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Paesaggio e ricerca scientifica (nota a TAR Lazio - Roma, sez. II quater, n. 1080/2021)

Paesaggio e ricerca scientifica (nota a TAR Lazio - Roma, sez. II quater, n. 1080/2021)

di Giovanna Iacovone

Sommario: 1. Inquadramento del tema e della vicenda amministrativa e contenziosa - 2. Paesaggio e beni paesaggistici. Le ragioni della distinzione -  3. I criteri della necessaria ponderazione: proporzionalità e ragionevolezza. Rilevanza della ricerca scientifica.

1. Inquadramento del tema e della vicenda amministrativa e contenziosa

La sentenza in commento consente di riflettere sulle molteplici declinazioni concettuali e normative del paesaggio mettendo a confronto l’evoluzione del concetto nei suoi diversi approdi evolutivi, tanto della legislazione quanto, alla luce di questa, della dottrina e della giurisprudenza.

Una sentenza che costituisce un ulteriore tassello, insieme alle diverse pronunce intervenute negli ultimi dieci anni a risolvere le numerose controversie aventi ad oggetto la messa in atto di un processo di tutela dell’intera Campagna romana, nella definizione di un quadro interpretativo di principi funzionali all’applicazione delle novità introdotte dal codice dei beni culturali e del paesaggio[1].

Fa da sfondo, ma anche da chiave di volta, nella decisione del Tar Lazio  il pensiero critico nei confronti della logica che si potrebbe definire dell’“ipervincolo” cui si connette il rischio «di vincolare tutto per non tutelare nulla», e quindi la necessità di una gradazione di valore e del giusto discernimento tra vincoli utili e vincoli che possono essere non solo inutili ma talvolta anche produrre danni non giustificati in termini di proporzionalità e ragionevolezza, in un contesto di ponderazione di interessi.

Emerge l’intento di superare quella cultura che affida la qualità paesaggistica ad un gioco tutto difensivo e fondato sulle procedure vincolistiche, cercando di interpretare al meglio il contesto normativo e giuridico che nel corso dell’ultimo decennio è andato delineandosi.

La sentenza, dunque, offre una importante opportunità per contribuire al dibattito in corso circa i presupposti culturali e normativi con cui si produce, si tutela e si pone in valore il paesaggio di una nazione, così come di qualunque ambito territoriale e/o urbano.

Il contenzioso ha ad oggetto un vincolo paesaggistico di area vasta (di 1600 ettari)  comprensivo di alcune aree di proprietà dell’Università della Tuscia su cui sono localizzati l’Orto Botanico, in cui si svolge l’attività istituzionale di didattica,  di ricerca e di divulgazione scientifica, in particolare di coltivazione di specie vegetali da ogni parte del mondo (circa 20.000 esemplari di circa 2.500 specie) l’azienda Agraria Didattico-Sperimentale, (superficie di circa 30 ettari) per la ricerca e studio di tecnologie per il monitoraggio ambientale e la protezione delle colture[2].

La lesione prospettata dalla ricorrente a causa delle limitazioni imposte dal vincolo imposto, riguarda la preclusione delle proprie attività istituzionali e il cui svolgimento richiederebbe la trasformazione dell’area sia in termini di lavori (arature profonde) sia in termini di opere (demolizione e ricostruzione di un manufatto) funzionali alla ricerca[3].

L’ingiustizia del pregiudizio lamentato è ravvisata nella insussistenza, con riguardo alle aree di proprietà dell’Università, delle “caratteristiche tipiche del paesaggio agrario tradizionale della piana di Viterbo” idonee a postulare la dichiarazione di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136, comma 1, lett. c) e d) del d.lgs. n. 42 del 2004.

Il Tar ha annullato il provvedimento di vincolo in quanto affetto da un «deficit motivazionale» ravvisato nella non utilizzabilità dei principi posti a presidio della tutela del paesaggio inteso come “forma del territorio”, e richiamati dall’Amministrazione resistente ai fini della giustificazione del vincolo, in quanto non idonei a dar conto «delle caratteristiche prescritte dall’art. 136 del Codice»  e che costituiscono la “causa”  «che giustifica l’assoggettamento del bene ad un particolare regime giuridico», in ragione «del loro interesse pubblico paesaggistico di grado “notevole” (giudizio di valore)».

Inoltre, trattandosi di un vincolo di area vasta, occorre dimostrare l’unitarietà del complesso paesaggistico vincolato, ossia un «nesso di continuità percettiva che giustifi[chi] l’assoggettamento a vincolo di un’enorme porzione di territorio». Infatti, secondo il giudice «un vincolo di tale estensione può essere ritenuto legittimo, non esorbitante, solo ove risulti “necessario” per non infrangere quel rapporto delle singole parti con l’insieme di appartenenza, che costituisce l’unicum oggetto di tutela».

Nel caso di specie, invece, non vi ha ravvisato «la sussistenza di quell’unitarietà di contesto paesaggistico affermata in modo generico ed assiomatico dall’Amministrazione, e non confortata dalla rappresentazione dei luoghi stessi».

In proposito il Tar rinvia a quella giurisprudenza che, nel caso di assoggettamento al vincolo paesaggistico di area vasta intende in senso molto rigoroso l’onere motivazionale[4].

Il Tar, in particolare, non ha ritenuto conforme ai richiamati requisiti motivazionali la mera affermazione secondo cui lo stralcio avrebbe comportato “una destrutturazione dell’area  e una sottrazione non coerente con gli obiettivi prefissati” a fronte di una situazione di fatto caratterizzata  da «terreno totalmente pianeggiante» non identificabile, pertanto, alla stregua di  “bellezza naturale” nei termini di cui all’art. 136 lett. d) che ivi prevede “le bellezze panoramiche [considerate come quadri] e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze”.

Né si è ritenuta «evincibile la presenza di elementi che possano indurre a ravvisarvi quel “complesso di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale”, contemplato dall’art. 136 lett. c)  del Codice, risultando i luoghi […] come un insieme di appezzamenti geometrici di terreno, variamente coltivati, che si “caratterizzano” per il comune aspetto di “campi coltivati come tanti” presenti nella campagna laziale, privi di peculiarità specifiche o di evidente pregio intrinseco». 

Ulteriore illegittimità del provvedimento di vincolo è stata ravvisata nella mancata ponderazione, in termini di ragionevolezza e proporzionalità, del contrapposto interesse pubblico perseguito dall’Università, che verrebbe ad essere totalmente sacrificato dall’assoggettamento a vincolo di aree mediante le quali realizza scopi istituzionali di didattica, di ricerca e di divulgazione scientifica.

Un interesse tanto più rilevante in quanto connesso alla persistenza della qualità di paesaggio agrario che «proprio a causa del vincolo, potrebbe rischiare di perdere quelle qualità […] “di rilevante valore” che si vorrebbero salvaguardare, data l’incombente minaccia dell’abbandono delle coltivazioni».

Significativamente si osserva che tale ponderazione è implicitamente richiesta proprio dal legislatore allorquando «esige, per la sottrazione del bene alla sua naturale destinazione, che questo rivesta non solo interesse paesaggistico come “bellezza naturale” secondo le categorie declinate dalla stessa disposizione, ma che questo sia presente in grado “notevole” (come già indicato dal legislatore del 1939 e dal regolamento del 1940), proprio perché il “sacrificio” imposto ad altri interessi (in questo caso di rilevante interesse pubblico essi stessi) deve trovare una “ragione adeguata” nell’esigenza di assicurare la tutela di un bene giuridico di valore preminente, che non può essere offerta altrimenti, e che costituisce la “giusta causa” del provvedimento di vincolo».

Dalla ricostruzione che precede emerge che le questioni rilevanti intorno alle quali il Tar ha focalizzato la riflessione ai fini del decidere sono sostanzialmente due, ma strettamente connesse ai fini dell’iter logico-argomentativo.

Innanzitutto viene in rilievo l’ormai acquisita distinzione giuridica tra regole di salvaguardia e di tutela relative, rispettivamente, alla presupposta differenziazione tra paesaggio e beni paesaggistici, questi ultimi a loro volta articolati a seconda della loro riconducibilità alle “bellezze di natura”, ai sensi dell’art. 136 del codice, o ai beni ambientali-culturali di cui all’art. 142 (c.d. beni paesaggistici diffusi, tutelati ex lege).

L’ulteriore tema affrontato dal giudice amministrativo riguarda la ponderazione valutativa secondo i canoni della proporzionalità[5] e ragionevolezza[6] che avrebbe dovuto guidare l’Amministrazione resistente nella considerazione degli interessi in gioco per giungere alla sottrazione del bene dichiarato di notevole interesse pubblico alla sua «naturale destinazione».

Di entrambi i profili si cercherà di dare specificamente conto nei paragrafi seguenti.

2. Paesaggio e beni paesaggistici. Le ragioni della distinzione

La dichiarazione di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136 lett. c) e d) del d.lgs. n. 42 del 2004, classifica le aree in contestazione come “Paesaggio dell’Insediamento storico diffuso” e “Paesaggio agrario di rilevante valore” integrando, in sede di vestizione del vincolo, le prescrizioni del P.T.P.R. adottato con diverse prescrizioni con l’obiettivo di «conservarne l’originaria destinazione d’uso, salvaguardare le aree circostanti, i tipi e i metodi di coltivazione tradizionali e le attività compatibili con le tradizioni tipiche[7]».

Il Tar, proprio avvalendosi dei riferimenti all’art. 131 del d.lgs n. 42  del 2004 su cui indugia il MiBAC nella sua relazione generale al vincolo, fonda gran parte della decisione sulla differenziazione tra paesaggio inteso come “forma del territorio”, la cui identificazione e obiettivi di salvaguardia con i relativi principi sono rimessi dal legislatore all’art. 131, commi 1,2,4,5 e 6 del codice, e beni paesaggistici espressamente riconosciuti al comma 2 dello stesso articolo ed elencati all’art. 134, nonché meglio specificati agli artt. 136 e 142 del codice medesimo.

Preliminarmente all’esame del merito, infatti, il giudice amministrativo, accogliendo l’evoluzione delle riflessioni della dottrina sul tema, si sofferma in una lunga e densa premessa interpretativa delle norme appena richiamate, rilevando in primo luogo che l’art. 131 del codice ha accolto preliminarmente un concetto di paesaggio inteso come “forma del territorio “come percepito nel suo valore identitario dalle Comunità che vi abitano e lavorano, riconoscendo tra i paesaggi anche quelli “della vita quotidiana”, che senza avere caratteri di pregio, “tuttavia raccontano una loro storia e presentano una loro identità”.

Il paesaggio, dunque, come luogo utile e dinamico, «che si interroga cioè sui nuovi comportamenti umani che stabiliscono centralità e identità nella vita di una collettività»[8].

Così inteso, conformemente ai principi sottoscritti nella Convenzione europea[9], il paesaggio deve intendersi come luogo fortemente creativo ed innovativo, che sperimenta materiali e tecniche nella ricerca di nuove sintassi e nuove grammatiche per rimettere in gioco ambienti altrimenti perduti e destinati al degrado[10].

Il paesaggio come processo in ininterrotta evoluzione, come corpo vivente, frutto del rapporto tra territorio e società e dunque, sotto tale profilo, espressione dell’identità culturale della comunità di riferimento, era stato configurato sin dal 1985 dalla l. n. 431 che aveva ottenuto al riguardo l’avallo della Corte costituzionale[11].

Come noto, un fondamentale ruolo, nello scardinare interpretazioni consolidate e nell’anticipare l’evoluzione legislativa, ha rivestito l’intuizione di Predieri che avvalendosi della preziosa contaminazione tra saperi e discipline diverse giunge ad affermare che «la  tutela del paesaggio…non è solo la conservazione delle bellezze naturali…, ma la più ampia tutela (non limitata alla conservazione) della forma del territorio creata dalla comunità umana che vi è insediata, come continua interazione della natura e dell’uomo, come forma dell’ambiente, e quindi volta alla tutela dello stesso ambiente naturale modificato dall’uomo, dato che in Italia, quasi dappertutto, al di fuori di ristrettissime aree alpine o marine, non può parlarsi di un ambiente naturale senza presenza umana»[12].

La lettura innovativa di Predieri, subito condivisa dalla dottrina[13] e più tardi ripresa dalla giurisprudenza[14], appare molto utile, ai fini del presente commento, anche con riguardo ad un’altra implicazione accolta dal giudice amministrativo, ossia l’abbandono della nozione di tutela limitata alla mera tutela statica e conservativa di alcuni coni visuali fissi, oggetto di contemplazione, da esprimersi attraverso divieti e limitazioni. 

Una specificazione, quest’ultima, tenuta in particolare considerazione dal Tar nel caso in esame, in cui il compendio immobiliare è stato assoggettato a vincolo ai sensi dell’art. 136 lett.c) del Codice (oltre che dell’art. 136, lett. d) come bellezza panoramica o punto di vista panoramico, per sottolineare una presa di posizione in favore della distinzione tra paesaggio e beni paesaggistici.

Infatti, nella direzione delineata dalla dottrina e dalla giurisprudenza il giudice di primo grado ha ricostruito il vigente quadro normativo attraverso una interpretazione volta ad uscire da eventuali residue ambiguità applicative del codice sul paesaggio, retaggio di posizioni abbandonate sul piano delle definizioni, ma ancora presenti in una cultura che stenta ad accettare, nella sostanza, quell’idea dinamica di salvaguardia che non è strettamente dipendente dall’apposizione del vincolo, bensì da quell’uso consapevole del territorio di cui al 6° comma dell’art.131 che va oltre il l’impostazione conservativa della tutela paesaggistica solo attraverso il vincolo.

Al riguardo, infatti, il Tar afferma che «L’impostazione conservativa della tutela dei beni paesaggistici sancita nell’ultima versione del Codice, unitamente alla perdita di rango del “principio dello sviluppo sostenibile”, rischia di risultare controproducente rispetto alle stesse finalità prefissate, come evidenziato dalla dottrina, specie nei confronti di alcuni tipi di paesaggio – in particolare con riferimento al paesaggio agrario, che costituisce un “bene paesaggistico vivo e dinamico”, che si modifica per il solo agire delle forze della natura – che finirebbero per essere addirittura danneggiati da vincoli troppo stringenti che ne impedissero lo sfruttamento con una sufficiente redditività, determinandone l’abbandono ed il ritorno a selva incolta dei relativi terreni.

Pertanto, se da un lato si valorizza l’esigenza di protezione del paesaggio agrario, anche al fine di contenere quel fenomeno di espansione della città verso la periferia (che comporta il parallelo degrado dei centri storici che vengono, per conseguenza, ad essere abbandonati), dall’altro lato, rischia di essere compromesso da vincoli eccessivamente rigidi, che ne limitino la naturale vocazione produttiva, imponendo determinate coltivazioni non più redditizie a causa della globalizzazione dei mercati agricoli, contribuendo al grave fenomeno dell’abbandono dei campi. Si tratta dei cd. “effetti perversi del vincolo”, che costituiscono una minaccia sia per i beni paesaggistici sia per i beni culturali immobili….».

Conseguentemente, il provvedimento giurisdizionale è molto chiaro nell’affermare che il valore identitario proprio del concetto di “paesaggio” «non è di per sé sufficiente per assoggettare un immobile o un’area al vincolo di tutela previsto dall’art. 136, essendo a tal fine richiesto anche, come requisito cumulativo, che si aggiunge al requisito proprio, quello del valore intrinseco dell’oggetto, del sito da tutelare, come “luogo dell’anima” o come “bellezza naturale” (nelle diverse declinazioni del “borgo pittoresco”, del sublime delle vette delle montagne o dell’orrido, della “curiosità” di una bizzarria della natura etc.), che costituisce una condizione indefettibile che non è stata “superata” dalla nuova concezione di paesaggio (che include anche la categoria del “bello di natura” oltre che i beni ambientali diffusi e lo stesso paesaggio-territorio privo di qualità).  […] E ciò vale persino per quei beni paesaggistici “identitari” per eccellenza, quali i centri storici “dal caratteristico aspetto”, di cui all’art. 136 lett. c) del Codice, per i quali la dottrina ha chiarito che l’endiadi “valore estetico e tradizionale” va intesa nel senso del doppio requisito, dovendo il giudizio sul notevole interesse

paesaggistico soddisfare non solo il criterio “tradizionale”, ma anche quello “estetico”, trattandosi di requisiti cumulativamente richiesti.[…]. È pertanto richiesto un quid pluris, oltre al tradizionale aspetto, alla caratteristica identitaria, anche per classificare il “paesaggio agrario” - cioè quella parte di territorio caratterizzato da “naturale vocazione agricola” - nell’ambito di paesaggio agrario “di rilevante valore”, che presuppone che sia soddisfatto anche l’ulteriore e specifico requisito del “rilevante valore paesistico per l’eccellenza dell’aspetto percettivo, scenico e panoramico”, come precisato dall’art. 24 delle Norme del PTPR».

Sembra dunque di poter affermare che il valore identitario costituisca il minimo comune denominatore, quel filo rosso che unisce il paesaggio e il bene paesaggistico, in un rapporto tra genere e specie. La distinzione, invece, consisterebbe nella “causa” del vincolo costituita dalle «ragioni dell’estetica», rilevanti anche per stabilire il grado di valore del bene protetto e per differenziare la gravosità del regime giuridico vincolistico grazie alla disciplina contenuta nella c.d. “vestizione”.

Il valore identitario dei luoghi, ove riferito ai beni paesaggistici, costituirebbe, secondo l’orientamento giurisprudenziale in commento, «un motivo “aggiuntivo”, incidente sulla dimensione territoriale della sua rilevanza (per cui alcuni meritano di essere tutelati in funzione della loro rilevanza nazionale, mentre altri sono di interesse solo regionale, o addirittura locale: a parità di spettacolarità della veduta, un conto è l’ermo colle di Leopardi, ed altro conto è, pur con l’analoga configurazione, quella di Colle Amato oppure di Colle Paganello, che sono di particolare “affezione” per il loro valore “identitario” per i fabrianesi, ma non per gli jesini)».

Particolare interesse riveste, altresì, proprio la necessità di graduare il regime vincolistico attraverso le specifiche prescrizioni d’uso per evitare di incorrere in quegli “eccessi di tutela” non giustificati (un rischio sempre più incombente in un contesto di crescente espansione delle categorie dei beni da tutela e di intensificazione dell’attività vincolistica) ed addirittura in talune occasioni controproducenti rispetto alle stesse finalità di tutela perseguite.  

3. I criteri della necessaria ponderazione: proporzionalità e ragionevolezza. Rilevanza della ricerca scientifica

 Viene in rilievo, così, l’ulteriore essenziale profilo sopra anticipato, ossia il richiamo ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, strettamente connessi e fondanti il complessivo ragionamento che ha condotto il Tar ad annullare il vincolo.

I due principi costituiscono un essenziale supporto, nelle loro diverse declinazioni, alle argomentazioni della sentenza volte a mettere in discussione il percorso logico seguito dalla pubblica Amministrazione metodologicamente incentrato sulla coerenza e congruità del bilanciamento di interessi.

Il tema riveste particolare interesse proprio in quanto riferito ad un provvedimento di vincolo paesaggistico, in cui quindi la valutazione è svolta sulla base di parametri classicamente afferenti la discrezionalità tecnica. 

Il giudice amministrativo, infatti, costruisce il suo orientamento valorizzando, ai fini dell’operatività di tali principi, quel profilo “soggettivo” nel cui ambito vengono annoverate tematiche attinenti all’esito del processo decisionale, riguardanti l’accertamento e la valutazione dei dati di fatto rilevanti, la scelta oculata e la ponderazione degli interessi, nonché (ma non meno rilevante) la individuazione concreta del fine in rapporto alle peculiarità del caso da decidere.

In particolare, si sottolinea nella sentenza, proporzionalità e ragionevolezza sono apparsi rilevanti ai fini del decidere «in quanto hanno acquisito sempre più considerazione nel settore in esame a seguito della trasformazione del provvedimento di vincolo da atto meramente “dichiarativo” dell’interesse paesaggistico “notevole” ex art. 136 ad atto che prescrive direttamente le modalità di gestione dello stesso, indicandone le trasformazioni e gli usi compatibili (come già previsto dallo stesso legislatore del 1939 e dal regolamento del 1940); tale trasformazione ha reso non più attuale la contrapposizione tra il momento della “valutazione tecnica” (operata sulla base della “monorotaia del solo interesse culturale-paesaggistico”) che caratterizzava la prima fase (in cui l’Autorità è chiamata a verificare le caratteristiche del bene ed il loro grado al fine di “dichiararlo” bene culturale o paesaggistico) – cioè a “verificare” l’esistenza dei “presupposti di fatto” per l’assoggettamento del bene a vincolo (si fa per dire, dato che trattasi di “giudizio di valore” e non di “giudizio di fatto”) - e la successiva fase della “gestione del vincolo” – che attiene propriamente alle “scelte d’azione” – in cui si ammette invece la presenza di un momento di “valutazione discrezionale” anche di altri interessi co-primari concomitanti». 

Ed infatti i principi di ragionevolezza e proporzionalità sono stati primariamente considerati quali criteri, e relativi parametri di giudizio, idonei a svolgere una valutazione funzionale a graduare la disciplina limitativa in relazione alla gravosità del vincolo, cercando così di dare un senso reale ed una effettiva utilità, in termini di efficacia ed efficienza, a quelle “prescrizioni d’uso” (il c.d. vincolo vestito) che il legislatore richiede in relazione al giusto grado di incidenza degli effetti, sia sfavorevoli che favorevoli, della disciplina medesima sugli interessi coinvolti.

In stretta sintonia si pone l’ulteriore considerazione, «in una prospettiva di ragionevolezza e proporzionalità», secondo cui la preesistenza di altri vincoli incombenti su aree adiacenti a quella oggetto del contenzioso, lungi dall’avallare la legittimità del provvedimento, avrebbe dovuto indurre l’Amministrazione resistente ad una attenta valutazione  dell’operatività dei vincoli già esistenti  al fine di «stabilire se e quanto consentano di assicurare un’adeguata tutela al bene in contestazione, approfondendo, in un’ottica comparativa delle diverse misure alternative possibili, se e come la nuova misura risulti a tal fine “necessaria” (secondo test di proporzionalità), non potendo la stessa finalità essere conseguita con la misura di protezione alternativa più lieve (cioè come zona di interesse archeologico). 

Infine, ma in realtà determinante in quanto assurto con la sentenza in commento al ruolo di “terzo test di proporzionalità”, dunque quale “giusto punto di equilibrio degli interessi in gioco”, la mancata considerazione da parte dell’Amministrazione deputata alla tutela del paesaggio delle conseguenze discendenti dall’aggravamento del regime del vincolo sull’interesse pubblico perseguito dall’esercizio dei compiti istituzionali dell’Università, ossia la didattica e la ricerca che dall’assoggettamento al vincolo paesaggistico verrebbero irrimediabilmente sacrificati.

La peculiarità riguarda proprio la tipologia di interessi di cui il Tar ha dovuto constatare la concreta contrapposizione, la ricerca scientifica e il patrimonio culturale, che in quanto garantiti dalla medesima norma costituzionale non dovrebbero, in astratto, confliggere in quanto orientati al perseguimento di un fine unitariamente considerato dal costituente e dunque immanentemente affini, “consanguinei”.

Sembrerebbe di assistere ad una vicenda analoga a quella che talvolta ha visto entrare in collisione la nozione di paesaggio con quella di ambiente, seppure entrambe riconducibili entro l’egida dell’art. 9 della Costituzione, come ad esempio avviene sovente quando si tratta di valutare la compatibilità paesaggistica di impianti di produzione di energia rinnovabile che rispondono ad esigenze di tutela delle matrici ambientali, ma che possono risultare conflittuali con la tutela del paesaggio inteso nel senso identitario culturale[15].

Si potrebbe così essere indotti a pensare ad un confronto dagli incerti equilibri e dai variabili rapporti di forza che rischia di rendere a loro volta instabili i principi di proporzionalità e di ragionevolezza, mettendone in discussione il ruolo di categorie del diritto amministrativo.

In realtà, se è vero che la Corte costituzionale ha individuato nel paesaggio un valore primario, in quanto tale «insuscettivo di essere subordinato a qualsiasi altro»[16], è altrettanto vero che la portata della primarietà e assolutezza  sono state specificate affermando che «questa primarietà non legittima un primato assoluto in una ipotetica scala gerarchica dei valori costituzionali, ma origina la necessità che essi debbano sempre essere presi in considerazione nei concreti bilanciamenti operati dal legislatore ordinario e dalle pubbliche amministrazioni»[17].

Sul punto, infatti, il Tar non rinuncia a sottolineare che l’area in questione, «proprio a causa del vincolo potrebbe perdere quelle qualità di paesaggio agrario “di rilevante valore” che si vorrebbero salvaguardare, data l’incombente minaccia dell’abbandono delle coltivazioni» determinato dalla impossibilità di continuare a svolgere quell’attività di ricerca e di didattica la cui libertà nei contenuti è, peraltro, ugualmente tutelata dalla Costituzione.

Sembra dunque di poter concludere che nel caso di specie, il giudice amministrativo abbia ritenuto che  la qualitas di valore primario e assoluto non solo include, le due “anime” della nozione di paesaggio, ma risale al macro valore della cultura, al cui interno eventuali contrasti non avrebbero potuto che essere risolti sul piano della ragionevolezza attraverso un bilanciamento in sede procedimentale, «luogo elettivo di composizione tra i diversi interessi coinvolti, tutti costituzionalmente rilevanti»[18].  

   

[1] Ne dà atto S. Amorosino, Il T.A.R. Lazio legittima il maxi vincolo paesaggistico sull'Agro Romano (nota alle sentenze n. 33362, 33363, 33364 e 33365/2010), in Riv. giur. edilizia, fasc.5, 2011, p. 187 ss.

[2] La localizzazione e la consistenza dei terreni interessati dal vincolo in contestazione, nonché il carattere e l’aspetto che ne caratterizzano la morfologia, sono esattamente evincibili dalla Relazione di accompagnamento al vincolo e dalla relativa documentazione, da cui si evince, come attestato in sentenza « la scomposizione dell’area in quattro parti unitarie: quella della sorgente del Bullicame – con le caratteristiche puntualmente evidenziate nella Relazione di accompagnamento al vincolo - al di sotto della quale è sito l’orto botanico – del pari descritto nella medesima Relazione -; dallo stesso lato del Bullicame è sita l’azienda agricola – non oggetto di specifica descrizione nel predetto documento – adeguatamente inquadrabile per la sua caratteristica di terreno pianeggiante, geometricamente diviso in particelle separate, destinate alle diverse coltivazioni, dall’aspetto “comune” dei tanti campi coltivati nella nostra Regione. Sull’altro lato della strada, sorge la collina di Riello, con la necropoli etrusca e la presenza della romana Sorrina Nuova, oggetto di particolare attenzione nella Relazione in parola. In sostanza l’azienda agricola è sita tra il Bullicame (a sinistra) e la collina di Riello (a destra), e l’esattezza della sua collocazione, la sua conformazione e la sua consistenza trovano conferma nelle immagini delle riprese satellitari disponibili su google maps e dalla visione dei luoghi tramite la funzione street view, che induce ad escludere eventuali errori per quanto riguarda la percezione dello stato dei luoghi».

[3] A p. 3 della sentenza in commento si legge che «l’Azienda Agraria Didattico-Sperimentale, attiva dal 1981 (superficie di circa 30 ettari) per la ricerca e studio di tecnologie per il monitoraggio ambientale e la protezione delle colture, con necessità di opere di adattamento del terreno (con aratura in profondità anche superiore a 40 cm concimazione, esecuzione di buche per l’impianto di strutture di sostegno) e modifiche (con creazione di pendenze per studiare fenomeni di deflusso ed erosione mediante simulazioni di pioggia), allestimento di strutture metalliche di raccolta e studio delle precipitazioni, stazione per la misura dei dati climatici etc.».

[4] Si richiama, in particolare, Cons. St., sez. VI, n. 2309 del 2018 che ha annullato il provvedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’ambito meridionale dell’Agro romano condividendo la non adeguatezza argomentativa del MIBAC nel rigettare le osservazioni avverso l’imposizione del vincolo. 

[5] Tra tanti e importanti contributi al tema, S. COGNETTI, Principio di proporzionalità. Profili di teoria generale e di analisi sistematica, Torino, 2011.

[6] Sulla ragionevolezza quale canone decisionale della pubblica amministrazione P.M. Vipiana, Introduzione allo studio del principio di ragionevolezza nel diritto pubblico, Padova, Cedam, 1993.

[7] Cfr. p. 1 delle norme allegate al decreto di vincolo del 25 luglio 2019, oggetto del gravame.

[8] F. Zagari, Questo è paesaggio. 48 definizioni, Roma, 2006, p.80.

[9] Art. 2 della Convenzione europea del paesaggio e, più in generale il riferimento contenuto nel Preambolo sia ai paesaggi della vita quotidiana, sia agli importanti fattori di trasformazione, tra cui le tecniche di produzione agricola. Sul tema, D. Sorace, Paesaggio e paesaggi nella Convenzione Europea, in Convenzione Europea del paesaggio e governo del territorio a cura di GF Cartei, il Mulino, Bologna, 2007, pp. 18-22.

[10] E. BOSCOLO, in Appunti sulla nozione giuridica di paesaggio identitario, in Urb. app n. 7/2008, p. 798

[11] Corte cost., 27 giugno 1986, n. 151, in www.giurcost.org. Si veda in proposito M. Immordino, in M.A. Sandulli (a cura di) Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2012, p. 986, in cui l’Autrice rileva l’innovatività di tale configurazione, delineata con largo anticipo sulla previsione contenuta nell’art. 131, comma 2, del d.lgs. n. 42 del 2004.

[12] A. Predieri, Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio, in ID., Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione, Giuffré, Milano, 1969, part. 3-6, i cui risultati, nei termini riportati in testo, furono sintetizzati e ribaditi dall’A. in La regolazione giuridica degli insediamenti turistici e residenziali nelle zone alpine, in Foro amm., 1970, III, p. 360, nonché nella voce Paesaggio, in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, p. 503.

[13] Si pensi a G. Ghetti, Prospettive giuridiche della tutela del paesaggio negli ordinamenti regionali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1972, p. 1527; F. Merusi, Commento all’art. 9 della Cost., in G. Branca ( a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna, Zanichelli – Roma, Soc. ed. del Foro italiano, 1975, pp. 434-460; F. Levi, Italia, in ID. (a cura di), La tutela del paesaggio. Studi di diritto pubblico comparato, Torino, 1979, pp. 1-45. Tale tesi, poi definita integrale (V.G. Severini, La tutela costituzionale del paesaggio, (art.9 Cost.), in S. Battini, L. Casini – G. Vesperini – C. Vitale (a cura di), Codice di edilizia e urbanistica, I Codici commentati, Torino, 2013, p.33) ha finito con il sostituire la c.d. tesi “statica” o “storico-riduttiva” e su cui A.M. Sandulli, La tutela del paesaggio nella Costituzione, in  Riv. giur. ed., II/1967

[14] Oltre alla sentenza n. 151 del 1986, cit., qualche mese prima la Corte costituzionale, con la sentenza n. 39 del 3 marzo (in www.giurcost.org.) aveva affermato che la nozione di paesaggio «è comprensiva di ogni elemento naturale ed umano attinente alla forma esteriore del territorio». Sul tema M. A. Sandulli, Il paesaggio nel Codice dei Beni Culturali: prospettive di riforma, in Atti del convegno AIDU svoltosi a Parma il 18 novembre 2005, Napoli, 2006.

[15] Si veda sul punto P. Carpentieri, Paesaggio contro ambiente, in Urb. e App., 2005, n. 8, p. 931 ss.; Id., Eolico e paesaggio, in Riv. giur. ed., 2008, p. 326 ss.

[16] Corte cost., 24 giugno 2004, n.196, in www.giurcost.org.

[17] Corte cost., ult. cit., nella parte in diritto.

[18] Corte cost.,5 aprile 2018, n. 69, 6.1; sui criteri che presiedono al bilanciamento, Corte cost., 23 marzo 2018, n. 58, p.1 e 3.2.

 

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