GIUSTIZIA INSIEME

ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma

    Nuovo Patto sulla Migrazione e l’asilo: un cambio di passo per la mobilità delle persone in Europa? Forum a cura di Vincenzo Militello​, ​Mario Savino, Elisa Cavasino e Alessandro Spena​

    Nuovo Patto sulla Migrazione e l’asilo: un cambio di passo per la mobilità delle persone in Europa?

    Forum a cura di Vincenzo Militello, Mario Savino, Elisa Cavasino e Alessandro Spena

    I contributi di seguito pubblicati rielaborano gli interventi al seminario “La mobilità delle persone al bivio tra “fortezza” Europa e Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo”, organizzato il 12 marzo 2021 dal Centro di eccellenza J. Monnet "Europe between Mobility and Security: the challenges of illicit trades in the Mediterranean Area" (EUMoSIT).

    Il Centro, cofinanziato per il triennio 2019-2022 dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Palermo e dal programma Erasmus+ UE, coordina i contributi di un team di esperti italiani e stranieri che si collegano ad Università, istituzioni pubbliche e della società civile, fra cui la Città di Palermo, la Fondazione Giovanni Falcone, le Università di Oxford (con il connesso network Border criminologies), di Londra (Queen Mary), di Barcellona, di Madrid, di Coimbra.

    Oggetto precipuo di EUMoSIT è l'interazione tra le complesse dinamiche delle migrazioni moderne e degli scambi commerciali nel bacino del Mediterraneo, con le connesse ricadute sui traffici illeciti nelle loro molteplici declinazioni, specie quelli di esseri umani, di beni culturali e di stupefacenti.

    Il centro opera una stretta interrelazione fra temi di ricerca e percorsi di diffusione e verifica dei principali risultati elaborati, e in questa prospettiva prevede fra l’altro un insegnamento a struttura seminariale, con contenuti didattici innovativi e specialmente attenti all’interazione con gli studenti iscritti. Ad apertura del corso del 2021 non poteva mancare un approfondimento sul “Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo”, adottato dalla Commissione il 23 settembre 2020.

    Non occorre sottolineare le aspettative e le speranze suscitate da questo nuovo impegno dell’Unione Europea su un tema cruciale nella sua agenda politica quantomeno nell’ultimo decennio. Terreno invero rivelatosi ripieno di sabbie mobili, dove presto o tardi si arenava ogni sforzo per costruire iniziative di condivisione fra gli Stati membri della massa di problemi connessi alla mobilità delle persone che arrivano in Europa senza passare dalla cruna dell’ago degli ingressi regolari.  A fronte di un sacrificio umano dei migranti sempre più intollerabile, la sfida per una maggiore solidarietà è tanto imposta dalla fedeltà ai valori fondanti dell’Unione, quanto fitta di veti reciproci e di gelose chiusure nazionali. In un movimento di stop and go che da anni condanna l’azione ad una concreta inconcludenza, sono rimasti coinvolti temi come la ricollocazione dei migranti secondo quote che ne spalmino l’impatto a Paesi diversi da quelli della frontiera di ingresso, o anche la rivisitazione del meccanismo dei regolamenti di Dublino, e non ultima la stessa rivisitazione del Facilitation Package adottato dall’Unione ormai da quasi 20 anni per armonizzare le risposte degli Stati membri di contrasto all’immigrazione clandestina.

    La questione centrale è dunque se il fascio di documenti riuniti dalla Commissione sotto l’impegnativo nome di Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo riesca davvero nel suo intento fondativo di un atteggiamento eurounitario non più rivolto a innalzare muri per contenere gli ingressi esterni, ma attento a favorire forme condivise di apertura di canali di gestione del problema anche all’interno dei confini nazionali

    Ad affrontare questa domanda rispetto ad alcuni dei principali terreni di ricaduta sono stati Mario Savino, ordinario di diritto amministrativo nell’Università della Tuscia, Elisa Cavasino, associata di diritto costituzionale nell’Università di Palermo, e Alessandro Spena, ordinario di diritto penale nella stessa Università e coordinatore della ricerca del Centro di Eccellenza EUMoSIT. Quale responsabile scientifico dello stesso Centro ho ritenuto che l’interesse che il Seminario ha suscitato meritasse una più ampia circolazione, e per questo ringrazio sia i relativi autori, che hanno provveduto a definirli in tempi rapidi, sia l’ospitalità di Giustizia Insieme, con la sua sempre vigile attenzione ai temi dell’attualità.   

    Vincenzo Militello


    L’ingenuità amministrativa del Patto UE sulla migrazione e l’asilo: una solidarietà costruita sull’acqua

    di Mario Savino [1]

    Sommario: 1. Un Patto pragmatico? – 2. I meccanismi di solidarietà: una promessa ambiziosa… - 3. …ma difficile da mantenere: i problemi di “tenuta” – 3.1. Il rischio di “paralisi” decisionale – 3.2. Il rischio di “fuga” dalla solidarietà – 3.3. Il rischio di non compliance – 3.4. I costi della “coercizione” – 4. Conclusioni.  

    1. Un Patto pragmatico?

    Lo scorso 23 settembre la Commissione europea ha varato, dopo una lunga attesa, un ampio progetto di riforma del sistema di gestione dei flussi migratori in arrivo in Europa. Il documento di presentazione del progetto – ambiziosamente intitolato Nuovo patto sulla migrazione e l’asilo (COM(2020) 609 final) – muove dal riconoscimento che lo status quo è ampiamente insoddisfacente («the current system no longer works») e che occorre bilanciare in modo più equo i principi di responsabilità e solidarietà tra gli Stati membri  dell’Unione[2]. A nove mesi dalla presentazione del Patto, però, un primo dato pare ormai acquisito: non ci sarà nessun parto a breve termine.

    Nei primi mesi di gestazione del Patto, infatti, è emersa una dura opposizione non solo dei Paesi di Visegrád, ostili a qualsiasi forma di redistribuzione dei migranti, ma anche e soprattutto dei “MED-5” (Italia, Spagna, Grecia, Cipro e Malta), molto diffidenti rispetto ai meccanismi di solidarietà proposti e poco convinti della complessiva equità distributiva del Patto. Così, nonostante l’impegno profuso prima dalla Presidenza tedesca (nell’ultimo scorcio del 2020) e poi dalla Presidenza portoghese (nel primo semestre 2021), non si sono fin qui registrati progressi sui dossier più importanti: il lavoro tecnico svolto in seno ai gruppi di lavoro del Consiglio si è arenato su tutti i punti di maggiore rilevanza, nell’attesa di una soluzione a livello politico[3]. L’attesa è però destinata a protrarsi, dato che la Presidenza entrante spetta a un governo, quello sloveno, d’ispirazione nazional-populista, che potrebbe non includere il Patto tra le sue priorità. Nella migliore delle ipotesi, dunque, la negoziazione del Patto e dei suoi dossiers più delicati occuperà gran parte della legislatura in corso.

    Questo primo dato getta qualche ombra sull’effettivo pragmatismo dell’approccio seguito dalla Commissione: un pragmatismo che, ad avviso di attenti osservatori, giustificherebbe la scarsa innovatività di molte proposte, dettate più dai bisogni e dagli interessi degli attori rilevanti (gli Stati membri) che da una visione etica o politica di ampio respiro[4]. Proprio i primi mesi di negoziazione suggeriscono, invece, una lettura diversa: almeno per ciò che riguarda la sua parte più innovativa, cioè i meccanismi di solidarietà qui esaminati, il Patto non sembra ispirarsi a un approccio pragmatico, bensì a una visione razionalizzante molto astratta e, a tratti, ingenua.

    Per un verso, infatti, il Patto ignora i vistosi “fallimenti” emersi nell’attuazione della politica europea di asilo, fallimenti che, nel quadro delineato dal Patto stesso, sarebbero fatalmente destinati ad accentuarsi proprio per effetto delle misure di solidarietà prospettate. Per altro verso, il Patto rischia di accentuare lo squilibrio distributivo tra gli Stati mediterranei e gli altri Stati membri e, in prospettiva, di approfondire la divaricazione tra Nord e Sud dell’Europa rispetto ai dossiers principali della politica migratoria, che sono anche dossiers centrali per il futuro dell’Unione.

    Per dar conto di queste affermazioni, si procederà, prima, a ricostruire il disegno solidaristico avanzato dalla Commissione (§ 2); poi, ad analizzare i problemi di attuazione di quel disegno (§ 3); quindi, a trarne alcune conclusioni in merito al Patto e alle difficili negoziazioni che lo accompagnano (§ 4).  

    2. I meccanismi di solidarietà: una promessa ambiziosa…

    L’unica misura di solidarietà finora adottata dall’Unione in materia di asilo è il meccanismo di ricollocazioni (relocation), approvato a settembre 2015, nel pieno della crisi dei rifugiati (Decisioni 2015/1523 e 1601 del Consiglio, del 14 e 22 settembre 2015). Una misura temporanea, che, nei due anni di attuazione, ha incontrato molteplici ostacoli, di natura politica e amministrativa[5]. Il limitato successo del programma – con appena 35 mila ricollocazioni dalla Grecia e dall’Italia a fronte delle 160 mila inizialmente previste – conferma due dati. Il primo è che la condivisione degli oneri legati all’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati è un tema politicamente molto divisivo: è nota, in particolare, l’avversione dei Paesi di Visegrád per qualsiasi forma di ricollocazione obbligatoria, fondata su quote nazionali. Il secondo – meno considerato ma non meno decisivo – è che misure di questo tipo richiedono uno sforzo considerevole agli Stati membri coinvolti, sia in termini di risorse umane e finanziarie, sia in termini di capacità di cooperazione amministrativa.

    Nel contesto del Nuovo Patto, il sistema di solidarietà delineato dalla Commissione nella proposta di regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione (RGAM) e nella proposta di regolamento sulle situazioni di crisi e forza maggiore (RSCFM), prevede tre forme di burden sharing – la ricollocazione, la sponsorizzazione dei rimpatri e il sostegno operativo – con combinazioni che variano in base a tre scenari: quello di base, caratterizzato da “sbarchi ricorrenti”: quello più critico, corrispondente a una situazione di “pressione migratoria”; e quello estremo, emergenziale, delle “situazioni di crisi”.

    Lo scenario di base riguarda l’attivazione di misure di solidarietà per gli sbarchi di migranti a seguito di operazioni di ricerca e soccorso (artt. 47-49 RGAM). Sulla base di previsioni annuali, elaborate nella relazione annuale sulla gestione della migrazione, la Commissione determina il complessivo fabbisogno di solidarietà e calcola le corrispondenti quote di solidarietà statali sulla base di una chiave di distribuzione proporzionale alla popolazione e al PIL di ciascuno Stato membro (art. 54 RGAM). Nei rispettivi Piani per la risposta di solidarietà, gli Stati membri indicano in quale forma intendono contribuire. Nel caso in cui i contributi offerti in forma di ricollocazioni non siano «proporzionali» o comunque sufficienti a coprire il 50 per cento di ciascuna quota statale, la Commissione attiva un meccanismo di correzione (c.d. critical mass correction): tramite un atto di esecuzione adottato ai sensi dell’art. 291 TFUE, stabilisce l’importo e la tipologia dei contributi degli Stati non solidali, assicurando così che tutti gli Stati adempiano almeno al 50 per cento dei rispettivi obblighi con misure di redistribuzione dei migranti (art. 48 RGAM).

    Ai fini del computo di questi adempimenti, la Commissione propone di cumulare la disponibilità alle ricollocazioni con una opzione alternativa: la sponsorizzazione dei rimpatri. In base a questa nuova idea, lo Stato membro “sponsor” si impegna, nei primi 8 mesi (dall’adozione della decisione di rimpatrio o dal rigetto della domanda di protezione), a fornire allo Stato frontaliero supporto operativo o diplomatico per facilitare il rimpatrio dei migranti irregolari sbarcati e, nel caso di mancato allontanamento entro gli 8 mesi, a ricollocare il migrante irregolare nel proprio territorio, per proseguire da lì i tentativi di rimpatrio (art. 55 RGAM). 

    Questo meccanismo di solidarietà “semi-obbligatoria”, previsto nello scenario di base, viene ampliato negli altri due scenari ipotizzati dalla Commissione.

    In situazioni di “pressione migratoria”, rilevata dalla Commissione sulla base di un’ampia serie di parametri, sono eleggibili, ai fini della ricollocazione, oltre ai richiedenti asilo non sottoposti a procedura di frontiera (come nello scenario di base), anche coloro ai quali sia stata riconosciuta la protezione internazionale nei tre anni precedenti (artt. 50 e 51 RGAM).

    Nello scenario estremo di “crisi” – «situazione eccezionale di afflusso massiccio» di migranti, che «rende inefficace il sistema di asilo, accoglienza o rimpatrio dello Stato membro in questione e può avere gravi conseguenze sul funzionamento del sistema europeo comune di asilo» (art. 1 RSCFM) – la ricollocazione è estesa ai richiedenti asilo sottoposti alla procedura di frontiera e ai migranti irregolari ed è prevista in termini più brevi. Soprattutto, la ricollocazione e la sponsorizzazione dei rimpatri diventano gli unici contributi di solidarietà ammissibili, senza possibilità per gli altri Stati membri di optare per forme alternative di sostegno (art. 2, par. 1, RSCFM).

    Sembrano, così, effettivamente delinearsi i contorni di una solidarietà flessibile, data la possibilità di alternare diverse forme di contribuzione, e, al contempo, obbligatoria, oscillando le quote statali tra la parziale vincolatività dello scenario di base e la obbligatorietà totale nello scenario emergenziale.  

    3. …ma difficile da mantenere: i problemi di “tenuta”

    Per valutare la adeguatezza e la solidità dell’impianto solidaristico appena descritto, è utile analizzare le norme che ne disciplinano l’attuazione e il prevedibile impatto dei meccanismi di burden sharing proposti dalla Commissione. L’osservazione di questa dimensione consente di evidenziare quattro problemi di “tenuta” del disegno, che spiegano anche la forte resistenza degli Stati mediterranei a un cambiamento di cui, in teoria, sarebbero i beneficiari.  

    3.1. Il rischio di “paralisi” decisionale

    Uno degli aspetti della riforma segnalati come problematici riguarda il rischio di un eccessivo ampliamento dei poteri della Commissione[6], cui farebbe da contraltare la mancata previsione di un aggiornamento dei poteri e delle risorse delle agenzie europee[7].  Le norme proposte assegnano alla Commissione un ruolo indubbiamente centrale sia nello stabilire quale dei tre scenari descritti (sbarchi ricorrenti, pressione migratoria o situazioni di crisi) debba applicarsi, sia nel definire le modalità di contribuzione degli Stati membri. Ci si può chiedere se ne derivi l’attribuzione alla Commissione di una discrezionalità molto ampia, tale da minacciare la prevedibilità dei meccanismi di solidarietà.

    A mio avviso, non è così e, anzi, il vero problema è, per certi versi, opposto ed è rappresentato dal condizionamento che gli Stati membri possono esercitare sulle decisioni più importanti della Commissione. Le possibilità di influenzare le scelte della Commissione sembrano minori per ciò che attiene alla individuazione dei tre scenari alternativi di volta in volta applicabili. Le norme affidano alla Commissione, nella sua veste di esecutivo dell’Unione, il compito di valutare le situazioni mediante atti di soft law – la relazione annuale sulla gestione della migrazione (Artt. 6 e 47 RGAM), la relazione sulla pressione migratoria (Art. 51 RGAM) e la valutazione della richiesta avanzata dallo Stato membro interessato (Art. 3, par. 2 e 8, RSCFM) – adottati al termine di procedure partecipate. Secondo i casi, la Commissione valuta gli indicatori individuati dalle norme, consulta gli Stati interessati e acquisisce informazioni dalle agenzie europee competenti. Quindi, in base alla caratura più tecnico-amministrativa o, viceversa, politica della valutazione, ne sottopone gli esiti al vaglio degli Stati membri (in seno al Forum per la solidarietà) oppure direttamente del Consiglio e del Parlamento europeo. Ma tale vaglio non implica poteri di veto, né pareri vincolanti e, quindi, non attenta alla prevedibilità del processo.

    Diverso è, invece, il discorso relativo alla determinazione dei contributi di solidarietà che vincolano gli Stati membri. È vero che le norme, nel definire le soglie di copertura obbligatoria delle quote nazionali, lasciano agli Stati un margine di scelta circa la tipologia di contributi da offrire, ma rimettono alla Commissione il potere di decisione finale. Tuttavia, tale potere è esercitato mediante formali atti di esecuzione[8], che sono sottoposti al giudizio degli esecutivi nazionali attraverso la comitologia, in base all’art. 291 TFUE. In particolare, la Commissione potrà approvare gli atti di determinazione dei contributi statali soltanto ottenendo il parere favorevole della maggioranza qualificata degli Stati membri, rappresentati a livello amministrativo nel comitato (procedura d’esame)[9]. Anche nello scenario di crisi, la possibilità di ricorrere ad atti di esecuzione immediatamente applicabili non esclude il parere del comitato, che, acquisito ex post (entro 14 giorni), se sfavorevole, caduca l’atto[10]. Più che di decisioni autonome della Commissione, dunque, si tratta di decisioni condivise con le amministrazioni statali di settore[11].

    Il rischio che si intravede in questi casi non è tanto di “bureaucratic drift” della Commissione, anche perché le previsioni richiamate riproducono il modello generale di attuazione del diritto dell’Unione[12], quanto piuttosto lo “stallo” che potrebbe derivare dalla negoziazione permanente, fuori e dentro i comitati, circa l’ammontare e la tipologia dei contributi di solidarietà degli Stati membri. Ai governi nazionali basterà costruire, di volta in volta, minoranze di blocco, esattamente come in Consiglio, per ostacolare le decisioni esecutive della Commissione e inceppare i meccanismi di solidarietà.  

    3.2. Il rischio di “fuga” dalla solidarietà

    Non meno serio, ma risolvibile attraverso una modifica della proposta in discussione a Bruxelles, è il problema che deriva dalla espressa previsione di una via di fuga dalla solidarietà nelle «situazioni di forza maggiore».

    Secondo la proposta della Commissione, sono tali le «circostanze anormali e imprevedibili che sfuggono al loro controllo, le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate nonostante il ricorso a tutta la dovuta diligenza» (considerando 7 RSCFM). Nel tentativo di circoscrivere l’ambito della nozione, la relazione di accompagnamento della proposta esemplifica i casi di forza maggiore richiamando in più punti la pandemia da Covid-19. Quando tali circostanze si verificano, le conseguenze, per la tenuta dei meccanismi di solidarietà sopra descritti, sono serie. Gli Stati membri, infatti, possono non solo prorogare il termine di adozione delle misure di solidarietà fino a un massimo di 6 mesi (Art. 9 RSCFM), ma addirittura liberarsi dell’obbligo di accettare il trasferimento dei migranti di cui sarebbero responsabili (art. 8, par. 3, RSCFM).

    Il punto decisivo riguarda non tanto la genericità della definizione di “forza maggiore”, quanto le modalità di attivazione del meccanismo di sospensione o esenzione. La possibilità di utilizzo di questo “jolly” sembra, infatti, essere rimessa a una valutazione di opportunità dei singoli governi, ai quali basta una semplice comunicazione alla Commissione, senza alcun vaglio da parte di quest’ultima. La mancata previsione di un atto autorizzatorio o di verifica dei presupposti da parte della Commissione è una scelta rispettosa della sovranità statale, che inevitabilmente è esaltata dalle condizioni di crisi. Tuttavia, si tratta di una scelta contraddittoria, sia rispetto al ruolo della Commissione, che, come “guardiana dei Trattati”, dovrebbe vigilare sul rispetto delle norme in materia di solidarietà; sia rispetto al complessivo impianto della riforma, giacché uno Stato membro potrebbe invocare «circostanze anormali e imprevedibili» ogni qual volta voglia disattendere obblighi di solidarietà non graditi, che la Commissione sia riuscita a imporre nella negoziazione sopra descritta (§ 3.1).  

    3.3. Il rischio di non compliance

    La posizione degli Stati membri frontalieri – in particolare di quelli mediterranei, esposti agli sbarchi – è, nel Patto, poco garantita, a dispetto di quanto la (semi) obbligatorietà delle misure di redistribuzione e condivisione delle responsabilità lascerebbe supporre.

    Una volta conclusa la negoziazione degli obblighi di solidarietà statali, oltre ad azionare il freno di emergenza della “forza maggiore”, ai governi riluttanti resta sempre l’opzione, di più basso profilo, della non compliance. Come l’esperienza del programma di relocation del 2015 dimostra, è sufficiente non indicare la disponibilità di posti nel proprio sistema di accoglienza o procrastinare l’autorizzazione al trasferimento o semplicemente non rispondere alle richieste di contatto delle amministrazioni dello Stato membro beneficiario per ostacolare i trasferimenti o rallentarne il ritmo.  La Commissione può avviare procedure di infrazione, ma, in una materia ad altro tasso di fallimento amministrativo come questa, tende a farlo solo nei casi più macroscopici e con esiti modesti[13].  Nella sostanza, perciò, sono gli Stati beneficiari a sopportare tutti i rischi che derivano dalle molteplici forme di inosservanza ed elusione degli obblighi di solidarietà, fondate su comportamenti non cooperativi e di routinaria resistenza amministrativa.

    Peraltro, anche laddove siano puntualmente osservati, i meccanismi di solidarietà esaminati implicano, per gli Stati frontalieri, costi nascosti. Tali costi si collegano al loro ruolo di “guardiani” delle frontiere esterne, che il Patto rende più oneroso. Non solo, infatti, la Commissione propone di rafforzare e rendere più celeri i controlli di identificazione e sicurezza alle frontiere esterne (v. proposta di regolamento sugli accertamenti alle frontiere esterne), ma ripropone altresì l’idea – già avanzata nel 2016 – di una procedura di esame alla frontiera per la trattazione accelerata delle domande di protezione internazionale con minori probabilità di essere accolte (art. 41 della proposta integrativa di regolamento sulle procedure del 2020 (RPA 2020) in combinazione con l’art. 40 della proposta di regolamento sulle procedure di asilo del 2016 (RPA 2016)). I richiedenti asilo che vengono instradati in questa procedura – in quanto provenienti da un Paese di origine sicuro, o ritenuti pericolosi, o responsabili di condotte ostative, o ancora autori di dichiarazioni non pertinenti, contraddittorie o false – non sono formalmente ammessi nel territorio dell’Unione, bensì «tenuti» alla frontiera esterna o in zona di transito (art. 41, par. 13, RPA 2020); e sono altresì esclusi dalla ricollocazione nei due scenari non emergenziali, sempre al fine di evitare trasferimenti che possano ritardare il rimpatrio.

    Sugli Stati membri frontalieri vengono, così, a gravare oneri amministrativi imponenti, derivanti: i) dallo svolgimento delle attività di identificazione e dei controlli di sicurezza alla frontiera esterna; ii) dalla conduzione, con tempistiche serrate, di procedure di esame alla frontiera delle richieste di protezione più “deboli”; iii) dalla organizzazione e gestione di zone di frontiera o di transito destinate al trattenimento di migranti su larga scala (con potenziale riproduzione di situazioni di degrado, tristemente esemplificate dal campo di Moria a Lesbo); e, in aggiunta, iv) dalla necessità – per poter dichiarare un richiedente eleggibile alla ricollocazione – di svolgere comunque (fatte salve le situazioni di crisi) uno screening preliminare, volto a escludere l’applicabilità della procedura di frontiera (oltre che dei criteri Dublino che portano all’immediato trasferimento nello Stato membro responsabile dell’esame della domanda di protezione). Anche nel caso di migranti destinati alla ricollocazione, dunque, graverebbero sugli Stati membri beneficiari rilevanti oneri procedurali e di accoglienza connessi alla macchinosa verifica delle condizioni di eleggibilità, oneri che la Commissione propone di compensare con il simbolico contributo di 500 euro per migrante (art. 72 RGAM)[14].  

    3.4. I costi della “coercizione”

    Il problema di fondo riguarda l’impostazione che accomuna le misure di burden sharing del Patto. Inserita nel quadro di una politica europea ormai da anni orientata al contenimento dei flussi, la proposta relativa ai meccanismi di solidarietà è intrisa di una logica fortemente coercitiva, probabilmente condizionata dall’intenzione – a Bruxelles, compulsivamente ripetuta e, perciò, fatalmente sopravvalutata – di evitare qualsiasi “fattore di attrazione”.

    I margini di flessibilità previsti dalle norme in esame sono tutti a beneficio degli Stati membri, ma non dei destinatari ultimi di quei meccanismi. La solidarietà prefigurata nel Patto è imperniata su varie forme di ricollocazione (inclusa quella “differita”, legata alla sponsorizzazione dei rimpatri), che si fondano tutte su un tratto comune: la preclusione ai migranti della possibilità di scegliere lo Stato membro di destinazione. A parte il consenso eccezionalmente richiesto ai titolari di protezione (art. 57, par. 3, proposta RGAM), in tutte le altre ipotesi, riguardanti i richiedenti asilo e gli irregolari, il trasferimento dovrebbe effettuarsi a prescindere dall’adesione degli interessati.

    L’astrattezza di questa impostazione sorprende. Sul piano giuridico, non prevedere la consultazione del migrante per acquisirne il consenso (“no choice/no voice”) appare di dubbia compatibilità con i principi di proporzionalità e di giusto procedimento dell’azione amministrativa. Ma, soprattutto, il sacrificio di queste garanzie non sembra essere compensato da benefici in termini di efficienza. Sul piano operativo, infatti, quell’approccio coercitivo implica un aumento esponenziale dei costi amministrativi e del tasso di insuccesso delle operazioni di trasferimento. Il fatto che questo aspetto così decisivo venga ignorato e che manchi, nella ricca documentazione allegata al Patto, una valutazione di impatto, che tenti di misurare i costi e i benefici di questa e delle possibili alternative è, appunto, sorprendente. Tanto più che – come dimostra l’esperienza recente del programma di relocation – il consenso della persona interessata è di fatto indispensabile per attuare la misura, a meno che non si voglia portare l’impostazione coercitiva alle sue estreme conseguenze, prefigurando una sistematica detenzione di tutti i migranti eleggibili per evitare che si sottraggano al trasferimento.

    A ciò deve aggiungersi la kafkiana complessità procedurale che deriva dalla sovrapposizione tra le norme sulla solidarietà e le norme di Dublino. Per effetto di questa combinazione, un richiedente asilo potrebbe essere trasferito una prima volta nello Stato membro di ricollocazione e, poi, sulla base della più completa valutazione dei criteri di Dublino ivi effettuata, essere trasferito una seconda volta nello Stato membro responsabile dell’esame della domanda di protezione. La realizzazione di ben due trasferimenti preliminari, oltre ad essere di per sé disfunzionale, avrebbe l’ulteriore effetto di ritardare di molti mesi l’avvio della procedura di asilo, lasciando i richiedenti a lungo “in orbita”, in palese contrasto con un degli obiettivi prioritari del regolamento Dublino e del sistema comune di asilo dell’Unione nel suo complesso.

    Un discorso non dissimile vale, infine, anche per il meccanismo di sponsorizzazione dei rimpatri proposto della Commissione come contributo statale alternativo alla ricollocazione. Sulla base di questo innovativo schema, un migrante irregolare dovrebbe essere trasferito nello Stato membro “sponsor” qualora l’allontanamento non riesca nei primi 8 mesi (4 mesi nello scenario di crisi) – eventualità non remota, se si considera l’elevato tasso di insuccesso dei rimpatri dall’Unione, soprattutto quando riguardino migranti dal Nord Africa e dal Medio Oriente. Avvenuto il trasferimento, lo Stato “sponsor” dovrebbe continuare a esperire i tentativi di rimpatrio. Tuttavia, è difficile immaginare che tali tentativi possano avere molto successo, sia perché lo Stato “sponsor” potrebbe avere investito già nei primi mesi le proprie risorse diplomatiche per favorire il rimpatrio dallo Stato beneficiario; sia perché più del 70 per cento degli accordi di riammissione con Paesi africani fa capo a Italia, Spagna e Francia, mentre gli Stati dell’Europa del Nord destinati ad agire come “sponsor” hanno una rete di accordi e relazioni diplomatiche con i Paesi di origine molto meno sviluppata degli Stati mediterranei[15]. Perciò, l’idea della sponsorizzazione – avanzata per finalità strategiche, cioè per promuovere, agli occhi dei Paesi di Visegrád e degli altri governi riluttanti, l’immagine di una solidarietà “flessibile” – rischia di rivelarsi, alla prova dei fatti, una novità deludente, in termini di rilancio della politica europea dei rimpatri, e, al contempo, molto costosa, considerate le risorse amministrative e finanziarie richieste da questa nuova tipologia di trasferimenti non volontari all’interno dell’Unione.   

    4. Conclusioni

    Per la prima volta nella sua storia, l’Unione potrebbe avere un sistema di gestione delle migrazioni “corretto” da meccanismi di solidarietà, cioè da norme che prevedono una condivisione degli oneri di accoglienza dei richiedenti asilo e di rimpatrio dei migranti irregolari. L’esangue Sistema comune europeo di asilo acquisirebbe una maggiore stabilità, grazie a un pilastro della solidarietà che si affiancherebbe a quello della responsabilità, eretto sull’insoddisfacente ma insuperabile criterio del primo Paese di ingresso. La Commissione ha compiuto uno sforzo di creatività ed equilibrio apprezzabile: come nelle promesse, la solidarietà del Patto è davvero obbligatoria, almeno per metà delle quote di contribuzione statali parametrate su popolazione e PIL, e al contempo flessibile, quanto alle modalità di contribuzione.

    I primi mesi di negoziazione, però, hanno rivelato i limiti di quella promessa e rafforzato l’opposizione proprio di quegli Stati membri che dovrebbe esserne i principali beneficiari. Al di là dei rischi, sopra evidenziati, di “paralisi” della solidarietà sul piano decisionale o di “fuga” dalla solidarietà tramite la vaga formula della “forza maggiore” (§§ 3.1 e 3.2), il problema principale deriva dalla impostazione “coercitiva” del disegno solidaristico: una impostazione che inevitabilmente porta con sé un tasso di inefficienza amministrativa elevato e che, in modo altrettanto inevitabile, si ripercuote a danno degli Stati membri beneficiari (§§ 3.3 e 3.4). Muovendo dall’assunto che non vada concessa nessuna libertà di scelta né ai richiedenti asilo, né tantomeno ai migranti irregolari, la Commissione sembra ignorare che la coercizione complica le procedure di trasferimento, laddove il consenso degli interessati le renderebbe molto più semplici ed efficaci.

    Il paradosso della opposizione alla solidarietà da parte degli Stati mediterranei che dovrebbero esserne i principali beneficiari si spiega allora così: con la inaffidabilità dei meccanismi di solidarietà loro promessi. La diffidenza di quei governi appare giustificata, perché, in assenza di strumenti efficaci di redistribuzione, gli oneri derivanti dalla protezione delle frontiere esterne e dalle responsabilità di Paesi di primo ingresso rischiano, per quegli Stati membri, di diventare insostenibili.

    Emerge, così, dall’analisi del Patto e delle sue reticenze, l’immagine di una solidarietà costruita sull’acqua. Nel riproporre ed espandere il modello coercitivo, con il suo carico di costi e di inefficienze amministrative, la Commissione intenzionalmente ignora i macroscopici fallimenti sperimentati sul versante dei c.d. trasferimenti Dublino e nell’attuazione del programma di relocation del 2015. Fare i conti con quei fallimenti costringerebbe a mettere in discussione il taboo delle “non scelta” dei migranti e a valutare quali benefici, per la semplificazione e l’efficacia delle procedure, deriverebbero da un modello alternativo, fondato, almeno in parte, sul consenso delle persone “oggetto” delle misure di solidarietà[16]. Quella noncuranza, perciò, appare sospetta: nella migliore delle ipotesi, è miope e, nella peggiore, ideologica. In ogni caso, non pragmatica.  

    La solidarietà fra Stati e UE e la carenza di una visione costituzionale del governo dei flussi e delle crisi migratorie nel nuovo patto sulla migrazione e l’asilo

    di Elisa Cavasino [17]

    Sommario: 1. I tratti caratteristici del Nuovo patto per le migrazioni e l’asilo - 2. Un patto “per la solidarietà fra Stati”, condizionato dal contesto - 3. La carenza di una visione costituzionale del problema delle crisi e dei flussi migratori: alcuni nodi problematici.

    1. I tratti caratteristici del Nuovo patto per le migrazioni e l’asilo

    Il New EU Migration Pact è un articolata serie di proposte di riforma in materia di frontiere, asilo, immigrazione provenienti dalla Commissione europea il cui obiettivo di fondo è di migliorare il livello di cooperazione fra Stati, organi ed agenzie dell’Unione europea in materia di immigrazione ed asilo[18].

    La Commissione si propone di assicurare migliore funzionalità al sistema europeo comune d’asilo. Tuttavia, quest’ambizioso obiettivo andrebbe realizzato senza intervenire direttamente su uno dei tratti più controversi e mal-funzionanti del Sistema europeo comune d’asilo (CEAS) – il regolamento Dublino III[19]; sottostimando peraltro il costo amministrativo e finanziario derivante dall’attuazione del pact, dato che esso determinerebbe imponenti interventi di tipo organizzativo e finanziario per assicurare che le previsioni relative alla “gestione” organizzativa dei controlli e delle procedure di rimpatrio alla frontiera oltreché dei meccanismi di redistribuzione e rimpatrio dei migranti[20] siano effettuate nel pieno rispetto dei principi costituzionali e delle norme internazionali sul diritto di difesa, sul diritto d’asilo, sulla garanzia della libertà personale e dei diritti inviolabili della persona migrante e sul giusto procedimento amministrativo.

    Rispetto a quanto accaduto negli anni successivi all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, le strategie dell’UE proposte dalla Commissione il 23 settembre 2020 – sia quanto agli oggetti da disciplinare, sia quanto alla scelta degli atti di diritto derivato prescelti – sono decisamente orientate su aspetti di governo dei flussi e su meccanismi di raccordo fra gli interventi di “gestione” degli stessi da parte degli Stati e dell’Unione, piuttosto che sullo status del richiedente asilo o del migrante che entra e si muove all’interno dello spazio giuridico europeo.

    Non a caso, gli interventi di riforma dell’impianto del CEAS già esistente si concentrano su eurodac, ricollocamento e regole di procedura applicabili in materia di richieste di asilo alle frontiere esterne dell’Unione. Gli interventi più innovativi riguardano invece l’istituzione di meccanismi di governo dei flussi migratori e di prevenzione e gestione delle crisi migratorie.

    L’assenza di efficacia dell’intervento dell’Unione e l’azione dell’UE in materia d’immigrazione e d’asilo, nel pact sembra essere imputata ad una carenza di “uniformità” nelle regole applicabili e nelle prassi amministrative: è per questo che l’intervento prospettato dalla Commissione insiste sulla necessità di una maggiore armonizzazione delle regole applicabili. Per tale ragione, la fonte “privilegiata” diviene così il regolamento, rispetto alla direttiva.    

    2. Un patto “per la solidarietà fra Stati”, condizionato dal contesto

    Il nuovo patto per l’immigrazione e l’asilo viene costruito in un contesto in cui la chiave di volta per il futuro del sistema europeo comune d’asilo – secondo quanto emerge dall’impostazione complessiva della sua proposta politica della Commissione – è individuata nel principio di solidarietà fra Stati membri dell’Unione e fra Unione e Stati membri, che diventa di fatto l’unica direttrice lungo la quale si svolgono le politiche europee su asilo e immigrazione. Da qui gli interventi “innovativi” sul supporto finanziario e organizzativo dell’UE attraverso le sue agenzie agli Stati per il management delle frontiere, secondo le nuove regole proposte e la riforma dei meccanismi di solidarietà fra Stati nella ri-collocazione dei migranti.

    Certamente, interventi come quelli proposti dal Pact potrebbero incrementare la fiducia reciproca fra Stati membri perché esso introduce meccanismi volti – potenzialmente – a consentire una più effettiva garanzia del principio di solidarietà fra Stati e di condivisione delle “responsabilità” derivanti dalla gestione dei flussi migratori e delle crisi migratorie[21].

    Da questo punto di vista il Pact potrebbe contribuire ad arginare le derive sovraniste in questa materia[22], derive capaci di scardinare il progetto d’integrazione europea in materia di gestione comune delle frontiere esterne[23], di costruzione di uno spazio europeo senza frontiere interne e di governo comune dei flussi migratori da Paesi terzi verso gli Stai membri dell’Unione[24].

    Va considerato a tal proposito che il nuovo patto europeo sull’immigrazione è stato pensato in relazione ad un contesto ben preciso: ricorrenti crisi migratorie; crescenti flussi misti di migranti; vulnerabilità estrema delle frontiere esterne dell’Unione, in particolare di quelle marittime e che dato l’attuale clima politico – che ha impedito sinora di riformare Dublino – comprensibilmente, il progetto politico-normativo della Commissione mira a non destrutturare l’impianto del Sistema europeo comune d’asilo (CEAS).

    È probabilmente questa la ragione per cui questo progetto non è affatto ambizioso nella parte in cui conserva i principi del CEAS, ma lo è, invece, sul versante della solidarietà fra Stati e sul versante dell’idea di frontiera che ci prospetta. In particolare, gli elementi di novità in esso contenuti sono i nuovi istituti ed i nuovi strumenti d’azione comune fra UE e Stati volti a prevedere e a gestire “casi di forza maggiore”[25]; le procedure di riconoscimento dei migranti e di screening sanitario alla frontiera[26]; maggiore forza all’azione UE in materia di contrasto dell’immigrazione irregolare mediante l’irrobustimento delle regole sul controllo delle frontiere[27] e la riforma della direttiva “procedure”[28] che attenuano la distinzione di trattamento fra migranti e richiedenti asilo[29].  

    3. La carenza di una visione costituzionale del problema delle crisi e dei flussi migratori: alcuni nodi problematici

    Purtroppo però quest’impostazione oblitera ciò che – in generale – è mancato nelle politiche UE sull’asilo e l’immigrazione: la mancanza di una visione politica che rispetti il costituzionalismo dei diritti in materia di asilo ed immigrazione, che implicherebbe la individuazione di un punto di equilibrio fra esigenze di governo dei flussi misti (sicurezza e solidarietà fra stati) e tutela dei diritti della persona migrante (diritti e responsabilità)[30].

    L’immagine della frontiera esterna dell’Unione che il Patto ci restituisce è quella di una realtà “solida”, il luogo fisico in cui si deve esprimere la massima capacità organizzativa dello Stato nel controllo efficace ed effettivo dell’immigrazione irregolare e nella gestione amministrativa delle richieste di protezione internazionale.

    Ritorna l’immagine della frontiera-fortezza anche perché è tale capacità organizzativa che può condurre alla fiducia reciproca ed alla solidarietà fra Stati nella gestione di un fenomeno, quello dei flussi migratori, che ha effetti sistemici sullo spazio giuridico europeo, nel senso che carenze sistemiche sul versante del rispetto delle regole UE su contrasto dell’immigrazione irregolare e procedure d’asilo mettono in crisi il CEAS, dunque hanno conseguenze imprevedibili sulla tenuta del processo d’integrazione europea[31].

    Per assicurare che un efficace governo europeo dell’immigrazione e dell’asilo, gli oggetti principali su cui si concentra l’intervento dell’Unione sono, pertanto, le frontiere esterne e le procedure amministrative che in quell’area dello spazio giuridico europeo devono essere svolte mediante regole comuni, anzi, direi meglio, armonizzate, volte ad accelerare le decisioni sullo status giuridico del migrante.

    Esemplificativo di quest’approccio è l’impianto della proposta di riforma della direttiva “procedure” (dir. 2013/32/UE) con cui la Commissione si propone di abrogare la direttiva e di sostituire la disciplina sulle procedure con norme di fonte regolamentare[32]. Alla base della proposta vi è l’esigenza di porre rimedio alle inefficienze amministrative ed ai movimenti (cosiddetti secondari) dei migranti richiedenti asilo che dalle frontiere esterne si spostano negli altri Stati membri alla ricerca delle condizioni e prospettive migliori per il loro soggiorno[33]. La soluzione a tali problemi vede la frontiera esterna come il luogo in cui lo si effettuano l’accertamento dell’identità e lo screening (a tutela della sanità e sicurezza) dei migranti; si raccolgono i dati biometrici e li si inseriscono nei database informativi UE (Eurodac in primis, per l’asilo) e si procede dunque ad acquisire elementi utili ad una pre-valutazione relativi tipo di procedura da utilizzare per gestire la richiesta di protezione del migrante.

    La proposta di riforma immagina diversi esiti a valle di questa prima fase di cui uno in particolare pone seri problemi di compatibilità con un aspetto del nucleo costituzionale del diritto d’asilo, ossia il diritto all’ingresso sul territorio dello Stato per chiedere il riconoscimento della protezione dello Stato[34]: si tratta della procedura valutazione delle domande di asilo senza autorizzare l’ingresso nel territorio dello Stato con rimpatrio (procedure di asilo alla frontiera e rimpatrio alla frontiera) e, per certi aspetti, della procedura combinata di asilo e rimpatrio alla frontiera (per migranti provenienti da paesi con basso tasso di riconoscimento delle domande). Si tratta in entrambi i casi di procedure accelerate e di frontiera che sicuramente aumentano, come dice la Commissione, le probabilità che il rimpatrio vada a buon fine[35], ma che, a prescindere da quanto ritenuto dalla Commissione, altrettanto sicuramente possono entrare in diretto contrasto con l’art. 10 c. 3° Cost. per il profilo descritto.

    È indicativo, ancora, di una carenza di attenzione verso i profili di diritto costituzionale, e di una maggiore cautela, invece, rispetto ai profili di diritto internazionale dei diritti umani, che diversi altri aspetti problematici del patto, in particolare quelli relativi alla compatibilità dell’azione UE e degli Stati con riferimento agli obblighi internazionali di soccorso in mare e con la CEDU che le proposte della Commissione in relazione a tali “oggetti”, non mirano all’adozione di regolamenti, ma sono strumenti di soft law (raccomandazioni)[36].  

    L’UE in lotta contro il traffico di migranti: dal facilitators package al nuovo patto sulla migrazione e l’asilo

    di Alessandro Spena [37]  

    Sommario: 1. Un altro nuovo inizio? – 2. Il Facilitators package: ancora tu? – 3. Un modello più armonioso: il Protocollo Onu contro lo smuggling of migrants – 4. L’illusione di un nuovo inizio: il Piano d’azione (2015-2020) – 5. Così è (se vi pare): la REFIT evaluation del 2017 – 6. Si può criminalizzare la solidarietà? No, ma anche.            

    1. Un altro nuovo inizio?  

    Il Nuovo patto sulla migrazione e l’asilo, adottato dalla Commissione europea il 23 settembre 2020, si pone dichiaratamente come “un nuovo inizio” di fronte alle sfide di grande impegno poste dai fenomeni migratori all’Europa. Questo nuovo inizio si articola su una serie di linee-guida fondamentali, che il patto si limita per lo più ad enunciare in termini generali e programmatici. Tra queste linee-guida, ritroviamo anche l’esigenza di rafforzare la lotta contro il traffico di migranti (migrant smuggling), il quale, comportando «lo sfruttamento organizzato dei migranti» e ruotando su «una ricerca del profitto che ha scarso rispetto per la vita umana», pregiudica sia gli obiettivi umanitari, della protezione delle vite e dei diritti delle persone trafficate, sia lo scopo dell’Ue di provvedere ad una gestione ordinata e controllata delle migrazioni in territorio europeo.

    L’obiettivo di combattere il traffico di migranti, per la verità, non è affatto una novità tra le strategie Ue in materia di immigrazione; il problema è, semmai, che il quadro normativo europeo in quest’ambito – essenzialmente cristallizzato nel cosiddetto Facilitators package del 2002[38] – presenta, sin dal suo sorgere, non pochi problemi e risulta oggi affetto da numerosi profili di anacronismo.            

    2. Il Facilitators package: ancora tu?

    Per rendersene conto, basta darvi una scorsa veloce. Delle due esigenze oggi indicate dalla Commissione come stelle polari della lotta al migrant smuggling – ossia, nell’ordine, protezione del migrante smuggled e controllo dei flussi migratori – la prima non vi riceve alcuna significativa considerazione: la lotta al traffico dei migranti vi è condotta in un’ottica squisitamente stato-centrica, che considera il fenomeno dalla sola prospettiva degli stati, come violazione del loro interesse a regolare i flussi di stranieri in entrata e in uscita sui loro territori, in un quadro, peraltro, nel quale – in forza degli accordi di Schengen e della libera circolazione dei cittadini comunitari tra i paesi che ne fanno parte – l’interesse al controllo delle frontiere di ciascuno stato viene concepito come oggetto di un corrispondente interesse anche degli altri stati[39].

    Nella logica del package, insomma, il traffico di migranti è solo un tassello di un problema più generale, quello dell’immigrazione irregolare. Ed infatti, nel primo e nel secondo Considerando della Direttiva, si legge rispettivamente che “(1) Uno degli obiettivi che l'Unione europea si prefigge è l'istituzione progressiva di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia che implica, in particolare, la lotta all'immigrazione clandestina” e che “(2) Occorre pertanto adottare misure volte a combattere l'attività di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, tanto se correlata all'attraversamento illegale della frontiera in senso stretto quanto se perpetrata allo scopo di alimentare le reti di sfruttamento di esseri umani”. Nessun riferimento è fatto – né qui né nella Decisione quadro – alla necessità di tutelare i diritti dei soggetti trafficati e di considerare dunque il fenomeno del traffico di migranti anche dal punto di vista delle sue implicazioni umanitarie[40]. Il fuoco dello strumento è tutto puntato sull’esigenza di combattere l’immigrazione irregolare.

    Il traffico, di conseguenza, vi è essenzialmente dipinto e preso in considerazione come attività ancillare rispetto all’ingresso o al soggiorno irregolare dello straniero sul territorio degli stati Ue; la condotta del trafficante, di per sé, non vi è vista come portatrice di un autonomo contenuto di illecito: essa vi riceve il proprio contenuto di illecito di riflesso, in via accessoria, dal fatto di costituire aiuto, favoreggiamento, di una condotta di immigrazione irregolare. Come tale, del resto, la condotta è descritta all’art. 1: il fatto di chi intenzionalmente assista, aiuti, uno straniero ad entrare irregolarmente nel, o ad attraversare irregolarmente il, o a soggiornare nel, territorio di uno stato membro, dove è chiaro che il vero nucleo di disvalore è fatto risiedere nella condotta di chi irregolarmente entra nel territorio o lo attraversa[41].

    Ma la considerazione del tutto secondaria che nel Facilitators package ricevono gli obiettivi umanitari emerge soprattutto da due altre circostanze. In primo luogo, la Direttiva costruisce, nell’art. 1.1.a, l’incriminazione del favoreggiamento all’ingresso irregolare (a differenza di quanto l’art. 1.1.b fa per il favoreggiamento della permanenza irregolare) senza richiedere che il favoreggiatore agisca per finalità di profitto[42]; ciò comporta che la fattispecie risulti integrata non soltanto da condotte votate allo sfruttamento economico del migrante, ma anche da condotte realizzate per puro spirito di solidarietà, incluse, in linea di principio, quelle orientate a scopi di carattere umanitario. In secondo luogo, una siffatta espansione dell’ambito applicativo dell’incriminazione non risulta efficacemente contrastata da quanto previsto nell’art. 1.2: il fine di assistenza umanitaria vi è bensì previsto, ma quale mera opzione, lasciata alla libera discrezionalità degli stati; la Direttiva non impone affatto agli stati di non punire le condotte di aiuto all’ingresso commesse per quella finalità; si limita a riconoscere che essi ne hanno facoltà[43].  

    3. Un modello più armonioso: il Protocollo Onu contro lo smuggling of migrants

    Questa impostazione, così ferreamente stato-centrica, risulta tanto più evidente se la si pone a confronto con l’impostazione dell’altro grande strumento internazionale in materia, ossia il Protocollo contro il traffico dei migranti (smuggling of migrants) aggiunto alla Convenzione Onu contro il crimine organizzato transnazionale, siglata a Palermo nel dicembre del 2000. Anche questo strumento, per vero, individua la ragione fondamentale della criminalizzazione della condotta nell’interesse degli stati al controllo dei flussi migratori. Tuttavia, sin dalle prime battute, vi si stabilisce esplicitamente che “The purpose of this Protocol is to prevent and combat the smuggling of migrants, as well as to promote cooperation among states Parties to that end, while protecting the rights of smuggled migrants” (art. 2), e in tal modo l’approccio stato-centrico risulta decisamente temperato dalla centrale considerazione in cui vengono esplicitamente tenuti i diritti dello straniero smuggled[44].

    Non è un caso, allora, che la fattispecie dell’illecito sia impostata in termini di smuggling (traffico) e non di mera agevolazione/facilitazione dell’immigrazione irregolare; il che contribuisce a dotare il reato di un autonomo disvalore, che non si risolve in un mero riflesso dell’ingresso o del soggiorno irregolare dello straniero: se non si può dire, insomma, che lo straniero vi sia strutturalmente dipinto alla stregua di una vittima degli smuggler, di certo non vi è neanche dipinto come l’autore di un illecito principale (di immigrazione irregolare), rispetto al quale la condotta del trafficante si ponga quale mero supporto. Nell’impostazione del Protocollo ONU, il migrante smuggled figura piuttosto come un mero “oggetto” dell’altrui condotta, con la conseguenza che è in radice esclusa ogni possibilità di considerarlo responsabile del fatto di smuggling, come viene espressamente sancito dall’art. 5 (“Migrants shall not become liable to criminal prosecution under this Protocol for the fact of having been the object of” smuggling).

    Ad avvalorare questa lettura vi è la circostanza che la condotta di smuggling viene qui criminalizzata solo a condizione che sia posta in essere “in order to obtain, directly or indirectly, a financial or other material benefit” (artt. 3 e 6): che lo smuggler agisca per fine di profitto è un elemento attorno al quale è costruita la fattispecie incriminatrice e dal quale, dunque, dipende il disvalore del fatto, che in tal modo si connota di una dimensione lucrativa che sembra colorare la condotta di un significato di sfruttamento: lo smuggler sfrutta, al fine di ricavarne un profitto, la situazione che viene a crearsi per il convergere, da un lato, dei limiti posti dalla legge alla possibilità per lo straniero di entrare regolarmente nel territorio dello stato e, dall’altro lato, del bisogno, o comunque del desiderio, dello straniero di aggirarli[45].

    Proprio perché il fatto deve essere commesso per fine di lucro, nel Protocollo non è prevista alcuna scriminante umanitaria: non perché il fine umanitario non rilevi in rapporto alla condotta illecita, ma semplicemente perché fine di profitto e fine umanitario sono mutuamente esclusivi, così che il ricorrere del secondo esclude automaticamente il primo, e dunque anche la configurabilità della condotta illecita. Come è precisato nelle Interpretative notes for the official records (travaux préparatoires) of the negotiation of the United Nations Convention against Transnational Organized Crime and the Protocols thereto,[46]

    [T]he reference to “a financial or other material benefit” as an element of the definition in subparagraph (a) [of art. 3] was included in order to emphasize that the intention was to include the activities of organized criminal groups acting for profit, but to exclude the activities of those who provided support to migrants for humanitarian reasons or on the basis of close family ties. It was not the intention of the protocol to criminalize the activities of family members or support groups such as religious or non-governmental organizations.  

    4. L’illusione di un nuovo inizio: il Piano d’azione (2015-2020)

    Il Protocollo è dunque uno strumento capace di rappresentare una visione comprensiva del fenomeno del traffico di migranti, che si faccia carico non solo dell’interesse dello stato, ma anche dei diritti dello straniero. Il Facilitators package no. Di ciò, si rende conto la stessa Commissione europea, allorché, lanciando il Piano d’azione Ue contro il traffico di migranti (2015 – 2020)[47], si ripromette esplicitamente di formulare “proposte per migliorare l'attuale quadro giuridico dell'Ue di lotta contro il traffico di migranti, che definisce il reato di favoreggiamento dell'ingresso e del soggiorno illegali”.

    Da diversi punti di vista, in effetti, il Piano prelude a un cambio di passo rispetto al Facilitators package; i toni sono assai diversi; vi si abbandona, infatti, il paradigma del trafficante come favoreggiatore dell’immigrato irregolare: la svolta è linguistica (smuggler e non più facilitator), ma anche concettuale: si dà esplicito risalto alla circostanza che la relazione fra trafficante e trafficato è improntata ad uno sfruttamento del secondo da parte del primo: “I trafficanti trattano i migranti come merci, al pari della droga e delle armi da fuoco che contrabbandano lungo le stesse rotte”; più che come complici dell’immigrato irregolare, i trafficanti vengono adesso dipinti come soggetti senza scrupoli, che “ricavano profitti considerevoli” mettendo a rischio la vita dei migranti: “Per aumentare al massimo questi profitti, i trafficanti ammassano spesso centinaia di migranti su camion o su imbarcazioni insicure (come piccoli gommoni o navi da carico da rottamare). Innumerevoli migranti annegano in mare, soffocano nei container o periscono nei deserti. [...]. I diritti umani dei migranti sono spesso gravemente violati con azioni di abuso e sfruttamento”.  

    5. Così è (se vi pare): la REFIT evaluation del 2017

    Sennonché, le annunciate proposte per migliorare il quadro giuridico sono sin qui rimaste confinate nel quaderno dei buoni propositi. È infatti accaduto che, nel frattempo, su iniziativa della stessa Commissione, si sia dato avvio ad una valutazione del Facilitators package[48], sotto i profili della effectiveness[49], dell’efficiency[50], della relevance[51], della coherence[52] e dell’Eu added-value[53], ad esito della quale si è giunti alla conclusione che il package “achieves its objectives and is still fit-for-purpose” e che pertanto “at this point in time [it] should be maintained in its present form”[54].

    Un esito, per vero, piuttosto sorprendente.         

    5.1.  Già il modo in cui il documento di valutazione ricostruisce gli obiettivi del package suscita qualche perplessità, essendo affetto da (ciò che potremmo chiamare) un palese anacronismo interpretativo; vi si lascia intendere che esso sia animato dal bisogno di proteggere innanzitutto i diritti umani dei soggetti trafficati e secondariamente l’interesse degli stati alla gestione dei flussi migratori[55]: ma ciò, come si è visto, non è vero; si tratta, in realtà, una proiezione retroattiva di un modo di impostare il tema della lotta al traffico di migranti che, almeno in ambito Ue, è venuto maturando solo successivamente, e che non era affatto sotteso alla normativa 2002, connotata invece da una vocazione spiccatamente stato-centrica.  

    5.2.  Quanto poi alle valutazioni sui singoli punti, meritano di essere segnalate quelle che attengono al piano della effectiveness e al piano della coherence.

    Sotto il primo profilo, il Commission staff riconosce che “reliable, complete, updated and comparable statistics in terms of investigations, prosecutions and convictions related to migrant smuggling are lacking”; che, ciò nondimeno, “available annual figures show that irregular crossings at EU external borders reported in 2015 were six times as high as in 2014, while detections of suspected facilitators increased from 10 234 in 2014 to 12 023 in 2015. The latter rise reflects mostly increases reported in Spain, France and Italy”; e che pertanto “From such figures it could be deducted that the Facilitators Package has not significantly contributed to reducing irregular migration, particularly in the context of increasing migratory inflows”, sebbene, “in the absence of full data and an incomplete baseline, these conclusions remain partial”[56].

    Il pacchetto si sarebbe invece rivelato effective sul piano dell’armonizzazione tra le normative europee in materia di traffico di migranti, essendo “considered sufficiently broad and clear to allow prosecution of different forms of migrant smuggling”[57]: ma è difficile capire quanto questo sia propriamente un effetto del package; nel caso italiano, ad es., si può dire che la disciplina penale in tema di favoreggiamento non abbia subito alcun significativo influsso da parte della normativa europea: lo schema generale delle incriminazioni attualmente previste nell’art. 12 Tuimm era già presente nella versione originaria del d.lgs. 286/1998. A ciò si aggiunga il problema – segnalato da alcuni stati membri e dalla assoluta maggioranza degli altri soggetti consultati – della mancanza di chiarezza e certezza giuridica nella distinzione tra favoreggiamento dell’immigrazione irregolare e assistenza umanitaria, quale risulta dall’attuale formulazione dell’art. 1.2 della Direttiva, che, come visto, non impone agli stati di prevedere una humanitarian exemption, riconoscendo loro soltanto la facoltà di farlo[58].

    Questo rende, forse, un po’ troppo caritatevole la pur cauta conclusione cui giunge il Commission staff, secondo cui, “limited availability of reliable and comparable data hinders the capacity to draw a clear-cut, conclusive picture”: in realtà, il quadro sembra abbastanza chiaro nel senso di suggerire che il package si sia rivelato tutto sommato scarsamente effective nel perseguimento dei suoi scopi.  

    5.3.  Ma le maggiori perplessità sorgono sotto il profilo della coherence. La valutazione del Commission staff si muove, a questo proposito, su due piani diversi: un piano di coerenza interna, concernente tanto il rapporto fra i due strumenti del Facilitators package (Direttiva e Decisione quadro) quanto il rapporto fra questi e gli altri strumenti Ue in materia di traffico di migranti e immigrazione irregolare; e un piano di coerenza esterna, concernente invece il rapporto tra Facilitators package e Protocollo Onu contro lo smuggling of migrants.  

    5.3.1.  Secondo il Commission staff, vi è coerenza su entrambi i piani; ma ciò appare discutibile già sul piano della coerenza interna. È vero che il Facilitators package è coerente sia nei due atti che lo compongono (Direttiva e Decisione quadro), sia nel rapporto con alcuni strumenti normativi emanati, successivamente al 2002, nell’ambito dell’acquis dell’Ue, in materia di immigrazione irregolare e fenomeni connessi (in particolare, la cosiddetta Employers Sanctions Directive del 2009 e la Direttiva 2011/36/UE on preventing and combating trafficking in human beings). Più complesso appare tuttavia il rapporto con il Piano d’azione contro il traffico di migranti (2015-2020): abbiamo visto come, in realtà, quest’ultimo fosse caratterizzato da un approccio significativamente diverso, almeno sotto certi punti di vista (primo fra i quali, la sottolineatura della dimensione umanitaria e dei diritti dei migranti trafficati implicati nel fenomeno del traffico), rispetto a quello del package, e come anzi, proprio a partire da una presa di coscienza di tali diversità, il Piano d’azione si proponesse di formulare “proposte per migliorare l'attuale quadro giuridico dell'Ue di lotta contro il traffico di migranti”, e dunque per superare, o comunque emendare, la disciplina del package.

    Ciò nonostante, e nonostante si prenda atto del fatto che il Piano d’azione prevedesse una revisione del Facilitators package finalizzata “to ensure that appropriate sanctions are in place while avoiding risks of criminalisation of those who provide humanitarian assistance to migrants in distress”, il documento conclude nel senso che “There is therefore a strong coherence between the objectives of the Action Plan and Facilitators Package”; le divergenze tra i due strumenti sarebbero dovute esclusivamente al fatto che “The Action Plan responded to a crisis context requiring operational and prompt action to prevent loss of lives at sea, disrupt smuggling activities and better prevent this form of crime, whereas the Facilitators Package does not aim for any immediate operational effect and rather contributes to better preventing and countering the phenomenon in the long term”.  

    5.3.2.  Ancor più sorprendere appare, poi, il giudizio riguardante la coerenza tra Facilitators package e Protocollo Onu contro lo smuggling: “Despite some differences […], the Protocol and the Facilitators Package remain coherent with each other”. Ora, è vero che il Protocollo ha una proiezione diversa dal package, poiché, a differenza di quest’ultimo, è specificamente orientato a considerare lo smuggling come oggetto dell’azione di gruppi criminali organizzati, e che ciò potrebbe giustificare qualche differenza nei contenuti specifici dei due strumenti. Il fatto è, però, che tra di essi corrono differenze tutt’altro che specifiche o di dettaglio, davvero difficili da spiegare esaustivamente con l’argomento addotto: si tratta di differenze radicali e sul piano dell’impostazione generale (esclusivamente stato-centrica quella Ue, stato-centrica moderata da umanitarismo quella Onu) e sul piano della definizione della condotta (imperniata sul fine di lucro quella Onu e costruita come smuggling e non quale mero favoreggiamento, a differenza di quanto avviene nel package) e sul piano della considerazione dei diritti dei migranti trafficati (centrale nel Protocollo, ma del tutto carente nel package).  

    6. Si può criminalizzare la solidarietà? No, ma anche 

    La conclusione cui giunge il Commission staff, ad ogni modo, suona perentoria: il Facilitators package va mantenuto nella sua forma attuale; la necessità di una sua revisione “could be re-evaluated, once the implementation of the Action Plan has reached greater maturity”.

    Da qui muove il Nuovo patto del 23 settembre 2020, allorché proclama recisamente che “Le norme vigenti per contrastare il traffico di migranti si sono rivelate un quadro giuridico efficace per combattere coloro che facilitano l'ingresso, il transito e il soggiorno illegali”.

    L’unico profilo sul quale la Commissione ritiene di dover intervenire, e con immediatezza, è “la questione della criminalizzazione di soggetti privati” che compiano atti di assistenza umanitaria. Lo fa presentando, l’1 ottobre 2020, una Comunicazione[59], che aspira a fornire una sorta di interpretazione autentica dell’art. 1.2 della Direttiva 90/2002, che ne guidi l’implementazione, sin qui per vero piuttosto deludente, da parte degli stati membri. La Commissione, in tal modo, dà corso ad una precisa richiesta del Parlamento europeo, che, nel luglio 2018, la aveva appunto esortata “ad adottare orientamenti destinati agli Stati membri al fine di chiarire quali forme di favoreggiamento non dovrebbero essere configurate come reato, in modo da assicurare chiarezza e uniformità nell'attuazione dell'acquis attuale, tra cui l'articolo 1, paragrafo 1, lettera b), e l'articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sul favoreggiamento”, sul presupposto “che la chiarezza dei parametri [avrebbe garantito] una maggiore coerenza nella normativa penale relativa al favoreggiamento in tutti gli Stati membri, riducendo la criminalizzazione indebita”[60].

    In realtà, solo tre anni prima, nella già citata REFIT evaluation del 2017, il Commission working staff affermava che “as of today there appears to be rather limited evidence that social workers, family members or citizens acting out of compassion have been prosecuted and convicted for facilitation of unauthorised entry, transit or residence”; al punto che “the findings show that only one-fifth of the interviewees actually fear sanctions for their humanitarian assistance-related work with irregular migrants in situation of transit or staying on the national territory, and that only some, among those who actually reported fearing such sanctions, would associate the fear with a possible deterrent effect on providing assistance”.

    Oggi, invece, agli occhi della stessa Commissione la situazione appare mutata: “Le ultime ricerche discusse dalla Commissione con le ONG suggeriscono che, dal 2015, gli atti compiuti per scopi umanitari sono sempre più oggetto di sanzioni. I dati raccolti hanno confermato che le azioni giudiziarie e le indagini nei confronti di singoli individui per motivi connessi al reato di favoreggiamento sono aumentate nell’UE dal 2015. La ricerca ha registrato 60 indagini e azioni giudiziarie in dieci Stati membri tra il 2015 e il 2019, per lo più relative al favoreggiamento dell’ingresso, con un picco di casi nel 2018”.

    In Italia, senza considerare la risalente vicenda Cap Anamur, è dal 2017 (sequestro della Juventa, per iniziativa della procura di Trapani) che si segnala un certo attivismo giudiziario avente ad oggetto l’opera delle Ong impegnate nel salvataggio di vite nel Mediterraneo[61].

    Ciò rende urgente chiarire la portata della normativa europea su questo punto, onde prevenire – per usare l’efficace espressione impiegata dal Parlamento Ue nella sua Risoluzione – la configurazione come reato dell'assistenza umanitaria. Sennonché, se lo scopo era questo (chiarire l’ambito di applicazione degli obblighi derivanti dal Facilitators package, in modo da evitare la configurazione dell’assistenza umanitaria come reato), la soluzione fornita non sembra del tutto soddisfacente. Scrive la Commissione: “La criminalizzazione delle organizzazioni non governative o di altri attori non statali che svolgono operazioni di ricerca e soccorso nel rispetto del quadro normativo applicabile costituisce [...] una violazione del diritto internazionale e di conseguenza non è permessa dal diritto dell’UE”; pertanto, “l’articolo 1 della direttiva sul favoreggiamento, quando qualifica come reato il favoreggiamento dell’ingresso e del transito illegali, lasciando agli Stati membri la facoltà di non adottare sanzioni nei casi in cui i comportamenti in questione abbiano lo scopo di prestare assistenza umanitaria, non si riferisce all’assistenza umanitaria obbligatoria per legge, in quanto essa non può essere qualificata come reato”.

    Schematicamente: 

    “i) l’assistenza umanitaria obbligatoria per legge non può e non deve essere qualificata come reato;

    ii) in particolare, la criminalizzazione delle organizzazioni non governative o di altri attori non statali che svolgono operazioni di ricerca e soccorso nel rispetto del quadro normativo applicabile costituisce una violazione del diritto internazionale e di conseguenza non è permessa dal diritto dell’Ue;

    iii) l’eventuale valutazione della questione se un comportamento rientri nella nozione di «assistenza umanitaria» di cui all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva – nozione che non può essere interpretata nel senso di consentire la criminalizzazione di un comportamento obbligatorio per legge – dev’essere condotta caso per caso, tenendo conto di tutte le circostanze specifiche”.

    Bisognerebbe dunque distinguere due forme di assistenza umanitaria: una, consistente nell’adempimento dei doveri di ricerca e soccorso in mare imposti dal diritto internazionale, la quale rimarrebbe fuori dall’ambito applicativo dell’art. 1.2 della Direttiva, poiché ancor più in radice rimarrebbe fuori dall’ambito applicativo di tutto il Facilitators package: non rientrerebbe insomma tra i fatti descritti nell’art. 1; una sua criminalizzazione, essendo in contrasto col diritto internazionale, lo sarebbe anche col diritto Ue, e dunque gli stati membri non hanno facoltà di criminalizzarla come forma di smuggling. Vi è poi una seconda forma di assistenza umanitaria, che la Commissione non definisce se non, appunto, in negativo, come assistenza umanitaria diversa da quella imposta dal diritto internazionale: questa avrebbe un contenuto non determinabile in astratto, ma solo “caso per caso, tenendo conto di tutte le circostanze specifiche”. È la (non) criminalizzazione di queste attività come forme di smuggling che l’art. 1.2 rimette alla discrezionalità degli stati membri.

    Ora, l’affermazione, ufficiale ed esplicita, che gli stati membri non hanno facoltà di criminalizzare condotte di search and rescue imposte dal diritto internazionale ha un valore simbolico importante, ma un’utilità pratica assai scarsa[62]; essa vale ad affermare qualcosa che, nella sua dimensione di principio, non viene mai messa in discussione nelle vicende giudiziarie che qui rilevano. Nessun giudice o pubblico ministero sostiene l’argomento che vadano punite come smuggling condotte imposte dal diritto internazionale. Il vero problema sta altrove: la materia del soccorso in mare è bensì oggetto di un complesso molto articolato di fonti internazionali, ma queste sono, tuttavia, carenti di indicazioni univoche nell’individuazione del porto sicuro dove fare sbarcare le persone salvate, e dunque dello stato che debba considerarsi obbligato a consentire tale sbarco sul proprio territorio[63]. È da qui – non certo dall’idea che si possa disapplicare il diritto internazionale – che emergono le situazioni di conflitto che vedono protagonisti, da un lato, quei soggetti privati che, avendo effettuato un soccorso in mare, chiedono l’indicazione di un porto sicuro e, dall’altro, quegli stati che invece rimangono riluttanti a fornirne uno sul proprio territorio. Rispetto a queste situazioni accade appunto che, al soccorritore che in ultimo decida unilateralmente di entrare nel mare territoriale di uno stato riluttante e di procedere allo sbarco, si contesti il reato di smuggling: e sotto questo riguardo, il diritto internazionale si è fin qui rivelato una guida piuttosto malsicura.

    La Comunicazione della Commissione non dissipa queste incertezze, si limita a richiamarle: vi si legge ad es. che “Quando intervengono in operazioni di ricerca e soccorso, tutti gli attori coinvolti devono rispettare le istruzioni dell’autorità di coordinamento, conformemente ai principi generali e alle norme applicabili del diritto internazionale marittimo e dei diritti umani”; il che è verissimo, ma in che modo ciò contribuisce a rendere più agevole la soluzione di casi problematici, come ad es. quello del comandante di nave che, nello stallo fra autorità italiane e autorità maltesi, che si rimpallino la responsabilità di fornire un porto sicuro, scelga unilateralmente di entrare nelle acque di uno dei due stati per procedere allo sbarco?

    Per casi difficili siffatti, la soluzione non giungerà certo da un mero rinvio al diritto internazionale, né tantomeno dall’attuale formulazione dell’art. 1.2 della Direttiva, che, come appunto chiarisce la Commissione, non impone affatto agli stati membri di non criminalizzare quanto, al di là degli obblighi imposti dal diritto internazionale, essi possono discrezionalmente (“caso per caso, tenendo conto di tutte le circostanze specifiche”) qualificare come assistenza umanitaria. La soluzione sta, semmai, in una profonda revisione del Facilitators package, che rifiuti, in maniera finalmente esplicita e senza infingimenti, di criminalizzare la solidarietà: o uniformandosi alla definizione di smuggling offerta dal Protocollo Onu, e dunque includendo il fine di profitto tra gli elementi essenziali della fattispecie, oppure riformulando il senso dell’art. 1.2 della Direttiva, cosicché gli stati siano obbligati ad escludere il reato di smuggling in caso di condotta realizzata a scopi di assistenza umanitaria.

    Il Facilitators package, insomma, è uno strumento tutt’altro che “still fit-for-purpose” e meritevole di essere “maintained in its present form”: esso è, invece, uno strumento ormai anacronistico, bisognoso quanto prima di un profondo ripensamento e nei suoi presupposti di principio e nei suoi dettagli di disciplina.

     

    [1] Professore ordinario di diritto amministrativo nell’Università della Tuscia (mario.savino@unitus.it)

    [2] Commissione europea, A fresh start on migration: Building confidence and striking a new balance between responsibility and solidarity, comunicato stampa, 23 settembre 2020. 

    [3] Si veda il rapporto relativo alle negoziazioni sul Patto, predisposto dalla Presidenza portoghese e approvato dal Consiglio GAI dell’8 giugno (Pact on Migration and Asylum – Progress Report, 9178/21, 31 maggio 2021, su cui Agence Europe, EU Interior Ministers urged to adopt progress report on ‘Pact on Migration and Asylum’ due to lack of breakthrough, 2 giugno 2021).

    [4] D. Thym, European Realpolitik: Legislative Uncertainties and Operational Pitfalls of the ‘New’ Pact on Migration and Asylum, in EU Immigration and Asylum Law and Policy Blog, 29 settembre 2020.

    [5] M. Savino, On Failed Relocation and Would-be Leviathans: Towards the New Pact on Migration and Asylum, ADiM Blog, 31 luglio 2020.

    [6] F. Maiani, A “Fresh Start” or One More Clunker? Dublin and Solidarity in the New Pact, in EU Immigration and Asylum Law and Policy Blog, 20 ottobre 2020.

    [7] L. Tsourdi, The New Pact and EU Agencies: an ambivalent approach towards administrative integration, in EU Immigration and Asylum Law and Policy Blog, 6 novembre 2020.

    [8] In tutti e tre gli scenari, gli obblighi di contribuzione solidaristica sono fissati da un atto di esecuzione della Commissione (artt. 48 e 53 RGAM e art. 3, par. 2, RSCFM), sulla base delle indicazioni contenute nei piani per la risposta di solidarietà degli Stati membri, all’occorrenza integrate dalla Commissione, se insufficienti.

    [9] Sia l’art. 67 RGMA, sia l’art. 12 RSCFM richiamano la procedura d’esame disciplinata dall’art. 5 del regolamento comitologia n. 182/2011.

    [10] Come dispone in via generale l’art. 8, par. 4, del regolamento comitologia n. 182/2011.

    [11] M. Savino, La comitologia dopo Lisbona: alla ricerca dell’equilibrio perduto, in Giornale di diritto amministrativo, 2011, n. 10, p. 1041 ss.

    [12] M. Savino, L’organizzazione amministrativa dell’Unione europea, in L. De Lucia e B. Marchetti (a cura di), L’amministrazione europea e il suo diritto, Bologna, il Mulino, 2015, p. 39 ss.

    [13] Come testimonia la pronuncia conclusiva della saga sulla relocation: Corte di giustizia, sentenza 2 aprile 2020, cause riunite C-715/17, C-718/17 e C-719/17, Commissione c. Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca.

    [14] Sulle implicazioni finanziarie del Patto, I. Goldner Lang, Financial Implications of the New Pact on Migration and Asylum: Will the Next MFF Cover the Costs?, in EU Immigration and Asylum Law and Policy Blog, 27 gennaio 2021.

    [15] J.-P. Cassarino, Readmission, Visa Policy and the “Return Sponsorship” Puzzle in the New Pact on Migration and Asylum, in ADiM Blog, 30 novembre 2020.

    [16] Sui modelli alternativi, F. Maiani, Responsibility Allocation and Solidarity, in P. De Bruycker, M. De Somer, J.-L. De Brouwer (eds.), From Tampere 20 to Tampere 2.0: Towards a new European consensus on migration, EPC, December 2019, p. 108 ss.

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    [17] Professore associato di diritto costituzionale nell’Università di Palermo (elisa.Cavasino@unipa.it)

    [18] La proposta della Commissione è disponibile al seguente indirizzo https://ec.europa.eu/info/publications/migration-and-asylum-package-new-pact-migration-and-asylum-documents-adopted-23-september-2020_en

    [19] Regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 , che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide.

    [20] Sul tema degli oneri finanziari I. Goldner Lang, The Future of Legal Europe: Will We Trust in It?, in corso di pubblicazione in un volume della Springer, 2021, reperibile attraverso il portale Social Science Research Network (SSRN) https://www.ssrn.com/index.cfm/en/

    [21] Proposta modificata di Regolamento che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE COM(2020) 611 final.

    [22] Su cui S. Penasa, G. Romeo, Sovereignty-based Arguments and the European Asylum System: Searching for a European Constitutional Moment?, in European Journal of Migration and Law 22(2020) 11-38.

    [23] CGUE Grande Sezione sentenza 17 dicembre 2020 Commissione c. Ungheria C-808/18.

    [24] Comunicazione della Commissione Un nuovo patto sulla migrazione e l’asilo del 23.9.2020 COM (2020) 609 e relativo allegato contenente la Roadmap per la sua attuazione; proposta in materia di gestione (management) dell’asilo e della migrazione  (Asylum and Migration Management Regulation – AMR), EU Commission Staff Working Document on Accompanying the document PROPOSAL FOR A REGULATION OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL on asylum and migration management and amending Council Directive (EC)2003/109 and the proposed Regulation (EU)XXX/XXX [Asylum and Migration Fund] SWD/2020/207 final; Proposta di regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione e che modifica la direttiva 2003/109/CE del Consiglio e la proposta di regolamento (UE) XXX/XXX [Fondo Asilo e migrazione] COM (2020) 610 final del 23.9.2020 e relativo allegato.

    [25] Proposta di REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO concernente le situazioni di crisi e di forza maggiore nel settore della migrazione e dell'asilo (Testo rilevante ai fini del SEE) COM(2020) 613 final; RACCOMANDAZIONE (UE) 2020/1366 DELLA COMMISSIONE del 23 settembre 2020 su un meccanismo dell’UE di preparazione e di gestione delle crisi connesse alla migrazione (programma di preparazione e di risposta alle crisi nel settore della migrazione).

    [26] Proposta di REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO che introduce accertamenti nei confronti dei cittadini di paesi terzi alle frontiere esterne e modifica i regolamenti (CE) n. 767/2008, (UE) 2017/2226, (UE) 2018/1240 e (UE) 2019/817 COM(2020) 612 final e relativo allegato;

    Proposta modificata di REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO che istituisce l'«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l'efficace applicazione del regolamento (UE) XXX/XXX [regolamento sulla gestione dell'asilo e della migrazione] e del regolamento (UE) XXX/XXX [regolamento sul reinsediamento], per l'identificazione di cittadini di paesi terzi o apolidi il cui soggiorno è irregolare e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto, e che modifica i regolamenti (UE) 2018/1240 e (UE) 2019/818 COM(2020) 614 final e relativo allegato. RACCOMANDAZIONE (UE) 2020/1364 DELLA COMMISSIONE del 23 settembre 2020 relativa ai percorsi legali di protezione nell’UE: promuovere il reinsediamento, l’ammissione umanitaria e altri percorsi complementari.

    [27] COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE Orientamenti della Commissione sull’attuazione delle norme dell’UE concernenti la definizione e la prevenzione del favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali (2020/C 323/01);

    [28] Proposta modificata di REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell'Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE COM(2020) 611 final (Asylum Procedure Regulation – APR).

    [29] Proposta di Regolamento che introduce accertamenti nei confronti dei cittadini di paesi terzi alle frontiere esterne e modifica i regolamenti (CE) n. 767/2008, (UE) 2017/2226, (UE) 2018/1240 e (UE)

    2019/817 COM (2020) 612 final; Proposta modificata di REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO che istituisce l'«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l'efficace applicazione del regolamento (UE) XXX/XXX [regolamento sulla gestione dell'asilo e della migrazione] e del regolamento (UE) XXX/XXX [regolamento sul reinsediamento], per l'identificazione di cittadini di paesi terzi o apolidi il cui soggiorno è irregolare e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto, e che modifica i regolamenti (UE) 2018/1240 e (UE) 2019/818 COM(2020) 614 final e relativo allegato.

    [30] Sia consentito rinviare a E. Cavasino, Diritti, sicurezza, solidarietà e responsabilità nella protezione della persona migrante, in Federalismi, Focus Human Rights 3/2018 https://www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=37736.

    [31] Sul concetto di carenze sistemiche e violazioni del diritto UE si veda A. von Bogdandy, Principles of a Systemic Deficiencies Doctrine: how to protect checks and balances in the Member States, in Common Market Law Review 57: 705-740.

    [32] Proposta modificata di Regolamento che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE COM (2020)611 final

    [33] Proposta modificata di Regolamento che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE COM (2020)611 final, a pagina 3.

    [34] Cass. 10686/2012 e in dottrina da C. Esposito, Asilo (diritto di), in Enc. dir., Milano, 1959, III, 222 ss. a, da ultimo, P. Bonetti, Art. 10 cost., in Clementi, Rosa, Vigevani, La Costituzione italiana, Commento articolo per articolo, Bologna, 2021, I, 76 spec. 83

    [35] Proposta modificata di Regolamento che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE COM (2020)611 final, a pagina 9

    [36] RACCOMANDAZIONE (UE) 2020/1364 DELLA COMMISSIONE del 23 settembre 2020 relativa ai percorsi legali di protezione nell’UE: promuovere il reinsediamento, l’ammissione umanitaria e altri percorsi complementari.

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    [37] Professore ordinario di Diritto penale nell’Università di Palermo (alessandro.spena@unipa.it)

    [38] Decisione-quadro 2002/946/GAI del Consiglio, del 28 novembre 2002, relativa al rafforzamento del quadro penale per la repressione del favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali, e la Direttiva 2002/90/CE del Consiglio, del 28 novembre 2002, volta a definire il favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali.

    [39] Su ciò rinvio chi lo volesse, anche per ulteriori riferimenti, a Spena, Human Smuggling and Irregular Immigration in the EU: From complicity to exploitation?, in Carrera, Guild (eds.), Irregular migration, trafficking and smuggling of human beings policy dilemmas in the EU, Brussels: CENTRE FOR EUROPEAN POLICY STUDIES (CEPS), 2016, 33 ss.; Id., in Militello, Spena, Between Criminalization and Protection: The Italian Way of Dealing with Migrant Smuggling and Trafficking within the European and International Context, Leiden: Brill, 2019; Id., L’incriminazione dello smuggling of migrants in Europa: una ricognizione comparatistica, in Militello, Spena, Mangiaracina, Siracusa (cur.), Traffici illeciti nel Mediterraneo. Persone, stupefacenti, tabacco, Torino: Giappichelli, 2019,  144 ss.

    [40] Il solo fugace riferimento ai diritti dei soggetti trafficati si ritrova nell’art. 6 della Decisione quadro, a tenore del quale “L'applicazione della presente decisione quadro non pregiudica la protezione concessa ai rifugiati e ai richiedenti asilo conformemente al diritto internazionale relativo ai rifugiati o ad altri strumenti internazionali sui diritti dell'uomo, e in particolare l'osservanza da parte degli Stati membri delle loro obbligazioni internazionali ai sensi degli articoli 31 e 33 della convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati, modificata dal protocollo di New York del 1967”. Questa disposizione si limita, in realtà, a ribadire l’ovvia circostanza che le norme del Facilitators package non possono essere intese come deroghe in violazione di norme di diritto internazionale, che hanno valore vincolante per gli stati membri.

    [41] Per approfondimenti, Spena, Human Smuggling and Irregular Immigration in the EU: From complicity to exploitation?, in Carrera, Guild (eds.), Irregular migration, trafficking and smuggling of human beings policy dilemmas in the EU, Brussels: CENTRE FOR EUROPEAN POLICY STUDIES (CEPS), 2016, 33 ss.; Mitsilegas, The normative foundation of the criminalization of human smuggling: Exploring the fault lines between European and international law, in New Journal of European Criminal Law, 1/2019, 78.

    [42] Cfr. ad es. Veas, Il fine di profitto nel reato di traffico di migranti: analisi critica della legislazione europea, in Diritto penale contemporaneo – Rivista trimestrale, 1/2018, 116 ss.; Spena, L’incriminazione dello smuggling of migrants in Europa: una ricognizione comparatistica, in Militello, Spena, Mangiaracina, Siracusa (cur.), Traffici illeciti nel Mediterraneo. Persone, stupefacenti, tabacco, cit., p. 145.

    [43] Cfr. ad es., oltre ai testi citati nelle due note precedenti, Allsopp, Manieri, The Eu anti-smuggling framework: Direct and indirect effects on the provision of humanitarian assistance to irregular migrants, in Carrera, Guild (eds.), Irregular migration, trafficking and smuggling of human beings policy dilemmas in the EU, Brussels: CENTRE FOR EUROPEAN POLICY STUDIES (CEPS), 2016, 84.

    [44] Spena, Smuggled migrants as victims? Reflecting on the Un Protocol against migrant smuggling and on its implementation, §§ 2 e 3.2 (in corso di pubblicazione).

    [45] Per approfondimenti, sia consentito rinviare a Spena, Smuggled migrants as victims? Reflecting on the Un Protocol against migrant smuggling and on its implementation, § 3.4 (in corso di pubblicazione)

    [46] Un General Assembly, Report of the Ad Hoc Committee on the Elaboration of a Convention against Transnational Organized Crime on the work of its first to eleventh sessions – Addendum: Interpretative notes for the official records (travaux préparatoires) of the negotiation of the United Nations Convention against Transnational Organized Crime and the Protocols thereto, A/55/383/Add.1, 3 November 2000, § 88 (https://www.unodc.org/pdf/crime/final_instruments/383a1e.pdf).

    [47] Il piano è del 27 maggio 2015 e costituisce parte dell’Agenda europea sulle migrazioni, adottata un paio di settimane prima (13 maggio 2015).

    [48] Commission staff working document REFIT evaluation of the EU legal framework against facilitation of unauthorised entry, transit and residence: the Facilitators Package (Directive 2002/90/EC and Framework Decision 2002/946/JHA), pubblicato il 22 marzo 2017.

    [49] “To what extent did the Facilitators Package achieve its objectives? To what extent did it achieve approximation as regards the definition of the offence and the associated penal framework, including type and level of sanctions, and jurisdiction rules? Was the Package effective in setting out an appropriate legal framework to tackle the offence of migrant smuggling? What effects did the Package have on prosecution and conviction at national level?”.

    [50] “What are the main costs and benefits of the Facilitators Package? To what extent are the costs justified and proportionate to the benefits achieved? Did it create administrative burden?”.

    [51] “To what extent have the objectives of the Facilitators Package been appropriate? To what extent is the Facilitators Package still relevant in the current context where migrant smuggling has significantly increased over the last years?”.

    [52] “To what extent is the Facilitators Package internally coherent? To what extent is it coherent with wider EU laws in relevant areas such as migration, fundamental rights, fight against organised crime, trafficking in human beings, and with international law?”.

    [53] “What is the added value of the Facilitators Package compared to what could be achieved by Member States at national level? To what extent is it still opportune to act at EU level?”.

    [54] Sul punto, v. anche Minetti, The Facilitators Package, penal populism and the Rule of Law: Lessons from Italy, in New Journal of European Criminal Law, 2020 (disponibile all’indirizzo: https://journals.sagepub.com/doi/full/10.1177/2032284420946837).

    [55] “The priority afforded to reducing irregular migration stems from two essential needs. First, the need to tackle human rights abuse and violence, which those who migrate irregularly, in particular by sea, are often subject to. Migrants in an irregular situation are also more vulnerable to labour and other forms of exploitation. Secondly, there is a need to protect the Member States’ territorial integrity, social cohesion and welfare through well-managed migration flows”.

    [56] Su questi presupposti, non sarebbe possibile “to assess with accuracy whether prosecution and conviction rates have increased across the EU and to what extent the Facilitators Package may have contributed to it. Moreover, even in the event where statistical data would be complete and comparable, several other factors beyond the legal framework would still be likely to influence any assessment of the effectiveness of the legislation in this regard. These can be for example the degree of political priority afforded to the crime and the consequent level of resources allocated for the investigations, the difficulty to trace the illicit payments and criminal proceeds, and the likelihood of a higher deterrent effect when the activities are not driven by criminal motives or financial gain”. Di conseguenza, “in view of such weaknesses, the assessment is mostly based on the opinion gathered for the evaluation”. Ebbene, “According to most stakeholders across different categories, such as Member States, experts or other respondents to the public consultation, the Facilitators Package has had little deterrent effect. The deterrent effect of the approximation of the definition of the crime and related sanctions was questioned by several Member States and stakeholders. In their view, neither the definitions and sanctions nor their approximation (or the variations in the severity of sanctions) have an impact on the magnitude of the flows of (facilitated) irregular migrants to the EU, nor on the smuggling routes and methods. This is also because the potential gains from migrant smuggling have been reportedly very high compared to the risk of detection, conviction and sanctions”.

    [57] “As regards the definition of the offence, nearly all Member States which replied to the dedicated consultation agreed on the effectiveness of the Facilitators Package in approximating the definition of the offence, which is considered sufficiently broad and clear to allow prosecution of different forms of migrant smuggling. Some other experts and practitioners held less positive views about the actual effectiveness of the Package in promoting a harmonised definition and pointed to the variations in the transposition as a potential hindrance to cooperation”.

    [58] “The lack of a mandatory humanitarian exemption has been the subject of ongoing criticism from scholars, European and international institutions and NGO coalitions such as the European Social Platform. The conclusions of the first meeting of the European Migration Forum held in January 2015, pointed inter alia to the need to revise the Facilitation Directive to exempt humanitarian assistance from criminalisation. They stressed the need to "explicitly exclude punishment for humanitarian assistance at entry (rescue at sea and assisting refugees to seek safety) as well as the provision of non-profit humanitarian assistance (e.g. food, shelter, medical care, legal advice) to migrants in an irregular situation" and considered that the review "should also make clear that renting accommodation to migrants in an irregular situation without the intention to prevent the migrant’s removal should not be considered facilitation of unauthorised residence, while ensuring that the legal system punishes those persons who rent accommodation under exploitative conditions".

    [59] Comunicazione della Commissione – Orientamenti della Commissione sull’attuazione delle norme dell’UE concernenti la definizione e la prevenzione del favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali 2020/C 323/01. Per una sintesi, v. Licastro, Traffico (smuggling) di migranti: una mirata sintesi delle linee guida della commissione sulla direttiva sul favoreggiamento, in Osservatorio sulle fonti, 1/2021, 173 ss.

    [60] Risoluzione del Parlamento europeo del 5 luglio 2018 su orientamenti destinati agli Stati membri per prevenire la configurazione come reato dell'assistenza umanitaria (2018/2769(RSP)).

    [61] Per un riepilogo, Masera, L’incriminazione dei soccorsi in mare: dobbiamo rassegnarci al disumano?, in Questione giustizia, 2/2018, 225 ss.; Zirulia, Non c’è smuggling senza ingiusto profitto, in Diritto penale contemporaneo – Rivista trimestrale, 3/2020, 150 ss.

    [62] Per una valutazione, invece, tutto sommato positiva, almeno sotto questo punto di vista, del rilievo pratico della Comunicazione, v. Starita, Search and rescue operations under the New pact on asylum and migration, in SIDIBlog, 8 novembre 2020.

    [63] V., ad es., Coppens, Somers, Towards New Rules on Disembarkation of Persons Rescued at Sea?, in The International Journal of Marine and Coastal Law, 2010, 379, 387; Papanicolopulu, Le operazioni di search and rescue: problemi e lacune del diritto internazionale, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2/2019, 518; nonché, volendo, Spena, Smuggling umanitario e scriminanti, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2019, 1893 ss.

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