fronti opposti i difensori del paesaggio (soprattutto del paesaggio appenninico) e i difensori della lotta al mutamento climatico, che oggi si chiama “decarbonizzazione”. Ma questo discorso vale anche per il fotovoltaico, quando, anziché essere realizzato su gray field, su aree industriali, su capannoni aziendali, su aree già impermeabilizzate, aggredisce terreni verdi sottraendoli all’agricoltura e sostituisce ai girasoli o ai campi di grano ettari di pannelli fotovoltaici.

    È un conflitto che è stato avvertito sin dall’inizio, da quando sono scattate le norme di incentivo alla realizzazione dei vari obiettivi proclamati in sede europea e internazionale (l’obiettivo del 20-20-20), e che mostra in assoluta evidenza la divaricazione culturale che separa il “pensare globale, agire locale” dell’ambientalismo globalista industriale dalla tradizione di conservazione dei paesaggi, che è alla radice dell’odierna tutela paesaggistica.

    Ho personalmente sviluppato queste considerazioni in miei non recentissimi contributi, che però mi sembrano ancora attuali e ai quali mi permetto perciò di rinviare, per non appesantire ulteriormente il discorso[81].

    Ricordiamo che il d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 qualifica (art. 12) le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio di tali impianti, quali opere di pubblica utilità indifferibili ed urgenti (previsione già contenuta nell’art. 1, comma 4, della legge 9 gennaio 1991, n. 10, recante Norme per l'attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia), aggiungendo che gli impianti possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, così spianando la strada all’espropriazione per pochi soldi delle aree agricole.

    Il punto centrale delle mie precedenti riflessioni si compendiava nella critica – che sembra oggi ancor più valida a attuale - di tre evidenti illogicità: l’illogicità del sistema della negoziazione (a livello europeo) e della definizione (a livello di piani energetici nazionali) a priori e in astratto di quote, di percentuali, di obiettivi quantitativi di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili senza una preventiva istruttoria tecnica e verifica sul campo su dove e come realizzare questi impianti; l’illogicità degli incentivi indifferenziati, “ciechi” e “muti” riguardo agli impatti negativi indotti sui territori e concessi al di fuori di ogni logica di pianificazione razionale; l’illogicità di una certa giurisprudenza, che sembrava prendere corso nei primi casi applicativi del decreto legislativo, secondo la quale l’interesse sotteso alla realizzazione del “parco eolico” (o del campo fotovoltaico) fosse non già quello economico imprenditoriale del soggetto privato a realizzare un investimento produttivo, bensì quello “pubblico” di tutela ambientale, con conseguente bilanciamento non tra l’art. 9 e l’art. 41 della Costituzione, ma tra l’art. 9 e la tutela ambientale, soprattutto nella sua declinazione eurounitaria e internazionalistica, capace di dare a tale valore – la lotta al climate change – una forza maggiore ai sensi degli artt. 11 e 117 Cost.

    Questo modo di ragionare incappa in un evidente errore logico, prima ancora che giuridico, poiché pone a raffronto termini (e valori-concetti) evidentemente non comparabili perché collocati su scala diversa: la "speranza", futura, eventuale, incerta e del tutto indiretta, che (un domani) il fotovoltaico o l'eolico possano contribuire alla lotta (globale) ai gas climalteranti, da un lato; dall'altro lato, il danno certo, immediato, reale, attuale al paesaggio, che si realizza qui ed ora. 

    L’errore logico, dunque, si risolve nella comparazione di fenomeni che si collocano a scale (spaziali e temporali) del tutto diverse e non seriamente comparabili. Proporzionare le valutazioni alla scala corretta di riferimento è un principio che non vale solo per il diritto, ma per tutti i campi della conoscenza umana. Anche nella fisica, in attesa della Grande Teoria unificante (che è di là da venire), coesistono tre teorie diverse (forse tra loro integrabili o forse contraddittorie), che si applicano alle diverse scale quantitative dei fenomeni osservati: la teoria dei quanti per il microcosmo delle particelle subatomiche, la teoria newtoniana (semplice e chiara) per la scala umana, la teoria dello spazio-tempo a quattro dimensioni della relatività generale einsteiniana per il macrocosmo[82]. Ma nessuno si sognerebbe di spiegare il flusso del traffico veicolare su un’autostrada con la teoria dei quanti o con la curvatura spazio-temporale. La nostra giurisprudenza, invece, pretende di bilanciare i concetti-valori-interessi in campo raffrontando il pensare globale della lotta al cambiamento climatico – che si colloca sulla scala futura dell’intero pianeta – con la tutela dei nostri paesaggi italiani (che si colloca alla scala locale e attuale delle specifiche porzioni territoriali interessate dai progetti di trasformazione antropica).

    Qui assistiamo – in una maniera davvero chiarissima ed emblematica – allo scontro tra due visioni opposte delle cose: da un lato, l’ambientalismo industriale globalista, che vede all’attacco imprese industriali che, sventolando il vessillo di Kyoto e della lotta al mutamento climatico, perseguono loro immediati e concreti ritorni economici di profitto e mirano a realizzare parchi eolici sull’Appennino e campi di pannelli fotovoltaici nelle pianure; dall’altro lato chi ama e difende la qualità dei paesaggi agrari e montani italiani, insieme alle comunità di heritage territoriali, che faticosamente vorrebbero riscoprire e rivalutare le loro radici culturali, la loro identità, legate alla terra, all’agricoltura, ai mestieri tradizionali, e che puntano a un tipo di sviluppo diverso, più equilibrato, basato sulla filiera eno-gastronomica di eccellenza, sull’agriturismo, sullo sviluppo di modi nuovi di abitare, sulla rivitalizzazione degli antichi borghi, e perciò difendono il contesto paesaggistico che esprime e rispecchia questa cultura tradizionale. È in questi ambiti che si manifesta in tutta la sua evidenza la scivolosità del concetto evanescente e intrinsecamente contraddittorio di “sviluppo sostenibile”. Ed è qui che i valori in campo confliggono, poiché bisognerebbe capire quale “sostenibilità” si intende perseguire, se la sostenibilità di uno sviluppo locale autentico, legato alle comunità di heritage di cui parla la Convenzione di Faro, fondata sulla riscoperta della autentica e profonda identità culturale di quei territori, o di una sostenibilità “globale” che, intanto, qui ed ora, si concretizza nello stravolgimento di una tradizione culturale locale.

    Purtroppo si riscontra una scarsa percezione di questi problemi nella giurisprudenza attuale, forse ancora affascinata dall’idea della transizione ecologia e della lotta al climate change. Dalla Corte costituzionale[83], che persiste nel voler difendere il “principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili” e nel negare - contro ogni logica - il potere regionale di razionale pianificazione del territorio mediante la previsione di limiti generali, al Giudice amministrativo[84], che insiste nel pretendere una motivazione rafforzata quando si oppongano valori di tutela paesaggistica alla realizzazione di impianti FER, esigendo “una severa comparazione tra i diversi interessi coinvolti nel rilascio dei titoli abilitativi”, che “non può ridursi all'esame dell'ordinaria contrapposizione interesse pubblico/interesse privato, che connota generalmente il tema della compatibilità paesaggistica negli ordinari interventi edilizi, ciò in quanto la produzione di energia elettrica da fonte solare è essa stessa attività che contribuisce, sia pur indirettamente, alla salvaguardia dei valori paesaggistici”.

    9. Conclusioni.

    Ricapitolando brevemente gli snodi principali del ragionamento sin qui svolto, si è osservato in primo luogo che la distinzione – culturale e giuridica – tra “ambiente” e “paesaggio”, pur ormai acquisita nell’opinione prevalente, tuttavia si confronta e si scontra, ancora oggi, con un’opposta visione, che potremmo dire “integrale”, “unitaria”, o “olistica” del territorio, che indica nella divisione delle competenze (anche con riguardo alla materia dell’urbanistica-governo del territorio) una delle cause dell’inefficacia dell’azione di tutela e (da un diverso punto di vista) della complicazione burocratica, ed auspica, pertanto, la creazione di un unico centro decisionale.

    Questa visione però sembra non avvedersi del rischio che in tal modo l’ambientalismo industriale della transizione ecologica possa inglobare e annullare la tutela paesaggistica, che ad essa obiettivamente si contrappone (poiché i pannelli fotovoltaici nelle campagne, le pale eoliche, le dighe del micro-elettrico, ma anche gli impianti a biomasse, raramente vanno d’accordo con la tutela del paesaggio).

    Peraltro, al di là di alcuni segmenti che presentano una evidente sovrapposizione (parchi, VIA), la distinzione tra i due campi di materia appare abbastanza netta e chiara già sul piano epistemologico (la tutela delle matrici ambientali dagli inquinamenti si occupa, come è noto, prevalentemente di quantità fisico-chimiche e dei loro effetti biologici sull’ecosistema da un punto di vista oggettivo; la tutela del paesaggio opera prevalentemente a livello di percezione e di interpretazione da un punto di vista soggettivo). 

    La distinzione poggia, dunque, sulla natura della logica interna – e dunque sulla natura del tipo di discrezionalità (tecnica) - che connota lo svolgimento delle funzioni di tutela paesaggistica rispetto a quella che caratterizza lo svolgimento delle funzioni di tutela ambientale, inquadrandosi le une in un contesto di logica formale proprio delle scienze comprendenti dello spirito, le altre in un contesto di logica formale proprio delle scienze “esatte” matematizzanti. 

    Tale diversità della logica interna determina rilevanti conseguenze sul regime giuridico delle decisioni amministrative “paesaggistiche” rispetto a quelle “ambientali”, sia sul piano del tipo di semplificazione possibile (si possono autocertificare i fatti, non le opinioni), sia sul piano della tutela giurisdizionale (in termini di ambito e di tipo di sindacato possibile) 

    Queste riflessioni non costituiscono un astratto esercizio classificatorio o dogmatico, ma hanno ricadute operative ed effettuali di straordinario rilievo, in particolare oggi, nel momento in cui la politica è chiamata a decidere come articolare e declinare il Green New Deal e la così detta “transizione ecologica” verso la “decarbonizzazione”, se in una logica puramente industrialista e globalista (che vedrebbe le esigenze paesaggistiche soccombere al dilagare dei campi fotovoltaici, dei parchi eolici, delle dighe nei fiumi e nei torrenti, etc.) o in una (più equilibrata) logica di attenzione (locale) alla qualità dei territori, orientata soprattutto nella direzione della manutenzione dei territori, di una rigenerazione delle aree compromesse e degradate delle periferie urbane, della prevenzione del dissesto idrogeologico e del risanamento e recupero dei borghi appenninici nelle aree interne.

    È significativo (e allarmante) il fatto che nella copiosa produzione normativa e para-normativa dell’Unione europea sul Green New Deal non siano menzionati neanche una volta il paesaggio e il patrimonio storico e artistico e che l’attenzione sia interamente assorbita dalla linea di pensiero dell’ambientalismo industriale[85]. Ma non ci si può certo meravigliare di questa impostazione, che si pone in perfetta coerenza con la genesi e la storia del diritto comunitario dell’ambiente, che, come detto, è nato come forzoso “ritaglio” nel quadro delle competenze della Comunità in materia di concorrenza e di mercato. 

    Si ha, in conclusione, la sensazione che la “transizione ecologica” finirà come al solito per risolversi in un grande greenwashing del vecchio refrain della “Crescita&Sviluppo”, con sacrificio ulteriore dei paesaggi del già “Bel Paese”[86].

    La questione di fondo, come al solito, è culturale: forse la transizione ecologica “vera” non è quella della così detta green economy, che è totalmente organica e interna alle vecchie logiche del profitto e della crescita del PIL, ma è prima di tutto quella, mentale e culturale, basata su un nuovo modo di pensare e di guardare al mondo, su un nuovo stile di vita, sul recupero del senso del limite e su un profondo ripensamento della scala dei valori, con l’abbandono del consumo fine a se stesso e del falso slogan contradditorio dello “sviluppo sostenibile”, nella ricerca di un equilibrio stabile e duraturo. La vera transizione ecologica è probabilmente quella che porta i giovani a tornare alla terra, non quella che usa la terra per togliere l’agricoltura e mettere i pannelli solari per alimentare il business dell’auto elettrica. Ma questa visione nuova sembra essere completamente al di fuori della portata del comune pensiero politico attuale.

       

    [1] F. de Leonardis, Economia circolare: saggio sui suoi tre diversi aspetti giuridici. Verso uno Stato circolare?, in L. Carbone, G. Napolitano e A. Zoppini, La disciplina della gestione dei rifiuti tra ambiente e mercato, Bologna, Il Mulino, 2018, 23 ss. M. Cocconi La regolazione dell’economia circolare. Sostenibilità e nuovi paradigmi di sviluppo, Milano, Franco Angeli, 2020

    [2] La Convenzione europea del paesaggio, fatta a Firenze il 20 ottobre 2000, ratificata dall’Italia con la legge 9 gennaio 2006, n. 14, impone, come è noto, agli Stati parte della convenzione (art. 5, lett. a), di “riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità” e definisce il paesaggio (art 1, lett. a) come “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Tale nozione è stata quindi tradotta e recepita dall’art. 131, commi 1 e 2, del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. n. 42 del 2004: “1. Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni. 2. Il presente Codice tutela il paesaggio relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell'identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali”.

    [3] C. Schmitt, La tirannia dei valori, a cura di G. Gurisatti, Adelphi, Milano, 2008.

    [4] “Non si distribuiscono pasti gratis” è la quarta delle quattro leggi fondamentali dell’ecologia indicate da Berry Commoner (Il cerchio da chiudere. La natura, l’uomo e la tecnologia, Garzanti, Milano, 1972).

    [5] P. Stella Richter, I principi fondamentali del diritto urbanistico, Giuffrè, Milano, 2002; Id., I principi del diritto urbanistico, 2^ ed., Giuffré, Milano, 2006, par. 42 dal titolo “Un territorio, un piano”, 168 ss.

    [6] V. Cerulli Irelli, Pianificazione urbanistica e interessi differenziati, in Riv. trim. dir. pubbl., 1985, 389 e 427 ss.; P. Urbani, Urbanistica, tutela del paesaggio e interessi differenziati, in Regioni, 1986, 665; Id., Ordinamenti differenziati e gerarchia degli interessi nell’assetto territoriale delle aree metropolitane, in Riv. giur. urb., 1990, 609; V. Caianiello, Diritto processuale amministrativo, 2^ ed., Torino 1994, 210 ss.; P. Chirulli, Urbanistica e interessi differenziati: dalle tutele parallele alla pianificazione integrata, in Dir. amm., 1/2015, 51 ss. Id., I rapporti tra disciplina urbanistica e discipline differenziate, in F.G. Scoca, P. Stella Richter, P. Urbani (a cura di), Trattato di diritto del territorio, Torino, 2018, vol I, 20 ss.

    [7] M.S. Giannini, «Ambiente»: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1973, 15 ss. Contrapposta alla tesi gianniniana è quella di A. Postiglione, Ambiente: suo significato giuridico unitario, in Riv. Trim. Dir. Pubb., 1985, 33 ss., secondo il quale era necessario pervenire a una nozione unitaria di “ambiente”, nella logica del diritto soggettivo alla salubrità ambientale a livello individuale. Su questi profili si veda, di recente, P. Colasante, La ricerca di una nozione giuridica di ambiente e la complessa individuazione del legislatore competente, in Federalismi.it, 24 giugno 2020.

    [8] Così S. Settis, La Carta di Roma. La città del futuro è testa e popoloIl Fatto Quotidiano, 6 ottobre 2020, pagg. 1 e 17.

    [9] J. W. Von Goethe, Viaggio in Italia, trad. di E. Castellani, Mondadori, Milano, 1983 (ristampa 2010), 122 (“Salito a Spoleto, mi sono recato all’acquedotto che fa da ponte tra una montagna e l’altra . . . Una seconda natura, intesa alla pubblica utilità, questa fu per loro l’architettura, e in tal guisa ci si presentano l’anfiteatro, il tempio, l’acquedotto”). Sul tema cfr. S. Settis, Architettura e democrazia, Einaudi, Torino, 2017, cap. IV, Eine zweite Natur, 97 ss.

    [10] Così A. Carandini, La bellezza abbracciata alla «salute», in Il Sole 24 OreDomenica, 18 ottobre 2020, XVII, che parla di “una prima e una seconda natura mai da contrapporre ma da bilanciare e ricomporre alla radice” e sottolinea l’esigenza, sempre più avvertita, di recuperare “il senso del contesto e quindi del tutto, composto sia dalle scienze della natura che da quelle della storia: due culture oggi ancora così divise, che trattano ambiente e cultura come universi estranei” (concetti sviluppati dall’Illustre A. in La forza del contesto, Laterza, Laterza, Roma-Bari, 2017).

    [11] A. Carandini, La potenza culturale della nostra ItaliaDomenica de Il Sole 24 Ore del 28 febbraio 2021, pag. XI. Su queste idee si insiste nel XXV convegno del Fondo ambiente italiano (Fai) del 20 marzo 2021. Il già citato Presidente del Fai, Carandini, ad esempio, afferma che “Il Fai concepisce l’ambiente come un tutto . . . [il Fai è] votato a riequilibrare la storia e la natura, a promuovere la coscienza di luogo tramite racconti e altre concrete azioni riguardo a educazione e pianificazione” e che “C’è una formazione per integrare la cultura della natura e quella del paesaggio, della storia e dell’arte”. Aggiunge (Alberi e colonne meritano davvero uguale attenzione, in Domenica de Il Sole 24 Ore, 21 marzo 2021, XII) “Insomma, a ciascuno il suo, a seconda della vocazione e della missione, ma tutti uniti per cui, tramite i vari spicchi, possiamo ricomporre l’arancio intero”.

    [12] Alain Badiou, L’essere e l’evento, trad. di G. Scibilia, a cura di P. Cesaroni, M. Ferrari e G. Minozzi, Mimesis, Edizioni, Milano – Udine, 2018. Osserva M. Aime (Classificare, separare, escludere, Einaudi, Torino, 2021, 14 e 15) che “Di fatto ogni cultura è un tentativo di conferire un certo ordine alla natura e al mondo che ci sta intorno” e che, con riguardo soprattutto alla mente occidentale (C. Bollas, La mente orientale (Psicoanalisi e Cina), trad. it. di M. P. Nazzaro, Milano, 2011), “Una delle prime operazioni di riordino del mondo è stata la divisione netta tra natura e cultura”.

    [13] Ho svolto questa critica sia a proposito della Convenzione europea del paesaggio, sia della Convenzione di Faro sul valore dell’eredità culturale per la società: dire che “tutto è paesaggio” – o che tutto è patrimonio culturale – equivale a dire, sul piano giuridico, che nulla è paesaggio (e che nulla è patrimonio culturale). Si vedano P. Carpentieri, Regime dei vincoli e Convenzione europea, in G. F. Cartei (a cura di), Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Bologna, 2007, 135 ss.; IdLa Convenzione di Faro sul valore dell’eredità culturale per la società (da un punto di vista logico), in Federalismi.it, n. 4/2017, 22 febbraio 2017, al sito http://www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=33604, e, da ultimo, G. Severini, P. Carpentieri, La ratifica della Convenzione di Faro «sul valore del patrimonio culturale per la società»: politically correct vs. tutela dei beni culturali?, in Federalismi.it, n. 8/2021, 24 marzo 2021.

    [14] S. Settis, Se Venezia muore, Einaudi, Torino, 2014, 97; Id., Paesaggio, Costituzione, cemento, Torino, Einaudi, 2010, 222 ss. (cap. VI, L’Italia si fa in tre: paesaggio, territorio, ambiente). Il Presidente del Tar di Lecce, A. Pasca, un tribunale particolarmente impegnato sulle tematiche paesaggistiche e ambientali, nel discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario 2021, in data 20 marzo 2021, ha osservato come “L’inscindibile relazione che lega il paesaggio all’ambiente, nonché le frequenti ipotesi di conflitto degli interessi tra le due succitate materie, conducono ad auspicare una sintesi delle competenze sotto un unico centro decisionale”.

    [15]. Si veda da ultimo il disegno di legge costituzionale A.S. 1203 recante Modifica dell'articolo 9 della Costituzione in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, protezione della biodiversità e degli animali, promozione dello sviluppo sostenibile, anche nell'interesse delle future generazioni, discusso nella 1ª Commissione permanente (Affari Costituzionali) del Senato in sede referente congiuntamente ai disegni di legge A.S .83, 212,.1532, 1627, 1632, 938 e 2160 nella seduta del 14 aprile 2021.

    [16] P. Carpentieri, Voce “Paesaggio [dir. amm.]”, in Diritto on line Treccani, 8 giugno 2018, al sito http://www.treccani.it/enciclopedia/paesaggio-dir-amm_%28Diritto-on-line%29/).

    [17] Estetico in senso letterale (dal greco αἴσθησις, “sensazione”, αἰσθάνομαι, “percepire attraverso i sensi”) e in senso gnoseologico [nel senso del trattato Aesthetica del 1750 di Alexander Gottlieb Baumgarten (Lezioni di estetica, Aesthetica edizioni, 2020), cui si deve l’introduzione della “gnoseologia” come teoria della conoscenza (distinta in logica ed estetica), e nel senso dell’“estetica trascendentale” come dottrina della percezione sensibile nella Critica della ragion pura di Immanuel Kant o del così detto “più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco” (attribuito a Hegel, ma forse di Holderlin o Shelling), datato 1797, secondo il quale “l’idea che unifica tutte le altre, l’idea della bellezza, assumendo il termine nel più alto significato platonico. Io sono ora convinto che l’atto supremo della ragione, in quanto abbraccia tutte le idee, è un atto estetico e che verità e bontà solo nella bellezza sono congiunte”; o nel senso dell’Estetica di Hegel e di Friedrich Schiller (i cui scritti sull’estetica sono stati ora raccolti nel volume L’educazione estetica, Aesthetica edizioni, 2020)]. Una declinazione della nozione di “paesaggio” in chiave soprattutto estetica in R. Assunto, Il paesaggio e l’estetica: arte, critica e filosofia, Giannini, Napoli, 1973; Id., Filosofia del giardino e filosofia nel giardino. Saggi di teoria e storia dell’estetica, Bulzoni, Roma, 1981.

    [18] Resta sottinteso – in quanto ovvio – che la distinzione tra “scienze esatte” e “scienze deboli”, come quella storicistica tra “scienze della natura” e “scienze dello spirito”, è una distinzione ormai superata nel dibattito filosofico (si veda, ad esempio, H. Putnam, Fatto/valore; fine di una dicotomia, trad. it. di G. Pellegrino, Roma, 2004). Essa, tuttavia, presenta ancora un profilo euristicamente fecondo sia ai fini della riflessione sulle diverse matrici storico-culturali del diritto dell’ambiente-cultura (paesaggio) rispetto al diritto dell’ambiente-natura (ambiente-ecosfera), sia ai fini di una migliore comprensione della logica formale interna del sillogismo che viene ad essere costruito nell’esercizio delle funzioni e nelle determinazioni amministrative di tutela ambientale (accertamenti tecnici). Questa impostazione è approfondita in P. Carpentieri, Interesse paesaggistico e procedimenti autorizzativi, in Riv. giur. urb., n. 2 del 2015, e, più di recente, Id., La decisione amministrativa discrezionale. Principio di proporzionalità e sindacato giurisdizionale, in Giust.Amm.it, n. 1 - 2020 [6096], 19 gennaio 2020.

    [19] L’idea che la minorità fisica e naturale dell’uomo sia stata la condizione necessaria per lo sviluppo adattivo della memoria dell’esperienza e, quindi, della riflessione, fino alla conoscenza e al linguaggio, consentendo all’uomo di creare un ambiente a sua misura, dominando il mondo con la tecnica; è stata sviluppata soprattutto da A. Ghelen, L’uomo delle origini e la tarda cultura, a cura di V. Rasini, trad. it. di E. Tetamo, Mimesis, Milano, 2016, ma è già in Samuel Pufendorf, 1672, De iure naturae et gentium libri octo, così come in Bacone, in Herder (secondo cui l’uomo supplisce alla mancanza dell’istinto con la riflessione), nonché in Max Sheler, Helmut Plessner, Hans Georg Gadamer

    [20] Sul superamento della dicotomia “natura-cultura” si veda il recente contributo di Yan Thomas e Jacques Chiffoleau, L’istituzione della natura, a cura e con un saggio di Michele Spanò, Quodlibet, Macerata, 2020. Andy Clark e David Chalmers, The Extendend Mind, in Analysis, vol. LVIII, n. 1, 1998, sostengono che quando le nostre tecnologie si adattano a noi in modo attivo, automatico e continuo, così come noi ci adattiamo a loro, allora la linea che separa lo strumento dal suo utilizzatore diviene incerta. Rifiutano l’identificazione ontologica ed epistemologica tra mentale e cerebrale. Rifiutano l’identificazione tra biologico e naturale da un lato e tra tecnologico e artificiale dall’altro. Tutto questo ha a che vedere anche con il “modello della mente estesa” della più recente scienza della mente, secondo la quale “la mente non è all’interno del cervello, ma si diffonde nel corpo e nell’ambiente” (M. Di Francesco, L’io esteso. Il soggetto tra biologia e cultura, in M. Di Francesco, M. Marraffa (a cura di), Il soggetto. Scienze della mente e natura dell’io, Bruno Mondadori, Milano, 2009, 170.

    [21] Sulla lettera del Petrarca sull’ascesa al Monte Ventoso cfr. da ultimo A. Vedaschi, R. Grazzi, Il paesaggio e il consumo del territorio: dalla tutela alla valorizzazione, in S. Lo Nardo e A.Vedaschi (a cura di), Consumo del territorio, crisi del paesaggio e finanza locale, Gangemi, Roma 2011, 105-124, nonché H. Küster, Piccola storia del paesaggio, Donzelli, Roma, 2010, 4. Sui paesaggi storici italiani si veda l’ampia rassegna di Arnold Esch, Viaggio nei paesaggi storici italiani, trad. di Flavia Paoli, Leg Edizioni, Gorizia, 2020 (il paesaggio toscano del ciclo di affreschi di Benozzo Gozzoli nella cappella dei Magi di Palazzo Medici Riccardi di Firenze, gli sfondi delle opere del Pollaiolo con la valle dell’Arno, la Crocifissione di Antonello da Messina conservata al Koninkdijk Museum di Anversa, con lo sfondo del paesaggio dello Stretto, etc.).

    [22] Genesi, 2, 6, 15 (La sacra Bibbia della CEIeditio princeps, 1971, ristampa 2006, RCS Quotidiani s.p.a., Milano, Antico TestamentoPentateuco I, parte I, 56). Illuminante sul punto la prolusione tenuta dal cardinale Gianfranco Ravasi in occasione della prima giornata degli Stati generali del paesaggio, il 26 ottobre 2017, in Roma, intitolata «Pose l’uomo nel giardino per coltivarlo e custodirlo. Paesaggio, spiritualità e cultura». Temi, questi, sviluppati in modo più ampio in G. Ravasi, Il Grande Libro del Creato. Bibbia ed Ecologia, Edizioni San Paolo, 2021.

    [23] È noto che l’immagine dell’Eden è presente già nella tradizione sumera del dio Enki, nel poema assiro-babilonese Enuma Elish e nel mito di Gilgamesh e dell'ultimo uomo sopravvissuto al diluvio, Utnapishtim, sul quale si veda di recente R. Calasso, La tavoletta dei Destini, Adelphi, Milano, 2020. Sulla diffusione di questo archetipo in molte religioni orientali cfr. A Graf, Miti, leggende e superstizioni del medioevo, Loescher, Roma, 1892-1893, ora riedito in versione integrale a cura di C. Allasia e W. Meliga, prefazione di M. Guglielminetti, saggi introduttivi di E. Artifoni e C. Allasia, Bruno Mondadori, Milano, 2002.

    [24] Si pensi alla ripresa del mito virgiliano dell’Arcadia come paesaggio spirituale, dal ciclo dei dipinti del Guercino (Et in Arcadia ego) all’Accademia fondata nel 1690 in Roma dal Crescimbeni attorno a Cristina di Svezia (sul movimento poetico letterario nel XVIII sec. si vedano M.L. Doglio, M. Pastore Stocchi, Rime degli Arcadi I-XIV, Ed. di Storia e Letteratura, Roma, 2020, e AA.VV., Canoni d’Arcadia, Ed. di Storia e Letteratura, Roma, 2020). Ma si pensi anche all’idea di paesaggio del progetto della “Platonopoli” plotiniana del circolo mediceo riunito nella villa di Careggi, come disegno razionale del territorio secondo schemi ideali superiori. Un ruolo centrale, un file rouge continuo, che lega insieme tutto lo sviluppo storico dell’idea di paesaggio, è costituito dall’idea del giardino, dell’eden, dalla Roma antica (ma dalla Mesopotamia) fino ad oggi.

    [25] Si ricordino, tra i pittori di paesaggio tedeschi, oltre a Carl Blechen (Le rocce di Tiberio a Capri, 1828-29), Carl Feuerbach, Hans Thoma, Franz von Lenbah. Sul ruinismo cfr. Alain Schnapp, Une histoire universelle des ruines. De origines aux Lumières, Edition du Seuil, 2021.Tra i Preraffaelliti John Everett Millais, James Tissot, Dante Gabriel Rossetti, George Frederic Watts, John Singer Sargent ed Edward Burne-Jones, Lawrence Alma-Tadema.

    [26] L’espressione il “Bel Paese” risale a Dante («del bel paese là dove 'l sì suona», Inferno, canto XXXIII, verso 80) e Petrarca («il bel paese ch'Appennin parte e 'l mar circonda e l'Alpe», Canzoniere, CXLVI, versi 13-14). Su questi profili si vedano i fondamentali contributi chiarificatori di G. Severini, L’evoluzione storica del concetto giuridico di paesaggio, 59 ss., soprattutto 60-61 e nota n. 2, in G. Morbidelli, M. Morisi (a cura di) Il “paesaggio” di Alberto Predieri, Atti del Convegno «Il “paesaggio” di Alberto Predieri. A cinquant’anni dal “Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio», svoltosi a Firenze l’11 maggio 2018, Passigli Editore, Firenze, 2019, nonché IdCulturalità del paesaggio e paesaggi culturali, in Federalismi.it, 27 maggio 2020, rielaborazione della relazione tenuta al 65° Convegno di Studi amministrativi, Dall’urbanistica al governo del territorio: valori culturali, crescita economica, infrastrutture pubbliche e tutela del cittadino, Varenna, 19-20-21 settembre 2019, in corso di pubblicazione anche nei relativi “Atti”. Si veda anche P. Camporesi, Le belle contrade. Nascita del paesaggio italiano, Garzanti, Milano, 1992. Illustra bene il rapporto di reciproco influsso tra una certa idea di paesaggio e lo sviluppo di un primo turismo di massa il saggio L’Orco, il Monaco e la Vergine. Eiger, Mömch, Jungfrau e dintorni. Storie dal cuore di ghiaccio d’Europa, di P. Paci, Corbaccio, Milano, 2020, che descrive lo sviluppo del turismo inglese nell’Oberland bernese nell’Ottocento. Sulla nascita, alla fine del Settecento, del culto delle Alpi, con il diffondersi della moda del viaggio a scopi estetici, cfr. R. Bodei, Le forme del bello, cit., 130.

    [27] La nostalgia per la wilderness è spesso nostalgia per una natura più selvaggia, legata a un ideale romantico (Ch, Thacker, The Wilderness Pleases, London-Camberra, New York, 1983). Per H. Küster (Piccola storia del paesaggio, cit., 94) il culto della wilderness non era biologia ma desiderio di un paesaggio “più selvaggio”. Si veda anche R. Bodei, Paesaggi sublimi. Gli uomini davanti alla natura selvaggia, Milano, 2008.

    [28] Sull’interesse di Goethe per i giardini (che partecipò allo sviluppo del parco di Weimar e dell’orto botanico di Jena) cfr. R. Bodei, Scomposizioni (Forme dell’individuo moderno), Il Mulino, Bologna, 2020, 278. Sul ruolo centrale che l’estetica del giardino ha rivestito nello sviluppo dell’idea di paesaggio si vedano C. Moore, W. Turnbull jr, W.J. Mitchell, The poetics of gardens, Cambridge (Mass.), London 1988, nonché Culture and nature. International legislative texts referring to the safeguard of natural and cultural heritage, ed. C. Añón Feliú, Firenze 2003, quinto volume dedicato a Giardini e paesaggio. Traggo queste citazioni da F. Zagari, voce Paesaggio, in X Appendice dell’Enciclopedia Italiana, volume secondo, L-Z, Roma, 2020, 249.

    [29] L’estetica di Croce coglie dunque un elemento centrale della nozione di “paesaggio”, e questo aspetto andrebbe rivalutato, valorizzando le origini “crociane” della nostra legislazione nella materia, a partire dalla fondamentale legge 11 giugno 1922, n. 778. È noto che per Croce l’estetica è una disciplina filosofica, anzi è uno dei pilastri della filosofia, che coglie uno dei modi della conoscenza, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale. Autonomia dell’arte orientata alla bellezza nell’autonomia dell’arte, che non ha scopi utilitaristici, concettuali o moralistici, ma ha un carattere contemplativo e disinteressato e viene fuori dalla sintesi a priori tra forma e contenuto: l’arte è, infatti, intuizione pura (B. Croce, Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale. Teoria e storia, 1965).

    [30] La commissione Franceschini, nella dichiarazione XXXIX della relazione finale, definiva i beni culturali ambientali come “le zone corografiche costituenti paesaggi, naturali o trasformati dall’opera dell’uomo, e le zone delimitabili costituenti strutture insediative, urbane e non urbane, che, presentando particolare pregio per i loro valori di civiltà, devono essere conservate al godimento della collettività” (F. Franceschini, Relazione della commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, in Riv. trim. dir. pubbl., 1966, 119, nonché in Per la salvezza dei beni culturali, Roma, 1967).

    [31] E. Morin, op. cit., 27 ss.

    [32] Non necessariamente un’estetica del “brutto” (Karl Rosenkranz Estetica del brutto, Aesthetica edizioni, Sesto San Giovanni, Milano, 2020). In Rosenkranz il brutto assume un ruolo di mediazione nella dialettica realizzativa del bello. Si veda, in tema, anche R. Bodei, Le forme del bello, cit., soprattutto 141 ss.

    [33] E. Boscolo, La nozione giuridica di paesaggio identitario ed il paesaggio ‘a strati’, in Riv. giur. urb., 2009, Id., Appunti sulla nozione giuridica di paesaggio identitario, in Urb. e app., 2008, n. 7, 797 ss.

    [34] Sul fondamentale contributo di Alberto Predieri (A. Predieri, Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione, Milano, 1969, nonché Id., voce Paesaggio in Enc. Dir., vol. XXXI, Milano, 1981, pag. 514.) si veda il già richiamato volume a cura di G. Morbidelli, M. Morisi, Il “paesaggio” di Alberto Predieri, cit.

    [35] C. Tosco, Il paesaggio come storia, Bologna, 2007, 35.

    [36] H. von Humboldt, Quadri della natura, trad. di G. Melucci, La Nuova Italia, Firenze, 1999.

    [37] Roger Scruton definisce oikophilia l’amore per la casa (Beauty: A Very Short Introduction, Oxford University Press, Oxford, 2009 - citazione tratta da F. Giubilei, op. cit., 102). Per un esame di queste posizioni cfr. S. Settis, Azione popolare, Einaudi, Torino, 2012, 153 ss.

    [38] R. Scruton, Beauty: A Very Short Introduction, cit; G. Simmel, Saggi sul paesaggio, Armando Editore, Roma, 2006; R. Assunto, Il paesaggio e l’estetica: arte, critica e filosofia, cit.; Id., Filosofia del giardino e filosofia nel giardino. Saggi di teoria e storia dell’estetica, cit.; P. D’Angelo, Filosofia del paesaggio, Quodlibet, Macerata, 2010; C. Raffestin, Dalla nostalgia del territorio al desiderio di paesaggio, Elementi per una teoria del paesaggio, Alinea, Roma, 2005; R. Milani, L’arte del paesaggio, Il Mulino, Bologna, 2001; Id., L’arte della città, Il Mulino, Bologna, 2015; I. Baldriga, Estetica della cittadinanza. Per una nuova educazione civica, Le Monnier, Firenze.

    [39] Sul modello tedesco dei Denkmaler der Natur, der Kunst, der Geschiste si veda S. Settis., Architettura e democrazia, cit., 31 ss., nonché, da ultimo, anche con riferimento alla legislazione francese, con la consueta profondità e completezza, G. Severini, Culturalità del paesaggio e paesaggi culturali, cit. Su Ernst Rudorff (Heimatschutz, Erstdruck, 1897) cfr. C. Tosco, Il paesaggio come storia, cit., 57. Su Humboldt cfr. A. Wolf, L’invenzione della natura. Le avventure di Alexander Von Humboldt, l’eroe perduto della scienza, Luiss Univ. Press, Roma, 2017

    [40] Il richiamo a Victor Hugo è tratto da G. Severini, Culturalità del paesaggio e paesaggi culturali, cit., nota n. 3.

    [41] Su questi profili si veda R. Bodei, Scomposizioni (Forme dell’individuo moderno), cit., cap. VII, Solitudine e oblio, 211 ss. Sulla nozione di “sublime” nell’evoluzione dell’estetica cfr. R. Bodei, Le forme del bello, cit., 122 ss.

    [42] Essai sur la nature, le but et les moyens de l'imitation dans les beaux-arts, 1823. Il testo del 1815 Considérations morales sur la destination des ouvrages de l'art, ou de l'influence de leur emploi sur le génie et le goût de ceux qui les produisent ou qui les jugent contribuì agli sviluppi del dibattito in Francia intorno alla legittimità delle spoliazioni e della raccolta di beni in Francia, dibattito che è probabilmente alle origini della nascita della nozione di patrimonio culturale, come chiarito da S. Settis, Paesaggio, costituzione, cemento, cit., 88 ss.

    [43] A Henry David Thoreau – autore del famoso Walden; or, Life in the Woods, 1854 (Walden. Vita nel bosco, trad. it. di S. Proietti, Donzelli, Roma, 2005) – sembra si debba il topos del paesaggio come “volto amato della patria”. John Muir (1838 – 1914) è il fondatore nel 1892 del Sierra Club, uno dei primi movimenti ambientalisti, ed è considerato il padre dei primi parchi nazionali degli USA (nel 1903 convinse Theodore Roosevelt ad avviare la costituzione dei parchi nazionali, Yosemite Park e Sequoia Park, lungo i quali ancora oggi c’è il Muir Trail, fino alla cima del monte Whitney; di Muir è uscita di recente una nuova edizione del libro Andare in montagna è andare a casa, Piano B Edizioni, Prato, 2020). George P. Marsh, primo ambasciatore nel Regno d’Italia degli Stati Uniti, è famoso per il suo Man and Nature, del 1864, tradotto in italiano dallo stesso Autore nel 1870.

    [44] Una vera e propria “Repubblica delle Lettere” per il paesaggio, espressione di un unico milieu culturale omogeneo, nel quale il paesaggio è prima di tutto storia e identità culturale (mutuando, si licet, l’idea di una “Repubblica delle Lettere”, che costituì già nel tardo Medioevo e nel Seicento la vera forza di coesione dell’Europa,temi sui quali si veda Marc Fumaroli, Le api e i ragni. La disputa degli Antichi e dei Moderni, trad. it. di G. Cillario e M. Scotti, Milano, 2005, Autore scomparso a Parigi il 24 giugno 2020, ricordato da Carlo Ossola su La Domenica del Sole 24 Ore del 28 giugno 2020, che ricorda come Fumaroli parlasse di “diplomazia dello spirito”, come l’insieme delle credenze che fanno di una popolazione una comunità naturale).

    [45] G. Severini, soprattutto in L’evoluzione storica del concetto giuridico di paesaggio, cit, dove l’illustre A. richiama l’omogeneità della visione europea della tutela del paesaggio agli inizi del Novecento, espressa in Italia dalla legge sulla pineta di Ravenna n. 411 del 1905 e dalla legge Croce del 1922, in Francia nella legge Beauquier 21 aprile 1906 sui paesaggi pittoreschi, «organisant la protection des sites et monuments naturels de caractère artistique», in Prussia dall’analoga legge 15 luglio 1907 «gegen die Verunstaltung von Ortschaften und landschaftlich hervorragenden Gegenden» (contro le deturpazioni degli abitati e dei paesaggi eccellenti), anticipata da quella del 2 giugno 1902 e da norme degli Stati germanici.

    [46] Il punto, di grande rilievo, direi essenziale per la comprensione della nascita e dell’evoluzione della tutela paesaggistica e ambientale in Italia, è ricostruito da G. Severini in Culturalità del paesaggio e paesaggi culturali, cit. Si veda anche F. Giubilei, Conservare la natura (Perché l’ambiente è un tema caro alla destra e ai conservatori), Giubilei Regnani, Roma-Cesena, 2020, 3096-97, che riconnette a questi primi movimenti turistici la spinta verso la costituzione dei primi parchi nazionali, quello dell’Abruzzo (1921), del Circeo (1934) e dello Stelvio (1935). Alla lista deve ovviamente aggiungersi il Parco nazionale del Gran Paradiso, nato nel 1922.

    [47] M. D’Amelio, La tutela giuridica del paesaggio, in Giur. It., 1912, 129 ss.

    [48] Non può non ricordarsi, infine, in questo discorso, che la legge Rava – Rosadi n. 411 del 16 luglio 1905 era intitolata “per la conservazione della Pineta di Ravenna” e si proponeva, quale suo scopo precipuo, la difesa dei luoghi cantati da Dante nella Divina Commedia [“la divina foresta spessa e viva” del Canto XXVIII del Purgatorio, luogo narrativo poi ripreso anche dal Boccaccio nella novella di Nastagio degli Onesti del Decamerone (V, 8)]. Si veda in proposito, il volume di R. Balzani, Per le antichità e le belle arti, la legge n. 364 del 20 giugno 1909 e l’Italia giolittiana, ed. del Senato della Repubblica, Bologna, 2003, 435 e 436. Sulla legge “Croce” n. 778 del 1922 si veda la bella prolusione di S. Settis, Benedetto Croce ministro e la prima legge sulla tutela del paesaggio, tenuta il 3 ottobre 2011 presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, reperibile al sito http://www.unive.it/media/allegato/infoscari-pdf/Croce-Ca_Foscari1.pdf.

    [49] Un secondo aggiornamento, dal titolo Limits to Growth: The 30-Year Update, è stato pubblicato il 1º giugno 2004 dalla Chelsea Green Publishing Company. L’aggiornamento si apre sottolineando che l'impronta ecologica (tecnica introdotta da Mathis Wackernagel e altri nel 1996) ha iniziato a superare intorno al 1980 la capacità di carico della Terra e la supera attualmente del 20%. Cfr. J. Randers, 2052. Scenari globali per i prossimi quarant’anni, Edizioni Ambiente, 2013.

    [50] N. Georgescu-Roegen, The Entropy Law and the Economic Process, Harvard Univesity Press, Boston, 1971, introdusse il concetto di bioeconomia (traggo il riferimento da F. Giubilei, op. cit., 71).

    [51] Virginio Bettini (1942 – 2020) è stato un politico italiano, esponente dei Verdi Arcobaleno e della Federazione dei Verdi. A lui si deve la prima critica alla “ideologia borghese dell’ecologia”, la “ecologia delle contesse”, ossia a quella tradizione, fondamentalmente elitaria, che vedeva la tutela ambientale come tutela del volto amato della Patria, dei bei paesaggi e del Belpaese.

    [52] Barry Commoner, biologo ed ecologo statunitense (New York 1917- 2012), professore di fisiologia vegetale all’Università di Washington, ha applicato un rigoroso approccio scientifico ai problemi ambientali ed ha fondato nel 1966 il Center for biology of natural system di New York.

    [53] Sulla Relazione Tecneco e sulla sua impostazione “panurbanistica”, intesa a ricondurre la materia “ambiente” nelle competenze regionali, con vis actractiva sul paesaggio, cfr. S. Settis, Paesaggio, Costituzione, cemento, cit., 225 ss. ed ivi un’attenta analisi dei testi dei primi statuti regionali del 1970 – 1971 e dei riferimenti in essi contenuti alla tutela dell’ambiente.

    [54] In Wikipedia si legge che “La frase originale "Think global, act local" è stata attribuita all’urbanista scozzese e attivista sociale Patrick Geddes. Anche se la frase esatta non appare in Geddes, 1915, libro 'Le città in evoluzione' . . . Il primo uso della frase in un contesto ambientale è contestata. Alcuni dicono che è stato coniato da David Brower, fondatore di Friends of the Earth, come uno slogan per FOE quando è stata fondata nel 1969, anche se altri lo attribuiscono a René Dubos nel 1977. Il "futurista" canadese Frank Feather ha anche presieduto una conferenza chiamata "pensare globalmente, agire localmente" nel 1979 e ha rivendicato la paternità dell'espressione. Altri includono tra i creatori possibili il teologo francese Jacques Ellul”. Sul cortocircuito del fenomeno “glo-cal”, tra globale e locale, cfr. G. Marramao, Kairòs, Apologia del tempo debito, ed. ampliata, Bollati Boringhieri, 2020, Torino, Prefazione alla nuova edizione, 19 (che richiama Marshall McLuhan, che “aveva caratterizzato il «villaggio globale» come contrassegnato da una dinamica ambivalente: di unificazione planetaria e di «decentralizzazione tribale»”).

    [55] Gro Harlem Brundtland, presidente della Commissione mondiale su Ambiente e Sviluppo (World Commission on Environment and Development, WCED,) istituita nel 1983, introdusse, nel rapporto «Our common future», l’idea del «sustainable development», con un’impostazione sostanzialmente recepita nel 1989 dall’Assemblea generale dell’ONU.

    [56] Ho sostenuto che il concetto di “sviluppo sostenibile” sia un ossimoro in un mio non recente contributo (La causa nelle scelte ambientali, in Rivista della Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze, n. 3/2006, 99 ss.). Apprendo da F. Giubilei, Conservare la natura, cit., 155, che questa considerazione sarebbe stata formulata da Alain de Benoiste e da Serge Latouche, nell’ambito della teoria della decrescita felice. Una critica analoga anche in E. Goldsmith, The Earth Report, Mitchell Bezley, Londra, 1992. Per certi aspetti l’idea di sviluppo sostenibile sembra rievocare echi hegeliani, nel richiamo dei “pilastri” fondamentali della dialettica: contraddizione e sviluppo, storia orientata verso un fine lontano, sacrificio del presente in favore del futuro (R. Bodei, Scomposizioni, cit., 389, il quale osserva anche – ivi, 287 - come l’ideale della Bildung e della metafisica dello sviluppo siano sorti in funzione dell’oltrepassamento dei limiti). Da ultimo E. Comelli, E. Bianchetti, Tocca a noi, Siamo stati il problema, possiamo essere la soluzione, Edizioni Ambiente, 2020, osservano condivisibilmente che al posto del concetto di “sviluppo sostenibile” occorrerebbe parlare di “equilibrio”, poiché quella di “sviluppo sostenibile” è una “definizione che ha fatto il suo tempo e che porta in sé tutta l’ambiguità in cui ci siamo cullati negli ultimi decenni”, e che certamente non può continuare a essere inteso nel senso praticato finora, come “crescita a tutti i costi, fatturato, PIL, remunerazione, ricchezza”.

    [57] L’8 agosto 2019 l’IPCC ha pubblicato un nuovo rapporto sul clima, approvato a Ginevra dalle delegazioni di 195 Paesi.

    [58] Per Haeckel l’ecologia è “la scienza complessiva delle relazioni di un organismo con l’ambiente circostante” (così riferisce G. Ieranò, Le parole della nostra storia, Marsilio, Venezia, 2020, 188).

    [59] H. Küster, op. cit., 102.

    [60] J. Lovelock, La rivolta di Gaia, Rizzoli, 2006. Riprende la teoria di Gaia Bruno Latour, La sfida di Gaia. Il nuovo regime climatico, prefazione di Luca Mercalli, trad. di Donatella Caristina, Meltemi, 2020.

    [61] Forse una radice di questa teoria è da ricercare in Alexander Von Humboldt, il quale, nella narrazione dei suoi viaggi in America del Sud (Personal Narrative, letto e ammirato da Darwin) sviluppò l’idea che la Terra fosse un unico grande organismo vivente in cui tutto è interconnesso (come evidenziato da A. Wolf, L’invenzione della natura. Le avventure di Alexander Von Humboldt, l’eroe perduto della scienza, cit.). La teoria di Gaia – come, del resto, molti temi ambientalisti di oggi – sembra trovare peraltro illustri antecedenti in Spinoza, Shelling e, forse, in Anassimene di Mileto (546-525 a.C.), filosofo della scuola Ionica, discepolo di Anassimandro, secondo il quale il mondo è un animale gigantesco che respira. La base filosofica migliore del pensiero ambientalista va ricercata nel libro di Hans Jonas Il principio responsabilità, che è del 1979 (H. Jonas, Il principio responsabilità, 1979, ed. it. a cura di P.P. Portinaro, Torino, 2009). Habitat è la terza persona singolare del verbo Habitare (habitus, da cui abitudine, che ne è il participio passato). La oikos di economia e di ecologia, nella sua radice etimologica che richiama il concetto di “casa”, è in qualche modo alla base sia del paesaggio, sia dell’ambiente-ecologia, solo che per il primo la casa da difendere è questa, dei nostri territori, nei quali noi siamo insediati e attraverso i quali edifichiamo la nostra identità; quella dell’ambiente-ecologia, soprattutto negli ultimi decenni, è invece quella globale e si identifica con il mondo intero, Gaia, il pianeta vivente.

    [62] Sulla stretta derivazione delle politiche comunitarie dalle scienze e dalle tecniche ambientali cfr. M. Cecchetti, La Corte costituzionale davanti alle “questioni tecniche” in materia di tutela dell’ambiente, in Federalismi.it. 13 maggio 2020. Più in generale, osserva condivisibilmente l’A. che “che la produzione pubblica del diritto dell’ambiente consiste pressoché sempre – e, soprattutto, nei suoi contenuti più tipici e qualificanti – in un’attività di “normazione tecnica”, ossia nella produzione di “regole tecniche” in senso stretto, ovvero di regole giuridiche elaborate sulla base o in funzione di presupposti e di dati conoscitivi di natura “tecnico-scientifica”, per cui “non ci si può occupare del diritto ambientale se non facendo i conti con le elaborazioni delle c.d. “scienze dure”.

    [63] M. Cecchetti, Le politiche ambientali tra diritto sovranazionale e diritto interno, in Federalismi.it, n. 7/2020, 27 marzo 2020.

    [64] Si rinvia in proposito alla più diffusa manualistica di diritto dell’ambiente (Trattato di diritto dell’ambiente, diretto da P. Dell’Anno ed E. Picozza, vol. I, Principi generali; A. Gustapane, Tutela dell’ambiente (dir. interno), in Enc. Dir., Milano 1992, 413 ss.; P. Dell'Anno, Manuale di diritto ambientale, Padova, 1998; A. Crosetti, R. Ferrara, N. Olivetti Rason, Diritto dell'ambiente, Laterza, Bari, 2002; B. Caravita, Diritto dell’ambiente, Il Mulino, Bologna 2005; F. Fonderico, Ambiente (Dir Amm.), in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Giuffré, Milano 2006, 204 ss.; Id., Ambiente (tutela dell’). I) Diritto amministrativo, in Enc. Giur., Agg., XVI, Roma 2008; L. R. Perfetti, Premesse alle nozioni giuridiche di ambiente e paesaggio. Cose, beni, diritti e simboli, in Riv. giur. ambiente, 2009, 1 ss.; F. Fracchia, Il principio dello sviluppo sostenibile, in M. Renna e F. Saitta (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 2012, 433 ss.

    [65] C. Videtta, Cultura e sviluppo sostenibile. Alla ricerca del IV pilastro, Torino, 2018.

    [66] La polisemia della nozione (metagiuridica) di paesaggio è, come noto, arricchita da numerosi apporti, provenienti da i più vari e diversificati ambiti culturali. Per una efficace panoramica sull’ampiezza ed eterogeneità della nozione metagiuridica di paesaggio si vedano A. Clementi (a cura di), Interpretazioni di paesaggio, Roma, 2002; L. Scazzosi (a cura di), Politiche e culture del paesaggio (esperienze internazionali a confronto), Roma, s.d., ma 1999; E Turri., Antropologia del paesaggio, Milano, 1974; Id., Semiologia del paesaggio italiano, Milano, 1979;  C. Tosco, Il paesaggio come storia, cit., che ripercorre in sintesi i diversi apporti rinvenibili nella storia, a partire dalla pittura murale e dalla cultura dei giardini di età romana fino al Rinascimento italiano, da Ruskin a Mérimée, da von Humboldt a Buckhardt, da Carl Ritter a Ratzel, fino all’idea del territorio come sedimento storico dell’Università di Lipsia del Meitzen; dall’Heimatschutz di Ernst Rudorff alla storiografia anglosassone di Marc Bloch e alla geostoria di Braudel; dagli studi di Vittorio Sereni sul paesaggio agrario fino alla strutturalismo di Biasutti e Gambi; dalla teoria dei sistemi fino all’ermeneutica di Joachim Ritter, Massimo Quaini, Rosario Assunto, etc. Fondamentale è anche il richiamo - 94 e 95 – alla scuola italiana del restauro di Roberto Longhi e Giovanni Urbani, che, sin dalla metà del Novecento, aveva posto l’accento sulla necessità di tutelare il bene culturale nel suo contesto ambientale, tesi ora ripresa da Bruno Zanardi, che propone un Piano nazionale per la conservazione del patrimonio storico e artistico in rapporto all’ambiente, sulla premessa teorica per cui il detto patrimonio costituisce una componente ambientale antropica – Giovanni Urbani, 1982 – costituente “una totalità indissolubile dalla totalità dell’ambiente”.

    [67] K. R. Popper, I tre mondi. Corpi, opinioni e oggetti del pensiero, Bologna, 2012.

    [68] R. Scruton, Il volto di Dio, Milano 2013, 37, in particolare cap. V, Il volto della terra, 113 ss. Per H. Küster, op. cit., 11, “al paesaggio appartiene sempre anche una dimensione riflessiva”. Küster sottolinea anche il valore metaforico del paesaggio (op. cit. cap. V, Il paesaggio come metafora, 70 ss.).

    [69] Uno dei “campioni” dell’anti-illuminismo, Johann Georg Hamann, era contemporaneo e amico di Goethe.

    [70] Sul punto sia consentito il rinvio a P. Carpentieri, Voce “Paesaggio [dir. amm.]”, in Diritto on line Treccani, cit., e ai contributi contenuti in G. Morbidelli, M. Morisi (a cura di) Il “paesaggio” di Alberto Predieri, cit. H. Küster, Piccola storia del paesaggio, cit., 113, osserva che “Paradossalmente, lo studio scientifico del paesaggio ha avuto inizio proprio nel periodo in cui le discipline che avrebbero dovuto collaborare all’analisi di questo tema sono state separate e associate alle facoltà umanistiche e a quelle delle scienze naturali. Questo accadeva nel XIX secolo. Oggi è evidente che la divisione delle scienze in due regni non ha giovato allo studio complessivo del paesaggio. Per legittimare la scienza del paesaggio come disciplina c’è bisogno di saperi che afferiscono a entrambi i campi: la storia, l’estetica e la storia dell’arte, la filosofia, la geografia, la geologia, l’ecologia, la sociologia, l’economia, le scienze agrarie, la pianificazione del territorio e l’architettura paesaggistica”.

    [71] Sentenze 1° aprile 1985, n. 94; 21 dicembre 1985, n. 359; 27 giugno 1986, n. 151; 22 luglio 1987, n. 183; 28 luglio 1995, n. 417; 23 luglio 1997 n. 262; 25 ottobre 2000, n. 437 (tutte le pronunce della Corte costituzionale richiamate in questo contributo sono consultabili sul sito ufficiale della Corte o sul sito Consulta on line).

    [72] M.S. Giannini, «Ambiente»: saggio sui diversi suoi aspetti giuridicicit.

    [73] Sentenza 26 novembre 2002, n. 478 (che richiama la precedente n. 378 del 2000).

    [74] Sentenze 27 luglio 2000, n. 378, nonché nn. 39 e 153 del 1986 e n. 529 del 1995.

    [75] Sentenze 3 ottobre 1990, n. 430 e 11 luglio 1989, n. 391.

    [76] Sentenza 20 febbraio 1995 n. 46 che richiama la legge “Galasso” del 1985 e richiama le precedenti sentenze 359 del 1985, 67 del 1992, 269 del 1993.

    [77] Seguita da una coerente serie numerosa di pronunce successive: nn. 180 e 232 del 2008; n. 164 del 2009; nn. 101 e 193 del 2010; nn. 235 e 309 del 2011; n. 66 del 2012; nn. 139, 211 e 238 del 2013; nn. 197 e 210 del 2014; nn. 64 e 99 del 2015; nn. 11 e 210 del 2016; n. 103 del 2017.

    [78] Per una disamina critica dell’ordinanza di remissione del Tar Sicilia, sopra citata, cfr. P. Carpentieri, Paesaggio e Corti europee (in margine a Tar Sicilia, Palermo, Sezione I, ordinanza 10 aprile 2013, n. 802), nella rivista on line Giust.Amm.it (al sito http://www.giustamm.it), 3 maggio 2013.

    [79] P. Carpentieri, Principio di differenziazione e paesaggio, in Riv. giur. ed., n. 3 del 2007, 71 ss. Per una visione opposta si veda soprattutto P. Stella Richter, da ultimo in Relazione generale al Convegno AIDU 29-30 settembre 2017 (Udine) La perequazione delle disuguaglianze tra paesaggio e centri storici, in Id. (a cura di), Studi del XX Convegno nazionale AIDU, Giuffré, Milano, 2018, 1 ss., nonché in Il principio comunitario di coesione territoriale, in G. De Giorgi Cezzi, P.L. Portaluri (a cura di), La coesione politico-territoriale, in L. Ferrara, D. Sorace (a cura di), A 150 anni dall’unificazione amministrativa italiana – Studi, vol. II, Firenze, 2016, 468.

    [80] E. M. Marenghi, Giusto procedimento e processualprocedimento, in Dir. proc. amm., n. 4 del 2008, 961.

    [81] P. Carpentieri, Paesaggio contro ambiente, in Urbanistica e Appalti, n. 8 del 2005, 931 ss.; Id., Eolico e paesaggio, in Riv. giur. ed., n. 1 del 2008, 322 ss. La giurisprudenza che ha subito chiamato in causa, contro l’interesse paesaggistico, le finalità di interesse pubblico di riduzione delle emissioni di gas serra in esecuzione del Protocollo di Kyoto è citata nel primo dei due scritti ora citati (Cons. Stato, sez. VI, 9 marzo 2005, n. 971; Tar Sicilia, Palermo, sez. II, 4 febbraio 2005, n. 150). Più di recente si veda la sintesi, su questi temi, di M. Santini, Ambiente e paesaggio tra conflitti valoriali ed istituzionali, in Urbanistica e Appalti, n. 3 del 2020, 302 ss.

    [82] “Nonostante la nostra ricerca di leggi fisiche universali, i limiti del riduzionismo ci fanno intravedere che a volte il mondo si comporta in maniera molto diversa a scale diverse, e per descriverlo e spiegarlo dobbiamo usare il modello e la teoria appropriati. A esempio, sulla scala dei pianeti, delle stelle e delle galassie, la gravità domina su tutto: controlla la struttura del cosmo. Ma non ha alcun ruolo pratico su scala atomica” (Jim Al-Khalili, Il mondo secondo la fisica, trad. di L. Servidei, Bollati Boringhieri, Torino, 2020, 40).

    [83] Corte cost. 3 dicembre 2020, n. 258, nonché sentenze n. 106 del 2020, n. 286 del 2019, n. 148 del 2019, n. 86 del 2019 e n. 177 del 2018.

    [84] Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2020, n. 3696 (in tema di eolico); Cons. Stato, sez. IV, 12 aprile 2021, n. 2983 (in tema di fotovoltaico, secondo la quale la comparazione non avverrebbe tra tutela del paesaggio “rispetto ad un mero interesse economico, bensì con riferimento all’interesse pubblico alla realizzazione degli impianti FER”).

    [85] Pe un’analisi puntuale di questi documenti si veda G. Severini, U. Barelli, Gli atti fondamentali dell’Unione europea su “transizione ecologica” e “ripresa e resilienza”: prime osservazioni, pubblicato nel sito della Giustizia amministrativa, 22 aprile 2021. I sei indicatori ambientali e il principio «non arrecare un danno significativo» enunciati nel regolamento (UE) 2020/852 del 18 giugno 2020 relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili non hanno nessun riferimento al paesaggio e al patrimonio storico e artistico. Principi, questi, fatti propri dal regolamento (UE) 2021/241 che “istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza”.

    [86] È significativo il fatto che il progetto di riforma normativa per la razionalizzazione del consumo di suolo sia praticamente già fallito. Il testo unificato dei disegni di legge recanti Misure per la rigenerazione urbana A.S. n. 1131, 985, 970, 1302, 1943, 198AS n. 1131 è bloccato nelle commissioni riunite 9ª (Agricoltura e produzione agroalimentare) e 13ª (Territorio, ambiente, beni ambientali) del Senato. Rigenerazione urbana, Ddl sommerso da critiche e 2mila emendamenti, titola Il Sole 24 Ore del 27 aprile 2021, pag. 9, e riferisce che “il Ddl era stato sommerso da critiche delle imprese (Confindustria, Ance, Assoimmobiliare), della Conferenza delle Regioni e dell'Anci. Critiche anche Inu e Legambiente”. È evidente che la politica non ha nessuna intenzione seria di limitare il consumo di suolo. È al contrario probabile che, dopo il Covid-19, l’idea sia quella di alimentare e di spingere la ripresa e la crescita con la solita espansione dell’edilizia e del consumo di territorio e di paesaggio.

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